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Archivio Tra mafie e corruzione: le mani “ro’ sistema” su Civitavecchia e Alto Lazio di Simona Ricotti “E le cosche puntano al controllo dei moli”; “Era la mafia siciliana ad interessarsi degli appalti alla Marina”. Ed ancora: “La GdF sequestra 15 milioni di beni ad un imprenditore in odore di mafia”. Questi alcuni degli inquietanti titoli usciti recentemente sulla stampa di Civitavecchia e dell’Alto Lazio; titoli che si contrappongono ad un altrettanto inquietante ed ostinato negazionismo circa i fenomeni mafiosi da parte di alcune delle Istituzioni ed al perdurare di un’allarmante assenza della politica che ha teso, e continua a tendere, a minimizzare denunce ed eventi che appaiono molto di più che semplici campanelli di allarme. È infatti dal 2003 che osservatori privilegiati sulla materia, dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Roma, alla Commissione Antimafia, dal Procuratore Generale Antimafia Pierluigi Vigna a Luigi De Ficchy della Direzione Nazionale Antimafia, dal Presidente della Corte di Appello Giorgio Santacroce fino al Procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo denunciano, spesso inascoltati, “… la presenza sul litorale della Regione Lazio (intendendo….anche la parte del litorale fino a Civitavecchia e, a salire, ai confini della Toscana), di formazioni della criminalità organizzata di origine siciliana, calabrese e, ovviamente e ancora più tradizionalmente, campana” (Italo Ormanni proc. Agg. D.D.A. 2003). Denunce che non si fermano al generico e non lesinano particolari ed, anzi, indicano chiaramente nomi e settori di interesse: “Nelle relazioni della DIA viene sovente evidenziata la presenza di elementi collegati a Cosa Nostra (come le famiglie Privitera e Cursoti e i fratelli Rinzivillo, vicini a Giuseppe Madonia), interessati alla realizzazione delle opere pubbliche nel Lazio, sia lungo la litoranea sia nelle zone interne, con particolare riferimento ai porti di Civitavecchia e Gaeta. Sempre nella parte nord della provincia, le stesse fonti ufficiali riferiscono della presenza di alcune ‘ndrine (clan Alvaro, Galati, Ienco e Tassone). A Civitavecchia, il porto più importante presso Roma, si è insediata la terza generazione dei Gallo-Cavalieri di Torre Annunziata, i quali hanno concluso stabili raccordi con la criminalità locale, trasformando l’asse Civitavecchia – Ladispoli in una cellula logistico – operativa. Anche il clan camorristico Di Lauro di Scampia, servendosi dello stesso porto, smerciava grandi quantitativi di droga proveniente dalla Colombia.” (“Le mani della criminalità sulla città” Ass. Codici ottobre 2007). Ed ancora: “Sul litorale nord della capitale (in special modo nei comuni di Ladispoli, Cerveteri, S. Marinella, e Civitavecchia) si riscontra la presenza di alcune ramificazioni dei sodalizi Gallo, Misso, Mazzarella e Veneruso, attivi nel narcotraffico. La potente alleanza Misso-Mazzarella ha manifestato segnali di infiltrazione nelle dinamiche commerciali del porto di Civitavecchia, ove, a seguito dei numerosi sequestri operati nel porto di Napoli, si sta concentrando la maggior parte delle operazioni di sdoganamento dei container” (Relazione Dia secondo semestre 2008). Nel 2005 il Proc. Gen. Antimafia Pierluigi Vigna giunge a teorizzare “che anche nel Lazio sia stato esportato il sistema del ‘Tavolino’ attorno al quale prendevano parte boss mafiosi, imprenditori e politici. Quel sistema che aveva permesso per molti anni, l’individuazione dei soggetti che dovevano partecipare, e vincere, ad una gara d’appalto” affermando che “Il Ros ad Anzio, ma anche la polizia ad Ostia ed i carabinieri a Civitavecchia, hanno potuto constatare come l’infiltrazione mafiosa tenda a controllare, sempre di più, gli appalti per importanti infrastrutture pubbliche, come ad esempio le grandi opere marittime a Civitavecchia o i lavori di ammodernamento del porto di Gaeta. E‘ stata segnalata la presenza di elementi collegati alla mafia siciliana Privitera-Cursoti, ai clan camorristici dei Cozzolino e dei Contini, ma anche a cosche della ‘ndrangheta con le famiglie Morabito-Gallace- Mollica.” Affermazioni di estrema gravità che destano grande preoccupazione, soprattutto perché provenienti da chi, per l’esperienza e le conoscenze maturate in anni di attività nel settore, si presuppone conosca molto bene certe dinamiche