§ 1. I minori: caratteristiche Per il diritto la persona umana - TopicsExpress



          

§ 1. I minori: caratteristiche Per il diritto la persona umana è centro di imputazione o punto di riferimento di diritti e doveri, ciò configura una condizione definita capacità giuridica. La capacità giuridica si acquista, ai sensi dell’articolo 1 comma 1 c.c., al momento stesso della nascita (momento che si considera coincidente con l’inizio della respirazione polmonare) e perdura fino alla morte (momento che si fa coincidere con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni cerebrali). Il concepito, non ancora nato, è privo, per il diritto, della capacità giuridica, con l’eccezione della capacità di ereditare. Art. 1 c.c. La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita. Al contrario, la capacità di agire è l’attitudine del soggetto a compiere atti giuridici, mediante i quali assume doveri o acquista diritti. Tale capacità si consegue con il raggiungimento della maggiore età, nel nostro ordinamento, ai sensi dell’articolo 2 c.c., al compimento del diciottesimo anno. Art. 2 c.c. La maggiore età è fissata al compimento del diciottesimo anno. Con la maggiore età si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia stabilita un’età diversa. Fino alla maggiore età, i minori acquistano diritti ed assumono doveri per mezzo di coloro che ne sono i legali rappresentanti: essi sono sottoposti alla potestà dei genitori o, in mancanza di genitori perché morti o decaduti, alla cura di un tutore nominato dal giudice tutelare. La capacità giuridica e la capacità di agire attengono ai rapporti civilistici, è ora necessario analizzare la disciplina penale riguardante i minori, in particolare, per ora, la normativa che li prende in considerazione come soggetti attivi ed in specie la capacità a delinquere. Con riferimento a tale capacità occorre, preliminarmente, sviluppare una breve premessa in ordine al concetto di imputabilità. Secondo il codice penale vigente, è imputabile ogni soggetto, il quale, al momento della commissione del fatto, era capace di intendere e di volere (art. 85, comma 1 c.p.). Art. 85 comma 1 c.p. Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile. Dalla definizione che offre il codice penale, possiamo desumere che l’imputabilità è uno status personale, correlato alle particolari qualità psico-fisiche dell’autore del fatto e che nulla ha a che vedere con il reato. In particolare, la capacità di intendere è definibile come l’idoneità del soggetto a valutare la realtà che lo circonda ed a comprenderne il significato e gli effetti della propria condotta, ossia a rendersi conto del valore o disvalore “sociale” del proprio comportamento. Perché un soggetto sia imputabile è necessario che entrambi i requisiti della capacità di intendere e di volere siano presenti, non bastando che ne sussista uno e non l’altro. Se il soggetto, che ha compiuto il diciottesimo anno di età, è ritenuto – salvo prova contraria - pienamente imputabile, dal codice penale, perché in possesso dei requisiti della capacità di intendere e volere, non altrettanto si può dire per i minorenni, per i quali il legislatore ha effettuato una suddivisione precisa. Infatti, gli infraquattordicenni sono considerati ex lege, a prescindere dalle loro effettive condizioni, incapaci di intendere e volere e, pertanto, non imputabili, non sottoposti alla pena (art. 97 c.p.); Art. 97 c.p. Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni. gli ultraquattordicenni non sono considerati presuntivamente né capaci né incapaci, ma sarà il giudice a valutare, di volta in volta, la capacità di intendere e volere e, pertanto, ad accertarne l’imputabilità (art. 98 c.p.). Art. 98 c.p. E’ imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità di intendere e di volere, ma la pena è diminuita. Naturalmente, il Giudice chiamato a valutare il caso, dovrà verificare l’esistenza o meno dei presupposti con riferimento alla possibilità di commettere un reato, in tutte le sue componenti oggettive e soggettive: in sintesi dovrà valutare la capacità di delinquere del soggetto. Per i minorenni esiste un giudice specializzato, il Tribunale per i minorenni, di cui si dirà in seguito, composto sia da giudici togati, sia da altri due cittadini che rivestono la qualifica di psicologi, sociologi, pedagogisti.... Tale composizione è stata voluta dal legislatore in considerazione delle particolari caratteristiche dei