Era un caldo pomeriggio d’estate su in paese. Indossavo un - TopicsExpress



          

Era un caldo pomeriggio d’estate su in paese. Indossavo un vestito a fiori che mia nonna aveva cucito per me e mi sentivo alquanto a disagio fuori dalla porta del comune. Gli invitati cominciavano ad entrare e io ero appoggiata alla ringhiera con una sigaretta in mano, più intenta a guardarla bruciare che a fumarla. Dovevo sembrare assorta in chissà quali pensieri, in realtà non pensavo proprio a nulla, ero semplicemente annoiata. Di tanto in tanto alzavo lo sguardo per squadrare chi entrava a prendere posto in attesa del matrimonio. Uomini e donne di mezza età con i pargoletti al seguito, tutti vestiti a festa. La mia espressione torva doveva stonare molto con il mio abbigliamento dal momento che tutti mi lanciavano occhiate inquisitorie, come a dire: “Che cazzo stai a fa qua?!”. Vorrei saper rispondere. Ero al matrimonio di una specie di zio, cugino, comunque, di una persona che non avevo mai visto nella mia vita, di cui anzi, non sapevo neppure l’esistenza. Stavo facendo un favore a mia nonna, la madre di mio padre e Dio solo sa quanto mi pesasse quel favore, di sabato sera. No anzi, Dio non lo sa, Dio non esiste, ma questa è un’altra storia. In ogni caso, il vento aveva quasi finito di fumare la mia sigaretta e io stavo pregando che finisse prima dell’arrivo di mio padre. Mi guardavo intorno nervosamente, facendo scattare il collo di là e di qua, con gli occhi torvi e spenti. Improvvisamente il mio collo indugiò per più di qualche secondo su una figura. Non era uno degli invitati, non poteva esserlo: indossava dei jeans troppo larghi e una maglietta sportiva e quelle scarpette enormi che Dio solo sa come fanno a piacergli, cioè Dio lo saprebbe se esistesse, ma comunque. Era lui non avevo dubbi, non appena lo realizzai abbassai lo sguardo fissandomi le zeppe nuove. Carine, pagate forse un po’ troppo. Il battito del mio cuore accelerò a tal punto che ebbi il fiatone per qualche minuto, le braccia cominciarono a perdere consistenza, mi sentivo debole e leggera. Le mani tremarono e la sigaretta cadde sull’erba. Mi abbassai per raccoglierla: non volevo sporcare quel giardino così artificialmente perfetto, né dargli fuoco. Così mi accovacciai e goffamente recuperai il mozzicone tra i cespugli. Dovetti rimanere in quella posizione per quasi un minuto. Sempre accovacciata a terra come una bambina che gioca con la sabbia voltai la testa e notai delle dannate scarpe enormi a fianco delle mie. Alzai lo sguardo e notai che quel testa di cazzo mi stava fissando e rideva. Cosa ridi?! Cosa diavolo ridi?! Lo fissai storto per tre secondi, ma penso che anche lui si accorse che a stento riuscivo a trattenermi dal sorridere. Dio quanto erano perfetti quei denti. Per essere atea invoco Dio anche troppo spesso. Comunque, dicevo, i denti. Bianchi, dritti, luminosi, risaltavano sulla pelle scura. Mi mordicchiai il labbro inferiore tentando di frenare l’agitazione che avevo nel cuore e nello stomaco e, a dirla tutta, anche in un posto un po’ più in basso dello stomaco, proprio lì, in mezzo alle mie cosce grassottelle. Gli avrei strappato quella stupida maglia di dosso solo per toccare la sua pelle. In realtà non sapevo come la sua pelle sotto la maglietta fosse, non l’avevo mai visto senza i soliti vestiti addosso, ma il mio sesto senso mi suggeriva che quello che non avevo mai visto mi sarebbe piaciuto. Tutto quanto. Trattenni a stento un gemito e mi rialzai, sempre goffamente. Non avevamo ancora aperto bocca quando disse semplicemente: “Vali”. Voce calma, rilassata, pacata. Non rideva, non sorrideva nemmeno, ma si sentiva che gli piaceva quella parola. Gli riempiva la bocca. Come a me piaceva il suo di nome, per intero però. Così inclinai la testa di lato fissandolo negli occhi - dannati occhi marroni - ed esclamai aggrottando le sopracciglia: “Michele”. Lo fissai per un attimo, riascoltai il suono di quel nome. Michele, esisteva forse nome più bello del suo? Ogni volta che lo leggevo, che lo sentivo, che lo pensavo, avevo i brividi. Non necessariamente perché pensavo a lui. Era quella parola a farmi venire i brividi. Quelle lettere, non lo so, mi facevano sentire al mare, seduta sugli scogli. E c’era odore di salsedine. E di pioggia. Dio se non amo l’odore di pioggia. Il mio smarrimento nei suoi occhi castani durò qualche frazione di secondo, poi mi fissai le scarpe senza arrossire: “Che stai facendo qua, alle cinque di pomeriggio, da solo?”