Il PD si trova nel bel mezzo di un congresso che dovrebbe porre le basi per una proposta di governo, ma il cui riflesso pubblico, in modo quasi inesorabile, si sta avvitando attorno a polemiche di basso profilo. Vocazione al suicidio, altro che vocazione maggioritaria. Nel frattempo, senza alcuna presunzione di esaustività, provo qui a fare un ragionamento circa le proposte per il lavoro presentate dai 4 candidati segretari. Il primo aspetto da evidenziare è che esistono, per fortuna, diversi spunti di riflessione comuni: l’attenzione all’occupazione giovanile e il contrasto al precariato; l’introduzione di un reddito minimo (anche se si fa sempre un po’ di confusione tra reddito minimo, reddito di cittadinanza e forme limitrofe); redistribuzione della pressione fiscale tra lavoro e finanza. Certamente, anche considerando la maggior lunghezza complessiva della mozione, c’è da rilevare che la riflessione di Civati è indubbiamente quella maggiormente approfondita. In particolare, alcuni aspetti della proposta sono assolutamente pregevoli, come la riflessione sulla necessità di riformare drasticamente il sistema di welfare. La mozione di Cuperlo, anche nel linguaggio, riflette l’impostazione più tradizionalista. Il richiamo ad un piano straordinario per l’occupazione giovanile è astrattamente corretto, ma più che una proposta, rimane una invocazione generica. Si segnala poi un paragrafo dedicato al rilancio dei settori della cultura e della creatività come volano per la ripresa occupazionale. La mozione Renzi, sintetica nel suo insieme, sul tema lavoro propone due punti fondamentali: riforma dei centri per l’impiego e revisione del sistema di formazione professionale. Renzi indubbiamente coglie appieno quanto sia urgente una proposta di seria innovazione che riguardi i percorsi formativi e il sistema di incontro tra domanda e offerta di lavoro. Si tratta di due snodi cruciali. Chi scrive ha avuto modo di sottolinearne l’importanza, proprio negli ultimi due contributi su questa rivista (1 e 2) e a quelle riflessioni si rimanda. Le proposte di Renzi sono un incipit che guarda nella giusta direzione. Non si affronta la riforma del lavoro solo invocando la tutela dell’art. 18 occorre alzare lo sguardo, innovare nel suo insieme il ciclo formazione/lavoro/periodi di non lavoro. Si tratta quindi di approfondire e allargare la riflessione, sia riguardo gli strumenti di accesso al primo impiego, sia riguardo la riforma degli ammortizzatori. La realtà è che la sinistra non propone una riforma complessiva del lavoro dai tempi del pacchetto Treu. Da quel momento in poi, la riflessione è stata tutta tesa a correggere le molto distorsioni prodotte dalla destra e dall’applicazione della riforma Biagi, nell’illusione che per migliorare il sistema fosse sufficiente fermarsi a garantire per via normativa le tutele contrattuali. Nel frattempo i sistemi produttivi sono cambiati profondamente, sono cambiate le esigenze delle imprese ed è cambiato radicalmente il panorama delle categorie professionali e dunque delle tutele che sarebbero necessarie. La proposta di semplificare drasticamente il quadro delle norme sul lavoro, rilanciata negli scorsi giorni da Renzi è assolutamente corretta. Non so se siano sufficienti 70 articoli di un Testo Unico o se ne serva qualcuno in più. Tutto sommato il numero degli articoli è quasi irrilevante, ciò che rileva e che Renzi segnale, è l’organicità di un disegno legislativo. Come ogni sintesi, perché riesca occorre avere le idee chiare. I mesi che abbiamo davanti usiamoli per elaborare due ulteriori grandi proposte: un ammortizzatore universale fortemente condizionato, necessario a superare il dualismo delle tutele; introduzione dei un contratto prevalente di accesso al mercato del lavoro, con tutele progressive e obbligo di ricollocazione condiviso con le aziende e contestuale abrogazione della cd parasubordinazione. Sono solo idee, finita la discussione sulle tessere, magari ci sarà modo di parlarne. di Patrizio Caligiuri
Posted on: Wed, 06 Nov 2013 17:46:18 +0000
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