Dopo l’8 settembre non tutti i soldati italiani svestirono la - TopicsExpress



          

Dopo l’8 settembre non tutti i soldati italiani svestirono la divisa per tornarsene a casa, sognando così la fine, almeno per loro, di quel lungo conflitto che già da oltre tre anni vedeva protagonista in prima linea l’Italia fascista prima, badogliana poi. Ci fu infatti chi rifiutando l’umiliante resa firmata dal Re e Badoglio entrò a far parte dei reparti tedeschi per continuare la guerra al fianco degli antichi alleati. Durante i primi tre anni della II guerra mondiale gli unici italiani ai quali fosse permesso di arruolarsi nelle formazioni tedesche, furono i sud tirolesi che avessero scelto il III Reich. Così dopo la firma dell’armistizio molti entrarono a far parte della Wermacht, l’esercito tedesco, altri scelsero le Waffen-SS. Nel corso del secondo conflitto mondiale le Waffen-SS, che si distinguevano dalle comuni SS per il fatto che esse rappresentavano delle unità combattenti d’élite, giunsero a contare ben 900 mila uomini distribuiti in 38 divisioni. Accanto ai reparti tedeschi si costituirono molte altre unità di diversa provenienza e nazionalità. Tra di essi, sul finire del 1943 si costituirono le Waffen-SS Italiane. Andiamo per fasi: tale formazione era solo parente delle Waffen SS nel senso che era inquadrata da personale SS ma armi e materiali erano della ordungspolizei. Ciò era evidenziato dall’assenza del nome SS e delle relative mostrine (rosse e senza rune). Solo a seguito del valoroso comportamento in battaglia ad Anzio degli uomini dell’Obersturmbannfuehrer Carlo Federigo Degli Oddi il ReichsFuehrer SS Himmler concesse ai volontari italiani di fregiarsi del titolo di SS effettive. Unica eccezione fu il battaglione “Debica” formatosi in Polonia nel novembre ’43 al comando del maggiore bersagliere Guido Fortunato e che, addestratosi in un poligono SS, venne da subito indicato come reparto SS. Gli appartenenti portarono sempre le mostrine nere e spesso, pur non autorizzati, le rune SS. Con la nascita delle unità armate SS tutti i volontari italiani portarono le mostrine nere. Nell’aprile ’45 a guerra quasi conclusa la forza totale della legione era di 6.500 uomini effettivi. La formazione di un corpo armato di SS Italiane fu caldeggiata da Mussolini fin dal suo arrivo in Germania, a metà del settembre ’43, dopo l’avvenuta liberazione dalla prigionia sul Gran Sasso. Il Duce illustrò il suo progetto a Rastenburg direttamente a Hitler che lo sottoscrisse delegandone a Himmler l’attuazione. Himmler, comandante delle SS, pur accettando molte delle condizioni poste da Mussolini, non si fidava del valore e della fedeltà delle nuove truppe, integrate da volontari reclutati nei campi di internamento della Germania (come per esempio il Battaglione Debica su trattato). Avrebbe concesso lo status di “Waffen SS” solamente con il valore dimostrato in combattimento. Quindi per la Milizia, poi 1° Brigata d’Assalto, non compariva la denominazione SS, né i volontari portavano le classiche mostrine nere bensì di colore rosso. Le prime unità delle SS Italiane furono addestrate in Germania a Musingen, dove alla metà di ottobre si trovavano già 13362 uomini arruolati tra volontari ed ex-internati nei campi tedeschi dopo l’8 settembre. Non era infatti ancora prevista, e non lo fu fino al gennaio 1944, alcuna misura di arruolamento in Italia. Il 1° febbraio ’44 ha ufficialmente inizio il reclutamento volontario in Italia per completare i reparti della Waffen SS che, oltre a contrastare i partigiani, avrebbero battersi al fronte contro gli angloamericani. A tale scopo era prevista una severa selezione per individuare gli uomini idonei a recarsi in Germania, per ricevere un addestramento di prim’ordine ad opera della Waffen SS di concerto con l’esercito tedesco. Ecco così che dal marzo 1944 entrano in funzione i centri d’arruolamento, che prevedono 29 uffici principali e 6 secondari. I principali sorgono a: Savona, Cuneo, Torino, Alessandria, Aosta, Novara, Como, Milano, Bergamo, Brescia, Verona, Mantova, Treviso, Padova, Bologna, Modena, Firenze, Forlì, Ancona, Macerata, Perugina, Viterbo, Grosseto, Siena, Pisa, Genova, Parma, Bolzano e Massa-Carrara; gli altri sei centri erano di stanza a: Cremona, Pavia, Pesaro, Roma, Varese e Venezia. I reparti avrebbero dovuto assumere il nome di Waffen-SS-Milizia Armata. In totale furono circa ventimila i volontari italiani che si posero al totale servizio della Germania. Infatti nel composito quadro delle Forze Armate della RSI, le SS Italiane costituirono un corpo a parte. Le SS Italiane sono poste agli ordini del generale di brigata Peter Hansen, provvisoriamente sostituito a causa di malattia (ottobre-dicembre ’43) dal colonnello Gustav Lombard. Al ritorno di Hansen, Lombard raggiunse la propria ottava divisione di