Il massacro dei comunisti indonesiani nel 1965/The massacre of - TopicsExpress



          

Il massacro dei comunisti indonesiani nel 1965/The massacre of Indonesian Communists in 1965 14 giugno 2013 // 0 Il massacro dei comunisti indonesiani nel 1965: ricordo di uno dei più grandi crimini contro l’umanità nel ventesimo secolo AC | solidarite-internationale-pcf.over-blog.net Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare L’ideologia dominante non si accontenta di riscrivere la storia, ma pratica la memoria selettiva. Accanto ai crimini che ricorda e attribuisce alle forze comuniste e progressiste, ci sono altri crimini che passa sotto silenzio e cerca di dimenticare. 27/05/2013 L’uscita nelle sale francesi del semplicemente ripugnante The act of Killing, ci rammenta uno dei più grandi massacri del XX secolo, assente dai nostri libri di testo, dalla scena mediatica e dal dibattito storico: l’assassinio di massa dei comunisti indonesiani nel 1965. I cadaveri tornano a galla, anche in Indonesia, dove ogni riferimento agli “eventi del 1965″ è stato vietato sotto il dittatore Suharto e ancora largamente taciuto. Un rapporto della Commissione nazionale indonesiana per i diritti dell’uomo (Komnas-HAM) riconobbe nel 2012 per la prima volta la repressione anticomunista del 1965 come “crimine contro l’umanità”. In assenza di un’inchiesta internazionale, di natura giudiziaria o di carattere storico, le cifre esatte restano sconosciute. Se le stime non scendono al di sotto di 500.000 persone, il range attuale ripreso da The act of Killing va da 1 a 3 milioni di vittime. Il massacro era parte di un colpo di stato di Suharto per liquidare il PC Indonesiano (PKI) con il sostegno degli Stati Uniti determinati a eliminare una “minaccia rossa” che, dopo la Cina e il Vietnam, poteva far capitolare uno degli stati tra i più popolati. Il primo Partito Comunista del Terzo Mondo e l’alleanza antimperialista di Sukarno L’Indonesia del dopoguerra è associata alla figura di Sukarno, la cui opera è riassunta in cinque principi (Pancasila) che pongono come fondamento un nazionalismo unitario, iscritto in una prospettiva internazionalista, venato di “socialismo” e di tolleranza religiosa. In uno stato in cui coesistevano 6 grandi religioni, 300 dialetti, 17.000 isole e 100 milioni di persone, Sukarno si pose come arbitro tra le forze sociali e politiche antagoniste, come garante “dell’unità nazionale”. La sua politica di fronte nazionale, “NASAKOM”, consisteva in una direzione del Partito Nazionale indonesiano (NAS) di un movimento unitario con da un lato i gruppi religiosi conservatori (Agama) e dall’altra i comunisti indonesiani (kom). La linea del PKI era di creare un “fronte popolare nazionale” in vista di stabilire una nazione indipendente dall’imperialismo, una democrazia sociale avanzata: tappa verso il socialismo. Quello che per Sukarno era un fine, per il PKI costituiva un periodo transitorio. In questa alleanza politica, i comunisti conobbero un’irresistibile ascesa: il PKI aveva ottenuto il 16% dei voti nelle elezioni del 1955, ma nel 1965, il PKI contava 3,5 milioni di aderenti. Le sue organizzazioni di massa riunivano più di 20 milioni di simpatizzanti: un quinto della popolazione dell’Indonesia nel 1965. Il sindacato di classe SOBSI contribuiva a condurre la lotta di classe esterna contro le vestigia dell’imperialismo olandese e britannico, e interna contro gli elementi piccolo-borghesi dell’Alleanza Nazionale e la vecchia classe dominante, i proprietari terrieri islamici. Spingendo sui lavoratori impiegati nell’industria petrolifera, in quella della gomma e sui piccoli contadini di Java e Sumatra, il PKI e le sue organizzazioni di massa fornirono una prospettiva alle lotte: riforma agraria per i contadini e nazionalizzazione delle risorse nazionali. Il massacro nel contesto internazionale: la mano dell’imperialismo Dopo la rivoluzione in Cina e la situazione di stallo in Vietnam, l’ascesa del comunismo indonesiano preoccupa l’imperialismo americano, che teme tanto una radicalizzazione del nazionalismo antimperialista di Sukarno quanto una rivoluzione comunista. In un primo momento, gli Stati Uniti forniscono supporto a tutti gli avversari della “rivoluzione nazionale”, finanziando il Partito socialista ferocemente anticomunista (PSI) e il partito islamista Masyumi. Nel 1958, la CIA offre basi logistiche e militari per una ribellione armata a Sumatra, ricca di petrolio. Il “governo rivoluzionario” indonesiano, senza base popolare, sostenuto dagli Stati Uniti e dai partiti socialisti e islamismi, viene sconfitto nel giro di pochi mesi da parte dell’esercito indonesiano. Gli Stati Uniti cambiano allora strategia. L’esercito è l’unico baluardo contro il comunismo, a cui apportano un aiuto di 65 milioni di dollari tra il 1959 e il 1965. Consapevole della manovra Sukarno aveva apostrofato l’ambasciatore americano con le parole: “Andate all’inferno con il vostro aiuto”. Per i servizi segreti statunitensi e britannici, si trattava di favorire la fazione “di destra” anti-Sukarno e filoimperialista, guidata dapprima da Nasrution poi da Suharto, egli stesso formato dagli Stati Uniti, contro la fazione dominante “centrista”, guidata da Yani, pro-Sukarno. Il pretesto per la sanguinaria ondata contro-rivoluzionaria si verifica il 30 settembre 1965: un colpo di stato di un quartetto di colonnelli che proclama un “governo rivoluzionario” dopo aver giustiziato sei membri dello Stato Maggiore della fazione “centrista” dell’esercito, tra cui il Generale Yani. Suharto, responsabile delle truppe riserviste nazionali (KOSTRAD), prende il controllo di Jakarta, in nome del mantenimento del regime di Sukarno. Attribuendo il colpo di stato ai comunisti, innesca “il più grande massacro del XX secolo”, secondo le stesse parole usate in un rapporto della CIA del 1968. Il coinvolgimento della CIA, dell’ambasciata degli Stati Uniti, così come dei servizi britannici sono fuori di dubbio. Senza accesso completo agli archivi statunitensi e indonesiani, solo la portata della collaborazione resta ancora da precisare. E’ certo però che furono gli Stati Uniti a contribuire nella formazione alla “guerra contro-insurrezionale” degli ufficiali indonesiani nella Scuola ufficiali militari indonesiani a Bandung (SESKOAD). Dal 1958 al 1965, SESKOAD forma i diversi livelli dell’esercito per combattere contro qualsiasi “insurrezione” comunista, fino a formare gli embrioni delle milizie locali nei quartieri e nei villaggi, nel vortice del terrore del 1965. La CIA svolgerà inoltre un ruolo chiave nell’elaborazione della propaganda anticomunista dei golpisti, non solo facendo circolare falsi sulle atrocità commesse dai comunisti, ma anche fomentando l’odio razziale (contro i cinesi) e religioso (contro gli atei). L’ambasciata e i servizi segreti avevano anche stilato un elenco di 5.000 quadri di tutti i livelli del PKI per l’esercito indonesiano, facilitandone così l’individuazione e la decapitazione del Partito. Mentre infuriava la repressione e quando i giornali occidentali furono costretti, minimizzando, di dar notizia della carneficina, le ambasciate e le cancellerie occidentali mantennero il riserbo ufficiale, pur lodando dietro le quinte l’efficienza della liquidazione del PKI. Il frutto del delitto: 35 anni di dittatura oscurantista al servizio delle multinazionali americane Il bilancio della repressione non rende conto della barbarie dei crimini commessi: esecuzioni sommarie tramite fucilazione o decapitazione, fosse comuni, deportazioni nei campi, stupro e prostituzione forzata: fatti riconosciuti nel rapporto del 2012 della Commissione indonesiana per i diritti umani. Per i servizi segreti americani, il successo della liquidazione del movimento rivoluzionario in Indonesia fu fonte di ispirazione per le operazioni successive: dall’operazione Phoenix in Vietnam fino ai colpi di stato e le dittature latino-americane, Pinochet in testa. L’evolversi della repressione è rivelatore: Da un lato, il ruolo di impulso svolto dall’esercito, finanziato e addestrato dagli Stati Uniti proprio come in America Latina. E’ l’esercito a iniziare il “terrore”: individuando ed elencando i nemici, dando la parola d’ordine della “Sikat” (liquidazione, pulizia) e soprattutto armando, formando e inquadrando le milizie. Poiché la maggior parte delle uccisioni è da addebitarsi alle milizie civili provenienti dai partiti religiosi: NU (Nahdaltul