Fatemi sapere se volete il continuo... Capitolo 2 Primo - TopicsExpress



          

Fatemi sapere se volete il continuo... Capitolo 2 Primo sopralluogo e primi sospettati La macchina si fermò di fronte ad un edificio di un colore grigio cupo. “Siamo arrivati” fece cenno l’investigatore Galindo, scendendo e dirigendosi verso l’entrata. Leon fece una corsa per stargli dietro tanto si muoveva velocemente. I due arrivarono all’entrata dove si trovavano due colleghi di lavoro. “Possiamo passare, siamo Pablo Galindo e quello è il mio assistente” esclamò Pablo, mostrando un distintivo che teneva in tasca. Si ritrovarono in un corridoio freddo e poco illuminato. Di fronte a una porta un altro agente di Scotland Yard stava sorvegliando l’ingresso. “E’ qui?” chiese Leon, trepidante. Pablo annuì, facendo segno alla guardia di scostarsi. Una stanza dai colori cupi si presentò a loro. Era molto semplice e non troppo grande, con una pianta di forma quadrata. Non appena entrati sulla sinistra era appeso un grande ritratto di quello che doveva essere il preside della scuola, Gregorio Garcia, un uomo sulla quarantina con pochi capelli castani e un ghigno malefico. Di fronte a loro una libreria con numerosi scaffali pieni di enormi volumi era rimasta intatta. Al centro vi era una scrivania con alcune scartoffie e effetti personali, tra cui una foto in bianco e nero del preside da giovane che sorrideva insieme a una bambina. E sarebbe sembrato tutto normale se solo seduto sulla sedia dietro la scrivania non vi fosse un cadavere, il cadavere di Gregorio Garcia. Pablo non perse tempo e cominciò a ispezionare la stanza in silenzio. Il corpo, che non era stato mosso prima dell’arrivo dell’investigatore, sembrava ancora intento a fare quello che stava facendo prima di essere ucciso. Teneva in mano una penna e stava scrivendo una sorta di lettera su un foglio bianco; “Signor Galindo!” lo chiamò Leon, dopo essersi avvicinato. “Legga…” disse piano, indicando il foglio sulla scrivania: ‘She is come from Italy for me and…’ ma non era riuscito ad andare avanti, era stato ucciso prima di poter dare informazioni su questa misteriosa donna venuta dall’Italia per lui. Una macchia di sangue era caduta sulla lettera. “Potrebbe essere un indizio, no?” chiese il ragazzo esultante. Il suo primo indizio. Sicuramente doveva avere una qualche importanza, e l’aveva trovato proprio lui! “Certo, potrebbe, come potrebbe non esserlo” disse pacatamente l’investigatore. Leon si sentì smontato in cinque minuti e sbuffò leggermente cercando di non farsi sentire. Pablo si avvicinò al corpo e diede un’occhiata: “Un colpo dritto al cranio”. Il medico di Scotland Yard si avvicinò e annuì: “Esattamente, un colpo preciso e diretto. Per altri dettagli deve aspettare le analisi”. Pablo si avvicinò ancora di più con una bustina di plastica, prese una piccola pinza ed estrasse un sottile filamento nero dal foro provocato dallo sparo. “Interessante…” borbottò Pablo. “Guardi qui” disse Leon, aprendo l’armadio vicino alla libreria: dentro vi erano numerosi foulard di vari colori e cappotti tutti grigi. “Aveva il guardaroba nello studio!” disse il ragazzo con una risata. “Ma quel filamento, potrebbe essere un capello?” chiese poi alla vista dell’indizio trovato dal suo capo. “Certo, un capello…” rispose Galindo senza prestargli troppa attenzione e studiando gli indumenti del preside. “Chi ha ritrovato il corpo?” chiese poi ad un agente entrato per controllare come stessero procedendo le indagini. “Un certo Diego Hatter, uno studente dell’Accademia, detta anche Studio 21” rispose prontamente alla domanda il collega. “L’omicidio dovrebbe essere avvenuto ieri nel pomeriggio, prima dell’inizio delle lezioni, direi quasi con sicurezza tra le 14 e le 16” spiegò il medico, riprendendo tutto i suoi strumenti e riponendoli a posto. “Possibile che nessuno abbia ritrovato il corpo, prima di stamattina?” si intromise Leon, spazientito. “Ne abbiamo parlato con gli insegnanti. Solitamente Gregorio non si faceva vedere da nessuno, entrava nel suo studio e rimaneva fino a sera, era lui che chiudeva la struttura” disse l’agente, guardando dall’alto in basso quel giovane irascibile. “L’anno scolastico è