. “Mi stai dando dello sfigato forse?”. Dio quanto è permaloso. “Smettila di fare la vittima, sto dicendo solo che io non sarei mai uscita con questo caldo senza un’ottima ragione per farlo”. “Magari io un’ottima ragione ce l’ho”. “Eh, infatti mi stavo chiedendo quale questa ragione fosse, ma immagino che sarà una delle tante cose di cui preferisci non parlarmi”. Mentii. Finiva sempre per dirmi tutto. Funzionava così tra di noi. Io mi impicciavo, lui si metteva sulla difensiva come se dovesse gelosamente custodire un segreto, io da buona amica gli concedevo i suoi spazi e finiva per vuotare il sacco. Sembravamo due cretini. Ogni volta eravamo coscienti del fatto che non saremmo riusciti a tenerci i nostri segreti per noi, ma andavamo avanti con questi modi da quando ci conoscevamo. Era più forte di noi. Avremmo voluto comportarci come i due meri conoscenti che eravamo e invece finivamo per essere dei libri aperti l’uno per l’altra come i più vecchi degli amici. Inevitabile, incontrollabile. Qualcosa più grande di noi. Chimica, dico io. Dio, dice lui. Non credo in Dio, non lo farò mai, è qualcosa che trascende la mia natura. Pensare di poter credere in Dio sarebbe come credere alla fatina dei denti. Le poche volte in cui ho provato a pregare mi sono sentita come se stessi parlando da sola. Non ho nulla contro chi crede in Dio - o forse si, ma comunque - è solo che non fa per me. Tuttavia, Michele quasi mi convincerebbe a dargli una possibilità a questo fantomatico essere superiore, tanto è convinto della sua esistenza, tanto crede nei principi che avrebbe dettato a degli uomini in sogno..ok no, non ci crederò mai. Ma mi piace che lui ci creda e che si comporti di conseguenza. E’ una persona coerente in questo. Come previsto iniziò a parlare senza che io gli chiedessi nulla: “No in realtà un’ottima ragione per uscire non ce l’avevo, mi stavo semplicemente frantumando le palle a casa e volevo vedere se c’era qualcuno in giro, ma non c’è nessuno”. Ah, beh, grazie. “Quindi io sarei nessuno?” replicai offesa - no, non è vero, non ero offesa, sapevo che lo faceva per stuzzicarmi. “No. Mi serviva qualcuno con cui passare il pomeriggio, non posso mica passarlo con te”. Asdfghjkl. Certo che potresti brutto mongoloide. CERTO CHE POTRESTI. Mantenni la calma anche se probabilmente notò dal mio sguardo che lo stavo lentamente scuoiando vivo. “No beh certo, capisco, non sono una grande compagnia”. Rise, dal nervosismo. Ma rise. E io potevo anche morire in quel momento. Dovevo fare qualcosa per farlo smettere di ridere, altrimenti sarei potuta scoppiare a piangere, io. Mi dispiace esclamai per rompere la sua ilarità. Aggrottò le sopracciglia e fissò le labbra che avevano appena pronunciato quelle due parole come se avessero vita propria, poi strizzò gli occhi per il sole e mi fissò come a chiedermi spiegazioni per qualcosa che avesse detto un’altra persona e per tutta risposta io feci le spallucce come se quelle parole non fossero uscite dalla mia bocca. Mi dispiace ripetei. Abbassai la testa storcendo la bocca e lo guardai di sottecchi con gli occhi da cane bastonato. Credimi Michele, ti prego, credimi. Lo so che mi credi. Ma dimmelo che mi credi ti prego dimmelo. Ti dispiace di cosa?. Oddio gli uomini. Sono stupidi tanto quanto sono bravi a fingere di esserlo. Di aver rovinato tutto, con te, dovevo lasciare le cose com’erano. Stavamo bene, entrambi. Ci facevamo bene. Non hai rovinato niente con me Vali. Oddio non mi chiamare per nome, oddio. Vali ascolta hai fatto bene, sono contento che tu sia stata sincera, mi dispiace che sia andata così, ma non avere rimpianti, io ti voglio bene, non cambierà niente. La fai facile. Io vorrei cambiasse tutto. Si Michele, non cambierà niente. Mi voltai e me ne andai.
Posted on: Wed, 16 Oct 2013 21:56:53 +0000

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