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Caso Moro Da Wikipedia, lenciclopedia libera. Rapimento di Aldo Moro Aldo Moro br.jpg Aldo Moro nella prima foto diffusa dalle Brigate Rosse durante il sequestro. Stato Italia Italia Luogo Roma Obiettivo Il presidente della DC Aldo Moro Data 16 marzo - 9 maggio 1978 Tipo Sequestro, omicidio Morti 6 (Moro e 5 membri della scorta) Responsabili Brigate Rosse Sospetti Servizi segreti deviati; terrorismo internazionale Motivazione Terrorismo Per caso Moro si intende linsieme delle vicende relative allagguato, al sequestro, alla prigionia e alluccisione di Aldo Moro, nonché alle ipotesi sullintera vicenda e alle ricostruzioni degli eventi, spesso discordanti fra loro. La mattina del 16 marzo 1978, giorno in cui il nuovo governo guidato da Giulio Andreotti stava per essere presentato in Parlamento per ottenere la fiducia, lauto che trasportava Aldo Moro dalla sua abitazione alla Camera dei Deputati fu intercettata e bloccata in via Mario Fani a Roma da un nucleo armato delle Brigate Rosse. In pochi secondi, sparando con armi automatiche, i brigatisti rossi uccisero i due carabinieri a bordo dellauto di Moro (Oreste Leonardi e Domenico Ricci), i tre poliziotti che viaggiavano sullauto di scorta (Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi) e sequestrarono il presidente della Democrazia Cristiana. Dopo una prigionia di 55 giorni, durante la quale Moro fu sottoposto a un processo politico da parte del cosiddetto Tribunale del Popolo istituito dalle Brigate Rosse e dopo aver chiesto invano uno scambio di prigionieri con lo Stato italiano, Moro fu ucciso. Il suo cadavere fu ritrovato a Roma il 9 maggio, nel bagagliaio di una Renault 4 parcheggiata in via Caetani, una traversa di via delle Botteghe Oscure, a poca distanza[1] dalla sede nazionale del Partito Comunista Italiano e da Piazza del Gesù, sede nazionale della Democrazia Cristiana. Indice [nascondi] 1 Il sequestro 1.1 Lagguato 1.1.1 Lo scontro a fuoco 1.1.2 La fuga 1.2 Lobiettivo delle Brigate Rosse 1.3 La prigionia 1.4 Lettere dalla prigionia 1.5 I comunicati e la trattativa 1.6 Il rinvenimento del corpo 2 Le ipotesi, le indagini e i processi 2.1 I comitati di crisi 2.2 Cattura e condanne dei brigatisti partecipanti allagguato di via Fani e/o al sequestro Moro 2.3 Il possibile coinvolgimento della P2 e dei servizi segreti 2.4 Il possibile coinvolgimento dellAutonomia 2.5 Il possibile coinvolgimento dellURSS 2.6 Il possibile coinvolgimento degli USA 2.7 Il possibile coinvolgimento di Israele 2.8 Il falso comunicato n. 7 e la scoperta del covo di via Gradoli 2.8.1 La seduta spiritica 2.9 Le possibili infiltrazioni mafiose 2.10 Il ruolo di Carmine Pecorelli 2.11 Il ruolo di Steve Pieczenik 2.12 Lipotesi del tiratore scelto 2.13 Dubbi sullo svolgimento del rapimento 2.14 Altri sospetti e aspetti controversi 3 Le conseguenze politiche 4 Filmografia 4.1 Cinema 4.2 Televisione 5 Teatro 6 Note 7 Bibliografia 8 Voci correlate 9 Altri progetti 10 Collegamenti esterni Il sequestro[modifica | modifica sorgente] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Cronaca del sequestro Moro. Lagguato[modifica | modifica sorgente] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Agguato di via Fani. I corpi senza vita dellautista e della guardia del corpo di Moro Lo scontro a fuoco[modifica | modifica sorgente] La tecnica utilizzata per lagguato fu quella denominata a cancelletto, utilizzata in precedenza anche dallorganizzazione terroristica tedesca RAF. La tecnica prevedeva di intercettare una colonna di automobili attraverso il blocco di quella di testa, immobilizzando poi la colonna bloccando lauto di coda. La colonna con Aldo Moro era composta da due auto: quella su cui viaggiava luomo politico e quella di scorta, che lo seguiva. Il piano venne attuato da 11 persone (come emerse dalle indagini giudiziarie, ma il numero e lidentità dei reali partecipanti è stato messo più volte in dubbio ed anche le confessioni dei brigatisti sono state contraddittorie su alcuni punti).[2] Alle 8:45 i componenti del nucleo armato brigatista, di cui i quattro incaricati di sparare indossavano uniformi da avieri civili,[3] si disposero allestremità di via Mario Fani, una stretta strada in discesa nel quartiere Trionfale, allincrocio con via Stresa. Mario Moretti, componente del Comitato Esecutivo delle Brigate Rosse e principale dirigente della colonna romana, si appostò nella parte alta della strada, sul lato destro, alla guida di una Fiat 128 con targa falsa del Corpo diplomatico. Davanti alla macchina di Moretti si posizionò unaltra Fiat 128 con a bordo Alvaro Lojacono e Alessio Casimirri. Entrambe le auto erano rivolte in direzione dellincrocio. Sul lato opposto venne parcheggiata una terza Fiat 128, alla cui guida vi era Barbara