cominciato proprio ieri se non sbaglio” sussurrò l’investigatore, facendo un giro di ricognizione per la stanza e notando la finestra che si affacciava sul giardino nel retro dello Studio. “Già; due nuove insegnanti sono state assunte: l’insegnante di ballo, di nome Jackie Golder, e l’insegnante di canto, Angie Frently. Se vuole le faccio avere un elenco di tutti gli studenti del nuovo anno, con sottolineati quelli iscritti quest’anno” disse l’agente. “Bene, perfetto, grazie mille” disse Pablo, continuando a dare un’occhiata in giro. La sua attenzione fu catturata da una tazzina blu in porcellana con dei resti di caffè. Prese la tazzina con i guanti e la mise dentro una delle bustine in plastica, poi girandosi fece per andarsene. “Tutto qui?” chiese deluso Leon. Solo quella misera manciata di indizi non avrebbe portato da nessuna parte. “Al contrario, signor Vargas, questo è solo l’inizio” rispose Pablo con fare misterioso. “Da dove cominciamo con gli interrogatori?” chiese Leon in macchina. “Ho preso una lista di tutti quelli che sono stati visti tra le 14 e le 16 in quella scuola. Sono studenti che alle 16 avrebbero avuto lezione. E poi dobbiamo rivolgere domande anche a tutti gli insegnanti” rispose l’investigatore di Scotland Yard, già assorto nei suoi pensieri. “Bene questa è la villa degli Hatter, interroghiamo prima di tutto chi ha ritrovato il cadavere” disse Pablo, mentre Leon prese in fretta e furia una penna e tirò fuori il taccuino. I due arrivarono all’ingresso, con un Leon che guardava a bocca aperta in giro: quello era il quartiere ricco della città. Quando suonarono il campanello all’ingresso aprì una cameriera con una cuffia bianca all’antica intorno ai capelli corti e scuri. “Cercate?” disse la donna con i suoi occhietti vispi e ravvicinati. “Diego Hatter, se è possibile, signorina” parlò Pablo, togliendosi il cappello e facendo un mezzo inchino. La domestica fece un sorrisetto al termine ‘signorina’ e li fece accomodare nel salone. Leon notò che la sala d’ingresso era grande quanto il suo appartamento, e la cosa lo mise molto a disagio. Tutt’intorno vi erano quadri con antenati in pose importanti. Dopo aver attraversato questo luogo un po’ oscuro vennero fatti accomodare in un salottino dove invece la luce entrava con prepotenza dalle ampie vetrate. Si sedettero su un divanetto di un rosso acceso, vicino al caminetto utilizzato per l’inverno. Dopo qualche minuto la cameriera rientrò per annunciare l’arrivo del signorino Diego, il quale entrò svogliatamente e si lasciò cadere su una poltroncina dello stesso colore rosso del divanetto. In mano aveva una statuetta di bronzo che ritraeva probabilmente un qualche suo parente, e ci stava giocherellando assumendo un’espressione annoiata. Ecco quello che Leon avrebbe definito ragazzo viziato; lo poteva sentire a pelle, e non era quell’abito elegante a dargliene l’impressione, non era nemmeno quello sguardo di superiorità che assumeva nei loro confronti, neanche il suo modo di toccarsi i capelli, sicuro del suo fascino. No, niente di tutto questo. Semplicemente era il suo atteggiamento di chi aveva passato una mattinata nella noia più totale, nonostante vi fosse stato un omicidio. Sembrava che la cosa non lo avesse turbato nemmeno un po’. Diego fece uno sbadiglio e poi cominciò a parlare: “Spero che il motivo per cui siate qua sia importante, ho una giornata molto piena”. Anche la sua voce era insopportabile; quella era proprio un’antipatia a pelle, e anche reciproca a quanto pareva perché lo guardò con disgusto e odio. “Faccio parte della polizia di Scotland Yard, e sono qui per rivolgerle alcune domande; è lei che ha ritrovato il corpo di Gregorio Garcia, giusto?” cominciò a parlare il signor Galindo, mentre Leon non si perdeva neppure una parola e la appuntava in fretta. “Il preside odiato da tutti, certo” assentì Diego, prendendo una sigaretta e accendendola con un accendino d’argento, dopo aver posato la statuetta su un tavolino in legno di ciliegio lì vicino. “In che senso, scusi?” chiese Pablo, incuriosito da quell’affermazione. “Andiamo, mi vuole far credere che non sapeva nulla di Gregorio? Era un notevole ficcanaso e ricattatore, non mi stupisce che prima o poi qualcuno avesse deciso di farlo fuori” spiegò il ragazzo, facendo una lunga tirata. Una voluta di fumo si disperse per la stanza, attraendo per un po’ lo sguardo del giovane che la vide lentamente scomparire. “E lei come fa a saperlo?” chiese Leon d’impulso. L’investigatore lo zittì con un’occhiataccia e poi riprese: “E lei come fa a saperlo?”