CASTA Da Lsblog Davide Giacalone Non ne farò i nomi, noti a - TopicsExpress



          

CASTA Da Lsblog Davide Giacalone Non ne farò i nomi, noti a tutti, perché non è una questione legata alle loro persone, ma alle loro funzioni: il presidente dell’Inps e il ministro dell’economia dovrebbero dimettersi (per il secondo non mi riferisco al fatto che è andato su è giù fra Roma e Bruxelles, riuscendo a non predisporre il via libera alla legge di stabilità, né che abbia aspettato di sentirsi dire dalla Commissione europea quel che qui scriviamo da quando hanno presentato quella specie di catorcio instabile, sembra incredibile, ma ci sono anche altri motivi). Se ne vadano. Non è una piccola questione estetica, ma un’enorme problema collettivo. Il presidente dell’Inps non può comunicare all’universo mondo di avere mandato una lettera a due ministri (economia e lavoro), pubblicizzandone i contenuti. Perché dimostra il tatto istituzionale di uno che lo Stato suppone sia il proprio tinello. Non può diffondere il panico affermando che il disavanzo economico e patrimoniale dell’istituto che dirige “può dare segnale di non totale tranquillità”, perché a parte la prosa di ottusa furbizia, il senso è che sono a rischio i pagamenti delle pensioni. E non può poi emettere un comunicato in cui dice che è tutto a posto, perché delle due l’una: o ha straparlato al mattino o sta nascondendo la verità al pomeriggio. In tutti e due i casi se ne deve andare. Il ministro dell’economia non può assistere inerte all’uso distorto dei dati diffusi dal dipartimento finanze del suo ministero, talché si sono ritrovati a essere benzina buttata sul fuoco del disagio sociale. Non può lasciare che passi tutta intera una giornata, fino a prendere in edicola (chiedo scusa: a farsi portare la mazzetta che paghiamo noi) i giornali del giorno dopo, senza rendersi conto che lasciare correre la voce di imprenditori evasori e mendaci, talché pretendono di guadagnare meno dei dipendenti, è pericoloso. E offensivo. Tanto più che il citato ministro è a sua volta un lavoratore dipendente strapagato, come anche il presidente dell’Inps, a livelli che un imprenditore italiano non si sogna e che, ove mai lo sognasse, attirerebbe su di sé una pressione fiscale superiore a quella che questi signori sopportano. Oltre tutto l’Ocse ci fa sapere che i dirigenti della nostra pubblica amministrazione sono pagati tre volte la media fra tutti i paesi aderenti, mentre non mi risulta che le nostre imprese facciano tre volte i profitti, la Borsa tre volte i guadagni, etc. Il che spiega in abbondanza la stortura del dato, elaborato da un drappello di triplamente pagati burocrati. All’inizio me l’ero presa con il dipartimento. Ma la loro colpa è “solo” quella di avere diffuso dati senza un aiuto alla loro corretta interpretazione. Siccome la cosa succede ogni anno, e siccome quella distorta s’è manifestata fin da subito, era compito del ministro, magari delegando un qualche portavoce, di correggere il tiro. Niente. Il punto è questo: se a una condizione di comando e privilegio non corrisponde un analogo livello di responsabilità la nostra vita pubblica è insanabilmente corrotta. Infatti. La causa delle dimissioni non può e non deve essere sempre e solo un’accusa penale, perché in quel modo si consegna ad altri burocrati il diritto di stabilire chi può governare e chi no. Ma questo non significa che si rimane al proprio posto anche se imputati, significa che si scolla anche solo se si fanno fesserie fuori di misura. E qui la misura è superata. Rimarranno al loro posto, naturalmente (il secondo per poco, dipartendo per altri motivi). Peccato, perché perdono l’occasione per far sapere che si erano ritenuti al servizio dello Stato e non avevano mai pensato lo Stato fosse al loro servizio. ECONOMIA Da Vincitori e vinti.Appena qualche di settimane fa, il governo ha reso pubblica la Nota di Aggiornamento al DEF. Per chi non lo sapesse, il DEF è il documento di economia e finanza che rappresenta il punto nodale nella programmazione della politica economica e di bilancio del paese. Il punto d’incontro tra politica nazionale e l’Unione Europea, che incorpora le variabili macroeconomiche e di bilancio che il governo stima si possano realizzare, stante una crescita presunta del PIL. Leggendo il documento licenziato dal governo, la cosa che più lascia perplessi, è dover constatare la volgarità della menzogna esercitata dal governo, proprio su talune variabili che risultano manifestamente abbellite, taroccate, per nulla aderenti con la realtà dei fatti, con lesatta situazione delleconomia italiana e dei conti pubblici. Questi ultimi, appositamente “massaggiati” per offrire un quadro della finanza pubblica migliore rispetto a quello che effettivamente è. Cerchiamo di andare nel dettaglio. LA MENZOGNA SUI CONTI PUBBLICI La nota licenziata dal Governo, rispetto al DEF di primavera, con la fine dellanno ormai alle porte, recepisce ciò che era ormai chiaro da mesi, più o meno a tutti i commentatori di buon senso. Ossia che il Pil, anche questanno, diminuirà dell1.7%(?), posizionandosi a 1.557,3 miliardi di euro, quindi ben oltre l1.3% previsto solo a maggio dal governo Monti. Sul fronte della spesa pubblica, il governo, proprio con l’intento di esporre un deficit migliore rispetto a quello reale, da un lato ha aumentato di un miliardo di euro la spesa corrente (pensioni, stipendi, acquisti); mentre, dall’altro, ha corretto al ribasso la stima della spesa in conto capitale portandola a 807,6 miliardi rispetto agli 810, 6 precedentemente previsti: quindi, 3 miliardi in meno di spese che aiuterebbero (secondo il governo) a far rientrare sotto il 3% lo sconfinamento deficit/Pil. Ma entrando nel dettaglio del DEF, si scopre che questo (apparente) miglioramento, è determinato da artifici contabili, per cui si differiscono all’anno successivo (cioè al 2014) talune spese in conto capitale