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Home » Documenti » Gianni Cuperlo: “Cambiare restando noi stessi, ecco la sfida del congresso” Gianni Cuperlo: “Cambiare restando noi stessi, ecco la sfida del congresso”Pubblicato il 27 agosto 2013 in Documenti, Generale, Rassegna stampa | 1 commento Pubblichiamo ampi stralci del documento con cui Gianni Cuperlo presenta la sua candidatura al congresso del Pd. Il testo integrale da oggi su giannicuperlo. Dobbiamo cambiare tutto quel che va cambiato, ed è tanto. Nei mesi passati mi è stato chiesto di dare una mano accettando di fare una cosa tra le più impegnative: discutere le ragioni del nostro partito e candidarsi a guidarlo come segretario per una fase. Ho ascoltato la richiesta. Ma soprattutto ho un rispetto profondo per le intelligenze e i sentimenti che vivono tra la nostra gente. E allora, per coltivare quella proposta e avviarne il cammino, ho provato a raccontare con queste note alcune idee sul Pd e sull’Italia dei prossimi anni. Non è ancora la piattaforma che presenterò quando ci saranno regole e date certe. Sono solo appunti che l’ascolto di questi mesi ha già arricchito e che metto a disposizione. BISOGNA CREDERCI – Credo in un Partito democratico per il nuovo tempo… All’Italia non basta qualche riforma… La prova è dire su cosa fondare un’altra idea del nostro futuro in Europa. Su quali principi incardinare una stagione che abbia al centro il valore della persona, una nuova condizione umana che interroga scienza, economia, civiltà. L’Italia rinascerà se la politica cambierà il potere per distribuirlo a chi oggi non sa neppure cos’è. REAGIRE PER VIVERE MEGLIO – La crisi più grave del secolo chiude un ciclo intero della storia fondato su una redistribuzione gigantesca di ricchezza e redditi. Un ciclo che ha trasferito il motore della crescita dal lavoro alla rendita e alimentato, dentro i paesi ricchi, una diseguaglianza tanto profonda da risultare immorale… Un’intera cultura politica – la nostra – a fronte di eventi simili è parsa impreparata. E a farci difetto non è stata solo la prontezza nel cogliere i mutamenti ma la condivisione di destino con chi avremmo dovuto rappresentare. Il punto è che la natura di un partito si fonda sul sentimento che lo lega al suo mondo. PER COSA VALE LA PENA TENTARE – In una battuta direi per una «rivoluzione della dignità». Per troppo tempo il centrosinistra ha aggredito con timidezza lo snodo dell’uguaglianza. Il punto è riconoscere che il conflitto per una società più giusta non è il virus, ma il vaccino che fa più forte la democrazia. A questo impianto si lega anche la possibilità di promuovere veramente il merito. Senza uguaglianza il merito diventa privilegio. Lo sappiamo bene in un Paese segnato da chiusura e opacità delle sue classi dirigenti in ogni campo. Solo rompendo come una noce questo involucro di rendite e corporazioni tante energie oggi compresse potranno esplodere. Crediamo in una fede laica nella persona e questo vuol dire rifondare il patto democratico sulla promozione dei diritti umani, universali e indivisibili. Dirlo significa anche riscoprire la centralità della pace e la potenza del dialogo senza rimuovere il dramma di un pianeta insanguinato da guerre, fondamentalismi, stragi di innocenti. Da questo punto di vista il limite degli anni alle nostre spalle è stato anche in una politica che ha pensato di sostituire con toni gridati la fragilità del suo contenuto morale, della sua rappresentanza sociale, della sua autonomia e laicità. In un ambito diverso e da un’altra «cattedra» spirituale, gesti, parole e simboli del nuovo Pontefice – da Lampedusa a Rio – ce lo confermano con una sferzata a coscienze intorpidite e ai poteri consolidati di una «globalizzazione dell’indifferenza». VERSO UN’ALTRA STAGIONE – È giusto sostenere il lavoro di Enrico Letta con lealtà e autonomia. La difesa dei principi costituzionali e il programma su cui l’esecutivo ha ottenuto la fiducia sono le condizioni utili al Paese e invalicabili per noi. Per questa ragione è inaccettabile la reazione della destra alla condanna definitiva del suo leader per frode fiscale. A essere irricevibile è l’idea del consenso popolare come fonte di un potere sovraordinato. La raccolta di milioni di voti in democrazia non può coincidere con l’esonero dal rispetto della legge. Vi sono cose che il governo può fare e altre che non sono nelle sue disponibilità perché riflettono una svolta di impianto che era e rimane alternativo alla destra. Il Pd ha l’onere di pensare assieme l’oggi e il dopo. Dare un senso alla stabilità sapendo che anch’essa non è mai un fine in