cavalleria SS Floria Geyer sul fronte russo. Le unità dipendevano dal comandante Waffen SS in Italia, gruppenfuehrer Lothar Debes con sede a Calmiero nel veronese che a sua volta dipendeva dal obergrueppenfuehrer Karl Wolff, comandante supremo delle SS e della polizia tedesca in Italia. Al vertice della legione vi era l’ispettorato del generalmajor Pietro Mannelli (con funzione anche di ispettore arruolamenti) dell’SS oberfuehrer Erick Tschimpke (anche ispettore stampa e propaganda). Dall’ispettorato dipendeva il convalescenziario di Griffa sul lago maggiore trasferito nella seconda metà del ’44 all’ospedale campo dei fiori a Varese. Vi era inoltre il reparto ausiliarie della marchesa Wally Sandonnino. Mannelli sovrintendeva al servizio reclutamento costituito all’inizio da 40 uffici nell’Italia settentrionale. Il settore stampa curava la pubblicazione di “Avanguardia europea”, il settimanale che sarà l’organo di stampa ufficiale delle Waffen SS Italiane poi ridenominato semplicemente in “Avanguardia”. Il giornale aveva sede a Milano in Viale Monte Santo 3 e il 7 ottobre 1944 dalle sue pagine definì Himmler, tra gli ideatori dei campi di sterminio, “un grande europeo”. Sulla stessa rivista scrissero il teorico italiano del razzismo Giovanni Preziosi e Carlo Borsani. Poiché gran parte della documentazione riguardante le SS italiane è andata perduta, la collezione di Avanguardia è preziosa per seguirne la storia e conoscerne le spinte ideologiche ed i motivi ideali. Completava l’ispettorato l’ufficio personale che gestiva lo schedario con lo stato di servizio di tutti i volontari. I reparti operativi vanno distinti in unità combattenti e di riserva. Le prime erano inquadrate nella brigata divenuta nel aprile ’44 la “29° Waffen Granadier Brigate der SS”. Era un’unità di fanteria su due reggimenti, 81° e 82° SS, un reggimento di artiglieria, un battaglione di fucilieri, una compagnia pionieri, una compagnia trasmissioni, una compagnia complementi, e le unità di supporto per un totale all’aprile ’45 di 5.000 unità sulle 6.500 della legione. Le unità di riserva dipendevano da un apposito comando che gestiva l’inquadramento dei nuovi volontari. Esso controllava anche il deposito addestramento reclute di Cremona (che forniva l’addestramento base di 2 mesi ai nuovi volontari), il magazzino centrale della legione ed il poligono di Rodendo-Saiano (BS) che ospitava il battaglione addestramento (che forniva i due mesi di addestramento di reparto). Vi era infine il battaglione addestramento ufficiali con corsi secondo i parametri delle scuole ufficiali SS. Una sessantina di ufficiali subalterni italiani frequentò anche, da maggio a luglio ’44, un corso presso una scuola di fanteria meccanizzata in Boemia. Altri 30 ufficiali nello stesso periodo frequentarono corsi alle scuole SS delle varie armi. Lo stesso dicasi per alcune centinaia di sottufficiali nelle apposite scuole SS. In particolare gli ufficiali che frequentarono la scuola di Lauenburg furono gli unici volontari della legione ad avere il gruppo sanguigno tatuato sotto il braccio sinistro, come era prassi delle unità SS. Ciò comportò tutti i problemi relativi alla fine del conflitto. Oltre ad avere una divisione propria delle Waffen SS, molti altri italiani furono inquadrati in varie divisioni SS dopo l’8 settembre. Molti di loro ottennero il privilegio di portare le mostrine delle SS sin dall’inizio, a differenza dei loro camerati arruolati nella Waffen SS italiana. Circa 300 volontari vennero arruolati nella 1° divisione SS Lah subito dopo l’8 settembre, quando l’unità era dislocata in Italia. I tedeschi gradirono la presenza degli italiani nella divisione, soprattutto perché la maggior parte di loro venne utilizzata come autisti e meccanici per la manutenzione e l’utilizzo dei tanti automezzi di origine italiana sequestrati. Una volta in Ucraina, nel novembre 1943, gli italiani vennero utilizzati anche in prima linea, come forza combattente. Nel marzo 1944 una cinquantina di superstiti accettarono di rientrare in Italia per essere aggregati alla Legione SS italiana. I reduci del fronte russo della Lah ebbero il privilegio di continuare a portare le mostrine nere con la doppia runa delle SS. Un’altra cinquantina di italiani della Lah, vennero assegnati invece nella primavera del ’44 alla 12° divisione Hitler Jugend. Una decina di superstiti di quest’ultima fecero ritorno in Italia solo nel gennaio ’45. Anche nella 16° divisione SS Reichsfuhrer, che operò sul fronte italiano, vennero arruolati circa un centinaio di italiani nelle unità di supporto e amministrazione. In Grecia, la 4° divisione SS Polizei arruolò alcune centinaia di italiani della milizia e dell’esercito nell’area intorno a Volos. Inizialmente i volontari continuarono a portare l’uniforme italiana venendo impiegati principalmente nelle unità