originariamente previste nel 2013, nonostante la spesa per investimenti sia stata fortemente ridotta in questi ultimi anni proprio per esigenze di bilancio, non considerando che questa determina anche delle manifestazioni virtuose per il ciclo economico. E’ ovvio che, se cossi fosse, questa pratica andrà ad impattare sul fabbisogno del prossimo anno. Ciò nonostante, analizzando le spese della amministrazioni pubbliche e proiettando al 31 dicembre il consuntivo realizzato nei primi sette mesi dell’anno -dove sono cresciute dell’1.8% rispetto allo stesso periodo del 2012- si osserva che queste, a fine anno, dovrebbero aggirarsi intorno ai 678.5 miliardi di euro: cioè 6 miliardi in più rispetto ai valori rettificati dal governo nella nota di aggiornamento. Sul fronte delle entrate, a causa dell’aleatorietà dei pagamenti da parte degli agenti economici, la questione è molto più difficile da interpretare. Anche se i dati disponibili delle entrate tributarie, per i primi 8 mesi dell’anno, registrano una diminuzione dello 0.3% rispetto allo stesso periodo del 2012. Le entrate contributive, invece, secondo quanto comunicato dalla Ragioneria Generale dello Stato, nei primi sette mesi dell’anno, si sono attestate a circa 124 miliardi di euro, in flessione dello 0.9% rispetto allo stesso periodo del 2012. Proiettando a tutto il 2013 i dati sulle entrate tributarie e contributive realizzate nei primi 9 mesi, dando per certa una copertura del taglio della seconda rata dell’IMU -in parte assorbito anche dal recente aumento IVA- e, in via del tutto prudenziale, ipotizzando comunque un miglioramento dell’andamento delle entrate, è verosimile ritenere, a fine anno, un minor gettito che oscilli tra +0,1 e +0,4% per le entrate del 2013 sul 2012, ad un valore tra 755 e 757 miliardi di Euro, contro 759 preventivati, con un ammanco tra 2,0 e 4,0 miliardi. Quindi in estrema sintesi, alla luce di quanto sopra esposto, si potrebbe ritenere del tutto verosimile un deficit, a fine anno, oscillante tra il 3.4% e il 3.6%, cioè dai 4 ai 6 miliardi in più rispetto ai 48.7 miliardi stimati dal governo nella nota di aggiornamento, con un debito pubblico prossimo al 134% contro li stima del governo al 132,9% In buona sostanza, è questo il quadro di finanza pubblica che, con ogni probabilità, ci attenderà da qui a fine anno, salvo ulteriori manovre correttive o giochi di prestigio per esporre un deficit inferiore al 3%. Ma in uno scenario come quello descritto, nel quale si balla proprio ai limiti, nonostante la manovra di contenimento di 1.6 miliardi di euro varata lo scorso 10 ottobre, molto dipenderà dalla crescita economica dell’ultima parte dell’anno e dalle entrate tributarie degli ultimi mesi, anche se, a parer di chi scrive, i margini di ottimismo sembrano piuttosto ridotti, se non addirittura inesistenti. COME TAROCCARE LE PREVISIONI SULLA SPESA PER INTERESSI Ma andando oltre, sempre nel DEF, e sempre a proposito dell’inattendibilità delle stime governative, si scopre che, sul fronte della stima della spesa per interessi, il tandem Letta-Saccomanni, compiono una vera e propria manovra di prestigio, degna di Mago Otelma. Tanto per renderci conto di cosa stiamo parlando, vi propongo questa tabella che riepiloga la stima della spesa per interessi dal 2014 al 2017: sulla prima riga quella effettuata dal Governo Monti, sulla seconda quella del Governo Letta con la nota di aggiornamento al DEF. Stima Spesa per interessi Gov. Monti vs Gov. Letta . (dati in migliaia di euro) 2014 2015 2016 2017 Def . Maggio 2013- MONTI 90377 97465 104384 109289 Agg. Def settembre- LETTA 86087 88827 91858 92500 RISPARMIO 4290 8638 12526 16789 Come è facile intuire, già dal 2014, fino ad arrivare al 2017, il governo Letta stima un robusto e progressivo risparmio per la spesa per interessi, fino a giungere, nel 2017, appunto, a oltre 16 miliardi di euro, equivalenti ad 1 punto percentuale del Pil. E chiaro che queste presunte economie determinano un miglioramento dei saldi di finanza pubblica. A questo punto occorrerebbe chiedersi perché il governo stimi una riduzione così significativa del costo per interessi, o secondo quale parametro. Prima di dare una risposta all’interrogativo, è bene precisare che, come giustamente segnala il Prof. Gustavo Piga nel suo blog, ormai da oltre 15 anni a questa parte, o meglio fino all’ultimo DEF dello scorso maggio, le previsioni di stima della spesa per interessi venivano “formulate utilizzando i tassi impliciti nella curva dei rendimenti italiana rilevati a metà marzo 2013….”. In buona sostanza si tratta(va) di un criterio riconosciuto dalla comunità scientifica e finanziaria, che traeva fondamento proprio dall’analisi della curva dei tassi in un determinato periodo temporale. Con la nota di aggiornamento, il governo cambia paradigma. Infatti, sul documento, la stima della spesa per interessi fonda la sua previsione su una “ipotetica e una graduale chiusura degli spread di rendimento a dieci anni dei titoli di stato italiani rispetto a quelli tedeschi a 200 punti base nel 2014, 150 nel 2015 e 100 nel 2016 e 2017”. Cioè, per dirla in parole più semplici, il costo degli interessi sarebbe destinato a scendere in ragione di una ipotetica diminuzione degli spread. Siamo quasi al demenziale o, se preferite, al dilettantismo, poiché, un analisi di questo genere, è priva di qualsiasi fondamento, non solo scientifico, ma anche logico. Invero, va precisato che un calo dello spread non significa automaticamente una diminuzione dei costi al servizio del debito (interessi). Infatti, lo spread, altro non è che una variabile che misura la differenza tra il rendimento Btp decennale e quello del bund tedesco: anche quest’ultimo soggetto a variare in ragione di una moltitudine di variabili economiche e di mercato. Ne consegue, in maniera peraltro del tutto ovvia, che se diminuisce lo spread, ma al tempo stesso aumenta il rendimento