Balzerani, rivolta invece che verso via Stresa, nella direzione di provenienza dellauto di Moro. A qualche metro dallincrocio con via Fani, lungo via Stresa, era posizionata la quarta e ultima auto, una Fiat 132 blu guidata da Bruno Seghetti. Il gruppo di fuoco, composto da quattro brigatisti, era appostato dietro le siepi di un locale, il bar Olivetti, chiuso per lavori, ubicato sullangolo dellincrocio. Moro uscì dalla sua casa, in viale del Forte Trionfale, poco prima delle 9:00, salendo su di una Fiat 130 blu, alla cui guida vi era lappuntato Domenico Ricci e, seduto accanto a lui, il maresciallo Oreste Leonardi, capo scorta, considerato la guardia del corpo più fidata. La 130 era seguita da unAlfetta bianca, con a bordo gli altri uomini che componevano la scorta: il vice brigadiere Francesco Zizzi e gli agenti di polizia Giulio Rivera e Raffaele Iozzino. Lagguato scattò non appena il convoglio su cui viaggiava Moro imboccò via Fani dallalto, dirigendosi verso il basso e fu Rita Algranati a segnalare larrivo delle due auto, con un mazzo di fiori. Targa commemorativa dei cinque agenti della scorta uccisi in via Fani La macchina di Moretti si mise davanti allauto di Moro e, giunta allincrocio, si arrestò di colpo in mezzo alla strada; rimane non chiaro se la Fiat 128 CD avesse i segnali di frenata disattivati[4]. La 130 con allinterno Aldo Moro si fermò dietro allauto di Moretti, trovandosi bloccata dallAlfetta della scorta, che la stava seguendo a breve distanza. La macchina di Moro e quella della scorta furono quindi intrappolate dalla 128 di Lojacono e Casimirri, che si mise di traverso dietro lauto della scorta di Moro. A questo punto entrò in azione il gruppo di fuoco: da dietro le siepi sbucarono quattro uomini vestiti con uniformi del personale Alitalia sparando con pistole mitragliatrici. Dalle indagini giudiziarie questi vennero identificati in: Valerio Morucci, esponente molto noto dellestremismo romano ritenuto un esperto di armi, Raffaele Fiore, proveniente dalla colonna brigatista di Torino, Prospero Gallinari, clandestino e ricercato dopo essere evaso nel 1977 dal carcere di Treviso, e Franco Bonisoli, proveniente dalla colonna di Milano. Erano tutti e quattro militanti fortemente determinati e già provati in precedenti azioni di fuoco[5]. Lazione si ispirò a unanaloga tecnica della RAF, i terroristi di estrema sinistra tedesca. Alcuni testimoni riferirono di aver udito urlare in una lingua sconosciuta, forse in tedesco[6]. I quattro brigatisti che, travestiti da assistenti di volo, spararono sulla scorta: Valerio Morucci Matteo, Raffaele Fiore Marcello, Prospero Gallinari Giuseppe e Franco Bonisoli Luigi. Secondo la prima perizia del 1978 sarebbero stati sparati in tutto 91 colpi, 45 dei quali avrebbero colpito gli uomini della scorta, e 49 di questi, di cui peraltro solo 19 a segno, sarebbero stati esplosi da una stessa arma, 22 da una seconda arma del medesimo modello (entrambe erano delle pistole mitragliatrici residuati bellici FNAB-43) ed i restanti 20 dalle altre quattro armi: due pistole, un mitra TZ45 ed un mitra Beretta M12. Peraltro la perizia del 1993 non ha confermato questi dati e non è stata in grado di attribuire tutti i 49 colpi allo stesso FNAB-43; è possibile, come affermato da Valerio Morucci, che essi appartenessero ad entrambi i mitra di questo tipo in possesso dei brigatisti, utilizzati dallo stesso Morucci e da Bonisoli[7]. I quattro brigatisti, travestiti da assistenti di volo, si portarono molto vicini alle due auto ferme allo stop; Morucci e Fiore sparano contro la Fiat 130 con Moro a bordo mentre Gallinari e Bonisoli aprirono il fuoco contro lAlfetta di scorta. Secondo le ricostruzioni dei brigatisti, tutti e quattro i mitra si sarebbero successivamente inceppati: Morucci riuscì ad eliminare subito il maresciallo Leonardi ma poi si trovò in difficoltà con il suo mitra, larma di Fiore invece si sarebbe inceppata subito e quindi lappuntato Ricci inizialmente sopravvisse e poté tentare varie disperate manovre per svincolare lauto dalla trappola; una Mini Minor parcheggiata sulla destra della strada intralciò ulteriormente ogni movimento. In pochi secondi Valerio Morucci risolse i problemi con la sua arma e ritornò vicino alla Fiat 130 uccidendo con una raffica anche lautista di Moro[8]. Contemporaneamente Gallinari e Bonisoli spararono contro gli uomini della scorta sullAlfetta: Rivera e Zizzi furono subito mortalmente feriti ma Iozzino, relativamente riparato sul sedile posteriore destro, poté uscire dallauto e rispondere al fuoco con la sua pistola favorito anche dallinceppamento dei mitra dei due brigatisti. In breve Gallinari e Bonisoli impugnarono le loro pistole e anche lultimo agente fu ucciso e cadde a terra sulla strada[9]. La fuga[modifica | modifica sorgente] Subito dopo lo scontro