soggetti da giudicare, per i quali non devono valere solamente criteri giuridici, ma anche umani e psicologici. § 2. Diritti dei minori rispetto ai genitori, alla famiglia, alla società ed in particolare alla scuola Il concetto di famiglia, così come veniva concepito nella tipica struttura patriarcale, è stato rivoluzionato ed aggiornato, tanto da assumere nuovi connotati all’interno della società post moderna. Il primo segno esteriore di tale rivoluzione è rappresentato dalla modifica del termine di “patria potestà”, con cui un tempo si affidava al pater familias il diritto-dovere di decidere sui figli, relegando la moglie nel ruolo di mera genitrice naturale, senza alcuna potestà riguardo all’educazione ed istruzione dei figli. Oggi, infatti, si parla di “potestà genitoriale” o “parentale”, termine con cui si affida ad entrambi i genitori l’educazione e la crescita della prole. Tale diversa forma lessicale rende evidente un nuovo equilibrio all’interno dell’assetto familiare, nel quale due soggetti autonomi collaborano entrambi allo stesso fine: l’educazione della prole. In tale prospettiva, pertanto, si tende a far sì che i figli, fin dall’adolescenza, debbano essere posti, attraverso la dialettica familiare, a diretto contatto con i problemi che riguardano la loro educazione (scuola, amici, scelte di vita...) ed in grado, quindi, di assumere esperienza e consapevolezza di ciò che più da vicino li riguarda1. Il minore, conseguentemente, acquisisce una formazione più rapida e più consolidata per affrontare quelli che saranno i problemi della maggiore età, tutto ciò, naturalmente, qualora il funzionamento del nuovo organigramma familiare si svolga nella concordia reciproca. La nuova dicitura “potestà genitoriale” non implica che ogni atto di esercizio della potestà debba essere compiuto congiuntamente, ma che i genitori devono concordare le linee generali di indirizzo, sulla base delle quali ciascuno dei due potrà e dovrà operare anche separatamente. Al superamento del principio di autorità della famiglia corrisponde una nuova linea di tendenza, volta ad attribuire al minore un ruolo attivo in tutte le vicende che lo riguardano inerenti la sua persona ed il nucleo familiare. A questo proposito, è significativa la legislazione scolastica, la quale riserva ai minori un ruolo altamente partecipativo. All’articolo 1 del D.P.R. 31.05.1974 n. 417 si legge: “L’azione promozionale del docente è attuata nel rispetto della coscienza morale e civile degli alunni”. L’interesse del minore è l’unico interesse autonomo rilevante per l’ordinamento giuridico; non vi sono, pertanto, due interessi contrapposti, del figlio e dei genitori, ma viene in considerazione l’unico interesse del figlio. 1 RESCIGNO, Trattato di diritto privato, 4, 1997, p. 521; BESSONE, Rapporti etico sociali, in Commentario della Costituzione, a cura di BRANCA, Bologna, 1976, p. 7; PARADISO, La comunità familiare, Milano, 1984, p. 10 e ss.. I genitori dovranno tutelare la personalità del minore, di conseguenza avranno sia un potere-dovere di cura della persona, di sostegno e di vigilanza sul figlio, sia un potere di intervento verso i terzi, quando vi sia il pericolo di turbative nei confronti dei figli. Si pensi, ad esempio, alla presentazione di querela nel caso in cui il figlio sia stato vittima di una condotta criminosa posta in essere da terzi, o la partecipazione attiva alla formazione del figlio compiuta da organi a ciò deputati (Scuola). Il nostro codice, se per ciò che riguarda i diritti della personalità del minore non ha previsto una normativa approfondita, ha, invece, affrontato più compiutamente i problemi riguardanti l’amministrazione dei beni del minore e la sua rappresentanza per ciò che concerne i diritti patrimoniali. L’articolo 320, comma 1 c.c. prevede che per gli atti di ordinaria amministrazione i genitori possano agire disgiuntamente; per contro ai sensi dell’articolo 320, 3° comma c.c. non possono alienare, ipotecare o dare in pegno beni pervenuti a qualsiasi titolo, anche a causa di morte; accettare o rinunciare ad eredità o legati, accettare donazioni. Infine, l’articolo 320, comma 5 c.c. prevede che i genitori non possano continuare un’impresa commerciale senza autorizzazione del Tribunale, su parere del giudice tutelare. Art. 320 c.c. I genitori congiuntamente, o quello di essi che esercita in via esclusiva la potestà, rappresentano i figli nati e nascituri