del bund, l’aumento del titolo tedesco vanifica in tutto o in parte il beneficio prodotto dal ripiegamento dello spread . Da ciò se ne deduce che se ad un eventuale aumento del rendimento del Bund, non si contrappone un calo più che proporzionale dello spread, il costo del debito aumenta anziché diminuire. Questo, banalmente, per significarvi che la stima fatta dal governo per quantificare la spesa per gli interessi, oltre ad essere infondata nel metodo, lo è anche logicamente. Detto ciò, con ogni probabilità, ciò che induce il governo a ritenere un ripiegamento dello spread nei confronti del titolo tedesco, verosimilmente, risiede proprio nelle previsioni di crescita del PIL, dal 2014 al 2017, a parer di chi scrive, fin troppo ottimiste, o meglio non realizzabili. Il perché dovrebbe esser chiaro. Infatti tanto più la crescita si dimostrerà (almeno sulla carta) vigorosa, tanto più i conti pubblici si stabilizzeranno verso sentieri di maggiore sostenibilità (sempre sulla carta) e, di conseguenza, aumenterà anche la fiducia degli investitori nei titoli del debito pubblico, determinando anche un ripiegamento dello spread, magari allineandosi (??) alle previsioni elaborate dal governo nel DEF. Quindi, un rientro dello spread a 100 punti base, in ragione della crescita esponenziale del PIL esposta nel DEF, potrebbe essere verosimile. Ma ciò che non lo è, sono le previsioni sul PIL. A PROPOSITO DELLE PREVISIONI FANTASIOSE SULLA CRESCITA Ecco, il punto è proprio la crescita economica. E’ proprio qui che il governo commette una vera e propria indecenza, proiettando stime che, non senza difficoltà e fantasia, potrebbero semmai essere ospitate nel libro dei sogni, nonostante, nel corso degli ultimi 14 anni ed oltre, il PIL dell’Italia sia cresciuto mediamente ad un livello ben inferiore (oltre 1%) rispetto alla media UE27 Ad ogni buon conto, la Nota di Aggiornamento al DEF si fonda su una dinamica di tassi di crescita del Pil dal 2014 al 2017 decisamente ottimista: • 2014 +1,0%; • 2015 +1,7%; • 2016 +1.8%; • 2017 +1.9%. Cioè, una crescita molto più robusta di quella mediamente prodotta negli ultimi 13/15 anni, ascrivibile, secondo il DEF, allimpatto (positivo) che dovrebbe produrre le riforme varate dai governi negli ultimi anni. Che poi, quali sarebbero queste riforme, sfugge del tutto. In pratica, una crescita ben superiore a quella prevista da altre istituzioni finanziarie internazionali (es FMI) che appaiono comunque fuori dalla portata dellItalia, almeno nel contesto che andremo tra poco a chiarire. E chiaro che gonfiare ad arte una previsione di crescita per i prossimi anni, in visione prospettica, rende il quadro di sostenibilità delle finanze pubbliche assai più roseo rispetto a quello che altrimenti sarebbe. Per il semplice fatto che, ampliare la base imponibile (maggiore PIL), ha come ovvia conseguenza anche un aumento delle entrate fiscali, determinando un miglioramento dei deficit, senza che ciò derivi da un inasprimento delle aliquote. E questo favorirebbe anche un maggior interesse nellacquisto del debito italiano anche da parte degli investitori, che comunque sanno (o meglio dovrebbero sapere) che si tratta di previsioni di crescita del tutto irrealizzabili. Anche perché, se fosse lo stesso governo a disegnare una quadro di sostenibilità delle finanze pubbliche a tinte fosche (cioè più verosimile alla realtà), chi mai avrebbe interesse ad investire sul debito pubblico italiano, se non con un rendimento che incorpori anche un maggior premio di rischio? Quindi, banchieri compiacenti, ancorché conoscano (o quantomeno lo sospettino) che i dati sulla crescita siano del tutto inverosimili, acquistano ugualmente il debito pubblico. Perché sanno che il governo, alloccorrenza e in caso di necessità, in virtù dellautorità che ha di imporre tasse -nelle forme più fantasiose possibili, patrimoniali comprese- sarà sempre disponibile ad intermediare ricchezza (quella degli italiani, nello specifico)e ripagare il debito nei confronti degli investitori. Ma siccome il Governo ben conosce che i dati sono del tutto dissociati dalla realtà e che si tratta di ipotesi irrealizzabili, destinate a naufragare aprendo buchi nel bilancio dello stato, anticipa gli eventi. Quindi vara una nuova manovra in modo che, quando ci si accorgerà del naufragio delle previsioni di crescita, tutto sarà già più o meno sotto controllo. Perché, è chiaro: le clausole di salvaguardia servono proprio a questo. Salvo ulteriori manovre e quindi altre tasse. Ed è quello che è stato fatto nei giorni scorsi varando la Legge di Stabilità, della quale parleremo più diffusamente in prossimo articolo. Ma tornando al fattore crescita economica, vorrei proporvi un breve ragionamento, di buon senso, per farvi ben comprendere quanto siano infondate le previsioni di crescita formulate dal governo. Ragionamento che, per certi versi, esula dalla solita prospettiva approcciata dagli economisti su tali tipi di analisi. Nulla di complesso e particolarmente difficile. Per comprende di cosa stiamo parlando, è bene fare un breve excursus su ciò che è stata la crescita italiana negli ultimi 13 anni, ossia dall’introduzione dell’euro. Ragioneremo in termini nominali. Cioè non considerando l’effetto inflazione che si è manifestata nel periodo considerato e che, comunque, giova ricordare, è stata di circa il 30% dal 2000 al 2013,lesplosione della crisi ha determinato, un maggior esborso da parte dello Stato per sussidi di disoccupazione, o per la partecipazione ai vari piani di salvataggio condotti nel cotesto europeo. Tantè che, dal 2000 in avanti, il debito pubblico non è mai sceso sotto il 103% del Pil -quando i parametri di Maastricht lo vorrebbero confinato al 60% del prodotto lordo- con unaccelerazione vertiginosa proprio nellultimo quinquennio. Fino a giungere, alla fine del 2013, a ridosso del 134% del Pil. Circa 2090 miliardi di euro, a fronte dei un PIl