e, conseguentemente, parli con cognizione di causa. Affermazioni che, peraltro, trovano conferma non solo nel fatto che Civitavecchia viene annoverata come uno dei più grandi terminali del narcotraffico d’Italia e d’Europa, ma anche, e soprattutto, nelle numerose operazioni effettuate sul territorio, come, ad esempio, l’operazione “Cobra” del febbraio 2002 in cui vennero arrestati i fratelli gelesi Antonio e Salvatore Rinzivillo, vicini a Giuseppe Madonia, fedelissimo del capo di cosa nostra Bernardo Provenzano; le operazioni “Nerone” ed “ Emergency” nel 2007, durante le quali gli inquirenti arrestarono i fratelli Romualdo, Rosario e Luigi Gallo, appartenenti all’omonimo clan di Torre Annunziata. Ed ancora l’operazione cosiddetta “Autostrade del mare” del gennaio 2009 condotta dalla Procura di Civitavecchia e passata poi sulle scrivanie della DDA di Roma che ha visto 54 indagati e sette ordinanze di custodia cautelare; l’operazione ‘‘Pajarito’’ che ha consentito di intercettare 277 kg di stupefacenti tra cocaina e hashish e di effettuare 13 arresti; l’operazione ‘‘Figaro’’ nella quale i carabinieri di Civitavecchia hanno arrestato tre persone, tra cui i due fratelli Pietro e Giuseppe Ruggiero, legati alla cosca dei Carbonaro operante tra Ragusa e Catania, gli stessi che sembra, tra l’altro, da indiscrezioni della stampa, abbiano mostrato interesse per l’appalto di ristrutturazione della “Marina” di Civitavecchia e le recentissime operazioni “Saint Libory”, con la quale è stato accertato il controllo di un vasto giro di stupefacenti da parte dei Casamonica, e “Vesuvio” che ha messo in luce l’asse tra gli stessi Casamonica e il clan Sarno-Mazzarella. Sostiene la DIA che le mafie, se non trovassero una sponda nelle istituzioni e nella politica, non riuscirebbero comunque, anche mimetizzandosi come sono solite fare, ad aggiudicarsi appalti pubblici ed anche privati. È ormai dato acclarato che quando ci sono grandi appalti di opere pubbliche, gli appetiti mafiosi si scatenano, e nel territorio dell’Alto Lazio, e a Civitavecchia in particolare, ci sono stati, ci sono e ci dovranno ancora essere enormi investimenti di denaro pubblico relativi sia alle attività portuali e retro portuali, sia a quelle del polo energetico e di altri insediamenti industriali. Alle opere approvate o in corso di realizzazione nell’area di Civitavecchia, si aggiungono idee progettuali come la cosiddetta “Piastra logistica” recentemente ribattezzata “Piattaforma Italia”. Quattromiladuecento ettari, un’estensione pari a circa 5.900 campi da calcio, tra Civitavecchia e Tarquinia, riempiti di cemento, di grattacieli, di capannoni, di district park, di aree di sosta, di interventi industriali non ben identificati, conditi da una ragnatela di nuova viabilità, affiancati alla realizzazione di un aeroporto a Tarquinia e di un mega Terminal Container – una banchina, costituita da una cassa di colmata di 3milioni di m3, lunga circa Km 1, 700 e larga tra i 400 e i 600 m per una superficie di 1 milione di m2, coronata in mare aperto da un nuovo antemurale di quasi 2 Km, e rifinita con un mega porticciolo e ben tre bacini di carenaggio – destinato all’import-export con l’Oriente; una progettazione, da finanziare con fondi indefiniti, che ha già destato grande preoccupazione da parte degli organi inquirenti sia per l’attenzione ad essa rivolta dalla mafia cinese, sia perché possibile occasione di saldatura tra quest’ultima e le mafie italiane che tengono già sotto controllo il traffico di Napoli e di Gioia Tauro. E proprio i miliardi di euro in gioco, come denunciato a suo tempo dall’ex sostituto procuratore nazionale antimafia, De Ficchy, hanno reso Civitavecchia appetibile, e vulnerabile, alla criminalità organizzata che di solito partecipa agli appalti mettendo in campo aziende e persone insospettabili, in una presenza discreta e silenziosa. Non a caso Antonio Ingroia, procuratore aggiunto a Palermo, ha recentemente definito la mafia “un sistema di potere economico criminale con capacità di relazione col potere legale” ponendo, di fatto, la lente d’ingrandimento sull’intreccio tra le infiltrazioni mafiose e l’economia legale. La vera mafia, infatti, si muove in silenzio all’interno di giochi economici legali portandosi a casa, secondo gli ultimi dati, il 10% del PIL nazionale. E le mafie, per incrementare il loro già miliardario fatturato, hanno bisogno di