Sankara, l’eroe che denunciò l’impostura mondiale Scritto il - TopicsExpress



          

Sankara, l’eroe che denunciò l’impostura mondiale Scritto il 21/12/10 • nella Categoria: segnalazioni Anche se per Leibniz il nostro è il migliore dei mondi possibili, viene il sospetto che non sia così facile immaginarne uno peggiore. Basta sfogliare i giornali: l’ambasciatore Usa che racconta a Washington come il governo di Roma si impegnò a insabbiare la verità sull’omicidio Calipari, la setta dei 9 super-banchieri che da Wall Street decidono la vita e la morte di governi, popoli e destini e, nel nostro piccolo, lo spettacolo offerto dal governo “ad personam” che, mentre organizza traslochi di parlamentari, discute su come limitare l’accesso alle manifestazioni di piazza, magari sbattendo in galera gli avversari. Servirebbe una rivoluzione, disse Mario Monicelli, un anno prima di suicidarsi. C’è chi la fece davvero, la rivoluzione, e neppure tanti anni fa. Osò sfidare il potere mondiale: e per questo fu puntualmente assassinato. Il capitano Thomas Sankara, ufficiale di carriera nell’esercito dell’oscuro Alto Volta, trascurabile staterello nel cuore nero del continente africano, Thomas Sankara 4prese il potere non molti anni or sono, nel 1983, rovesciando il governo corrotto che manteneva in povertà il paese per svenderne le ricchezze agli interessi dell’Occidente. Sankara prese il potere con la forza popolare di una sommossa, appoggiata da reparti militari, dopo il suo arresto preventivo in occasione della visita di Stato del vero padrone dell’Alto Volta, il governo francese, impersonato in quella occasione dal figlio del presidente François Mitterrand. Si sollevò la popolazione, Sankara venne liberato e assunse il comando, instaurando un regime rivoluzionario basato sulle assemblee che, da ogni parte del paese, erano incaricate di indicare i bisogni e stimolare il governo a trovare soluzioni. Sankara oggi avrebbe 61 anni. Era nato il 21 dicembre 1949. Era comunista, evangelico e cattolico. Amava citare la Bibbia a memoria. Il comitato internazionale che si batte perché venga stabilita la verità sulla sua morte si domanda che aspetto avrebbe oggi il mondo se l’allora giovane presidente fosse ancora vivo, alla guida del suo stato nel cuore dell’Africa, cioè del vero forziere del pianeta. Perché è questo che fece, l’ultimo leader rivoluzionario africano: pretendere il rispetto del mondo, la fine della rapina sistematica delle risorse, del genocidio quotidiano della povertà che condanna vecchi e bambini a un destino di sofferenza. Sankara parlò agli schiavi e li promosse Thomas Sankaracittadini: sarebbero stati orgogliosi di essere africani, figli poveri ma dignitosi del Burkina Faso, la “terra dei puri”. In soli quattro anni, Thomas Sankara – il presidente che girava in Renault 5 e percepiva uno stipendio da semplice funzionario statale – riuscì a raggiungere risultati strabilianti: debellò la fame cronica, stroncò la mortalità infantile, rilanciò l’agricoltura e l’autoproduzione dei beni. Tutto il paese era con lui, e non solo: la sua politica e i suoi memorabili discorsi infiammarono rapidamente la gioventù dei più importanti paesi africani, dal Senegal al Cameroun. Diceva: alziamoci e camminiamo con la schiena diritta, in pace col resto del mondo. Viviamo della nostra terra, rinunciamo all’export: non ci serve vendere né comprare niente, perché in Africa abbiamo già tutto. Discorsi pericolosi. Come quello, storico, che fece alla conferenza panafricana di Addis Abeba nel 1987: «Chiediamo la cancellazione del debito, che rappresenta la nuova schiavitù coloniale, perché noi africani abbiamo già dato tanto. Non dobbiamo restituire proprio niente». I prestiti della Banca Mondiale, disse, sono un trucco: per imbrigliare le economie africane e renderle dipendenti in eterno dalla finanza occidentale. «Non abbiamo bisogno di prestiti e non intendiamo pagare debiti». Ma, aggiunse, con una battuta tragicamente profetica: «Se il Burkina Faso resterà solo Blaise Compaoré con George Bushnella richiesta di cancellazione del debito, io non sarò più qui alla conferenza dell’anno prossimo». Tre mesi dopo, Sankara era morto. Ucciso nel palazzo governativo della capitale, Ouagadougu, da un commando africano, forse composto da mercenari liberiani armati dal “signore della guerra” Charles Taylor. «Sarà un nero a uccidermi, ma la sua mano verrà armata da un bianco», avvertì con altrettanto talento profetico il congolese Patrice Lumumba prima di essere ucciso dal connazionale Ciombè nel 1961 su ordine del Belgio, interessato allo sfruttamento delle miniere del Katanga. Gli africani che assassinarono Sankara il 15 ottobre dell’87 agirono – si suppone – con l’aiuto della Libia di Gheddafi. L’omicidio sarebbe stato ordinato direttamente dalla Francia, col consenso della Cia. Il primo sospettato, tra gli esecutori, è l’attuale presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré, già braccio destro di Sankara: Compaoré ne ha preso il posto, affrettandosi a Nelson Mandela“normalizzare” il paese ribelle, rimettendolo sotto il totale controllo economico-finanziario dell’Occidente. Una favola nera, tristemente illuminante. All’epoca non esisteva neppure il G8, non c’erano giovani impegnati a contestare il sistema planetario, il capitalismo finanziario non aveva ancora partorito la rivoluzione tecnologica dell’informatica e neppure la globalizzazione dei mercati. Tutto però era già chiaro, agli occhi del giovane presidente burkinabé: la legalità internazionale è un valore relativo, come oggi rivela Wikileaks, se i diritti dei due terzi della popolazione mondiale sono calpestati dalle lobby che prosperano a loro spese, rapinandoli tutti i giorni. Sankara faceva sul serio: fu l’unico capo di Stato africano a chiedere ufficialmente la liberazione di Nelson Mandela. Oggi Mandela è un’icona venerata, da quello stesso mondo ipocrita che – 23 anni dopo – non è ancora riuscito a dare un nome agli assassini che spararono al cuore del politico più onesto e coraggioso del pianeta (info: thomassankara.net).
Posted on: Wed, 24 Jul 2013 15:30:34 +0000

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