appena sopra ai 1550 miliardi di euro. Tanto per offrirvi lidea dellaccelerazione subita dal debito pubblico, giova ricordare che, da fine 2011 ad oggi, il debito è cresciuto di circa 170 miliardi, ossia oltre l8% dello stock totale. Arrivati a questo punto, è il caso di ricordare che dal 2015, lItalia, in applicazione del Fiscal Compact, per i prossimi 20 anni, dovrà procedere ad una riduzione del debito pubblico di 1/20 allanno in ragione del PIl, al fine di confinare il debito entro il 60% imposto da Maastricht. Per sostenere labbattimento del debito pubblico in un percorso così impegnativo, la condizione necessaria è che il PIL nominale cresca di almeno il 3% per i prossimi 20 anni. In modo tale che -confida il governo- una volta stabilizzato, il debito possa rientrare in maniera quasi automatica. Questa condizione imprescindibile, benché sulle previsioni del governo sia soddisfatta, appare del tutto irrealizzabile, almeno per i prossimi anni. Ritornando alla dinamica del PIl dal 2000 in avanti, giova segnalare che questo è passato dai 1191 miliardi dellanno 2000, fino ai 1567 miliardi del 2008. Per poi flettere ai 1520 miliardi con la recessione del 2009, e riprendersi nel 2011, fino a giungere ai 1580 miliardi e per poi flettere nuovamente nel 2012 e 2013, fino ad attestarsi, secondo le stime DEF, ai 1557 miliardi del 2013. Da ciò se ne deduce che il PIl, negli ultimi 14 anni (comprendendo anche in dato del 2013, indicato nel DEF a 1557 miliardi) è cresciuto di appena 366 miliardi di euro nominali: ossia solo del 30.74%, appena poco sopra il livello di inflazione cumulata nello stesso periodo. Ossia, non è cresciuto in termini reali. Secondo le previsioni riportate nel DEF , già dal 2014, il Pil salirà a 1602 miliardi, per poi passare a 1660 nel 2014, 1718 nel 2016 e 1779 nel 2017. Cioè ben 222 miliardi in più rispetto ai livelli di fine 2013 (quasi il 15% in più), che rappresentano circa il 60% della crescita realizzata negli ultimi 13 anni. Tutto questo è riscontrabile dal grafico (1) sopra esposto, dove dal 2014 in poi, secondo le previsioni del DEF, si assiste ad un irripidimento della curva del PIL nominale, che incorpora tassi di crescita medi nel quadriennio di oltre il 3% annuo. A questo banale ragionamento, si potrebbe obiettare che è sostanzialmente insensato paragonare la crescita del PIL nominale in due periodi temporali differenti, senza considerare gli effetti inflattivi acquisiti, che hanno comunque contribuito ad una maggiore crescita dal PIL nominale. Vero: osservazione ineccepibile. Ma che non cambia di molto le previsioni troppo ottimistiche fatte dal governo, atteso che le previsioni sull’inflazione sembrano anch’esse fuori dalla realtà, stante anche la persistente debolezza dei consumi che si protrarrà anche nei prossimi anni, spingendo al ribasso anche le previsioni sull’inflazione. Di conseguenza, con un inflazione che verosimilmente sarà destinata a rimanere al disotto delle previsioni, la performance del PIL nominale appare ben al disopra di ogni ragionevole previsione. CONDIZIONI ECONOMICHE OPPOSTE A conferma dello scenario sopra evidenziato e di quanto siano inverosimili le previsioni di crescita del PIL elaborate dal Governo, giova ricordare che nel periodo considerato, almeno fino al 2007, si sono verificate eccellenti condizioni di crescita nelle aree economiche più importanti del mondo, che, indubbiamente, hanno trainato la crescita italiana, con un export particolarmente dinamico. In questo periodo, al netto delle distorsioni prodotte, si è assistito anche ad un abbondanza di credito che è stato riversato nell’economia, determinando una fase virtuosa del ciclo economico. La facilità di accesso al credito ha consentito agli operatori economici il finanziamento delle proprie attività e dei propri bisogni: le imprese hanno potuto investire in opifici, capannoni, immobili, attrezzature, macchinari e ricerca. Mentre le famiglie ed i privati, nell’acquisto di case, automobili, o altri beni durevoli. E’ evidente che dinamiche di questo tipo abbiano avuto un enorme impulso sullo sviluppo economico del periodo considerato, determinando fenomeni virtuosi anche nella disoccupazione, che ha conosciutolivelli minimi proprio nel 2007, al 6.1%. E’ fuori da ogni dubbio che queste condizioni abbiano contribuito significativamente alla crescita del PIL che, tuttavia, ricordiamo, è stata ben al disotto della media europea e delle necessità del paese.Ad oggi sembra di vivere in un altro mondo. Le desertificazione economica prodotta dalla crisi e dalle politiche di austerity è sotto gli occhi di tutti, soprattutto nella monotonia delle tasche degli italiani. La disoccupazione è doppia (oltre il 12%) rispetto ai tassi minimi del 2007, mentre quella giovanile ha superato la soglia del 40%, con punte ben superiori al 50% in alcune zone del sud. Tuttavia, il tasso di disoccupazione indicato dalle statistiche oltre il 12%, non racconta affatto lesatta drammaticità della piaga della disoccupazione, poiché non tiene conto di chi ha smesso di cercare lavoro o di chi è sottoccupato. Non tiene neanche conto delle centinaia di migliaia di persone che ancora godono della cassa integrazione e che sono in forza ad aziende che non avranno mai la possibilità di riemergere da questa situazione. Se di considerassero anche queste variabili, il dato sarebbe proiettato ben oltre la soglia del 20%. Inoltre, rispetto al periodo che potremmo chiamare “delle vacche grasse” (2000-2007, N.d.r.), il reddito procapite reale è precipitato ai livelli che non si vedevano da oltre un quindicennio. La capacità dei spesa della famiglie, anche a causa dellinasprimento fiscale di questi ultimi anni, ha subito un drammatico tracollo. Decine di migliaia di imprese hanno cessato la loro attività, hanno chiuso i battenti o si sono delocalizzate in aree geografiche ove risulti più conveniente fare impresa. La pressione