di supporto della divisione. La 2° compagnia di sanità della Polizei era composta interamente da autisti italiani. Gli appartenenti alla milizia vennero invece impiegati nei reparti combattenti: nel 7° reggimento Panzer Grenadier della divisione operò fino all’autunno del 1944 nell’area intorno a Larissa, un’intera compagnia di camicie nere (circa 180 uomini) denominata La Compagnia Camicie Nere L’Aquila. Con altre camicie nere venne organizzato un Gruppo d’artiglieria. In Jugoslavia, un migliaio di italiani vennero aggregati alla 7° divisione SS Prinz Eugen. Un altro centinaio di italiani, della divisione Lombardia ed in particolare del XXXI° battaglioni carri, finirono invece nella 11° divisione SS Nordland, mentre era dislocata in Croazia nel settembre 1943. La maggior parte degli italiani vennero impiegati nell’unità Panzer Abteilung, dal momento che erano stati sequestrati dalla divisione molti carri italiani. Nel dicembre ’43, quando la Nordland venne trasferita sul fronte russo, i volontari italiani vennero trasferiti in Italia. Circa 500 volontari italiani provenienti dai reparti dislocati in Francia dopo l’8 settembre, vennero arruolati nella 17° divisione SS Gotz Von Berlichingen, grazie all’attività propagandistica del cappellano militare Padre Eusebio. La divisione agli ordini dell’oberfuhrer Ostendorff era in corso di costituzione nei pressi di Tours. Così molti italiani si ritrovano con la divisa SS a combattere contro gli alleati in Normandia nel giugno 1944. La divisione perse la metà dei suoi effettivi durante i combattimenti: i volontari italiani, circa un centinaio, rientrarono in Italia, e vennero aggregati alla Legione SS italiana e al Reggimento delle Brigate Nere di Alessandro Pavolini. Anche nella 28° divisione SS Wallonie, del mitico Leon Degrelle, vennero impiegati un centinaio di volontari italiani. Si trattava per lo più di nostri connazionali che erano nati in Belgio o si trovavano lì per motivi di lavoro. Nel dicembre ’44 una cinquantina di essi, insieme con una decina di spagnoli, chiesero di poter essere trasferiti in Italia nella Legione SS italiana. Degrelle acconsentì e nel gennaio ’45 il gruppetto italo-spagnolo giunse a Rodendo-Saiano al battaglione di addestramento di Thaler. Un altro centinaio di volontari italiani già inquadrati nella Legione SS italiana, che vennero inviati a Praga per seguire un corso di specializzazione come Panzer Grenadier, vennero per l’evolversi degli eventi, inquadrati nella 10° divisione SS Frundsberg. La maggior parte di loro finì dispersa nei combattimenti sul fronte dell’Oder nel febbraio ’45. Le SS Italiane furono in conclusione composte da militari che accettarono di agire al comando di ufficiali germanici. Tutti i gradi più importanti erano tedeschi e gli stessi ordini per gli ufficiali superiori erano dati in lingua germanica. Le divise, a differenza delle SS tedesche, avranno inizialmente mostrine rosse e solo in seguito diverranno nere anche se per non tutti i reparti. I gradi erano ordinati secondo la gerarchia tedesca. Sui berretti e sugli elmetti erano presenti il tipico teschio d’argento e le due SS stilizzate. Unici segni distintivi erano un’aquila su un fascio littorio e verso la fine del ’44 il simbolo delle tre frecce incrociate racchiuse in un cerchio da portare sulla mostrina destra. Anche il giuramento aveva una forma particolare: le SS italiane infatti dichiaravano obbedienza ad Adolf Hitler. Eccone il testo: “ Davanti a Dio presto questo sacro giuramento: che nella lotta per la mia patria italiana contro i suoi nemici, sarò in maniera assoluta obbediente ad Adolf Hitler, supremo comandante dell’esercito tedesco, e quale soldato valoroso sarò pronto in ogni momento a dare la mia vita per questo giuramento”. Già alla fine di novembre, mentre le Forze Armate della Repubblica di Salò andavano ancora costituendosi, ben 13 battaglioni furono trasferiti nell’Italia Settentrionale con compiti di “sicurezza”. Tranne due battaglioni inviati a contrastare lo sbarco degli americani ad Anzio, le SS Italiane furono quasi esclusivamente impiegate dai tedeschi in operazioni di polizia e di lotta antipartigiana nelle regioni del Nord Italia. A Milano il I, II e III Battaglione, che formano il primo reggimento agli ordini del console De Maria. Il I Battaglione, comandato dal primo seniore Federigo Degli Oddi, è forte di 25 ufficiali, 99 sottufficiali e 568 soldati; il II comandato dal maggiore Vittorio Gori, conta 28 ufficiali, 100 sottufficiali e 573 soldati; il III, con a capo il tenente colonnello Giorleo, è composto da 25 ufficiali, 100 sottufficiali e 573 soldati. Completa il reggimento una Compagnia comando con 34 ufficiali, 34 sottufficiali e 339 soldati. A Torino il IV Battaglione del maggiore Ereno Giona, con 27 ufficiali, 56 sottufficiali e 617 soldati; A Bologna il