complici non solo per ripulire il denaro proveniente da operazioni illecite, ma anche, e soprattutto, per ottenere permessi, appalti e gestioni; ed è in questo contesto che il ruolo della politica diventa fondamentale: se non c’è trasparenza nelle amministrazioni pubbliche si rischia di lasciare uno spiraglio aperto alla mafia. Emblematica in tal senso la situazione del settore edilizio; settore estremamente vivace, nonostante la profonda crisi economica del territorio e delle imprese, in cui il fiorire di decine di nuove costruzioni contrasta con l’ingente patrimonio edilizio realizzato ma rimasto invenduto. Come riporta Roberto Cellini Segretario Generale della FILLEA-CGIL di Roma e Lazio nella relazione introduttiva al convegno “CANTIERI TRASPARENTI: le mani giuste sulla Regione” tenutosi nel novembre 2009, pur non essendo numerosissimi i fatti eclatanti, svariati sono, invece, gli “indicatori di anomalia significativi, in controtendenza rispetto alla crisi produttiva del territorio, all’aumento della disoccupazione e della cassa integrazione che vanno dall’aumento degli sportelli bancari, alla crescita di depositi bancari e ad una maggiore liquidità disponibile e inspiegabile”. Un contesto reso ancor più inquietante da “alcune presenze” e dal “continuo ricambio dei lavoratori all’interno dei cantieri… sintomatici di probabili irregolarità, non solo formali e contrattuali” nonché da “… improvvise crescite di Aziende che passano in poco tempo da una conduzione familiare esercitata da un capomastro a società per azioni con centinaia di dipendenti, che diversificano la propria attività da strettamente edili ad attività di accoglienza turistica alberghiera o che vendono centri commerciali a fondi d’investimento”. Una tecnica quindi, ormai consolidata, da cui scaturiscono processi difficili da prevenire e sconfiggere perché spesso ammantati dai crismi della legalità e spacciati come grande occasioni di sviluppo, forieri di enormi, quanto presunti, benefici per la collettività; fatto, questo, che alimenta un consistente consenso sociale, specie nell’attuale momento di grave crisi economica ed occupazionale, che funge da paravento a queste operazioni e rimane indifferente agli allarmi lanciati dagli organi inquirenti. Fenomeni che potrebbero trovare terreno fertile in una poco trasparente gestione degli uffici competenti in materia di urbanistica, infilandosi nell’interpretazione della normativa vigente e nella pianificazione di riferimento. Una situazione testimoniata, peraltro, da quanto affermato dal Procuratore Capo Gianfranco Amendola, che, nel sintetizzare le attività della Procura di Civitavecchia nell’anno 2009, ha rivelato che con riferimento al settore dell’edilizia e dell’urbanistica nel territorio di competenza “Complessivamente …sono stati eseguiti 202 sequestri e ben presto si potrebbe arrivare alle prime demolizioni”. Sequestri che sono proseguiti numerosi nel 2010 e 2011. Ma vi sono anche altri indicatori sociali ed economici, peraltro da manuale, che danno la percezione, in maniera più o meno palese, che il territorio sia imbrigliato in una sorta di ragnatela invisibile che ne paralizza la reattività come l’economia, mentre flussi di denaro di incerta provenienza ne modificano, e profondamente, lo stile di vita e la mentalità. Infatti, a fronte di un impressionante crescita dei disoccupati e/o cassintegrati, si è consolidata, nella pratica come nella cultura, una gestione clientelare di massa del disagio sociale che ha trasformato ogni diritto in favore mentre, nel contempo, aumentano coloro, che “entrati nel giro giusto”, ostentano stili di vita estremamente dispendiosi, residenze sontuose e macchine di lusso (Ferrari, Maserati, Jaguar, ecc.) mentre il locale Sert denuncia un allarmante incremento dell’uso di cocaina. E’ un dato, inoltre, che vi sia un aumento esponenziale della presenza di nuclei familiari di origine campana nonché di imprese, o di manager, provenienti dalla medesima regione, con particolare riferimento al casertano, nonché dalla Sicilia e dalla Calabria; che vi sia un continuo di aperture flash di esercizi commerciali accompagnate da chiusure repentine e un crescente allarme per i fenomeni di usura; che vi siano voci sempre più consistenti, sulla cui validità occorrerebbe avviare le opportune verifiche ma che, a volte, da voci si sono trasformate in dati di fatto, che parlano di strani