fiscale ha raggiunto livelli record, ben superiori a quelli conosciuti fino al 2007. Ancora: le banche sono alle prese con sofferenze record che si attestano ad oltre quota 140 miliardi di euro. Queste, sono almeno quelle ufficiali. Poi ci sarebbero anche quelle non ancora emerse, che le banche cercano di mantenere latenti più a lungo possibile. Stando la fragilità del sistema bancario (solo per usare un eufemismo), appare del tutto improbabile che le banche possano tornare ad allargare i coroni della borsa e sostenere un ciclo economico, ancorché trainato da altre economie mondiali che comunque,pur mostrando segnali di maggior ottimismo,sono ben lontane dai fasti del periodo “delle vacche grasse”. Nel contesto europeo, invece, giova segnalare che molte economie sono alle prese con percorsi di rientro dai deficit che chiaramente impattano sul ciclo economico di quelle nazioni e, conseguentemente, anche nella componente export del PIL italiano. Queste sono solo alcune delle variabili economiche fortemente deteriorate che non possono che aggravare le previsioni di crescita per il prossimo futuro, rendendo gli sforzi previsionali del governo del tutto inattendibili. E’ chiaro che queste variabili -che costituiscono solo una minima parte di quelle che si potrebbero considerare ai fini della nostra analisi e che confermerebbero comunque il nostro ragionamento-, stando la persistente fragilità, non potranno contribuire alla crescita del PIL, come invece avvenuto in passato nel periodo di crescita economica. Eppure, questo ragionamento, che non ha ben poco di dottrina economica, sembra sfuggire del tutto al governo che ipotizza previsioni di crescita fuori da ogni logica di buon senso.Di conseguenza non si comprendono le ragioni per cui il PIL, nei prossimi 4 anni, debba cresce in maniera così esponenziale come, invece, prevede il governo. Per dirla in maniera prosaica, potremmo chiederci: ALLA LUCE DELLA DEVASTAZIONE ECONOMICA INTERVENUTA, PERCHE MAI L’ECONOMIA ITALIANA, NEI PROSSIMI 4 ANNI, DOVREBBE CRESCERE IN MANIERA BEN PIU’ SOSTENUTA RISPETTO A QUANTO AVVENUTO NEI PRIMI 8 ANNI DEL SECOLO, IN CONDIZIONI IMPARAGONABILI RISPETTO ALLE ATTUALI? La risposta è semplice. Ossia non esiste nessun elemento che possa confermare i livelli di ottimismo profusi dal governo, posto il fatto che, l’Italia, in questa crisi, ha perso anche una buona parte della capacità di reazione ad agganciare cicli economici favorevoli, ancorché indotti da altre economie trainanti. In altre parole, a parer di chi scrive, l’Italia si trova a vivere un’epoca di declino economico e sociale di lungo periodo, dalla quale uscirne non sarà affatto facile, se non impossibile, permanendo simili condizioni.In una situazione come quella descritta, con un cambio non rappresentativo dei caratteri di debolezza strutturale dell’economia italiana, invertire la tendenza, verosimilmente, sarà del tutto improbabile. Nella condizione attuale, l’ipotesi che appare più verosimile è quella secondo la quale l’’Italia si troverà ad alternare periodi recessivi, con periodi di bassa crescita ( stagnazione), in un percorso altamente allarmante e distruttivo che determinerà: • Declino inarrestabile del sistema produttivo manifatturiero italiano; • Aumento della disoccupazione e crescita del paese da sognare per lungo tempo; • Impoverimento continuo delle famiglie, della classe media e poi anche degli altri; • Collasso del welfare attuale perché insostenibile. Il presente articolo e’ stato redatto grazie alla collaborazione di vari autori e pubblicato da una serie di Top Blog Italiani che si occupano di Economia. ESTERI IRAN da ls blog Davide Giacalone L’accordo con l’Iran e l’attenuarsi delle sanzioni, nei termini in cui erano stati definiti, sarebbero stati una tragedia. Un micidiale colpo all’Occidente. In grado di spostare Israele verso l’interlocuzione con la Russia e di scatenare una corsa al riarmo atomico. Perché è escluso che i mussulmani non arabi e sciiti si dotino dell’arma nucleare e quelli arabi e sunniti stiano a guardare. I francesi hanno fatto bene a far saltare il tavolo, rendendosi interpreti di preoccupazioni ben presenti anche nel Regno Unito. Mentre l’unica attenuante del governo italiano è la sua irrilevanza (purtroppo), resa più grave, mi spiace dirlo, da un ministro degli esteri, Emma Bonino, che volta le spalle a Israele e ammette che si possa fare un accordo che non preveda esplicitamente la rinuncia al nucleare aggressivo. Ancora la settimana scorsa la televisione iraniana trasmetteva un’animazione nella quale si simulava l’attacco missilistico atomico contro Israele, ottenendone, come da anni chiedono, la cancellazione dalla carta geografica. Il negoziato va bene, naturalmente, purché le parti condividano il punto d’arrivo: la rinuncia iraniana al nucleare militare. Non è compatibile con questo obiettivo l’ultimazione della costruzione della centrale di Arak, come non è compatibile il “diritto all’arricchimento dell’uranio”, rivendicato da Teheran. Quello che non è stato firmato è un testo che lasciava agli iraniani troppo tempo. E il tempo è decisivo, perché già fra qualche mese nella centrale di Arak si troverà plutonio arricchito, rendendo pericolosissimo, se non impossibile, un bombardamento che la distrugga. Ecco perché impressiona l’affermazione del ministro Bonino, che interrogata (dal Corriere della Sera) sulla sua previsione circa la fine del programma nucleare iraniano, dice: “non lo so, ma è prudente e ragionevole andare a vedere le carte”. Ripeto: il negoziato va sempre bene, ma lasciare del tempo è la cosa meno prudente e ragionevole che ci sia, perché fra qualche mese quelle carte saranno radioattive. Aggiunge Bonino: “c’è tutto il tempo per spiegarlo a Israele”. No, non c’è tempo, perché fin qui la sicurezza di Israele dagli attacchi nucleari è stata conquistata mediante la distruzione preventiva dei reattori ostili (si