sé. I provvedimenti urgenti per il lavoro, la copertura della cassa integrazione in deroga, la soluzione del dramma esodati, lo sblocco del credito alle imprese e di quel patto di stabilità che sta strangolando i sindaci e gli amministratori più esposti sulla frontiera della crisi: le cose da fare sono chiare. L’altro banco di prova sono le riforme istituzionali. Penso che una opzione presidenzialista modificherebbe alla radice il nostro impianto costituzionale e non è saggio, convincente o ragionevole avventurarsi in una impresa del genere mentre è necessario accelerare subito la riforma della legge elettorale. SAPERE PER CHI SIAMO – Il campo della sinistra in Europa è la nostra casa. Se scegliamo l’Europa come la dimensione del nostro futuro, è in quello spazio che dobbiamo ripensare l’identità del Pd e dei progressisti. Il nodo è che l’Europa non sarà mai più solo un vincolo esterno, ma una parte costitutiva di noi. Anche per questo sarà utile prevedere che alcune funzioni di direzione del Pd – a iniziare da una parte della futura segreteria – siano collocate stabilmente a Bruxelles e lavorino sulla più intensa integrazione della nostra agenda con quella europea c sulla costruzione del Partito Europeo dei Democratici e dei Socialisti. DIFFERENTI MA UNITI – Dirigere il partito, a ogni livello, deve tornare ad appassionare. Non è la corvée in vista di un incarico diverso. In questo senso uno dei nostri problemi è stato identificare politica e istituzioni. Diciamo che una deriva personalistica non ci ha lasciati indenni. Ma una concezione plebiscitaria della politica è il contrario di quel partito partecipato, democratico e rinnovato di cui abbiamo bisogno. La leadership non esaurisce la funzione di un partito. Quando questo accade, come purtroppo in parte è accaduto anche a noi, l’epilogo sono «comitati elettorali permanenti” e un correntismo esasperato che non distingue tra le qualità, ma seleziona in base alla fedeltà. E stata anche questa logica che ha finito col farci perdere la bussola e il prestigio. Adesso bisogna voltare pagina e ricostruire uno spirito di comunità. UN CONGRESSO COSTITUENTE – Quando un partito discute è vivo. Le strade da percorrere sono tante sul piano politico come su quello organizzativo. Provo a indicarne i titoli: dotarci di organismi snelli, in grado di discutere e decidere, da comporre con un’ampia rappresentanza eletta dai territori; eliminare doppi e tripli incarichi prevedendo una rotazione nelle funzioni; garantire maggiori risorse ai livelli provinciali e regionali, cominciando dai circoli. Penso sia giusto superare del tutto la norma attuale sul finanziamento pubblico e passare a un principio di volontarietà, stabilendo tetti massimi alle donazioni perché il due per mille di Mirafiori non è lo stesso che ad Arcore; prevedere consultazioni periodiche su temi specifici o su questioni di indirizzo. L’investimento da fare è nel valore del dibattito pubblico su ogni tema di interesse comune con l’obiettivo di un “consenso informato” che restituisca la fiducia verso la politica; stabilire patti di consultazione e collaborazione con associazioni, movimenti, comitati civici, locali e non. Perché molto, moltissimo di buono è fuori da noi; affermare azioni positive per la promozione nei gruppi dirigenti e nelle istituzioni di un pluralismo sociale e culturale. Operai e artigiani, precari, migranti, espressioni della cultura e della creatività: dobbiamo tornare a essere un partito aperto e accogliente; confermare il principio della democrazia paritaria; puntare sulla formazione di iscritti, militanti, dirigenti: tornare a conoscere per tornare a capire; investire sulla rete non solo come strumento di scambio (da Facebook a Twitter), ma come la più formidabile opportunità per ripensare i luoghi fisici e quelli immateriali dove mai come oggi cambia la nozione di democrazia e cittadinanza; separare la guida del partito da quella dell’aspirante premier è la via che in questa fase suggeriscono l’esperienza e il buon senso. Dobbiamo tornare a dirci che l’etica di un partito è tutto. Ecco il congresso che, assieme a tanti, ho in mente. Un confronto sulla società per quello che vorremmo fosse. Per restituire al Pd il posto che gli spetta in una trasformazione che si va compiendo. Per farlo c’è bisogno di alternative ideali e culturali, riscoprendo, se possibile, quella chiave profetica che ti consente di avere chiaro non solo qual è il tuo nome, ma perché quello che hai scelto è il nome giusto per te. E’ tempo di provarci.
Posted on: Tue, 10 Sep 2013 16:13:21 +0000

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