a fuoco, Raffaele Fiore fece uscire Aldo Moro dalla Fiat 130 e, aiutato da Mario Moretti, lo fece entrare nella Fiat 132 blu che Bruno Seghetti aveva avvicinato allo stop; subito dopo i due brigatisti salirono a bordo e lauto si allontanò lungo via Stresa subito seguita dalla 128 bianca di Casimirri e Lojacono su cui era salito anche Gallinari. Infine Valerio Morucci raccolse dalla Fiat 130 due delle borse di Moro e passò alla guida della Fiat 128 blu che si mosse, con a bordo anche la Balzerani e Bonisoli, dietro le altre due auto. Lazione era durata appena tre minuti, dalle ore 09.02 alle ore 09.05[10]. Le tre auto si diressero lungo via Stresa quindi proseguirono per via Trionfale attraverso piazza Monte Gaudio; dopo aver percorso via Trionfale ed aver attraversato largo Cervinia, le tre auto effettuarono una svolta repentina su via Belli, una strada secondaria parzialmente occultata dalla vegetazione, quindi imboccarono via Casale de Bustis, unaltra strada secondaria il cui accesso era chiuso da una sbarra bloccata da una catena[11]. Questa deviazione a sorpresa permise ai brigatisti di far perdere le loro tracce; le auto poterono, dopo aver percorso questa strada, proseguire per via Serranti e raggiunsero via Massimi. Più avanti, in via Bitossi, era pronto un furgone grigio chiaro Fiat 850T, Morucci lasciò la Fiat 128 blu, prese le due borse di Moro e passò alla guida del furgone; tutti gli automezzi proseguirono per via Bernardini[12]. Le tre auto e il furgone con Morucci alla guida raggiunsero piazza Madonna del Cenacolo, il punto scelto per il trasbordo dellostaggio; qui Aldo Moro venne fatto salire sul furgone dove era pronta una cassa di legno[13]. Mentre le auto furono portate tutte e tre in via Licinio Calvo ed abbandonate[14]; in piazza Madonna del Cenacolo, tra le 09:20 e le 09:25, il gruppo si sciolse. Fiore, Bonisoli e la Balzerani, dopo aver raggiunto via Licinio Calvo, si allontanarono a piedi. Secondo il racconto dei brigatisti, da piazza Madonna del Cenacolo il furgone guidato da Moretti, con il sequestrato nella cassa di legno, e una Citroën Dyane con Morucci e Seghetti si diressero fino al parcheggio sotterraneo della Standa dei Colli Portuensi, nella zona sud-est di Roma, che raggiunsero dopo circa venti minuti. Nel parcheggio sotterraneo, dove erano già in attesa Prospero Gallinari e Germano Maccari. la cassa con il sequestrato fu trasferita senza destare sospetti dal furgone su un Citroën Ami 8. Sarebbero stati Moretti, Gallinari e Maccari che portarono la Ami 8 con la cassa fino in via Montalcini 8, lappartamento apprestato per fungere da luogo di detenzione di Aldo Moro[15]. Immediatamente la notizia dellagguato si diffuse in ogni angolo del paese. Le attività quotidiane furono bruscamente sospese: a Roma i negozi abbassarono le saracinesche, in tutte le scuole dItalia gli studenti uscirono dalle aule scolastiche riunendosi in assemblee spontanee, mentre le trasmissioni televisive e radiofoniche furono interrotte da notiziari in edizione straordinaria. Lagguato ed il rapimento furono rivendicati alle ore 10.10 con una telefonata, effettuata da Valerio Morucci, allagenzia ANSA; due giorni dopo venne fatto ritrovare il primo dei nove comunicati che esse inviarono durante i 55 giorni del sequestro. Lobiettivo delle Brigate Rosse[modifica | modifica sorgente] « Chi è Aldo Moro è presto detto: dopo il suo degno compare De Gasperi, è stato fino a oggi il gerarca più autorevole, il teorico e lo stratega indiscusso di questo regime democristiano che da trenta anni opprime il popolo italiano [...] la controrivoluzione imperialista [...] ha avuto in Aldo Moro il padrino politico e lesecutore più fedele delle direttive impartite dalle centrali imperialiste. » (Brigate Rosse, Primo Comunicato) Mario Moretti, componente del Comitato Esecutivo delle Brigate Rosse e principale dirigente della colonna romana durante il sequestro. Si è detto che Moro fu rapito perché con lui le Brigate Rosse volevano colpire lartefice della solidarietà nazionale, e dellavvicinamento tra DC e PCI, la cui espressione fu il governo Andreotti IV. Lottica delle BR, in realtà, era diversa: il rapimento in effetti non fu realizzato per colpire il regista di quella fase politica. Il loro scopo era più generale e rientrava nella loro particolare analisi di quella fase storica: colpire la DC (regime democristiano), cardine in Italia dello Stato imperialista delle multinazionali (SIM), mentre il PCI rappresentava non tanto il nemico da attaccare quanto un concorrente da battere[16]. Nellottica brigatista, infatti, il successo della loro azione avrebbe interrotto la lunga marcia comunista verso le istituzioni, per affermare la prospettiva dello scontro rivoluzionario e porre le basi del controllo BR della sinistra italiana per una lotta contro