UN RACCONTO ASTRONOMICO La venticinquesima ora di Vincenzo - TopicsExpress



          

UN RACCONTO ASTRONOMICO La venticinquesima ora di Vincenzo Zappalà L’idea di questo racconto mi è venuta sentendo il titolo di un telefilm trasmesso a notte fonda (almeno per me) su Rai Tre. Non l’ho mai visto, ma il titolo mi stimolava. Ho cercato sul web qual’era la trama di quella serie televisiva per non rischiare di “copiare” anche se involontariamente. Poi ho trovato che esisteva anche un libro e un film con quel titolo, ma in tutti i casi l’idea era diversa e allora mi sono deciso. Spero vi piaccia… Sergio era un uomo veramente indaffarato. Il tempo non gli bastava mai. Alla mattina si alzava prestissimo per dedicarsi ai lavori di casa: era “single” e lo sarebbe sicuramente rimasto per sempre. Si preparava una veloce colazione e poi via al Centro di ricerca che distava più di trenta chilometri da casa. Purtroppo il suo stipendio appena decente non gli bastava per trasferirsi più vicino al posto di lavoro, che era localizzato nei pressi di una zona residenziale abitata da ricchi industriali e professionisti. Molti degli scienziati da cui dipendeva vivevano lì, ma il suo diploma non gli avrebbe mai permesso di fare carriera scientifica e si doveva accontentare di eseguire esperimenti di routine banali e ripetitivi e di tenersi ben stretto il piccolo appartamento lasciatogli in eredità. Le ore passavano velocemente al Centro di astrofisica che stava diventando uno dei più rinomati al mondo. Arrivavano sempre nuovi ricercatori di nazionalità diversa che vedevano negli studi d’avanguardia che si svolgevano nel laboratorio un trampolino di lancio per una carriera brillante. Sergio cambiava spesso reparto e anche responsabile. Nel giro di dieci anni era passato dallo studio delle particelle sub elementari scoperte nell’acceleratore di Bisone-Macchia, alla simulazione in 3D dei Buchi Neri di Tephanoff, dalla elaborazione dei dati provenienti dalla prima singolarità bi-temporale scoperta nell’alone di materia oscura della galassia a forbice di Mac Kerington al conteggio estenuante e infinito dei proto-quasar opachi. E molte altre cose ancora. Il suo compito era però sempre e soltanto quello di assistere i ricercatori, di eseguire prove di laboratorio o, al limite, di far “girare” programmi di simulazione, scritti ovviamente da menti superiori. Lui sapeva dentro di sé di valere molto di più, ma il suo carattere schivo e insicuro lo faceva restare in una triste penombra. Comunque, nessuno pretendeva altro da lui, un ottimo tecnico, svelto, rapido, ma pur sempre un “tecnico”. Eppure, molte volte, riusciva a comprendere lo scopo di quelle ricerche d’avanguardia. Capiva anche i problemi che gli esperimenti, eseguiti fedelmente ma prestabiliti dagli scienziati, cercavano di risolvere. Un paio di volte si era accorto di avere anche anticipato la risposta che aveva in seguito riempito di gioia e orgoglio i suoi responsabili. Ma mai e poi mai avrebbe osato dirlo apertamente e si teneva tutto per sé con una specie di strano compiacimento misto a tristezza melanconica. Non era invidioso, ma solo frustrato da una continua limitazione di cui non dava colpa a nessuno. Il lavoro però era per Sergio qualcosa di ben diverso che seguire indicazioni e obbedire a ordini. Lo appassionava veramente e poco alla volta si era creato una sua linea di ricerca del tutto personale. Non aveva le basi fisiche per comprendere le sue fantasie mentali, ma sentiva in qualche modo che potevano essere spiegate se solo avesse avuto le conoscenze specifiche. Non era una vera teoria, ma piuttosto una sensazione che collegava, in modo a volte razionale e a volte completamente illogico, tutte le informazioni che aveva recepito nei suoi continui cambiamenti di gruppo di ricerca. Era passato dalla micro-fisica applicata all’evoluzione dei fenomeni più energetici del Cosmo, saltando da un campo all’altro senza nessun filo portante. Eppure doveva esserci qualcosa di logico che li collegava. Qualcosa di estremamente semplice e intuitivo. Qualcosa che gli avrebbe permesso di ottenere il risultato che gli frullava nel subconscio. Solo che la sua preparazione non gli permetteva di comprenderlo: tutto lì. Ogni tanto prendeva anche appunti di nascosto, fotocopiava formule, duplicava immagini senza un vero motivo. Però sentiva che doveva farlo. Alla sera era uno degli ultimi a lasciare il laboratorio perché la sua serietà e accuratezza gli facevano fare spesso straordinari. Era uno dei tecnici più richiesti e molti cercavano di inserirlo nelle proprie “equipe”. Prima di raggiungere il suo modesto appartamento si fermava a comprare il pane e qualcosa da mangiare, anche se il più delle volte si limitava a cibi surgelati e precotti. Mangiava di corsa e poi poteva finalmente cominciare. La stanchezza spariva improvvisamente e Sergio si dedicava alla “sua” ricerca. Non sapeva qual’era né che cosa voleva ottenere, ma studiava, analizzava, collegava formule, esperimenti e immagini. Prima o poi non solo avrebbe capito cosa cercava ma l’avrebbe anche ottenuto. Bastava avere tempo, quella maledetta cosa che gli sfuggiva continuamente fra le mani. Quel pensiero sembrava per un momento aprirgli orizzonti sconosciuti che poi si richiudevano improvvisamente. Aveva imparato a dormire solo tre ore per notte. Non era stato facile. Aveva cominciato con sei, poi cinque, quattro e adesso era a tre. Sicuramente sarebbe arrivato a due, ne era certo. Il tempo era troppo veloce e lui ne voleva molto di più. Ma bastava volerlo? Si, forse, bastava volerlo… Tutto capitò in una notte di maggio, quando il profumo dei tigli riusciva a giungere fin dentro la città e al suo appartamento al settimo piano. Sergio stava arrivando alle due ore di sonno. L’orologio segnava le 3 del mattino. Alle 5:30 sarebbe suonata la sveglia. Ancora uno sforzo. Nello stesso momento in cui guardò l’orologio pensò fortemente al tempo che passava. Bastava volerlo, bastava volerlo e Sergio lo volle come mai in precedenza. Le lancette si fermarono, il fischio del treno che passava in lontananza sembrò fossilizzarsi. Lui però continuava a muoversi e pensare. Guardava quelle formule che stavano prendendo una luce diversa e semplicissima. Nello stesso momento comprese tutto e ottenne il risultato, il “suo” primo risultato. Sapeva perfettamente cos’era successo e per la prima volta nella sua vita rise sguaiatamente. Nessuno poteva sentirlo. E si mise a scrivere, a fare calcoli, disegnare grafici con estrema facilità, addirittura fischiettando. Poi intuì che era il momento. Guardò l’orologio e vide che aveva ripreso a muoversi. Il treno smise di fischiare. Sergio andò a letto e fece un sogno breve ma bellissimo. La mattina dopo andò a lavorare sperando per la prima volta che il tempo passasse in fretta. Avrebbe atteso, lavorando e vivendo normalmente, la sua venticinquesima ora. E poi avrebbe ottenuto anche la ventiseiesima, la ventisettesima, la duecentonventiquattresima. Forse l’infinito…
Posted on: Fri, 29 Nov 2013 05:00:01 +0000

Trending Topics



Recently Viewed Topics




© 2015