DA MALABELLAVITA di Rino Bonifacio «Un giorno mio padre mi - TopicsExpress



          

DA MALABELLAVITA di Rino Bonifacio «Un giorno mio padre mi disse: “Rino, vedo che, spesso, non ascolti i miei consigli. Ti chiedo, dunque, un favore: rifletti e forse riuscirai a capire che, quegli stessi consigli che oggi rifiuti e ti sembrano pensanti e noiosi, potrebbero aiutarti, un giorno”. Era vero. Oggi, molti di quei consigli mi aiutano a essere un buon padre. Perché l’unico maestro che può insegnarti come devi comportarti con tuo figlio, è proprio tuo padre. Non ci sono scuole apposite, non ci sono metodi. Hai un solo esempio da seguire, un unico modello. E mi stupisco ogni volta che mi rendo conto che, sebbene non li ascoltassi quei consigli, in realtà li ho assorbiti, sono dentro di me. E sono le stesse cose che direi a mio figlio, oggi. Il padre svolge un ruolo di primo piano per la crescita del proprio figlio, soprattutto se a tale crescita può prendere parte attiva, imparando anche alcune nozioni di psicologia infantile, con l’esperienza. Il ruolo del padre è fondamentale, per il proprio bambino, già al momento della nascita, del primo contatto con la realtà esterna al corpo della mamma. Sarebbe bello se un bimbo potesse sentire, come primo contatto esterno, le mani di suo padre. E lo dice un uomo che non c’era, che non ha avuto la possibilità di condividere quel momento con la sua compagna, di confortarla e starle vicino. Quando il padre è, per qualsiasi motivo, assente, manca un pilastro fondamentale. Per un bambino manca l’ordine, la regola, la parte più pratica e razionale del rapporto con i genitori. Perché, in genere, il bambino riserva alla madre l’amore più tenero, e vorrebbe dal padre la sicurezza e la guida. Il padre deve fungere da modello, da eroe positivo che risolve qualsiasi situazione. E basta davvero poco perché un bambino si formi questa convinzione di suo padre: basterà che lo veda montare un armadio, o riparare un giocattolo, o sfogliare un libro dando le spiegazioni necessarie. Basterà che suo padre lo prenda per mano e gli insegni a camminare, gli dia la forza di rialzarsi quando cade. È giusto, è sacrosanto che un padre diventi il supereroe per suo figlio, il campione dei campioni, quello che non sbaglia mai. E allora mi chiedo, ed è una domanda che mi assilla continuamente: Quando un padre si trova in carcere? Come si può pensare che possa educare un figlio e dimostrargli tutto l’amore che prova, se può vederlo una volta alla settimana, a volte una al mese, o addirittura ogni due mesi? Che rapporto profondo possono creare due persone che si vedono così poco? Come può un figlio conoscere suo padre, se non gli può confidare le sue speranze, i suoi sogni? Se non può rivolgersi a lui quando ha bisogno? È una realtà tristissima e piena di dolore, quella dei padri carcerati e dei loro figli. Alcune scene dovrebbero lacerare il cuore di chiunque, inducendo tutti a riflettere su una realtà che si è portati a non vedere, a non considerare. Perché è facile, quando non si è in determinate situazioni, stare con gli occhi chiusi e fingere che tutto vada bene, che tutto sia perfetto. Ma niente può andare bene quando senti le urla disperate dei bimbi molto piccoli che non vogliono staccarsi dal loro papà, e vedi quelle manine piccole e paffute protese alla ricerca dell’ultimo contatto. Niente va bene quando vedi uomini grandi e grossi uscire dalla sala colloqui con la testa bassa, e un sorriso falso a mascherare le lacrime che, invece, vorrebbero buttar fuori. Quando li vedi fare forza ai loro bambini, mentre dicono loro di non piangere, quando, in realtà, vorrebbero solo stringerli a sé, e piangere con loro. È un dramma, ve lo assicuro, io che lo vivo sulla mia pelle. È qualcosa di indelebile che rimarrà per sempre sulla pelle di bambini innocenti. Bisogna aiutare a risolvere questo problema, creare delle soluzioni che migliorino la qualità della vita dei detenuti e dei loro figli. Ci sono varie associazioni che stanno lottando per questo, ma occorre un supporto, un aiuto da chi di dovere. Da chi può davvero intervenire e fare qualcosa. Io sono padre di un bimbo di cinque anni, che non ho visto nascere, e non ho potuto seguire nella sua quotidianità. Non so che faccia abbia mio figlio quando si sveglia al mattino, non so quali siano i suoi gusti, non l’ho mai visto con i capelli bagnati. Lui pensa che io sia lontano per lavoro, che il carcere sia il mio ufficio. Quando viene a trovarmi mi riempie di domande, alle quali è difficile rispondere. Alle quali non so che risposta dare. Ci sono delle risposte giuste? Delle risposte che non lo feriscano più di quanto sia già stato ferito? Solo i sogni mi aiutano a stare vicino a mio figlio in qualsiasi momento, a festeggiare con lui il compleanno, Natale, la festa del papà, che per noi non è mai caduta il diciannove marzo. Solo nei sogni; almeno quelli sono miei e non me li tocca nessuno. Un figlio può cambiare, deve cambiare la vita di un uomo. È normale che accada. Quando ti ritrovi un piccolo essere indifeso che dipende da te, fra le braccia, sai di non essere più l’uomo che eri fino al momento prima. Mi torturo, di continuo, ponendomi mille domande che, ancora, non hanno mai ricevuto risposta. Perché la colpa dei padri deve ricadere sui figli? Perché se un padre ha sbagliato suo figlio deve pagarne le conseguenze? Che colpa ne hanno i bambini? Perché devono sentirsi degli emarginati solo perché hanno la sfortuna di avere un padre che ha commesso degli errori? Perché devono essere esposti alle maldicenze, ai pregiudizi? Bisogna rendersi conto che per ogni padre chiuso in un carcere, suo figlio sta scontando la stessa, identica pena».
Posted on: Mon, 01 Jul 2013 08:14:45 +0000

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