V, comandato dal maggiore Giorgio Marzoli, forte di 31 ufficiali, 47 sottufficiali e 638 soldati; A Cuneo il VI, agli ordini del capitano Tullio Traverso e comprendente 30 ufficiali, 101 sottufficiali e 576 soldati; A Casale il VII, sotto il comando del maggiore Michele Nichelini, con 28 ufficiali, 85 sottufficiali e 576 soldati; A Como l’VIII comandato dal maggiore Carlo Pace e composto da 26 ufficiali, 100 sottufficiali e 573 soldati; A Lucca il IX, agli ordini del seniore Francesco Tognetti, forte di 30 ufficiali, 99 sottufficiali e 574 soldati; A Trieste il X, comandato dal seniore Valentino Fracasso, con un organico di 29 ufficiali, 96 sottufficiali e 384 soldati; Ad Aosta l’XI, sotto il comando del primo seniore Gilberto Fabris e una forza di 31 ufficiali, 72 sottufficiali e 371 soldati. A Ferrara il Battaglione Ufficiali, che funzionava come Scuola di perfezionamento, agli ordini del colonnello Luigi De Pietri Tonelli, con 634 ufficiali, 24 sottufficiali e 136 soldati. Un ultimo battaglione era infine composto da volontari ritenuti non idonei al combattimento venne perciò impiegato nelle retrovie. Lo Stato Maggiore della Waffen SS Italiana è a Vago (VR). Lo presiede il tenente colonnello Vittorio de Polis, agli ordini del quale si trovano 13 ufficiali, 24 sottufficiali e 136 soldati. Le Waffen-SS Italiane furono tra le prime truppe italiane a riprendere la guerra contro gli alleati. Il Battaglione Paracadutisti “Nembo” venne schierato a rinforzo del fronte di Nettuno ove subì il 70% delle perdite. Il 17 marzo 1944 fu spostato sul fronte di Nettuno anche il 1° Btl-Freiw. Waffen-SS-Vendetta. L’occasione per farsi valere si presentò nel Febbraio del 1944 quando il Battaglione Vendetta comandato dal Colonnello Carlo Federico degli Oddi venne inviato sul fronte di Anzio aggregato alla 715° divisione di fanteria tedesca e che resistette all’incedere del nemico per oltre 70 giorni perdendo 340 uomini su un totale di 650 componenti e meritandosi ben 22 Croci di Ferro. Il 27 aprile 1944 venne emanato l’ordine del giorno firmato da Karl Wolff che recitava: “Il comandante supremo delle SS ha disposto per ordine del Fuhrer la costituzione della 1° Brigata Italiana Granatieri SS (Waffen Granadier Brigate der SS). In base a questo la 1° Brigata d’Assalto porterà con effetto dal 27.04.1944 la suddetta denominazione. Ciò significa un riconoscimento del comandante supremo per l’attività svolta da ufficiali, sottufficiali e legionari”. Tutto ciò portò al permesso per i combattenti di Anzio e successivamente per tutti, di fregiarsi delle mostrine nere; sulla sinistra il grado mentre sulla destra un distintivo da designare (non era concesso portare le due rune che spettavano solo ai reparti tedeschi) e che fu creato successivamente: tre dardi incrociati. Purtroppo le gravi deficienze di materiali non consentirono il totale rinnovamento e molti legionari portarono fino al termine del conflitto le vecchie mostrine rosse. Inoltre, sulla manica sinistra venne cucito l’emblema nazionale: un’aquila con il fascio littorio. Nel mese di maggio entrò in azione sul fronte di Civitavecchia il Battaglione SS Italiane Debica, così chiamato dal luogo di addestramento in Polonia. Esso sostenne diversi scontri anche sulla linea difensiva tra Civitavecchia e Fiumicino. In seguito alla ritirata venne creato il Kampfgruppe Binz comandato dal Tenente Colonnello Franz Binz che raggruppò i due battaglioni e che risultò attivo successivamente nella lotta ai partigiani nel piacentino. Dall’agosto al novembre 1944 una grossa aliquota della Brigata venne impiegata in funzione antipartigiana in Piemonte dove, tra gli altri, morì in azione il comandante del Battaglione Debica, Capitano Dal Dosso. Il 1945 vide le ultime disperate operazione dei legionari che dai confini occidentali a quelli orientali cercarono di difendere l’integrità territoriale delle Repubblica combattendo in Valle d’Aosta unitamente a reparti di Brigate Nere e Guardie confinarie contro l’avanzata francese sostenuta dai partigiani, mentre sul fronte est impegnarono le preponderanti bande titine spalleggiate anche qui dai partigiani. E’ proprio questa la battaglia più disperata che venne combattuta; le SS cercarono di arginare l’avanzata nemica avvalendosi della collaborazione di numerosi reparti della X Flottiglia MAS e della Brigata tedesca Nordkaukasus. La sorte dei legionari fu assai triste; chi sopravvisse agli scontri, nella maggioranza dei casi venne infoibato. Il Kampfgruppe Binz continuò la lotta antipartigiana particolarmente in Val Trebbia insieme alla 162° Divisione Tedesca Turkistan e rimase separato dal resto delle SS. Si arrese solo agli anglo-americani il 30 aprile 1945. Solo alla fine del marzo ’45 le Waffen SS Italiane divennero la “29° Divisione volontari delle SS, 1° italiana”. Sarà anche l’ultima. Dopo