Capitolo 6 Le preghiere di Angie: Pablo innamorato? “Come - TopicsExpress



          

Capitolo 6 Le preghiere di Angie: Pablo innamorato? “Come non vuole vedere nessuno?” ripeté Leon esterrefatto. Si lasciò cadere sulla poltroncina da cui si era alzato di scatto. “Riferisca alla signorina Ironly che io me ne sto giusto andando; ero venuto solo per accompagnare il mio assistente Vargas, che aveva mostrato il suo interesse nel farle visita. Riferisca pure” disse piano Pablo, facendo una sorta di reverenza e uscendo dalla stanza. Leon lo seguì lungo il corridoio per chiedergli spiegazioni. Erano quasi all’uscita, quando Leon si parò di fronte a lui determinato: “Si può sapere che ti prende? Mi lasci solo con…Ludmilla!”. Quel nome l’aveva detto con un certo timore, come se avesse paura che i muri potessero ascoltarlo. “Con me non parlerebbe mai, invece magari con le tue doti da dongiovanni riusciresti a carpire qualche informazione interessante. C’è bisogno che ti spieghi proprio tutto nel dettaglio, eh?” esclamò l’investigatore con un sorrisetto. “Ma…io non penso che questi metodi siano, come dire, professionali” ribatté il giovane imbarazzato. “Si vede che sei nuovo nel mestiere. Comunque non devi fare nulla di eccezionale: sorridi educatamente e mostrati interessato a ciò che ha da dirti” continuò mettendogli una mano sulla spalla con fare paterno. “Mi trovi più tardi alla chiesa qui vicino” concluse, aprendo la porta e uscendo fischiettando. Non appena la porta si fu richiusa, Leon si sentì solo e abbandonato. Con passo poco convinto ritornò nel piccolo studio, aspettando che la ragazza scendesse. “Non sapevo di aver fatto già breccia nel suo cuore” esclamò una voce, facendolo voltare di scatto. Ludmilla era elegantissima con il suo vestito rosa confetto, e al collo aveva alcune collane, anch’esse di un rosa pallido. La prima impressione di Leon fu confermata: era una ragazza a cui piaceva ostentare le sue ricchezze. “In effetti sono venuto a parlarle prima che arrivi la polizia, perché so quanto la situazione sia delicata e…” cominciò a dire, ma si bloccò intimorito dal sorriso malizioso della giovane Ironly che si faceva sempre più vicino. Pericolosamente vicino. Fece cadere volontariamente la penna che teneva in mano per poi chinarsi e raccoglierla, così da sfuggire per un po’ alle sue grinfie, giusto il tempo per elaborare una strategia. Ma quando si rialzò, la vide ancora più vicina. Arretrò leggermente, fino a inciampare sul piede della poltroncina, cadendo seduto su di essa. “Cosa deve dirmi, signor Vargas?” chiese lei, voltandosi e dirigendosi verso la porta, per poi chiuderla con un’espressione preoccupata. La fredda e cinica Ludmilla era venuta fuori già alla parola ‘polizia’. “Se è per qualcosa che vi ha detto Natalia…io non so nulla in proposito, e fossi in voi non mi fiderei eccessivamente delle sue parole. E’ una ragazza molto suggestionabile” proferì con un tono di superiorità inequivocabile. “Natalia è morta. Strangolata, per la precisione” disse con cautela poggiando il braccio sulla sua gamba con unespressione interessata per ciò che aveva affermato. Era il momento di ruotare le parti: ora avrebbe condotto lui il gioco. Pablo entrò, avvolto dal silenzio di quel luogo sacro e di preghiera. Non era mai stato credente, anzi era un tipo molto scettico. Lo era stato fin da piccolo; credere in un Dio…nel suo lavoro gli sembrava difficile da accettare l’esistenza di un essere infinitamente buono. Aveva avuto l’occasione di vedere corpi privi di vita di innocenti e si era chiesto troppo spesso perché quella giustizia divina tanto glorificata non avesse accolto sotto le sue ali protettive delle vittime senza colpa, se non quella di essere stata nel momento giusto nel posto sbagliato. Gli occhi spalancati per lo stupore di Natalia si erano impressi nella sua mente, lasciandogli un vago senso