ricordi Osirak, funzionale alle minacce dell’iracheno Saddam Hussein). Laurent Fabius, il ministro degli esteri francese (già capo del governo socialista, presidente Mitterrand), ha violato il protocollo, rendendo pubblico il dissenso francese. Ha fatto bene. Subito dopo il segretario di Stato statunitense, John Kerry, ha detto che quella francese non è una posizione isolata, ma rispecchia le preoccupazioni dei governi democratici. Meglio. Il fatto è (e Kerry lo sa bene, visto che dissentì dal tentennare di Obama) che la vicenda siriana ha lasciato un brutto strascico. In quel caso il fronte occidentale si sbriciolò, con i soli francesi pronti a un intervento armato, il governo inglese messo in minoranza e la presidenza Usa pencolante. Sulla Siria il solo soggetto le cui parole corrisposero ai fatti fu Putin, che ne difendeva il governo, anche per meglio metterlo sotto la propria tutela. Lì c’è un punto di svolta, non bella. In Siria si giocava anche l’influenza iraniana. Non a caso per l’attacco erano non solo gli israeliani, ma anche l’Arabia Saudita. E fu quella lezione a mettere fianco a fianco israeliani e sauditi, entrambe tenuti a un dialogo con la Russia. Se ora non si ferma il programma nucleare iraniano si spingeranno gli arabi sunniti a correre anch’essi verso la bomba atomica e gli israeliani a trattare con Putin il fermo, anche mediante bombardamento, all’Iran. Un capovolgimento della politica statunitense e delle alleanze mediorientali, con un aumento di peso della Russia. E’ questo che vogliamo? Fortunatamente i francesi ci hanno messo una zeppa. Magari lo hanno fatto anche per ripicca, restituendo agli Usa il cattivo servizio siriano. Ci sono soluzioni alternative? Certo: il programma nucleare iraniano può continuare per fini civili, il che comporta l’accettazione del vincolo per cui l’arricchimento del materiale fissile avviene fuori dai loro confini (quello per uso civile è diverso da quello per bombe). Negoziare significa tenere presenti molti aspetti, variando i quali cambiano le convenienze di ciascuno. Ma quel punto deve restare fermo, altrimenti non è un negoziato, ma un cedimento. Un cedimento che porta squilibrio e insicurezza. Un cedimento che porta le armi atomiche ostili dietro l’uscio di casa nostra. Leggo in giro rammarico per l’esito infausto della trattativa (che riprenderà). Non so se prevalga l’ignoranza dei suoi termini o la furbizia affaristica. So che abbiamo appena sfiorato l’incubo dell’atomica fondamentalista. Da informazione corretta :Quando lImperatore tradisce... -Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli Cari amici, non ci eravamo proprio illusi, una settimana fa, ma un po di speranza lavevamo avuta. Grazie allintervento francese, era rimasta in sospeso a Ginevra il patto nucleare con lIran, o, se volete chiamare le cose col loro nome, la resa di Obama allIran. Perché parlo di resa americana? Perché in sostanza Obama con quel patto accetta di smantellare le sanzioni che hanno funzionato progressivamente da ventanni isolando leconomia iraniana e mettendo in seria difficoltà gli ayatollah. Restituisce loro gli ingenti capitali petroliferi congelati in cambio di una semplice sospensione di sei mesi dellarricchimento che serve a trasformare luranio in materiale fissile, senza smantellare una sola macchina della filiera nucleare. Senza neppure limpegno ad annullare in questo periodo larricchimento, ma solo a limitarlo a un livello più basso dal quale le centrifughe intatte possono ricavare quel che serve per la bomba in poche settimane di lavoro. Insomma, lo ripeto, una resa bella e buona, come è accaduto in Siria, dove il veleno per le bombe è ancora lì, a disposizione di Assad, perché nessun paese straniero è disposto a prenderselo e distruggerlo, e nel frattempo la guerra civile continua come prima, senza che nessuno abbia interesse non dico a bloccarla, ma neppure a parlarne. E invece no, è probabile che lintralcio francese non abbia bloccato la resa, ma labbia solo rinviata, forse a mercoledì prossimo, quando ci sarà il nuovo ciclo di incontri con lIran a Ginevra. Il ministro degli esteri russo è molto ottimista e contento perché, dice, non ci sono ostacoli sostanziali allaccordo timesofisrael/russian-fm-very-good-chance-of-nuclear-deal-with-iran/? che soddisfa la linea politica del suo paese, grande fornitore e protettore dellIran, come lo è della Siria. Ottimismo confermato da un alto funzionario americano: è possibile raggiungere laccordo mercoledì o giù di lì:jpost/Iranian-Threat/News/US-official-says-Iran-interim-nuclear-deal-quite-possible-next-week-331924. LAmerica di Obama è ormai completamente a rimorchio della Russia di Putin, che pure è il suo avversario storico da settantanni e che oggi è sul piano militare una potenza di secondo rango e sul piano industriale uno stato arretrato. Ma non importa, è enormemente più attiva e determinata sul piano diplomatico e soprattutto è la casa madre di quellideologia terzomondista che Obama ha pienamente adottato, magari mettendoci di suo una forte simpatia per lislamismo, che si spiega forse con legami personali (i parenti musulmani, forse qualcosa di più, lestremismo nero di Malcolm X che si è identificato con lIslam, chissà). Fatto sta che la politica americana è del tutto convergente con quella russa in tutto il Medio Oriente, con la differenza che i russi cercano di approfittare della situazione. Per esempio, quando Obama si è sdegnato con lEgitto per il fatto che lesercito ha estromesso dal potere la Fratellanza Musulmana che cercava di costruire una società del tutto islamizzata (sulla base dellelezione fasulla, questo ormai si sa, del loro leader Morsi a presidente della Repubblica) e ha rotto i contratti di fornitura darmi, i russi si sono affrettati ad andare a visitare i dirigenti del nuovo regime col carnet degli ordini nella borsa... Dunque il gioco sta cambiando in Medio Oriente. Da