l’8 settembre non tutti i soldati italiani svestirono la divisa per tornarsene a casa, sognando così la fine, almeno per loro, di quel lungo conflitto che già da oltre tre anni vedeva protagonista in prima linea l’Italia fascista prima, badogliana poi. Ci fu infatti chi rifiutando l’umiliante resa firmata dal Re e Badoglio entrò a far parte dei reparti tedeschi per continuare la guerra al fianco degli antichi alleati. Durante i primi tre anni della II guerra mondiale gli unici italiani ai quali fosse permesso di arruolarsi nelle formazioni tedesche, furono i sud tirolesi che avessero scelto il III Reich. Così dopo la firma dell’armistizio molti entrarono a far parte della Wermacht, l’esercito tedesco, altri scelsero le Waffen-SS. Nel corso del secondo conflitto mondiale le Waffen-SS, che si distinguevano dalle comuni SS per il fatto che esse rappresentavano delle unità combattenti d’élite, giunsero a contare ben 900 mila uomini distribuiti in 38 divisioni. Accanto ai reparti tedeschi si costituirono molte altre unità di diversa provenienza e nazionalità. Tra di essi, sul finire del 1943 si costituirono le Waffen-SS Italiane. Andiamo per fasi: tale formazione era solo parente delle Waffen SS nel senso che era inquadrata da personale SS ma armi e materiali erano della ordungspolizei. Ciò era evidenziato dall’assenza del nome SS e delle relative mostrine (rosse e senza rune). Solo a seguito del valoroso comportamento in battaglia ad Anzio degli uomini dell’Obersturmbannfuehrer Carlo Federigo Degli Oddi il ReichsFuehrer SS Himmler concesse ai volontari italiani di fregiarsi del titolo di SS effettive. Unica eccezione fu il battaglione “Debica” formatosi in Polonia nel novembre ’43 al comando del maggiore bersagliere Guido Fortunato e che, addestratosi in un poligono SS, venne da subito indicato come reparto SS. Gli appartenenti portarono sempre le mostrine nere e spesso, pur non autorizzati, le rune SS. Con la nascita delle unità armate SS tutti i volontari italiani portarono le mostrine nere. Nell’aprile ’45 a guerra quasi conclusa la forza totale della legione era di 6.500 uomini effettivi. La formazione di un corpo armato di SS Italiane fu caldeggiata da Mussolini fin dal suo arrivo in Germania, a metà del settembre ’43, dopo l’avvenuta liberazione dalla prigionia sul Gran Sasso. Il Duce illustrò il suo progetto a Rastenburg direttamente a Hitler che lo sottoscrisse delegandone a Himmler l’attuazione. Himmler, comandante delle SS, pur accettando molte delle condizioni poste da Mussolini, non si fidava del valore e della fedeltà delle nuove truppe, integrate da volontari reclutati nei campi di internamento della Germania (come per esempio il Battaglione Debica su trattato). Avrebbe concesso lo status di “Waffen SS” solamente con il valore dimostrato in combattimento. Quindi per la Milizia, poi 1° Brigata d’Assalto, non compariva la denominazione SS, né i volontari portavano le classiche mostrine nere bensì di colore rosso. Le prime unità delle SS Italiane furono addestrate in Germania a Musingen, dove alla metà di ottobre si trovavano già 13362 uomini arruolati tra volontari ed ex-internati nei campi tedeschi dopo l’8 settembre. Non era infatti ancora prevista, e non lo fu fino al gennaio 1944, alcuna misura di arruolamento in Italia. Il 1° febbraio ’44 ha ufficialmente inizio il reclutamento volontario in Italia per completare i reparti della Waffen SS che, oltre a contrastare i partigiani, avrebbero battersi al fronte contro gli angloamericani. A tale scopo era prevista una severa selezione per individuare gli uomini idonei a recarsi in Germania, per ricevere un addestramento di prim’ordine ad opera della Waffen SS di concerto con l’esercito tedesco. Ecco così che dal marzo 1944 entrano in funzione i centri d’arruolamento, che prevedono 29 uffici principali e 6 secondari. I principali sorgono a: Savona, Cuneo, Torino, Alessandria, Aosta, Novara, Como, Milano, Bergamo, Brescia, Verona, Mantova, Treviso, Padova, Bologna, Modena, Firenze, Forlì, Ancona, Macerata, Perugina, Viterbo, Grosseto, Siena, Pisa, Genova, Parma, Bolzano e Massa-Carrara; gli altri sei centri erano di stanza a: Cremona, Pavia, Pesaro, Roma, Varese e Venezia. I reparti avrebbero dovuto assumere il nome di Waffen-SS-Milizia Armata. In totale furono circa ventimila i volontari italiani che si posero al totale servizio della Germania. Infatti nel composito quadro delle Forze Armate della RSI, le SS Italiane costituirono un corpo a parte. Le SS Italiane sono poste agli ordini del generale di brigata Peter Hansen, provvisoriamente sostituito a causa di malattia (ottobre-dicembre ’43) dal colonnello Gustav Lombard. Al ritorno di Hansen, Lombard raggiunse la propria ottava divisione di cavalleria SS Floria Geyer sul fronte russo. Le unità dipendevano dal comandante Waffen SS in