in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni. Gli atti di ordinaria amministrazione, esclusi i contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento, possono essere compiuti disgiuntamente da ciascun genitore. Comma 3 I genitori non possono alienare, ipotecare, o dare in pegno i beni pervenuti al figlio a qualsiasi titolo, anche a causa di morte, accettare o rinunziare ad eredità o legati, accettare donazioni, procedere allo scioglimento della comunione, contrarre mutui o locazioni ultranovennali o compiere altri atti eccedenti l’ordinaria amministrazione né promuovere, transigere o compromettere in arbitri giudizi relativi a tali atti, se non per necessità o utilità evidente del figlio dopo autorizzazione del giudice tutelare. Sotto il profilo della responsabilità dei genitori per fatti illeciti commessi dai figli, l’ordinamento giuridico stabilisce, all’articolo 2048 c.c. (culpa invigilando), che sussista una responsabilità presunta del genitore per i danni cagionati dal figlio a terzi. La prova liberatoria dalla presunzione di responsabilità non è limitata alla dimostrazione di non aver potuto impedire l’evento, ma deve essere estesa anche alla dimostrazione di aver impartito al minore una sana educazione e di aver svolto una corretta vigilanza adeguata all’età, al carattere ed all’indole dello stesso (Cass. Civile 12501/2000). Il diritto del minore allo studio è costituzionalmente garantito, ma non altrettanto avviene con riferimento ai diritti del minore nella scuola, ai quali è concessa la tutela ordinaria (gerarchica, amministrativa, civile, penale). La riforma della scuola, cominciata nel 1974, ha fatto sì che la famiglia possa compartecipare più attivamente alla vita scolastica del minore. L’istituzione degli organi collegiali ha segnato l’inizio di una collaborazione scuola-famiglia necessaria per una corretta educazione del minore. Tale collaborazione, però, non deve sfociare in ingerenze da parte della famiglia sulle scelte didattiche della Scuola e dei singoli insegnanti. Proprio una recente pronuncia della Corte di Cassazione ha affermato che i genitori che non siano d’accordo con i metodi didattici non hanno comunque un diritto di veto (Cass. Civile n. 2656/2008). Nel caso che ha dato occasione alla pronuncia, alcuni genitori si erano opposti ad alcuni insegnanti che avevano svolto lezioni di educazione sessuale, senza il consenso dei genitori e la Corte di Cassazione ha così argomentato: “E pertanto certamente ravvisabile un potere della amministrazione scolastica di svolgere la propria funzione istituzionale con scelte di programmi e di metodi didattici potenzialmente idonei ad interferire ed anche eventualmente a contrastare con gli indirizzi educativi adottati dalla famiglia e con le impostazioni culturali e le visioni politiche esistenti nel suo ambito non solo nell’approccio alla materia sessuale, ma anche nell’insegnamento di specifiche discipline, come la storia, la filosofia, l’educazione civica, le scienze, e quindi ben può verificarsi che sia legittimamente impartita nella scuola una istruzione non pienamente corrispondente alla mentalità ed alle convinzioni dei genitori, senza che alle opzioni didattiche così assunte sia opponibile un diritto di veto dei singoli genitori”. L’entrata in vigore dello Statuto degli Studenti, D.P.R. 24 giugno 1998, n. 249, ha, ulteriormente, modificato l’assetto scolastico precedente, valorizzando la figura dello studente, come interlocutore attivo nel percorso formativo scolastico. Ha consentito di superare il modello sanzionatorio di natura esclusivamente repressiva – punitiva, previsto dal Regio Decreto n. 653 del 1925, introducendo il principio, altamente educativo, secondo il quale il provvedimento disciplinare verso l’alunno deve prevedere comportamenti anche di natura “riparatoria-risarcitoria”. In altre parole, si tende ad una responsabilizzazione maggiore del discente all’interno della comunità scolastica. Alla luce di tale innovazione, lo strumento sanzionatorio si situa all’interno di un percorso caratterizzato da un momento iniziale di prevenzione e formazione e da un momento finale di ricorso all’Autorità giudiziaria, per fatti di tale gravità da non poter essere risolti con strumenti di natura educativa. § 3. Il processo minorile Il sistema penale e processuale italiano in materia minorile è stato riformato con il DPR 22 settembre 1988 n. 448. Con tale legge, la procedura penale minorile ha subito una vera