di inquietudine. Era abituato a visioni del genere, ma ancora non era in grado di accettare o vagamente comprendere lo stroncamento di una giovane vita. Si sedette in una delle panche di legno, osservando il crocifisso di fronte a lui. Sentì lo scricchiolio del legno di una panca vicino a lui. Qualcuno doveva essersi alzato, dopo aver terminato le sue preghiere. Si voltò verso la fonte di quel rumore e vide Angie, l’insegnante di canto. Era una donna bellissima, anche se un perenne velo di tristezza traspariva dal suo sguardo sfuggente. Indossava un completo scuro con una borsetta nera in mano, dove aveva appena rimesso una foto. Pablo si alzò, stregato da quella visione. Quella donna lo incuriosiva particolarmente. Angie sembrava non averlo notato, ed era diretta verso l’uscita. Non poteva lasciarla andare così, aveva l’occasione di scambiare due chiacchiere con una sospettata. Uscì dalla chiesa, passando dal buio tetro al grigiore pomeridiano tipico di Londra. “Signorina Angie” esclamò a gran voce, facendola fermare. Quando la donna si voltò un educato sorriso si dipinse sul suo volto. “Lei è l’investigatore Galindo” constatò con molta semplicità avvicinandosi all’uomo. Pablo annuì e prese la sua mano destra, avvolta in un guanto grigio vellutato, per deporgli un bacio.“Ho saputo della morte di Natalia…una vera tragedia” continuò con apparente freddezza. Ma il tono tremante lasciava tradire la sua emotività, e questo Pablo lo notò con facilità. “Immagino che lei non possa dirci qualcosa per aiutarci” disse l’investigatore, pronto a studiare la sua reazione. Angie sgranò gli occhi: “Non crederà mica che potrei uccidere un mio studente?”. “Quindi mi sta dicendo che potrebbe benissimo uccidere un uomo, un uomo come Gregorio Garcia” la mise alle strette. “Lei vuole leggere tra le righe ciò che le fa comodo, ma posso benissimo facilitarle il compito. Si, non avrei nessun problema a premere il grilletto e a uccidere un uomo. Ma sa una cosa? Non lo conoscevo nemmeno, Gregorio; perché avrei dovuto sparargli?” rispose prontamente con un sorrisetto soddisfatto. “Sa proprio come far tacere le persone, eh?” ridacchiò l’investigatore, infilando le mani nelle tasche del suo soprabito grigio. “Noi esseri umani siamo tutti uguali, signor Galindo. E io ho imparato a difendermi” esclamò con uno sguardo intenso. Quegli occhi verdi con alcuni riflessi scuri gli facevano venire i brividi. “Come mai era venuta qui? Si deve far perdonare qualcosa?” chiese, rivolgendo lo sguardo verso l’imponente edificio bianco. Si mise a fissare il campanile in attesa di una risposta, che non tardò ad arrivare: “Io non credo nel perdono incondizionato. E’ da sciocchi credere una cosa del genere; la convinzione che tutto debba essere giustificato in qualche modo è solo ignoranza a mio parere”. Pablo rivolse di nuovo la sua attenzione alla donna che si trovava di fronte. Stava tremando e aveva gli occhi lucidi. “Io…ho detto qualcosa di sbagliato?” chiese premurosamente, tendendole una mano allaltezza delle spalle. Angie afferrò la mano e si fiondò tra le sue braccia, scoppiando a piangere. Dopo qualche minuto si staccò imbarazzata, con le lacrime che ancora le rigavano il viso. Pablo era rimasto scioccato per quellabbraccio così improvviso e inaspettato. “Mi scusi, sono davvero imbarazzata, mi sono lasciata prendere dal discorso e…” tentò di giustificarsi, mentre rovistava nella borsetta nera per poi tirare fuori un fazzoletto bianco di lino. “Ho visto molti assassini pentirsi amaramente dei propri delitti” disse con un velo di compassione. Angie sorrise amaramente, anche se le sue parole gli gelarono le ossa: “Certe persone meritano di marcire nell’inferno, signor Galindo”. Si voltò fino a dargli le spalle, cominciando poi a camminare con un portamento fiero. “La saluto, è stato un piacere” disse mentre si allontanava. Pablo rimase a