Italia, gruppenfuehrer Lothar Debes con sede a Calmiero nel veronese che a sua volta dipendeva dal obergrueppenfuehrer Karl Wolff, comandante supremo delle SS e della polizia tedesca in Italia. Al vertice della legione vi era l’ispettorato del generalmajor Pietro Mannelli (con funzione anche di ispettore arruolamenti) dell’SS oberfuehrer Erick Tschimpke (anche ispettore stampa e propaganda). Dall’ispettorato dipendeva il convalescenziario di Griffa sul lago maggiore trasferito nella seconda metà del ’44 all’ospedale campo dei fiori a Varese. Vi era inoltre il reparto ausiliarie della marchesa Wally Sandonnino. Mannelli sovrintendeva al servizio reclutamento costituito all’inizio da 40 uffici nell’Italia settentrionale. Il settore stampa curava la pubblicazione di “Avanguardia europea”, il settimanale che sarà l’organo di stampa ufficiale delle Waffen SS Italiane poi ridenominato semplicemente in “Avanguardia”. Il giornale aveva sede a Milano in Viale Monte Santo 3 e il 7 ottobre 1944 dalle sue pagine definì Himmler, tra gli ideatori dei campi di sterminio, “un grande europeo”. Sulla stessa rivista scrissero il teorico italiano del razzismo Giovanni Preziosi e Carlo Borsani. Poiché gran parte della documentazione riguardante le SS italiane è andata perduta, la collezione di Avanguardia è preziosa per seguirne la storia e conoscerne le spinte ideologiche ed i motivi ideali. Completava l’ispettorato l’ufficio personale che gestiva lo schedario con lo stato di servizio di tutti i volontari. I reparti operativi vanno distinti in unità combattenti e di riserva. Le prime erano inquadrate nella brigata divenuta nel aprile ’44 la “29° Waffen Granadier Brigate der SS”. Era un’unità di fanteria su due reggimenti, 81° e 82° SS, un reggimento di artiglieria, un battaglione di fucilieri, una compagnia pionieri, una compagnia trasmissioni, una compagnia complementi, e le unità di supporto per un totale all’aprile ’45 di 5.000 unità sulle 6.500 della legione. Le unità di riserva dipendevano da un apposito comando che gestiva l’inquadramento dei nuovi volontari. Esso controllava anche il deposito addestramento reclute di Cremona (che forniva l’addestramento base di 2 mesi ai nuovi volontari), il magazzino centrale della legione ed il poligono di Rodendo-Saiano (BS) che ospitava il battaglione addestramento (che forniva i due mesi di addestramento di reparto). Vi era infine il battaglione addestramento ufficiali con corsi secondo i parametri delle scuole ufficiali SS. Una sessantina di ufficiali subalterni italiani frequentò anche, da maggio a luglio ’44, un corso presso una scuola di fanteria meccanizzata in Boemia. Altri 30 ufficiali nello stesso periodo frequentarono corsi alle scuole SS delle varie armi. Lo stesso dicasi per alcune centinaia di sottufficiali nelle apposite scuole SS. In particolare gli ufficiali che frequentarono la scuola di Lauenburg furono gli unici volontari della legione ad avere il gruppo sanguigno tatuato sotto il braccio sinistro, come era prassi delle unità SS. Ciò comportò tutti i problemi relativi alla fine del conflitto. Oltre ad avere una divisione propria delle Waffen SS, molti altri italiani furono inquadrati in varie divisioni SS dopo l’8 settembre. Molti di loro ottennero il privilegio di portare le mostrine delle SS sin dall’inizio, a differenza dei loro camerati arruolati nella Waffen SS italiana. Circa 300 volontari vennero arruolati nella 1° divisione SS Lah subito dopo l’8 settembre, quando l’unità era dislocata in Italia. I tedeschi gradirono la presenza degli italiani nella divisione, soprattutto perché la maggior parte di loro venne utilizzata come autisti e meccanici per la manutenzione e l’utilizzo dei tanti automezzi di origine italiana sequestrati. Una volta in Ucraina, nel novembre 1943, gli italiani vennero utilizzati anche in prima linea, come forza combattente. Nel marzo 1944 una cinquantina di superstiti accettarono di rientrare in Italia per essere aggregati alla Legione SS italiana. I reduci del fronte russo della Lah ebbero il privilegio di continuare a portare le mostrine nere con la doppia runa delle SS. Un’altra cinquantina di italiani della Lah, vennero assegnati invece nella primavera del ’44 alla 12° divisione Hitler Jugend. Una decina di superstiti di quest’ultima fecero ritorno in Italia solo nel gennaio ’45. Anche nella 16° divisione SS Reichsfuhrer, che operò sul fronte italiano, vennero arruolati circa un centinaio di italiani nelle unità di supporto e amministrazione. In Grecia, la 4° divisione SS Polizei arruolò alcune centinaia di italiani della milizia e dell’esercito nell’area intorno a Volos. Inizialmente i volontari continuarono a portare l’uniforme italiana venendo impiegati principalmente nelle unità di supporto della divisione. La 2° compagnia di sanità della Polizei era composta interamente