e propria rivoluzione, con l’introduzione, per la prima volta, del sistema conciliativo-riparatore. Tale riforma ha costituito anche un punto di riferimento per la scena internazionale, dal momento che il testo anticipava i principi poi recepiti dalla Carta del Fanciullo, firmata a New York nel 1989. Come si è detto, l’età minima per essere imputabili è quella di 14 anni, mentre al di sotto di questa soglia si è considerati incapaci di intendere e volere e, pertanto, non imputabili penalmente. Tutti i soggetti e gli organi del processo penale minorile sono persone che si occupano specificamente di tale materia e sono: - il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei minorenni; - il Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale per i minorenni; - Tribunale per i minorenni - Procuratore Generale presso la Corte d’Appello; - Magistrato di Sorveglianza per i minorenni. L’aver dal fatto che il legislatore ha voluto impostare la normativa ispirandosi al principio di rieducazione ed educazione del minore, nel rispetto delle sue esigenze. L’articolo 1, che definisce i principi generali del processo minorile, sancisce che le disposizioni devono essere applicate in modo adeguato alla personalità ed alle esigenze educative del minorenne. Inoltre, è previsto che il Giudice illustri all’imputato (soggetto minorenne) il significato delle attività che si svolgono in sua presenza ed anche il contenuto e le ragioni - anche etico sociali - della sua decisione, svolgendo così una funzione pedagogica. Al percorso riparatore, finalizzato alla responsabilizzazione del reo, si uniscono la società e lo Stato, soggetti passivi di qualsiasi reato. Tutto ciò si concretizza in una serie di interventi graduali, diretti al reinserimento del minore nella società, piuttosto che in provvedimenti di tipo detentivo e reclusivo intramurario. Tutti gli organi giudiziari del processo minorile si caratterizzano per il fatto di avvalersi della collaborazione di esperti in psicologia, pedagogia, sociologia, proprio per le particolari caratteristiche dei soggetti che devono giudicare. Occorre infatti tenere presente che gravi carenze educative e culturali incidono pesantemente sulla capacità di intendere e volere durante l’età evolutiva. Infatti, una scarsità di conoscenze rende il minore privo degli strumenti idonei a conseguire un corretto adattamento sociale e lo espone a tutti i previsto una particolare procedura nei casi in cui l’imputato sia un minorenne è giustificato rischi derivanti da una supremazia di altre categoria di soggetti, minorenni o maggiorenni, che trovano “campo libero” nel deviare il soggetto debole. In questo contesto anche l’ambiente scolastico ha un ruolo fondamentale, poiché, insieme alla famiglia, deve contribuire alla crescita culturale e sociale del minore. Le Istituzioni Scolastiche devono offrire gli strumenti perché i giovani possano autodeterminarsi e costruirsi un bagaglio culturale idoneo a renderli indipendenti nel pensiero, oltre che nelle azioni, senza che si lascino trascinare da condizionamenti esterni. Per poter svolgere una funzione educativa ancora più incisiva, il sistema penale e processuale minorile prevede, in ogni grado e fase, il coinvolgimento della famiglia del minore, affinché la stessa vigili e collabori alla rieducazione del minore deviato. Con la riforma del processo minorile, il minore diviene soggetto attivo, in quanto il suo convinto consenso al progetto educativo è condizione necessaria per la riuscita dello stesso. Nonostante la tendenza alla rieducazione appena illustrata, su un punto rilevante in quanto riguarda un reato frequente, vi è un contrasto giurisprudenziale sull’applicabilità o meno della custodia cautelare. Di recente la Corte di Cassazione ha affermato il dovere di applicare la custodia cautelare nei confronti di minori che compiono delitti di furto e scippo, ma, per un diverso orientamento, la custodia cautelare non sarebbe applicabile nei confronti dei minorenni che rubano e scippano, in quanto il carcere preventivo per tali reati non sarebbe espressamente richiamato dal Dpr 448 del 1988, che disciplina i casi in cui può essere applicata la custodia nei confronti di imputati minorenni. Invece, l’orientamento, condiviso dalla sentenza 34216 della quarta sezione penale della Suprema Corte sopra richiamata, sostiene che è possibile applicare ai minori la custodia cautelare, anche nel caso di illeciti puniti con la