guardarla sorpreso e perplesso: la cattiveria con cui aveva detto quell’ultima frase ancora gli era rimasta impressa nel cuore. E sentiva che il passato di quella donna doveva essere stato tutt’altro che allegro. Voleva saperne di più. Ludmilla si mise seduta: sembrava quasi contenta e sollevata di quella notizia. “Ah…bene. Voglio dire, sono affranta ovviamente per questa tragedia” disse lei, fingendosi profondamente sconvolta. ‘Ottima attrice’ pensò il giovane, continuando a fissarla. “Non starete sospettando di me, vero?” chiese allarmata. “Noi sospettiamo di tutti” sentenziò con un sorriso beffardo. Ludmilla si irrigidì e gli occhi si ridussero a due fessure. Aveva una bella faccia tosta a presentarsi a casa a sua e a insinuare che potesse essere stata lei a uccidere Natalia. “Se non le dispiace, ora vorrei rimanere da sola” disse a voce bassa. Leon si alzò con una faccia trionfante, le baciò la mano velocemente e aggiunse con il fine di provocarla: “Fossi in lei, starei attenta alle sue prossime mosse. E se sa qualcosa le conviene dirlo”. Ludmilla si voltò dall’altra parte con il naso all’insù e gli occhi chiusi, come una bambina viziata, per fargli capire che le sue parole non le avrebbe nemmeno prese in considerazione. Leon rise apertamente, e si allontanò lungo il corridoio. Mentre raggiungeva l’uscita poteva quasi avvertire l’odio che in quel momento la ragazza sicuramente gli stava riversando addosso. Probabilmente non era mai stata trattata in quel modo, e la cosa doveva averle dato parecchio fastidio. Quando uscì, si diresse alla chiesa soddisfatto per incontrare il suo capo. Non appena ebbe sentito la porta sbattere, Ludmilla avvisò la domestica che si sarebbe ritirata nella sua camera, e salì in fretta gli scalini che portavano al piano di sopra. Come osava quel plebeo mettersi contro di lei e deriderla? Non si era mai sentita tanto umiliata. Entrò nella sua stanza sbattendo violentemente la porta e si sedette sul letto con la sua solita compostezza. Rifletteva sul da farsi: certo non si aspettava che Natalia sarebbe stata uccisa in quel modo così brutale. Si alzò per sedersi su una sedia nella stanza, prese un foglio bianco e cominciò a scrivere, appoggiandosi sul tavolinetto in legno di ciliegio della fine dell’800. Lo ripiegò con cura, aprì un cassetto ed estrasse una busta gialla. Se pensava che avrebbe potuto liberarsi anche di lei, commetteva un grande errore. Alzò la cornetta e digitò un numero. “Pronto. So che hai ucciso la povera Natalia” disse al telefono. Silenzio: probabilmente stava parlando il suo interlocutore. “Non mi interessano le tue spiegazioni, io non sono come lei, non sono un’ingenua. Prova a muovere un passo falso e faccio arrivare alla polizia qualcosa che non ti piacerà, una bella testimonianza di ciò che ho visto. E non penso ti farà piacere” spiegò con freddezza. Ancora silenzio. “Smettila di cercare di imbonirmi. Sai benissimo cosa voglio, sto solo aspettando” concluse appoggiando la cornetta. Tirò un respiro profondo, poi si alzò e si diresse dalla domestica con la busta. La trovò in cucina intenta a preparare la cena. “Dorothy” disse seccamente senza tante parole. La donna si voltò verso di lei con un sorriso. Aveva visto crescere Ludmilla e le era sempre stata accanto per soddisfare ogni suo capriccio. Era un po’ egoista, non poteva negarlo, ma in fondo aveva anche una natura buona. “Questa è una lettera che dovrai spedire a Scotland Yard se le cose non dovessero andare come il previsto” affermò lei, porgendole con un gesto rapido quellimportante lettera. “In che senso?” chiese semplicemente, riponendo l’oggetto nella tasca della sua gonna grigia e piena di rammendi. “Lo capirai da te” concluse, girando i tacchi e andandosene da quel luogo, non adatto alla sua classe. Leon trovò il capo seduto su una panchina in pietra fuori dalla chiesa, in una profonda