il capitalismo. In questo il loro obiettivo di lotta al capitalismo era simile a quello della RAF tedesca, come venne indicato in seguito nella ricostruzione del rapimento, fatta nel fumetto pubblicato dalla rivista Metropolis[17], ove viene fatto un parallelo con il sequestro Hanns-Martin Schleyer, conclusosi anchesso con luccisione del prigioniero. Stando a quanto ha dichiarato successivamente Mario Moretti, per le BR era rilevante che Moro fosse presidente della DC e che fosse da trentanni al governo[18]. Sembra, inoltre, che nei mesi precedenti il rapimento di Moro le BR avessero anche studiato la possibilità di rapire il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, ma che poi avessero abbandonato questa opzione perché questi godeva di una protezione di polizia troppo forte per le capacità dei brigatisti. Secondo questa ipotesi dunque, era uguale per le Brigate Rosse rapire Moro o Andreotti: limportante era colpire un simbolo del potere[19]. Le conseguenze politiche del rapimento di Moro furono da un lato lesclusione del PCI da ogni ipotesi di governo per gli anni successivi, e dallaltro un ridisegno del cosiddetto regime democristiano: la DC di Andreotti rimase partito di governo fino al 1992, anno di tangentopoli, partecipando sempre a maggioranze che lasciarono il PCI allopposizione, ma queste politiche tuttavia portarono dal 1981, col primo Governo Spadolini ad avere alternanze di presidenti del consiglio democristiani con altri laici, rompendo quindi il monopolio democristiano. Allinterno del Partito socialista italiano (PSI), che aveva sostenuto la possibilità di uno scambio di prigionieri per liberare Moro, vinse la linea di Bettino Craxi per lesclusione del PCI dal governo, e iniziò una lotta politica con lo stesso per tentare di superarlo nelle elezioni. La prigionia[modifica | modifica sorgente] Anna Laura Braghetti, Camilla, la insospettabile proprietaria dellappartamento di via Montalcini 8. In tempi successivi si ipotizzò che, durante il periodo della detenzione, la prigione di Moro fosse conosciuta: si parlò dellappartamento, sito in via Gradoli a Roma, utilizzato da Mario Moretti e da Barbara Balzerani, noto da tempo sia alle istituzioni che alla ndrangheta, ma questo sito era probabilmente troppo piccolo per poter contenere un nascondiglio da adibire a prigione ed era spesso lasciato incustodito, oltre al fatto che, essendo in affitto, poteva essere soggetto a visite da parte del padrone di casa. Germano Maccari, lingegner Luigi Altobelli dellappartamento di via Montalcini. Durante i processi che seguirono la cattura dei brigatisti, risultò dalle loro testimonianze che la prigione del popolo in cui si trovava Aldo Moro fosse situata in un appartamento di via Camillo Montalcini 8, sempre a Roma, acquistata nel 1977 con i soldi provenienti dal sequestro di Pietro Costa, dalla brigatista Anna Laura Braghetti. Durante il sequestro nellappartamento vissero con lostaggio, la Braghetti, linsospettabile proprietaria, il suo apparente fidanzato, il sedicente ingegnere Luigi Altobelli che era in realtà il brigatista regolare Germano Maccari, esperto militante romano amico di Morucci, e Prospero Gallinari, brigatista clandestino che, essendo già ricercato, rimase per tutti i giorni del rapimento chiuso dentro lappartamento e funse da carceriere di Moro. Mario Moretti, che viveva in prevalenza in via Gradoli insieme a Barbara Balzerani, si recava quasi tutti i giorni in via Montalcini per interrogare lostaggio ed elaborare, in collegamento con gli altri membri del Comitato Esecutivo, la gestione politica del sequestro. Lo stesso covo pochi mesi dopo venne scoperto e tenuto sotto controllo dallUCIGOS, cosa che costrinse i brigatisti, che si erano resi conto di essere pedinati, a vendere e smantellare lappartamento entro i primi di ottobre.[20][21][22][23] Il fratello di Aldo Moro, Carlo Alfredo, magistrato, in un suo libro[24] propone però una teoria secondo la quale lultima prigione di Moro non sarebbe stata quella di via Montalcini, ma sarebbe stata situata nei pressi di una località marina, basandosi sia sulla sabbia e sui resti vegetali trovati su Moro e sullauto, sia sulle incongruenze dei tempi tra quanto dichiarato dai brigatisti e quanto rilevato dallautopsia. Inoltre, sia secondo Carlo Alfredo Moro che altri, le conclusioni dellautopsia sul corpo, che fu trovato in buone condizioni fisiche, soprattutto in merito al tono muscolare generale, lascerebbero supporre che Moro abbia avuto, durante la detenzione, una certa libertà di movimento e la possibilità di scrivere la numerosissima mole di documenti, prodotti durante la prigionia, in una situazione relativamente agevole (sedia e tavolo), condizione ben lontana da quella che si sarebbe avuta nei pochi metri quadrati concessogli nel covo di via Montalcini. Questi risultati dellesame autoptico, unite ad alcune contraddizioni nelle confessioni tardive dei brigatisti lasciano comunque aperti molti dubbi sul luogo o sui luoghi in cui fu detenuto in prigionia Aldo Moro e sulle dimensioni anguste della presunta cella nella prigione del popolo.