. A Leon scappò un sorrisetto complice e continuò a scrivere. “Conoscenze. Frequentando il mio ambiente, sa non si può dire che siamo eccessivamente puliti, ma allo stesso tempo non vogliamo rimetterci la reputazione, capisce cosa intendo” spiegò meglio il ragazzo. “Torni a parlarci di quando ha trovato il cadavere” lo interruppe Pablo, non volendo sapere oltre. “Una mia compagna di classe mi ha detto che Gregorio mi stava cercando, io sono andato nel suo Studio, erano circa le 15 e 40, stavano per iniziare le lezioni, infatti mi sono molto sorpreso di quella chiamata. Comunque ho bussato e sono entrato, e ho trovato il corpo” continuò Diego. “Bene, ci sa dire il nome di chi l’avrebbe avvertita che Gregorio la stava cercando?” chiese l’investigatore. Momento di silenzio. “Natalia Herdier” disse infine il ragazzo molto tranquillamente. “Grazie mille per ora può bastare” disse Pablo, alzandosi di colpo. Leon si alzò anche lui di botto e rivolse un saluto freddo al loro primo sospettato. “E’ lui il colpevole” esclamò Leon, non appena furono usciti dalla casa. “E in che modo sei arrivato a queste conclusioni?” chiese l’uomo divertito. “Mi ascolti…Gregorio aveva scoperto qualcosa di poco pulito sul conto di Diego, lui è entrato nel suo studio e l’ha ucciso” spiegò Leon molto sbrigativamente. “Un po’ semplicistica come soluzione…non crede?” disse Pablo ridendo. Leon sbuffò rassegnato, poi recuperò il contegno: “Dove andiamo ora?”. “Vorrei andare a parlare con la signorina Natalia, per confermare le parole di Diego” spiegò brevemente prima di entrare in macchina, ma poi rimase fermo incantato. “Che le prende?” chiese l’assistente, che era già salito in macchina. “Niente…stavo pensando che la pistola, ossia l’arma del delitto, non è stata ritrovata e questo già di per sé è strano. Ma c’è un’altra cosa che non capisco: come mai nessuno ha sentito lo sparo?” rifletté attentamente l’investigatore. “Forse le pareti sono spesse, per questo…” azzardò Leon. “Forse ha ragione, chissà…c’è qualcosa che non mi convince in questo delitto, è come se mancasse un frammento importante” disse Pablo, prima di mettere in moto e dirigersi all’appartamento degli Herdier. “Siamo arrivati” lo avvisò Pablo, accostandosi e parcheggiando. Una palazzina antica molto grande dal classico colore grigiastro si stagliava di fronte a loro in tutta la sua imponenza. “Bene, andiamo…” parlò Galindo, entrando e preparandosi mentalmente a fare migliaia di scalini. “Odio le vecchie palazzine” borbottò Leon con il fiatone. “Lasciamo…stare” disse Pablo, anche lui con il respiro corto. Finalmente arrivarono di fronte a una porta di legno con la scritta Herdier in bronzo. I due bussarono con una certa esitazione: aprì la porta una ragazza bionda dall’aria furba e lo sguardo cattivo. Una di quelle tipiche persone che vogliono il mondo ai loro piedi, non gli importa come e quando. “Salve, cosa posso fare per lei?” chiese la ragazza, fissando Leon con un certo interesse. “E’ lei Natalia Herdier?” chiese Pablo, riprendendosi da tutte le scale fatte. “No, ma sono la sua migliore amica, Ludmilla Ironly. Con chi ho il piacere di parlare?” disse Ludmilla riferendosi a Pablo, ma continuando a posare gli occhi sul suo apprendista. “Salve siamo di Scotland Yard, dovremmo parlare con la signorina Natalia” spiegò brevemente Pablo. “Capisco, prego entrate” disse lei come se fosse la padrona di casa. L’appartamento degli Herdier era molto semplice stile inglese ma si notava comunque un tocco elegante, ad esempio nella scelta dei tappeti di un colore rosa con ricami fini. Ludmilla li fece attendere, mentre andò a chiamare Natalia in camera sua. Leon diede un’occhiata alla teca di cristallo dove era conservata una collezione di francobolli piuttosto rari. Pablo invece prese uno dei sigari sul tavolino in vetro al centro della sala e se lo passò tra le