riflessione. Si sedette vicino a lui e cominciò a parlare: “Niente di nuovo. O meglio adesso sappiamo con certezza che Ludmilla nasconde qualcosa, ma non me ne ha voluto parlare”. “Qualcosa mi dice che non hai agito esattamente nel modo che ti ho suggerito io” esclamò con un sorrisetto. “Non la sopportavo più. Ho dovuto forzare un po’ la mano, ma non ho ottenuto nessuna informazione degna di nota” si giustificò imbarazzato. “Non importa. Non mi aspettavo davvero che riuscissi a farti dire cosa nascondeva. Domani andremo allo Studio e continueremo le indagini” concluse Pablo, alzandosi e stiracchiandosi. “D’accordo. Ma come mai sei rimasto tutto il tempo qui con quell’espressione pensierosa?” chiese curioso. “Caro Leon, non impareremo mai abbastanza. Potremo forse risolvere tutti i crimini di questo mondo, ma c’è una cosa che non riusciremo mai a comprendere: la mentalità femminile” spiegò serio l’investigatore. Il giovane scoppiò a ridere: “Non si sarà forse innamorato?” chiese con le lacrime agli occhi. Pablo fece un’ espressione sconvolta. “Non scherziamo! Io sono innamorato unicamente della verità. E questo caso fa di tutto per non farla emergere in tutto il suo splendore” gli fece notare, tornando ad essere assorto. Il giorno dopo Leon si presentò allo Studio, ma Pablo non era ancora arrivato. Vide Violetta parlottare con Diego all’ingresso. Sembrava che stessero litigando: lei aveva un’espressione mortificata, mentre il ragazzo sembrava arrabbiato. “Non hai fatto come ti ho detto?” chiese. “Non potevo, e poi hai detto che non era necessario” esclamò in tutta risposta posando una mano sulla sua spalla come per cercare di ammansirlo. Leon sentì una profonda gelosia per quel gesto. Accelerò il passo per interrompere la conversazione; “Sta arrivando uno degli sbirri, io vado” disse Diego a bassa voce, allontanandosi di colpo. “Tutto bene?” chiese con il sorriso mentre con lo sguardo seguiva Diego. “Leon, che ci fa lei qui?” chiese preoccupata. “Mi dispiace, non volevo importunarti, e comunque mi farebbe piacere se mi dessi del tu, altrimenti mi metti a disagio” rispose imbarazzato, portandosi una mano ai capelli. Violetta seguì quel gesto come ipnotizzata, e arrossì. “D’accordo, allora che ci fai qui?” richiese. “Sono qui sempre per le indagini. Non so se hai saputo della morte di Natalia” continuò cercando con lo sguardo la sua mano, e fissandola come se fosse un tesoro irraggiungibile. Avrebbe voluto tanto stringerla, voleva sentire la delicatezza di quel contatto, che aveva potuto sperimentare durante il loro primo bacio, ma il pensiero di essere stato respinto lo bloccò. “Ho saputo, una vera tragedia” esclamò la ragazza. La sua espressione solare si rabbuiò di colpo. A Leon si strinse il cuore, e prese la sua decisione. Non ce la faceva a starle lontano, prese la mano della ragazza e la portò al suo petto, continuando a guardarla dritto negli occhi. “E’ questo l’effetto che mi fai ogni volta che ti vedo, e non so ancora spiegarmi come ci riesci” disse dolcemente. Violetta abbassò lo sguardo, e chiuse gli occhi, sentendo il battito accelerato del cuore del ragazzo emettere delle vibrazioni che le attraversarono il braccio, fino a impadronirsi del suo corpo. Era un’armonia perfetta, qualcosa che le dava l’impressione di essere veramente libera, e il suo cuore accelerò di conseguenza, come se avesse ricevuto uno stimolo per pompare con più forza il sangue. Quando riaprì gli occhi e incrociò lo sguardo innamorato di Leon, si sentì impotente; ma ancora una volta la sua parte razionale vinse, e la costrinse ad allontanarsi di colpo. “Io…non posso” sussurrò lei, concentrando la sua attenzione sugli alberi del giardino della scuola. “Ti sono davvero così indifferente?” chiese Leon abbattuto. “No!” rispose con un po’ troppa enfasi, vergognandosi subito dopo di aver ceduto troppo in fretta ai suoi sentimenti. A