passaggi di proprietà, “di acquisti d’immobili, strutture commerciali, aziende”, per citare le parole dell’Onorevole Giuseppe Lumia della Commissione Parlamentare Antimafia, effettuati da persone che non avrebbero tutta la disponibilità di denaro occorrente. Fatto altrettanto interessante e sul quale riflettere è che nel territorio di Civitavecchia negli ultimi 10/15 anni sono fiorite decine e decine di nuove filiali di banche (attualmente sono 43), di finanziarie ed esercizi per la compravendita di preziosi e sempre più spesso vengono fatti ingenti investimenti in attività che, stante la povertà del tessuto economico cittadino (basti pensare che a Civitavecchia la disoccupazione ha superato la percentuale del 23%), non avrebbero ragione di essere in un’ottica di economia di mercato. E’ un dato, infine, che molte tra le più grandi inchieste italiane, da quelle sulla “cricca Balducci and co” a Fastweb, da Tributi Italia alla Deutsche Bank, da quella sulla lista Smi-Bank di San Marino a quella sui derivati Nomura, abbiano un qualche legame, più o meno scoperto, con il territorio o con personaggi in esso agenti e/o residenti e che questi, a loro volta, abbiano i loro referenti in esponenti del mondo politico/amministrativo. Una presenza, quindi, quella della criminalità organizzata nel territorio dell’Alto Lazio, che non è più solo episodica, ma radicata e strutturale, alimentata da un humus di illegalità, di mancanza di trasparenza, di mancato controllo della provenienza dei capitali con l’accoglimento di qualsiasi investitore anche sconosciuto, di mancanza di garanzie e rispetto delle regole che rischia di trasformare il comprensorio in una sorta di grande macchina del riciclaggio, un laboratorio, come autorevolmente sottolineato dal segretario del SILP CGIL 11, dove convivono e fanno affari pacificamente ‘ndrangheta, camorra e cosa nostra. Una situazione che ben si può riassumere con le parole con cui, nel rapporto “Mafie&Cicoria” stilato dall’Associazione Libera Informazione nell’Aprile 2008, viene descritto lo stato delle infiltrazioni mafiose nella Regione Lazio: “La quinta mafia, quella del Lazio, non crea allarme perché non è un corpo estraneo. Cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta sono da anni delle mafie stanziali, cresciute fino a diventare altro…Sanno anche mimetizzarsi, usando uomini del territorio come paravento…Questo è il nuovo modello di controllo del territorio, per evitare le guerre e il rigetto della società civile…Come alieni della fantascienza classica, hanno agito sotto traccia, si sono mescolati agli altri con indosso una maschera di rispettabilità. Lo schema è simile in tutta la regione: dai primi insediamenti, seguiti alle latitanze o ai soggiorni obbligati di mafiosi del Sud, è nata una mafia endogena. … Ai soldi sporchi, si sono affiancate le competenze di Cosa nostra, la manovalanza locale e quella dei camorristi e degli ‘ndranghetisti, quindi un terzo livello imprenditoriale tutto laziale. Il tutto con coperture politiche trasversali. Cemento, alberghi, centri commerciali, appalti, ristorazione, rifiuti, ortofrutta e trasporti, usura e partecipazioni mafiose nelle imprese. Si ricicla molto di più, ci si fa notare molto di meno. La mafia si è fatta imprenditrice. Una mutazione genetica avvenuta, secondo i magistrati in prima linea, negli anni 80. Il tutto sotto silenzio. Nel Lazio la parola mafia troppo spesso non si può usare, come ai tempi dell’onorata società…La politica ha protetto le mafie, tra corruzione e infiltrazioni mafiose non c’è più un confine netto. Anche nel Lazio si adotta la politica del “tavolino”, ben spiegata ai giudici dal ministro dei lavori pubblici di cosa nostra, Angelo Siino. Anche nel Lazio nasce una sorta di centro decisionale, un comitato d’affari che pianifica le attività e divide la torta. Tra i convitati, tanti, troppi insospettabili”. Per dirla in altre parole nell’Alto Lazio, e a Civitavecchia, la mafia cresce e il tessuto sociale ed economico si sfalda. Mentre, come denunciato da “Il Sole 24ore” in un ormai datato articolo, la quasi totalità di “amministratori e politici … si girano d’altra parte per non guardare, per paura o collusione”. Simona Ricotti Vice Segretario Regionale Associazione contro le Illegalità e le Mafie A. Caponnetto
Posted on: Sat, 29 Jun 2013 02:53:21 +0000

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