mani. “Eccomi” disse la giovane Natalia, una ragazza mora dai capelli ricci e ribelli. Teneva sempre lo sguardo basso e cercava costantemente segni di approvazione dall’amica, anche solo per salutare. I due si sedettero su due poltroncine blu elettriche molto soffici, talmente tanto che Leon per un momento si sentì sprofondare. “Allora la volevamo interrogare riguardo ciò che potesse sapere sull’omicidio di Gregorio Garcia…quel giorno le è parso di vedere qualcosa di strano?” chiese Pablo interessato. “In effetti…” disse Natalia, per poi guardare il volto dell’amica che anche se impassibile sembrava le stesse dicendo qualcosa. “No, non ho visto nulla di particolare” aggiunse poi con un po’ di agitazione. “E’ stata con me tutto il giorno” si intromise Ludmilla con un sorrisetto. “Sapete chi portava di solito il caffè a Gregorio?” chiese improvvisamente Pablo, come se fosse stato riscosso da un sogno. “Beto ovviamente, lo sappiamo tutti” si intromise Ludmilla. “Un’ultima domanda. E’ vero che lei ha detto al signor Diego Hatter che il preside l’ha cercato?” chiese infine l’investigatore. Nata diede un’occhiata fugace a Ludmilla: “No, non l’ho nemmeno incontrato Diego. Sa siamo compagni di scuola e andiamo entrambi all’ultimo anno ma non alcun tipo di confidenza”. “Grazie mille per la cortesia, ora io e il mio assistente ce ne andiamo” disse Pablo, alzandosi. “Non vuole rimanere per un tè?” chiese Ludmilla con uno sguardo famelico, puntando il giovane dagli occhi verdi. “No, andiamo di fretta” disse Galindo salutando in fretta e andandosene. “Hai fatto già colpo” disse Pablo non appena furono usciti. “Per favore quella ragazza è così…superba” disse Leon, avendo fatto una pausa per cercare l’aggettivo adatto. La sua mente tornò a quella ragazza incontrata in biblioteca l’altro giorno, Violetta Castillo. Le sarebbe piaciuto rivederla. Ripensò a quegli occhi pieni di determinazione e dolci allo stesso tempo, alle sue parole appassionate, alla sua personalità così misteriosa e affascinante. E chiaro che uno dei due ci sta mentendo disse Pablo tranquillamente. Diego sicuramente rispose Leon. Ti fai accecare un po facilmente dallantipatia, ragazzo mio. In più mi è parso che Natalia non ci abbia detto proprio tutto continuò linvestigatore pensieroso. “Tra gli iscritti di quest’anno ho trovato una ragazza italiana” esclamò, dopo aver ridato un’occhiata all’elenco che gli era stato consegnato. Leon si riscosse come se gli avessero fatto una doccia gelida. Perfetto, adesso avevano degli indizi più concreti. Fino ad ora gli era sembrato di aver fatto una passeggiata inutile. “E’ stata una giornata molto interessante fino ad ora!” esclamò Pablo soddisfatto. Ecco appunto. Come faceva a smentire sempre ciò che pensava? Era davvero incredibile. “Io non ho visto nulla degno di nota…solo chiacchiere, chiacchiere e ancora chiacchiere” si lasciò scappare. “Gli interrogatori sono la cosa più importante, signor Vargas. E’ grazie a questi che è possibile capire la psicologia di ogni persona coinvolta e grazie ad ogni frammento che ti concedono si può arrivare alla soluzione del caso. Ognuno di loro possiede un pezzo di verità, ma il più delle volta non ne è consapevole, sta a noi capirlo” spiegò Pablo. I due si fermarono davanti a una graziosa villetta. Pablo accelerò il passo fino a bussare alla porticina che conduceva a un piccolo giardino antistante la villa. Una signora sulla quarantina dall’accento straniero, italiano probabilmente, rispose: “Cercate qualcuno?”. “Si, stiamo cercando Francesca Artico. Mi presento sono Pablo Galindo, investigatore di Scotland Yard” disse l’uomo presentandosi e mostrando il distintivo. I due entrarono nel giardino e videro Francesca in compagnia di un’altra ragazza. Leon rimase a bocca spalancata, perché di fronte come se fosse un angelo, con un semplice vestito bianco lungo, cinto alla vita da una fascia rosa, e una sorta di corona di margherite sul capo con un sorriso limpido e innocente, c’era proprio Violetta. Violetta Castillo, la ragazza a cui aveva pensato da quando l’aveva incontrata in quella polverosa biblioteca.
Posted on: Thu, 28 Nov 2013 16:51:34 +0000

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