da autisti italiani. Gli appartenenti alla milizia vennero invece impiegati nei reparti combattenti: nel 7° reggimento Panzer Grenadier della divisione operò fino all’autunno del 1944 nell’area intorno a Larissa, un’intera compagnia di camicie nere (circa 180 uomini) denominata La Compagnia Camicie Nere L’Aquila. Con altre camicie nere venne organizzato un Gruppo d’artiglieria. In Jugoslavia, un migliaio di italiani vennero aggregati alla 7° divisione SS Prinz Eugen. Un altro centinaio di italiani, della divisione Lombardia ed in particolare del XXXI° battaglioni carri, finirono invece nella 11° divisione SS Nordland, mentre era dislocata in Croazia nel settembre 1943. La maggior parte degli italiani vennero impiegati nell’unità Panzer Abteilung, dal momento che erano stati sequestrati dalla divisione molti carri italiani. Nel dicembre ’43, quando la Nordland venne trasferita sul fronte russo, i volontari italiani vennero trasferiti in Italia. Circa 500 volontari italiani provenienti dai reparti dislocati in Francia dopo l’8 settembre, vennero arruolati nella 17° divisione SS Gotz Von Berlichingen, grazie all’attività propagandistica del cappellano militare Padre Eusebio. La divisione agli ordini dell’oberfuhrer Ostendorff era in corso di costituzione nei pressi di Tours. Così molti italiani si ritrovano con la divisa SS a combattere contro gli alleati in Normandia nel giugno 1944. La divisione perse la metà dei suoi effettivi durante i combattimenti: i volontari italiani, circa un centinaio, rientrarono in Italia, e vennero aggregati alla Legione SS italiana e al Reggimento delle Brigate Nere di Alessandro Pavolini. Anche nella 28° divisione SS Wallonie, del mitico Leon Degrelle, vennero impiegati un centinaio di volontari italiani. Si trattava per lo più di nostri connazionali che erano nati in Belgio o si trovavano lì per motivi di lavoro. Nel dicembre ’44 una cinquantina di essi, insieme con una decina di spagnoli, chiesero di poter essere trasferiti in Italia nella Legione SS italiana. Degrelle acconsentì e nel gennaio ’45 il gruppetto italo-spagnolo giunse a Rodendo-Saiano al battaglione di addestramento di Thaler. Un altro centinaio di volontari italiani già inquadrati nella Legione SS italiana, che vennero inviati a Praga per seguire un corso di specializzazione come Panzer Grenadier, vennero per l’evolversi degli eventi, inquadrati nella 10° divisione SS Frundsberg. La maggior parte di loro finì dispersa nei combattimenti sul fronte dell’Oder nel febbraio ’45. Le SS Italiane furono in conclusione composte da militari che accettarono di agire al comando di ufficiali germanici. Tutti i gradi più importanti erano tedeschi e gli stessi ordini per gli ufficiali superiori erano dati in lingua germanica. Le divise, a differenza delle SS tedesche, avranno inizialmente mostrine rosse e solo in seguito diverranno nere anche se per non tutti i reparti. I gradi erano ordinati secondo la gerarchia tedesca. Sui berretti e sugli elmetti erano presenti il tipico teschio d’argento e le due SS stilizzate. Unici segni distintivi erano un’aquila su un fascio littorio e verso la fine del ’44 il simbolo delle tre frecce incrociate racchiuse in un cerchio da portare sulla mostrina destra. Anche il giuramento aveva una forma particolare: le SS italiane infatti dichiaravano obbedienza ad Adolf Hitler. Eccone il testo: “ Davanti a Dio presto questo sacro giuramento: che nella lotta per la mia patria italiana contro i suoi nemici, sarò in maniera assoluta obbediente ad Adolf Hitler, supremo comandante dell’esercito tedesco, e quale soldato valoroso sarò pronto in ogni momento a dare la mia vita per questo giuramento”. Già alla fine di novembre, mentre le Forze Armate della Repubblica di Salò andavano ancora costituendosi, ben 13 battaglioni furono trasferiti nell’Italia Settentrionale con compiti di “sicurezza”. Tranne due battaglioni inviati a contrastare lo sbarco degli americani ad Anzio, le SS Italiane furono quasi esclusivamente impiegate dai tedeschi in operazioni di polizia e di lotta antipartigiana nelle regioni del Nord Italia. A Milano il I, II e III Battaglione, che formano il primo reggimento agli ordini del console De Maria. Il I Battaglione, comandato dal primo seniore Federigo Degli Oddi, è forte di 25 ufficiali, 99 sottufficiali e 568 soldati; il II comandato dal maggiore Vittorio Gori, conta 28 ufficiali, 100 sottufficiali e 573 soldati; il III, con a capo il tenente colonnello Giorleo, è composto da 25 ufficiali, 100 sottufficiali e 573 soldati. Completa il reggimento una Compagnia comando con 34 ufficiali, 34 sottufficiali e 339 soldati. A Torino il IV Battaglione del maggiore Ereno Giona, con 27 ufficiali, 56 sottufficiali e 617 soldati; A Bologna il V, comandato dal maggiore Giorgio Marzoli, forte di 31 ufficiali, 47 sottufficiali e 638 soldati; A