un lato abbiamo lalleanza russo-americana-iraniana-siriana, dallaltro abbiamo i paesi che non vogliono lIran atomico: lArabia saudita, i regni del Golfo, lEgitto, la Giordania, Israele e (forse) la Francia debka/article/23449/ ? Non è unalleanza formale, non lo sarà mai, ma una coalizione che può solidificarsi e magari cercare la sponda della Cina, che potrebbe sentirsi stretta nelle spire di unalleanza rosso-americana. Difficile sapere finché non vi saranno segnali precisi. Certo Israele sta mandando delegazioni in Cina e sta anche operando in maniera tale da evitare il coinvolgimento di una importante banca cinese in un processo per i flussi finanziari del terrorismo, che potrebbe essere imbarazzante per i dirigenti cinesi. E un panorama in movimento: i vassalli si ribellano o almeno accennano una ribellione di fronte al tradimento dellimperatore. Inutile dire che di queste cose nella stampa italiana - tutta intenta a spiegarci le virtù di Alfano e Cancellieri e la demonicità di Berlusconi, questo ormai da decenni - si parla pochissimo. Quel che è interessante è che anche nella stampa americana se ne parla poco e male. Anche se la situazione preoccupa profondamente i sauditijpost/Features/Front-Lines/Fear-and-loathing-in-Riyadh-331829 , a leggere il New York Times sembrerebbe che quel che accade sia solo unimpuntatura paranoide di Netanyahu, che non vorrebbe la meravigliosa pace annunciata da Obama: jpost/Diplomacy-and-Politics/NY-Times-and-Jerusalem-battle-over-Iran-policy-331947 Anche Chamberlain tornò a casa da Monaco nel 1938 annunciando di aver ottenuto da Hitler la pace e accusando chi non gli credeva di essere guerrafondaio... Del resto il New York Times ai suoi tempi minimizzò o piuttosto ignorò scientemente la Shoà e si collocò vicino a quelli che nel 48 non volevano la nascita dello Stato di Israele. Ora demonizza in genere Israele, ricorrendo a trucchetti fotografici e a un linguaggio del dubbio degno del Manifesto. Guardate qui, per esempio, per vedere il modo veramentre vergognoso con cui ha dato notizia della cattura dellassassino che ha ammazzato tagliandogli la gola un soldato israeliano addormentrato su un autobus che viaggiava dalle parti di Afula, in territorio certamente non occupato: honestreporting/new-york-times-photo-outrage/ Un po per riaffermare un progetto propagandistico, un po per ricattare Netanyahu ora gli Usa danno a Israele jpost/Diplomacy-and-Politics/Obama-national-security-aide-chides-Israel-over-settlements-331852 la colpa della prevedibilissima e prevista crisi in cui sono caduti i negoziati coi palestinesi, voluti imprudentemente da Kerry senza nessuna prospettiva chiara di un accordo possibile, anche se è stata la parte palestinese a compiere un atto del tutto fuori dalla consuetudini diplomatiche (le dimissioni per protesta della delegazioni) sulla base non della situazione negoziale, ma di un annuncio esterno, la solita faccenda delle costruzioni in Giudea e Samaria. Insomma, la situazione è grave e bisogna cercare di spiegarla. Come fa in questo articolo molto lucido Caroline Glyckcounterjihadreport/2013/11/16/caroline-glick-the-demise-of-pax-americana/)e ancora più direttamente questo spot dellEmergency Commettee for Israelisraelnationalnews/News/News.aspx/174028#.Uoh9tPlWzLR . Ed è una situazione che incide non solo su Israele, ma molto anche sullEuropa, che si ritrova di nuovo la Russia padrona della politica mondiale, come negli anni prima di Reagan. E chi ha memoria storica sa che una Russia egemone è un vicino molto, molto scomodo per unEuropa che essa considera il giardino di casa. Presto dovremo farci i conti e sarebbe il caso di pensare alle mosse di Putin invece che a quelle di Alfano e delleterna promessa Renzi. Ma chiedere questo alla politica italiana, o al giornalismo che ne è una parte, è davvero troppo. STORIA L’uso strumentale politico di Kristallnacht -Commento di Manfred Gerstenfeld(Traduzione di Angelo Pezzana) Anche quest’anno, come negli anni passati, alcune manifestazioni in Europa per ricordare Kristallnacht hanno dato origine a strumentalizzazioni politiche invece di ricordare le vittime. In Germania questo abuso dura da parecchi anni. Nel 1969, nel giorno dell’anniversario, un gruppo anarchico di sinistra ha sfregiato un memoriale ebraico con le parole “ Shalom e Napalm”e “Al Fatah”, mentre una bomba Molotov veniva lanciata contro il centro della Comunità ebraica di Berlino. Questi gruppi estremisti di sinistra sostengono che “gli ebrei perseguitati dal fascismo sono diventati loro stessi fascisti. Collaborano con il capitalismo americano per annientare il popolo palestinese”.(1) Nel 2010, l’allora sindaco di Francoforte, la cristiano-democratica Petra Roth, invitò Alfred Grosser, sopravvissuto alla Shaoh, a pronunciare il discorso ufficiale per ricordare Kristallnacht nella chiesa di S.Paul. Grosser è un intellettuale francese nato in Germania, un promotore della riconciliazione fra tedeschi e francesi. Ma è anche un noto odiatore di Israele, nei suoi interventi paragona la condotta di Israele con quella dei nazisti.