reclusione non inferiore a nove anni ed anche nel caso di specifiche fattispecie come quelle del furto ridisegnate dalla legge 128 del 2001, in quanto hanno laggravante incorporata dalla modalità stessa di commissione del reato e non rileva se, per i furti in appartamento e gli scippi, il nuovo articolo 624 bis del Codice Penale prevede la reclusione massima fino a 6 anni. § 4. I reati minorili più frequenti Di seguito si analizzeranno alcuni dei reati più frequenti, che si possono verificare nelle Scuole, e non solo, e che vedono come protagonisti e vittime i minori. I minori molto spesso sono soggetti attivi di condotte criminose, all’interno delle Istituzioni Scolastiche, senza rendersi pienamente conto del disvalore della loro condotta. A. Ingiuria: articolo 594 c.p. Art. 594 c.p. Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a € 516. Tale reato è disciplinato al Capo II del codice penale, che considera i delitti contro l’onore; in tale sede per onore si intende il decoro e l’onorabilità della persona, inteso come valore del soggetto. La condotta criminosa posta in essere dal soggetto attivo si concretizza nell’offendere una persona presente. Soggetto attivo del reato può essere chiunque, purché, ovviamente, possegga i requisiti di imputabilità analizzati in precedenza. I modi più comuni per commettere il delitto di ingiuria sono la parola, lo scritto, il disegno, la fotografia, il fotomontaggio, la scultura, nonché atti materiali, consistenti in gesti sconci, suoni oltraggiosi, lanci di oggetti.... Dalla descrizione delle modalità con cui può realizzarsi l’ingiuria, è facilmente comprensibile come possa accadere che ragazzi presenti nelle Istituzioni Scolastiche commettano tale reato. Infatti, non è difficile immaginare casi in cui gli studenti si offendano a vicenda, scrivano frasi offensive nei confronti di compagni, soprattutto se più deboli e/o diversamente abili. Tali comportamenti non sono solo sanzionabili dal punto di vista disciplinare, ma, dal momento che integrano una condotta criminosa, sono sanzionabili anche dal punto di vista penale. Al riguardo costituisce un vero problema il fatto che i minori non si rendano conto della gravità del fatto e non arrivino a pensare che il loro comportamento sia in realtà un reato. A tale proposito è necessario che le Istituzioni Scolastiche prevedano momenti di formazione e di educazione civica, durante i quali soffermarsi ed approfondire tali tematiche. B. Diffamazione: articolo 595 c.p. Art. 595 c.p. Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a € 1.032,00. Anche il reato di diffamazione rientra tra le condotte criminose lesive dell’onore di un soggetto. Oggetto di tutela di tale delitto è la reputazione. I requisiti perché sia integrato il reato sono: - - - offesa della reputazione; assenza dell’offeso; comunicazione con più persone. Il reato può essere commesso anche con il mezzo della stampa, ma solo se ricorrono due condizioni: una oggettiva, relativa alle modalità di formazione dello scritto (mezzi tipografici, ecc.) tali da garantire la riproduzione in più copie; ed una soggettiva, concernente la destinazione alla pubblicazione, cioè alla divulgazione ad un numero indeterminato di soggetti. La condotta fin qui descritta è di carattere commissivo, cioè il soggetto compie una serie di azioni che ledono la reputazione altrui; tuttavia, il reato di diffamazione può essere integrato anche mediante un comportamento omissivo, come ad esempio il riferire una verità incompleta, non correggere errori o imprecisioni, non aggiornare una notizia già fornita. Anche tale reato è molto diffuso negli ambienti scolastici, dove i ragazzi, spesso, diffondono notizie non vere sul conto di compagni, conoscenti, personale scolastico. C. Rissa: articolo 588 c.p. Art. 588 c.p. Chiunque partecipa ad una rissa è punito con la multa fino a € 309. Il reato, disciplinato dall’articolo 588 c.p., rientra tra i delitti contro la persona. La condotta è integrata quando più di due soggetti partecipano ad una mischia violenta, con vie di fatto, tutti animati dal duplice intento di recare offesa agli avversari e di difendersi dalla violenza di costoro, cosicché ne deriva una reciproca azione aggressiva esercitata da gruppi contrapposti al fine di sopraffarsi a vicenda. Alla luce della descrizione normativa, possiamo affermare che gli elementi fondamentali del reato di rissa sono: - l’uso della violenza; - la reciprocità dell’aggressione. I soggetti attivi del reato compiono intenzionalmente azioni violente, quindi l’elemento soggettivo è il dolo, inteso come coscienza e volontà di partecipare alla contesa con animo offensivo. Soprattutto negli ultimi anni, le Istituzioni Scolastiche sono state teatro di comportamenti violenti posti in essere da minorenni nei confronti di compagni. D. Lesioni personali: articolo 582 c.p. Art. 582 c.p. Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo e nella mente, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni. Se la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni e non concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste dagli articoli 583 e 585 c.p. ad eccezione di quelle indicate nel n. 1 e nell’ultima parte dell’articolo 577, il delitto è punibile a querela della persona offesa. Anche il reato di lesioni personali rientra nei delitti contro la persona e si caratterizza per la sua forma libera, cioè non è richiesto, quale elemento costitutivo ineluttabile, la violenza. Infatti, è sufficiente una qualsiasi condotta idonea a cagionare la malattia: ad esempio un urto, una spinta, un’insidia, un trauma acustico... E’ un reato ad evento unico poiché è costituito dalla sola malattia nel fisico o nella mente. L’articolo 582 c.p. prevede due gradi di lesioni: al primo comma definisce le lesioni lievi o semplici, che consistono nella malattia di durata compresa fra i 21 e i 40 giorni; nelle lesioni lievissime, invece, disciplinate dal comma 2, la malattia dura al massimo 20 giorni. L’articolo 583 c.p., infine, disciplina i casi di lesioni gravi, per le quali è prevista una pena più severa. Per lesioni gravi si intendono i casi di indebolimento permanente di un senso o di un organo o una malattia di durata superiore ai 40 giorni. Anche per tale condotta criminosa, l’elemento soggettivo è rappresentato dalla coscienza e volontà di cagionare una manomissione dell’altrui persona. L’urto e la spinta sono frequenti in ambienti dove sono presenti ragazzi e ragazze che, per esuberanza e per indole, utilizzano questi comportamenti per emergere nel gruppo o per farsi notare da qualche altro compagno o compagna e guadagnarne la stima. E. Danneggiamento: articolo 635 c.p. Art. 635 c.p. Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a € 309. E’ un reato che viene posto in essere molto comunemente dagli alunni: si pensi al caso in cui uno studente rompa una finestra o altri beni di appartenenza dell’Istituzione Scolastica. La norma che disciplina tale delitto prevede varie forme di danneggiamento, alternative tra loro, essendo sufficiente, infatti, la realizzazione di una di esse per dar luogo alla piena integrazione del reato: distruzione, dispersione, deterioramento. Trattandosi di reato di danno, il danneggiamento si perfeziona nel momento e nel luogo in cui si è verificato in tutto o in parte la distruzione, la dispersione o il deterioramento. Anche nel caso del delitto di danneggiamento il comportamento tenuto dallo studente non comporterà solo una sanzione disciplinare, prevista dal regolamento interno dell’Istituzione Scolastica, ma può ricadere nell’ambito penalistico con comminazione della relativa sanzione penale. F. Ricettazione: articolo 648 c.p. Art. 648 c.p. Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque s’intromette nel farli acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due a otto anni e con la multa da 516 € a 10.329 €. Il reato si realizza attraverso l’acquisto, la ricezione, l’occultamento di cose di provenienza illecita o anche attraverso l’intromissione per farle acquistare, ricevere od occultare da altri. E’ un delitto a condotta vincolata. Il soggetto attivo del delitto può essere chiunque, ad eccezione di colui che ha contribuito e/o concorso al reato presupposto (ad esempio il furto, la rapina...). La condotta integra il reato nel momento dell’accordo tra le parti in ordine all’acquisto, alla ricezione, all’occultamento o alla intermediazione. G. Spaccio: legge 9 ottobre 1990 n. 309 e sue successive modificazioni ed integrazioni Il reato di spaccio si configura nei casi in cui il soggetto, detentore di sostanza stupefacente, cede la medesima o la vende a terzi. Per tale reato è necessario verificare se lo spaccio avviene all’interno dell’edificio scolastico o al suo esterno. Nel primo caso, infatti, sussiste una responsabilità in capo all’Istituzione Scolastica, la quale ha l’obbligo di vigilare sui ragazzi e su