[25] Lettere dalla prigionia[modifica | modifica sorgente] « Caro Zaccagnini, scrivo a te, intendendo rivolgermi a Piccoli, Bartolomei, Galloni, Gaspari, Fanfani, Andreotti e Cossiga ai quali tutti vorrai leggere la lettera e con i quali tutti vorrai assumere le responsabilità, che sono ad un tempo individuali e collettive. Parlo innanzitutto della D.C. alla quale si rivolgono accuse che riguardano tutti, ma che io sono chiamato a pagare con conseguenze che non è difficile immaginare. Certo nelle decisioni sono in gioco altri partiti; ma un così tremendo problema di coscienza riguarda innanzitutto la D.C., la quale deve muoversi, qualunque cosa dicano, o dicano nellimmediato, gli altri. Parlo innanzitutto del Partito Comunista, il quale, pur nella opportunità di affermare esigenze di fermezza, non può dimenticare che il mio drammatico prelevamento è avvenuto mentre si andava alla Camera per la consacrazione del Governo che mero tanto adoperato a costituire. » (lettera a Benigno Zaccagnini recapitata il 4 aprile) « Il papa ha fatto pochino: forse ne avrà scrupolo. » (Lettera alla moglie Eleonora del 5 maggio 1978[26]) « Siamo ormai credo al momento conclusivo...Resta solo da riconoscere che tu avevi ragione...vorrei restasse ben chiara la piena responsabilità della DC con il suo assurdo e incredibile comportamento...si deve rifiutare eventuale medaglia...cè in questo momento un infinita tenerezza per voi...uniti nel mio ricordo vivere insieme...vorrei capire con i miei piccoli occhi mortali come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce sarebbe bellissimo. » (Lettera alla moglie Eleonora del 5 maggio 1978[27]) Durante il periodo della sua detenzione, Moro scrisse 86 lettere ai principali esponenti della Democrazia Cristiana, alla famiglia ed allallora Papa Paolo VI (che avrebbe poi presenziato alla solenne messa funebre di Stato nella basilica di San Giovanni in Laterano, peraltro celebrata senza il feretro dello statista, negato dalla famiglia in polemica con la conduzione della vicenda). Alcune arrivarono a destinazione, altre non furono mai recapitate e vennero ritrovate in seguito nel covo di via Monte Nevoso. Attraverso le lettere Moro cerca di aprire una trattativa con i colleghi di partito e con le massime cariche dello Stato. È stato ipotizzato che in queste lettere Moro abbia inviato messaggi criptici alla sua famiglia ed ai suoi colleghi di partito. Non immaginando che i brigatisti la renderanno pubblica, in una lettera inspiegabilmente domanda: Vi è forse, nel tener duro contro di me, unindicazione americana e tedesca? (lettera di Aldo Moro su Paolo Taviani senza destinatario, recapitata tra il 9 ed il 10 aprile ed allegata al comunicato delle Brigate Rosse numero 5); altra ipotesi, avanzata dallo scrittore siciliano Leonardo Sciascia, è che nelle lettere medesime Moro avesse lintenzione di inviare agli investigatori messaggi sulla localizzazione del covo, per segnalare che esso (almeno nei primi giorni del sequestro) si trovasse nella città di Roma: Io sono qui in discreta salute (lettera di Aldo Moro del 27/3/78, non recapitata a sua moglie Eleonora Moro). Nella lettera recapitata l8 aprile scaglia un vero e proprio anatema: Naturalmente non posso non sottolineare la cattiveria di tutti i democristiani che mi hanno voluto nolente ad una carica, che, se necessaria al Partito, doveva essermi salvata accettando anche lo scambio dei prigionieri. Sono convinto che sarebbe stata la cosa più saggia. Resta, pur in questo momento supremo, la mia profonda amarezza personale. Non si è trovato nessuno che si dissociasse? Bisognerebbe dire a Giovanni che significa attività politica. Nessuno si è pentito di avermi spinto a questo passo che io chiaramente non volevo? E Zaccagnini? Come può rimanere tranquillo al suo posto? E Cossiga che non ha saputo immaginare nessuna difesa? Il mio sangue ricadrà su di loro. Dubbi sono stati avanzati circa la completa pubblicazione di queste lettere; il generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa (successivamente ucciso dalla mafia) trovò copie di alcune lettere ancora non note in una casa che i terroristi utilizzavano a Milano (noto come covo di via Monte Nevoso) e, per qualche altrettanto ignoto motivo, questo recupero fu effettuato solo molti anni dopo. Lopinione del mondo politico di allora riteneva, tuttavia, che Moro non avesse piena libertà di scrittura. Nonostante la moglie di Moro affermi, durante la deposizione al processo delle BR, di riconoscere lo stile di suo