quella risposta il giovane si avvicinò; poteva sentire il suo profumo farsi sempre più forte, le prese nuovamente la mano e la baciò, guardandola negli occhi. Poi lasciò la presa, e le scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, facendo scendere la mano sulla sua guancia. Le faceva venire i brividi quel contatto, che non riusciva, o forse non voleva, a evitare. Non c’era nessuno nei paraggi, era ancora presto. Leon si sporse verso di lei, chiudendo lentamente gli occhi. “Se non vuoi questo bacio, puoi ancora allontanarmi” sussurrò, mentre le loro labbra si stavano sfiorando. Violetta rimase in silenzio, e azzerò le distanze. Quel bacio così dolce e caldo le fece perdere la testa, e si lasciò andare in modo sempre più appassionato. Leon fece scivolare la mano destra dietro, sulla schiena, portando i loro corpi ancora più vicini. Violetta con gli occhi socchiusi, osservò il volto del ragazzo che, adesso ne era certa, le aveva rapito il cuore. Schiuse le labbra, e lasciò che Leon approfondisse quel bacio, che le stava divorando anche l’anima. Non riusciva ancora a comprendere come un semplice e apparentemente innocuo gesto potesse nascondere al suo interno un’infinita gamma di emozioni. Il giovane fece per separarsi, ma Violetta portò le mani al suo viso per non permetterglielo; non voleva, perché una volta separati, sapeva che tutto sarebbe tornato come prima. Il giovane sorrise di fronte a quel tentativo di non farlo allontanare: sentiva che tra loro due c’era qualcosa di più di una semplice attrazione. Non ne poteva essere sicuro, ma avrebbe scommesso tutto sul fatto che si trattasse di amore. La ragazza gli morse affettuosamente il labbro inferiore, come se ancora non si volesse arrendere al fatto che quel bacio fosse ormai arrivato al termine. Quando si furono separati, entrambi riaprirono gli occhi, e si guardarono profondamente. Leon era al settimo cielo, si sentiva il ragazzo più fortunato del mondo. Aveva ancora la mano destra sulla sua schiena, e gli piaceva pensare che con quel segno di possesso l’avesse resa definitivamente sua. Violetta invece aveva uno sguardo triste, sembrava essersi pentita di ciò che aveva fatto. Riusciva sempre a perdere la ragione davanti a lui e non poteva accettarlo. “Io…” sussurrò Leon, ma lei lo interruppe allontanandosi e liberandosi dalla sua presa. “Non possiamo” disse lei fermamente, ma i suoi occhi sembravano volerlo implorare di baciarla di nuovo. “E’ perché sono solo un assistente” sentenziò lui deluso; certo, lei era di famiglia benestante, mentre lui…non aveva nulla, a parte la passione per il suo lavoro. Violetta non riusciva a parlare, ma poi respirò profondamente e si calmò. Non ce la faceva a vederlo così. “No, Leon, non è per questo. Ti farei solo soffrire, e non lo voglio, perché ci tengo troppo a te. Non potresti capire…” disse lei guardandolo speranzosa. “Puoi provare a spiegarmi” disse arrabbiato. “Siamo troppo diversi, tu non potresti mai amarmi. Ci sono cose…che ho fatto. E le rifarei altre cento volte, ma sono sbagliate. Un giorno potresti vedermi per chi sono realmente e tutto il tuo affetto per me svanirebbe. Per il tuo bene, stammi lontano” concluse, voltandosi verso l’entrata per rientrare nella scuola. Il ragazzo la guardò andare via e si voltò anche lui, mentre la tristezza e la rabbia si impadronì del suo volto. “A volte le persone ci possono stupire, Violetta. Credi che non ti potrei amare, ma io sento di amarti già. Rispetterò la tua decisione, ma sappi che così mi stai ferendo, e spero che un giorno capirai che è sbagliato reprimere ciò che si prova” esclamò, mentre dal suo tono era possibile leggere il dolore e la delusione che stava provando. Avanzò lentamente verso la macchina appena arrivata, dove Pablo lo stava attendendo.
Posted on: Thu, 28 Nov 2013 17:30:54 +0000

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