ciò che avviene all’interno durante l’orario scolastico. H. Associazione L’ipotesi di associazione si verifica tutte le volte in cui le condotte criminose sopra descritte vengono poste in essere da tre o più persone, che in unità di intenti, portano a compimento un delitto. Tale circostanza è aggravante dal punto di vista sanzionatorio. E’ una situazione che può verificarsi molto frequentemente, dal momento che spesso i minori si alleano tra di loro per commettere azioni criminose o, comunque, contrarie all’ordinamento. I. Delitti contro la libertà personale I reati previsti nel Capo III del Libro II codice penale assumono particolare rilievo, in quanto comprendono i reati di abusi sessuali. Gli articoli 609 bis c.p. e seguenti, introdotti con la legge n. 66 del 1996, prevedono sanzioni particolarmente gravi per i soggetti che commettono violenze sessuali. In tali circostanze, i minorenni sono solitamente i soggetti passivi delle condotte criminose, anche se, talvolta, ne sono soggetti attivi. Art. 609 bis c.p. Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. E’, tuttavia, opportuno soffermarsi sulle condotte riguardanti gli abusi su minori, per poter essere in grado di intervenire nei casi in cui si venga a conoscenza di situazioni del genere. L’articolo 609 quater c.p. disciplina il reato di violenza sessuale nei confronti di minorenni: la specifica norma introdotta dal legislatore in materia rivela la particolare attenzione riservata dallo stesso nei riguardi dei soggetti minori di età, al fine di preservarne uno sviluppo equilibrato anche dal punto di vista sessuale, evitando che venga a contatto con situazioni distorte, incongrue rispetto al suo grado di maturità in ambito sessuale. Il delitto si consuma ogni volta che si compie con un minore, un atto che involge la sfera della sessualità. Per tali condotte l’error aetatis non è una scriminante, cioè non fa venire meno l’antigiuridicità del fatto criminoso, che, pertanto, rimane punibile. Un’ulteriore normativa specifica è prevista dall’articolo 609 quinquies c.p., riguardante la corruzione di minorenni. Tale previsione legislativa sanziona i casi in cui un soggetto compie atti sessuali in presenza di persona minore di quattordici anni al solo fine di farla assistere. La condotta presa in considerazione dalla norma di cui al 609 quinquies c.p. può manifestarsi con forme di esibizionismo in campo sessuale, come, ad esempio, il mostrare organi genitali alla presenza di un minore, oppure il compimento di atti di autoerotismo che perseguano la finalità di far assistere alla scena il minore. Se le tipologie di reato descritte poc’anzi vedono i minori come soggetti passivi sono ormai quasi all’ordine del giorno i casi di violenza sessuale di gruppo, in cui anche i soggetti attivi sono minorenni, che non si limitano solo a porre in essere condotte contrarie al buon costume, ma filmano le scene poste in essere, così da renderle visibili anche ad altri. L’articolo 609 octies c.p. sanziona il comportamento di più soggetti che, riuniti, partecipano ad atti di violenza sessuale. La decisione del legislatore del 1996 di far rientrare tali delitti nella sezione del codice dedicata alla libertà personale e non, come era in precedenza a partire dal codice Rocco, nella sezione dedicata ai delitti contro la morale o il buon costume, sottolinea la ferma volontà di privilegiare la considerazione della libertà della vittima, sottolineando il valore del bene protetto, considerato in quanto tale e non come riflesso della pubblica moralità, intesa come coscienza etica. Art. 609 octies c.p. La violenza sessuale di gruppo consiste nella partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all’articolo 609 bis c.p. Molti dei reati commessi in danno di minori sono perseguibili solo a querela di parte, cioè se è stata presentata querela da parte della vittima. Nel caso in cui la vittima sia un minorenne, spetta a chi ne ha la potestà o la rappresentanza sporgere denuncia per i fatti commessi in danno del rappresentato. Dall’analisi dei reati che possono più di frequente verificarsi negli ambienti scolastici, è intuibile come sia molto importante prevenire tali fenomeni con un’adeguata informazione ai ragazzi. Infatti, sovente i ragazzi pensano di porre in essere solo delle “bravate” prive di rilievo, se non dal punto di vista disciplinare.
Posted on: Fri, 18 Oct 2013 16:58:54 +0000

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