marito, le lettere sarebbero state da considerarsi se non dettate quantomeno controllate o ispirate dai brigatisti. Anche appartenenti al Comitato degli esperti voluto da Cossiga, tra cui il criminologo Ferracuti, in un primo tempo affermarono che Moro era stato sottoposto a tecniche di lavaggio del cervello da parte delle BR[28][29]. Cè da sottolineare che i nomi di molti dei membri di quel Comitato furono poi ritrovati tra quelli degli iscritti alla loggia massonica P2, compreso quello dello stesso Franco Ferracuti (tessera 2137)[30], che era anche un agente della CIA[31]. Cossiga ammetterà tuttavia anni dopo di essere stato lui a scrivere parte del discorso tenuto da Giulio Andreotti in cui si affermava che le lettere di Moro erano da considerarsi non moralmente autentiche[32]. Alcune affermazioni di Moro nelle lettere, per esempio quelle in cui parla di scambi di prigionieri, al plurale, fanno supporre che le Brigate Rosse gli avessero lasciato intendere di non essere lunica persona sequestrata. È possibile che lo statista ritenesse che anche alcuni uomini della sua scorta o forse altre personalità rapite altrove, fossero nelle sue medesime condizioni e che quindi gli eventuali tentativi di accordo per la liberazione che cercava di portare avanti dovessero riguardare tutti gli ipotetici sequestrati.[33] I comunicati e la trattativa[modifica | modifica sorgente] Muro con manifesto appeso allindomani del rapimento Durante i 55 giorni del sequestro Moro le Brigate rosse recapitarono nove comunicati con i quali, assieme alla risoluzione della direzione strategica, ossia lorgano direttivo della formazione armata, spiegarono i motivi del sequestro; questi erano documenti lunghi ed a volte poco chiari. Nel comunicato numero 3 si lesse: « Linterrogatorio, sui contenuti del quale abbiamo già detto, prosegue con la completa collaborazione del prigioniero. Le risposte che fornisce chiariscono sempre più le linee controrivoluzionarie che le centrali imperialiste stanno attuando; delineano con chiarezza i contorni e il corpo del nuovo regime che, nella ristrutturazione dello Stato Imperialista delle Multinazionali si sta instaurando nel nostro paese e che ha come perno la Democrazia Cristiana. » Ed ancora: « Moro è anche consapevole di non essere il solo, di essere, appunto, il più alto esponente del regime; chiama quindi gli altri gerarchi a dividere con lui le responsabilità, e rivolge agli stessi un appello che suona come unesplicita chiamata di correità. » Le Brigate Rosse proposero, attraverso il comunicato n. 8, di scambiare la vita di Moro con la libertà di alcuni terroristi in quel momento in carcere, il cosiddetto fronte delle carceri, accettando persino di scambiare Moro con un solo brigatista incarcerato, anche se non di spicco, pur di poter aprire trattative alla pari con lo Stato[34]. Un riconoscimento venne comunque ottenuto quando papa Paolo VI, amico personale di Moro, in data 22 aprile rivolse un drammatico appello pubblico col quale supplicava in ginocchio gli uomini delle Brigate Rosse di rendere Moro alla sua famiglia ed ai suoi affetti, specificando tuttavia che ciò doveva avvenire senza condizioni.[35] La politica si divise in due fazioni: il cosiddetto fronte della fermezza, nettamente maggioritario poiché comprendeva il Governo - specialmente il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti e il Ministro dellInterno Francesco Cossiga - e quasi tutti i partiti presenti in Parlamento (DC, PCI, MSI, PRI, PSDI, PLI), che rifiutava qualunque ipotesi di trattativa, ed il fronte possibilista, nel quale spiccava Bettino Craxi e che comprendeva anche il Presidente del Senato Amintore Fanfani[36], lex Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat (in dissenso dalla posizione ufficiale del PSDI e del suo segretario Pierluigi Romita) e il leader radicale Marco Pannella, incline a ritenere che un eventuale avvicinamento, allo scopo di intavolare una trattativa per salvare la vita dello statista, non avrebbe svilito la dignità dello Stato. Secondo il fronte della fermezza, la scarcerazione di alcuni brigatisti avrebbe costituito una resa da parte dello Stato, non solo per lacquiescenza a condizioni imposte dallesterno, ma per la rinuncia allapplicazione delle sue leggi ed alla certezza della pena; una trattativa coi rapitori inoltre avrebbe potuto creare un precedente per nuovi sequestri, strumentali al rilascio di altri brigatisti, od allottenimento di concessioni politiche, e, più in generale, una trattativa con i terroristi avrebbe rappresentato un riconoscimento politico delle Brigate Rosse; di contro la linea del dialogo avrebbe aperto alla possibilità di una rappresentanza partitica e parlamentare del loro braccio armato, e posto questioni di legittimità in merito alle loro richieste. I metodi