(2) Quest’anno, è avvenuta un’altra nuova manipolazione di Kristallnacht. Benjamin Weinthal, corrispondente da Berlino del Jerusalem Post, ha raccontato nei dettagli quanto è successo nel Museo ebraico di Berlino, dove era stato invitato a tenere il discorso ufficiale Brian Klug, un ebreo odiatore di Israele. (3) Ma la manipolazione di Kristallnacht non riguarda soltanto la Germania. Il 9 novembre 2003, a Vienna, nella giornata del ricordo, la manifestazione è stata contestata con urla e schiamazzi da membri del gruppo Sedunia, una organizzazione di austriaci convertiti all’islam. Dovette intervenire il servizio d’ordine. (4) Nello stesso mese, una attivista olandese contro Israele, Gretta Duisenberg – vedova dell’ex presidente della Banca Centrale Europea – prese parte a una dimostrazione in una piazza centrale di Amsterdam, dove era stato costruito una finto check-point palestinese. Soltanto un kamikaze suicida avrebbe reso la situazione più realistica. Alcuni anni fa, la Comunità ebraica olandese organizzò un incontro per ricordare Kristallnacht a Amsterdam. Contemporaneamente gruppi di sinistra ne organizzarono una simile ma dominata da antisemitismo e focalizzata sul razzismo, che vide la partecipazione di musulmani per protestare contro l’islamofobia. Nessuno disse che le violenze più estreme provengono da molti paesi islamici. Quest’anno, almeno 65.000 musulmani sono stati uccisi da altri musulmani in diversi paesi arabi. Né è stato detto nulla sulla partecipazione di musulmani in attacchi antisemiti in Europa, molto più numerosi rispetto alla loro percentuale, come è stato dimostrato dagli studi recenti della “European Agency for Fundamental Rights” (5) Istituzioni islamiche e gruppi legati alla sinistra giocano qualche volta un ruolo comune nella manipolazione di Kristallnacht. A Helsingborg, in Svezia, la locale Comunità ebraica si è rifiutata di partecipare nel 2012 a una manifestazione in memoria di Kristallnacht, perché- come scrisse il giornale Helsingborgs Dagblad – il presidente della Comunità ebraica Jussi Tyger aveva detto che quella cerimonia era organizzata da partiti di sinistra e da musulmani, noti per le loro politiche razziste contro gli ebrei. (6) Nella città norvegese di Bergen, il giorno del ricordo non è riferito a Kristallnacht, ma alla data del 26 novembre, quando una nave cargo Donau partì da Oslo con 552 ebrei, in maggioranza assassinati poi nei campi di sterminio. Furono tutti arrestati dalla polizia norvegese, non dagli occupanti tedeschi. Lo scorso anno intervennero alla cerimonia due leader del Partito Socialista di Sinistra, Audun Lysbakken e l’ex Primo Ministro Kare Willoch, due ben noti anti-israeliani. Ecco un altro modo di abusare della memoria della Shoah: fanatici anti-israeliani che tentano così di ripulirsi l’immagine, tanto che oggi gli ebrei si rifiutano di partecipare. Un ebreo norvegese-americano che è stato presente per anni a queste manifestazioni, componendo anche preghiere e musiche, ha scritto sulla sua pagina di Facebook: “ Mi rifiuto di partecipare insieme a Kare Willoch, non poteva essere scelto un oratore peggiore per commemorare la Shoah”. Ai suoi amici americani presenti, spiegò che Willoch è “un estremista anti-israele, le sue dichiarazioni sono qualcosa di terribile” (7) Quest’anno, doveva intervenire come oratrice nella giornata del ricordo di Kristallnacht a Oslo, Florence Aryanik, una signora non ebrea di origine iraniana, ma venne minacciata di morte.(8) Al monumento Stavanger, parlò l’ex vice-sindaco del Partito Laburista Odd Kristian Reme, che intervenne con al collo una keffia. Il Presidente della Comunità ebraica di Oslo Erwin Khon si oppose, affermando che quelle scelte poltiche erano la domostrazione di quanto era accaduto agli ebrei. (9) Ma c’è un abuso ancora più grande. Lo spiega bene l’attivista americana Anne Bayfski, quando scrive “ il delegato algerino alla Commissione per i diritti umani alle Nazioni Unite nel 2002 e 2003 ha dichiarato che Israele ripete ogni giorno quanto accadde a Kristallnacht, e che i palestinesi recano sul braccio un mumero in attesa di essere sterminati dagli israeliani come avvenne a Babi Yar. Nessun Paese, tranne Israele, intervenne”.(10) Un abuso differente è il regolare paragone con la Shoah con i disastri ambientali. Nel 1989, l’allora senatore del Tennessee Al Gore, scrisse un editoriale sul New York Times, titolato “ Una Kristallnacht ecologica”. Ecco le sue parole “ l’unanità deve porre attenzione, dobbiamo prenderne atto, è chiaro come il rumore delle vetrine distrutte a Berlino “ Tutti questi esempi che ho citato vanno inseriti in un contesto più ampio, a dimostrazione di quanto labuso della Memoria della Shoah è sempre più in crescita. Note [1] Bommi Baumann, Wie alles anfing (Frankfurt am Main, 1976). As quoted in Susanne Urban, Being Leftist and Anti-Semitic in Germany, P&A, 32, 1 May 2005. [2] Manfred Gerstenfeld interviews Benjamin Weinthal, “Germany Bestows Awards Upon Anti-Israel Inciters,” Israel National News, 27 January 2013. [3] Benjamin Weinthal, “Inclusion of anti-Israel speaker at Berlin conference on ways to tackle anti-Semitism sparks uproar,” The Jerusalem Post, 6 November 2013. [4] no-racism.net/article/1008/. [5] FRA report Discrimination and hate crime against Jews in EU Member States: experiences and perceptions of antisemitism [6] “Inget judiskt deltagande när Kristallnatten ska uppmärksammas,” Helsingborgs Dagblad, 7 November 2012 [Swedish]. [7] McGonagall, “No let-up for Norwegian Jews; Israel bashers Willoch and Lysbakken tapped to give speeches at Holocaust memorial event,” Norway, Israel and the Jews, 13 November 2012. [8]Richard Orange, “Kristallnacht Speaker Receives Death Threats,” The Local- Norway, 11 November 2013. [9] Conrad Myrland, “Prest holdt appell i Palestinaskjerf på jødemarkering,” MIFF, 11 November 2013. [10] Manfred Gerstenfeld interviews Anne Bayefsky, “The United Nations: Leading Purveyor of Anti-Semitism, P&A, 31, 1 April 2005. Manfred Gerstenfeld è presidente emerito del “Jerusalem Center for Public Affairs” di Gerusalemme. Ha pubblicato più di 20 libri. E’ stato di recente ristampato il suo libro “ Israel’s New Future” con una nuova introduzione e il nuovo titolo di “Israel’s New Future Revisited”. AFORISMIASSIOMI Ci sono paesi e persone che falliscono,altri che spro¬fondano perché la vita è un sistema di premi e di casti¬ghi che privilegia i forti e punisce gli inutili. Perché le infamie si trasformino in prodezze, bisogna spez¬zare la memoria:la memoria del Nord si separa dal¬la memoria del Sud,laccumulazione dal saccheggio,lopulenza dalla spoliazione.
Posted on: Mon, 18 Nov 2013 08:38:22 +0000

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