Cuneo il VI, agli ordini del capitano Tullio Traverso e comprendente 30 ufficiali, 101 sottufficiali e 576 soldati; A Casale il VII, sotto il comando del maggiore Michele Nichelini, con 28 ufficiali, 85 sottufficiali e 576 soldati; A Como l’VIII comandato dal maggiore Carlo Pace e composto da 26 ufficiali, 100 sottufficiali e 573 soldati; A Lucca il IX, agli ordini del seniore Francesco Tognetti, forte di 30 ufficiali, 99 sottufficiali e 574 soldati; A Trieste il X, comandato dal seniore Valentino Fracasso, con un organico di 29 ufficiali, 96 sottufficiali e 384 soldati; Ad Aosta l’XI, sotto il comando del primo seniore Gilberto Fabris e una forza di 31 ufficiali, 72 sottufficiali e 371 soldati. A Ferrara il Battaglione Ufficiali, che funzionava come Scuola di perfezionamento, agli ordini del colonnello Luigi De Pietri Tonelli, con 634 ufficiali, 24 sottufficiali e 136 soldati. Un ultimo battaglione era infine composto da volontari ritenuti non idonei al combattimento venne perciò impiegato nelle retrovie. Lo Stato Maggiore della Waffen SS Italiana è a Vago (VR). Lo presiede il tenente colonnello Vittorio de Polis, agli ordini del quale si trovano 13 ufficiali, 24 sottufficiali e 136 soldati. Le Waffen-SS Italiane furono tra le prime truppe italiane a riprendere la guerra contro gli alleati. Il Battaglione Paracadutisti “Nembo” venne schierato a rinforzo del fronte di Nettuno ove subì il 70% delle perdite. Il 17 marzo 1944 fu spostato sul fronte di Nettuno anche il 1° Btl-Freiw. Waffen-SS-Vendetta. L’occasione per farsi valere si presentò nel Febbraio del 1944 quando il Battaglione Vendetta comandato dal Colonnello Carlo Federico degli Oddi venne inviato sul fronte di Anzio aggregato alla 715° divisione di fanteria tedesca e che resistette all’incedere del nemico per oltre 70 giorni perdendo 340 uomini su un totale di 650 componenti e meritandosi ben 22 Croci di Ferro. Il 27 aprile 1944 venne emanato l’ordine del giorno firmato da Karl Wolff che recitava: “Il comandante supremo delle SS ha disposto per ordine del Fuhrer la costituzione della 1° Brigata Italiana Granatieri SS (Waffen Granadier Brigate der SS). In base a questo la 1° Brigata d’Assalto porterà con effetto dal 27.04.1944 la suddetta denominazione. Ciò significa un riconoscimento del comandante supremo per l’attività svolta da ufficiali, sottufficiali e legionari”. Tutto ciò portò al permesso per i combattenti di Anzio e successivamente per tutti, di fregiarsi delle mostrine nere; sulla sinistra il grado mentre sulla destra un distintivo da designare (non era concesso portare le due rune che spettavano solo ai reparti tedeschi) e che fu creato successivamente: tre dardi incrociati. Purtroppo le gravi deficienze di materiali non consentirono il totale rinnovamento e molti legionari portarono fino al termine del conflitto le vecchie mostrine rosse. Inoltre, sulla manica sinistra venne cucito l’emblema nazionale: un’aquila con il fascio littorio. Nel mese di maggio entrò in azione sul fronte di Civitavecchia il Battaglione SS Italiane Debica, così chiamato dal luogo di addestramento in Polonia. Esso sostenne diversi scontri anche sulla linea difensiva tra Civitavecchia e Fiumicino. In seguito alla ritirata venne creato il Kampfgruppe Binz comandato dal Tenente Colonnello Franz Binz che raggruppò i due battaglioni e che risultò attivo successivamente nella lotta ai partigiani nel piacentino. Dall’agosto al novembre 1944 una grossa aliquota della Brigata venne impiegata in funzione antipartigiana in Piemonte dove, tra gli altri, morì in azione il comandante del Battaglione Debica, Capitano Dal Dosso. Il 1945 vide le ultime disperate operazione dei legionari che dai confini occidentali a quelli orientali cercarono di difendere l’integrità territoriale delle Repubblica combattendo in Valle d’Aosta unitamente a reparti di Brigate Nere e Guardie confinarie contro l’avanzata francese sostenuta dai partigiani, mentre sul fronte est impegnarono le preponderanti bande titine spalleggiate anche qui dai partigiani. E’ proprio questa la battaglia più disperata che venne combattuta; le SS cercarono di arginare l’avanzata nemica avvalendosi della collaborazione di numerosi reparti della X Flottiglia MAS e della Brigata tedesca Nordkaukasus. La sorte dei legionari fu assai triste; chi sopravvisse agli scontri, nella maggioranza dei casi venne infoibato. Il Kampfgruppe Binz continuò la lotta antipartigiana particolarmente in Val Trebbia insieme alla 162° Divisione Tedesca Turkistan e rimase separato dal resto delle SS. Si arrese solo agli anglo-americani il 30 aprile 1945. Solo alla fine del marzo ’45 le Waffen SS Italiane divennero la “29° Divisione volontari delle SS, 1° italiana”. Sarà anche l’ultima.
Posted on: Thu, 08 Aug 2013 07:39:06 +0000

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