intimidatori e violenti, e la non accettazione delle regole basilari della politica, ponevano il terrorismo al di fuori del dibattito istituzionale, indipendentemente dal merito delle loro richieste. Prevalse il primo orientamento, anche in considerazione del gravissimo rischio di ordine pubblico e di coesione sociale che si sarebbe corso presso la popolazione, ed in particolare, presso le forze dellordine, che in quegli anni avevano pagato un tributo di sangue già insostenibile a causa dei terroristi[37]. Lepilogo anticipò comunque una presa di posizione definitiva dei governanti. Alcuni autori, tra cui il fratello di Moro nel succitato saggio, fanno notare alcune apparenti incongruenze nei comunicati delle BR. Un primo punto riguarda lassenza di riferimenti al progetto di Moro di apertura del governo al PCI, questo nonostante il fatto che il rapimento fosse stato effettuato lo stesso giorno in cui questo governo doveva formarsi, e nonostante lesistenza di comunicati precedenti e successivi agli eventi dove vi erano espliciti riferimenti e dichiarazioni di contrarietà al progetto da parte dei brigatisti. Anche una lettera indirizzata a Zaccagnini da parte di Moro, con un riferimento al progetto, venne fatta riscrivere in una forma in cui questo era omesso.[38] Un secondo punto riguarda le continue rassicurazioni date nei comunicati da parte dei brigatisti secondo i quali tutto ciò che riguardava il processo a Moro ed i suoi interrogatori sarebbe stato reso pubblico. Tuttavia, mentre nel caso di altri rapimenti, come quello del giudice Giovanni DUrso, addetto alla direzione generale degli affari penitenziari, questa diffusione del materiale era stata effettuata, anche senza essere ribadita in maniera così forte e con materiale ben meno importante, nel caso Moro questa diffusione non si ebbe mai, e solo con la scoperta del covo di via Monte Nevoso a Milano diverrà pubblicamente noto, inizialmente in una versione ridotta, il memoriale Moro (presente solo in fotocopia) e alcune lettere inizialmente non diffuse. Gli stessi brigatisti hanno affermato di aver distrutto le bobine degli interrogatori e gli originali degli scritti di Moro, in quanto ritenuti non importanti, nonostante in questi vi fossero riferimenti a Gladio e la connivenza di parte della DC e dello Stato nella strategia della tensione[39], che ben sembrano identificarsi con il tipo di rivelazioni che le Brigate Rosse andavano cercando.[40] Il rinvenimento del corpo[modifica | modifica sorgente] « Per quanto riguarda la nostra proposta di uno scambio di prigionieri politici perché venisse sospesa la condanna e Aldo Moro venisse rilasciato, dobbiamo soltanto registrare il chiaro rifiuto della DC. Concludiamo quindi la battaglia iniziata il 16 marzo, eseguendo la sentenza a cui Aldo Moro è stato condannato. » (Dal comunicato numero 9) Ritrovamento del corpo di Moro in via Caetani Dalle deposizioni rilasciate alla magistratura è emerso che non tutto il vertice brigatista fosse concorde con il verdetto di condanna a morte. Lo stesso Moretti[41] telefonò direttamente alla moglie di Moro il 30 aprile 1978 per premere sui vertici della DC al fine di accettare la trattativa: la telefonata fu ovviamente registrata dalle Forze dellOrdine. La brigatista Adriana Faranda citò una riunione notturna tenutasi a Milano e di poco precedente luccisione di Moro, ove ella ed altri terroristi (Valerio Morucci, Franco Bonisoli[42] e forse altri) dissentirono, tanto che la decisione finale sarebbe stata messa ai voti[43]. Mario Moretti Maurizio telefonò il 30 aprile alla moglie di Moro Mario Moretti Maurizio telefonò il 30 aprile alla moglie di Moro Mario Moretti Maurizio telefonò il 30 aprile alla moglie di Moro Valerio Morucci Matteo effettuò la telefonata finale del 9 maggio Il 9 maggio, dopo 55 giorni di detenzione, al termine di un processo del popolo, viene assassinato per mano di Mario Moretti, anche se - a tuttoggi - pare che abbiano partecipato materialmente allomicidio sia Germano Maccari, che - forse - Prospero Gallinari (quasi certamente Maccari; con diverse riserve si suppone anche Gallinari)[34]. Il cadavere fu ritrovato il giorno stesso in una Renault 4 rossa in via Caetani, in pieno centro di Roma. Secondo quanto affermato dai brigatisti più di un decennio dopo lomicidio, Moro fu fatto alzare alle 6 di mattina con la scusa di essere trasferito in un altro covo[44]. Secondo una deposizione di Bonisoli, ennesima incongruenza, a Moro venne riferito di esser stato graziato e - quindi - liberato, una bugia definita dallo stesso brigatista pietosa, onde non far soffrire inutilmente oltre lo statista. Venne infilato in una cesta di vimini e portato nel garage del covo di Via Montalcini. Fu fatto entrare nel portabagagli di una Renault 4 rossa targata Roma N57686 e venne coperto con un