Quando capisci che tuo figlio ha più possibilità di sopravvivere - TopicsExpress



          

Quando capisci che tuo figlio ha più possibilità di sopravvivere fuori piuttosto che dentro di te, la prima sensazione è quella di una sconfitta, di non aver svolto il tuo compito di madre. Per settimane hai protetto il tuo bimbo, ora non sei più tu a guidare il suo destino. Ti senti un genitore a metà, impotente. Tuo figlio è nato, pesa meno di un chilo di pane, non lo vedi neanche in sala operatoria. Ti viene subito strappato dal tuo corpo ormai inservibile e messo dentro una scatola di plastica, lincubatrice, che svolgerà il ruolo che avresti dovuto avere tu. Esci dalla sala parto e senti le risate, i complimenti dei parenti delle altre mamme che festeggiano i loro nati. Assomiglia a nonno, no, assomiglia a tuo padre, le frasi che senti nel corridoio di ostetricia. E il tuo pollicino invece? Come sarà? Sempre se sarà... Fiocchi rosa, azzurri, visite di amici che non si contano e che passano tra le culle. Tu, invece, rimani nel tuo letto e non hai niente da mostrare, non hai certo voglia di ridere. La notte, poi, è il momento peggiore. Le infermiere portano in stanza i neonati per lallattamento e nel silenzio della notte il tuo pianto sommesso si intreccia con i rumori dei piccoli attaccati al seno delle loro madri. Fondamentalmente non sei ancora niente: tutto ti funziona, il latte esce anche a te, il taglio del cesareo fa male come alle altre, ma tu non hai uno scopo. E soprattutto non sai se lavrai mai.Poi arriva loccasione di entrare in T.I.N., la terapia intensiva neonatale. Dal fragore delle stanze dellospedale entri in un ambiente asettico, scandito dagli allarmi delle macchine che tengono in vita tuo figlio. Indossi un camice verde e ti portano a vedere il tuo piccolo. Ti avvicini allincubatrice e noti quel pezzettino di carne che cerca di destreggiarsi tra i numerosi fili e cateteri. E minuto, più di quanto si possa immaginare. Lotta senza sapere di farlo, sembra avere espressioni di sofferenza. E poi ci sono tante incubatrici, luna accanto allaltra, la riservatezza non esiste, senti ripetere il nome di altri bimbi, i pianti della madre che ti sta di fianco mentre un orologio a muro scandisce ogni minuto.La prematurità è un ottovolante, un giorno va bene, un altro va male. E quando pensi che la conclusione sia vicina arriva invece uninfezione, un virus, dei valori che non vanno bene e si ricomincia. Convivi con la Morte, perché è lei che almeno una volta vedrai in T.I.N. negli occhi di una madre che culla tra le sue braccia, in un ultimo saluto, il suo bimbo che non ce lha fatta. E nella piccola stanza della T.I.N impari a sopportare le tragedie degli altri, anche con il tuo orribile ma umano egoismo che ti fa pensare: Mio Dio, non è toccato a me. La notte piangevo, di un pianto disperato, mai vissuto prima, che partiva dal cuore, una fitta, un dolore vero, fisico. E con la domanda di sempre: Perché a me? Cosa ho fatto per meritare una sofferenza irreale?. Di giorno ero unautoma costretta comunque alla routine quotidiana: pagare le bollette, fare la spesa, aspettare il pranzo e partire per lospedale per stringere la minuscola mano di mio figlio. Mi trascinavo, con il cellulare perennemente vicino con il terrore costante di una chiamata dellinfermiera che mi diceva: E tutto finito.Cosa vuol dire vivere una prematurità? Che è un incubo. Che ti hanno tolto qualcosa e non lavrai comunque più: la pura gioia di una nascita. Senza pensare che non sempre il futuro di un prematuro che sopravvive sarà roseo. Che le emorragie cerebrali di cui ha sofferto potrebbero lasciare un segno indelebile. Che la vita che hai sognato per lui potrebbe essere diversa da quella reale. Ma è tuo figlio. E comunque vada quando arriva la telefonata dellospedale che ti annuncia le sue dimissioni tutta quella sofferenza di settimane si dilegua. Sei sorpresa di vederlo in una carrozzina, come tutti gli altri, finalmente libero dai tubicini. Lo guardi negli occhi, sai che dovrai legare quel filo spezzato e che non sarà facile. Ma è lì, tra le tue braccia e questa volta non devi chiedere il permesso alle infermiere. E un miracolo. E una doppia nascita. E unavventura da cominciare. Unesperienza che non dimenticherai mai. Perché un giorno lontano, in momenti davvero impensabili, potrebbe capitare alla tua mente di tornare indietro nel tempo, ricordandoti di quella stretta stanzetta dove le mamme si cercavano con gli occhi per darsi coraggio ed aggrapparsi a una speranza.Silvia Mobili il soldo di cacio (17 novembre 2012). VISSUTO UN ANNO FA....
Posted on: Sat, 16 Nov 2013 17:23:42 +0000

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