lenzuolo rosso. Mario Moretti allora sparò alcuni colpi prima con una pistola Walther PPK calibro 9 mm x 17 Corto e poi (dopo che la pistola si era inceppata) con una pistola mitragliatrice Samopal Vzor.61 (nota come Skorpion) calibro 7,65mm con cui sparò una raffica di 11 colpi che perforarono i polmoni del presidente democristiano, uccidendolo (per molti anni, fino alla confessione di Moretti, si pensava che a sparare fosse stato Prospero Gallinari). Alcune incongruenze riguardano le modalità dellesecuzione: seppur la pistola che inizialmente venne adoperata per sparare a Moro poteva esser silenziata, difficilmente lo poteva essere la mitraglietta, in quanto il silenziatore non permette la soppressione totale del rumore. Roma, via Caetani: la targa in ricordo di Aldo Moro nel luogo del ritrovamento del corpo Poi, una volta eseguito il delitto, lauto con il cadavere di Moro fu portata da Moretti e Maccari in Via Caetani, senza effettuare soste intermedie, vicino alla sede della D.C. e del P.C.I., dove fu lasciata parcheggiata circa unora dopo. Allultimo tratto del percorso parteciparono su una Simca anche Bruno Seghetti e Valerio Morucci in funzione di copertura. Dopo aver perso tempo per ricercare un posto sicuro per telefonare e per contattare uno dei collaboratori di Moro, finalmente verso le 12.30 Valerio Morucci riuscì ad effettuare la telefonata finale con il professor Francesco Tritto, uno degli assistenti di Moro, qualificandosi inizialmente come il dottor Niccolai. Con un tono freddo ma corretto chiese, adempiendo alle ultime volontà del presidente, a Tritto di comunicare subito alla famiglia che il corpo delluomo politico si trovava nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, i primi numeri di targa sono N5..., in via Caetani[45]. La telefonata al professor Tritto venne intercettata e quindi furono le forze dellordine che arrivarono per primi in via Caetani. Qualche minuto prima delle due, i segretari di tutti i partiti politici sapevano che il cadavere ritrovato nella Renault rossa targata Roma N57686 era proprio quello di Aldo Moro. La morte risaliva, secondo i risultati autoptici, tra le 9 e le 10 della mattina stessa[46], orario però incompatibile con la ricostruzione data dai brigatisti (per cui lesecuzione sarebbe avvenuta tra le 7 e le 8). È da notare che il buco di alcune ore tra labbandono dellauto secondo la ricostruzione dei brigatisti e le prime telefonate di rivendicazione sono giustificate dai brigatisti con il fatto che nessuno dei tentativi di Morucci di contatto telefonico, per annunciare dove era possibile ritrovare il cadavere, con conoscenti ed amici di Moro, effettuati prima della telefonata al professor Tritto, era andato a buon fine.[46] Alcune testimonianze affermano che la macchina sia stata portata in via Michelangelo Caetani nelle prime ore del mattino, tra le 7 e le 8 e lasciata qui fino a quando gli assassini hanno ritenuto opportuno avvertire. Altre testimonianze, invece, affermano di aver visto la Renault parcheggiata soltanto intorno alle 12.30 e non prima. In un angolo del bagagliaio, dalla parte dovè sistemata la ruota di scorta sulla quale poggiava la testa di Moro, cerano anche le catene da neve, e qualche ciuffo di capelli grigi. Ai piedi del cadavere cera una busta di plastica con un bracciale e lorologio. Il corpo di Moro, quando è stato estratto dagli artificieri, era ripiegato e irrigidito. Indossava lo stesso abito scuro del giorno del rapimento con la camicia bianca a righine, e la cravatta ben annodata; era macchiato di sangue (ma le ferite erano approssimativamente state tamponate con dei fazzolettini[47]), e nei risvolti dei pantaloni è stata trovata una notevole quantità di sabbia e di terriccio e alcuni resti vegetali (i brigatisti sosterranno poi durante i processi di aver appositamente sporcato le scarpe e i pantaloni di sabbia per depistare eventuali indagini sulla locazione del covo in cui Moro era tenuto prigioniero[48]). Sotto il corpo e sul tappeto dellauto cerano bossoli di cartucce. Furono trovate tracce di sabbia non solo nel risvolto dei pantaloni, ma anche nei calzini. Sandro Pertini rende omaggio alla tomba di Aldo Moro (1982) Il cadavere presentava unaltra ferita, su una coscia, una piaga purulenta mai curata, è probabile che fosse una ferita darma da fuoco ricevuta il giorno dellagguato di via Mario Fani[49]. Per segnare il decennale della morte di Moro, nellaprile del 1988, quando già sembrava ormai sconfitto il partito armato, le Brigate Rosse colpirono ancora, uccidendo, nella sua casa di Forlì il senatore democristiano Roberto Ruffilli, consigliere di Ciriaco De Mita sul tema delle riforme istituzionali. Le ipotesi, le indagini e i processi
Posted on: Wed, 13 Nov 2013 22:38:13 +0000

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