Ulama) – con la sua componente giovanile e fanatica l’ANSOR – e Muhammadiyah: due organizzazioni di massa islamiche, ancorate nelle comunità rurali, appellatesi a una jihad anticomunista. Il ruolo di braccio armato svolto degli islamisti non deve occultare il massiccio coinvolgimento delle altre forze religiose: gli indù a Bali, per la difesa del sistema delle caste e contro le influenze cinesi; cristiane a Java, dove le forze cattoliche hanno notoriamente partecipato alla formazione di KAMI (Forum d’Azione Studentesca), movimento studentesco che ha partecipato all’epurazione comunista. Non bisogna nascondere nemmeno l’antagonismo sociale che ne era all’origine. Lungi dall’essere tutti atei, i simpatizzanti comunisti erano spesso loro stessi musulmani, soprattutto nelle aree rurali giavanesi. L’antagonismo durante la crisi del 1965 vede contrapposti i santri, fondamentalisti islamici, vicini ai proprietari terrieri, colonna vertebrale delle milizie islamiche e gli abangan, afferenti a una forma religiosa sincretica, tollerante, ancorata tra le masse rurali sostenitrici del PKI. L’evocazione del movente religioso costituiva una motivazione forte sia per i proprietari terrieri inquieti per l’avanzata comunista sia per un esercito bramoso di mettere le mani sulla ricchezza petrolifera. L’ipocrisia americana: due pesi e due misure nella lotta contro l’islamismo e per la democrazia L’ipocrisia del discorso americano nella lotta contro il fanatismo islamico è ben illusorio. In Indonesia, come in Afghanistan, nello Yemen di ieri, come nella Siria e la Libia di oggi: islamismo, élite economiche conservatrici e imperialismo occidentale si fanno buona compagnia. Il discorso sulla “democrazia” capitalista contro la “dittatura” comunista è pura ipocrisia americana. Per oltre 30 anni, l’”Ordine Nuovo” di Suharto ha consegnato tutti i livelli di potere all’esercito nella sua “duplice funzione” di stabilizzazione politica ed economica. Le organizzazioni islamiste, coordinate dallo Stato nel Consiglio degli Ulema (MUI), inquadrano le masse rurali. Oggi, NU e Muhammadiyah sono due delle più potenti organizzazioni islamiche di tutto il mondo, che con la rete delle madrasa (scuole coraniche) e le associazioni di carità, raccolgono più di 60 milioni di membri. In questo schema, simile all’Egitto di Mubarak (anche in relazione ai Fratelli Musulmani), Suharto ha organizzato la “politicizzazione delle masse”, diametralmente contrapposta alla “mobilitazione popolare”, che fondava l’azione Sukarno e del PKI. Per Suharto, le “massa fluide” dovevano essere controllate da organizzazioni di massa, come dal sindacato unico FBSI, incaricato di collaborazione di classe in un sistema corporativo, simile al regime fascista. Nel suo regno lungo 32 anni, la repressione sanguinosa erano il segno distintivo di Suharto. Per citare solo i casi più barbari: la repressione del movimento di liberazione di Timor Est e quello della Papua occidentale ha mietuto almeno 300.000 morti. L’entusiasmo degli osservatori occidentali non aveva limiti per il miracolo del “Drago indonesiano”. Suharto, come Pinochet in Cile con la “Scuola di Chicago”, si è affrettato a realizzare le ricette liberali della “mafia di Berkeley”: austerità di bilancio, soppressione dello stato sociale (sostituito dalla carità islamica), privatizzazione e sistema fiscale attraente per l’impresa. Gonfiato dalle entrate petrolifere dopo il 1973, dalle sovvenzioni del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, del “miracolo indonesiano” si sono avvantaggiate le multinazionali petrolifere come Shell o BP, o tessili come Nike e Adidas, così come un ridotta oligarchia corrotta. Nonostante tre decenni di crescita economica, l’Indonesia ha ancora 120 milioni di poveri: la metà della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno, secondo i dati della Banca Mondiale, 200 milioni vivono con meno di 4 dollari al giorno. L’arricchimento strabiliante di una minoranza contrasta con la povertà della maggioranza. L’Indonesia è attualmente il paese in cui il numero dei milionari è in più rapida crescita: saranno 100.000 nel 2015, concentrando 500 miliardi di dollari, due terzi della ricchezza del paese. Al momento, le 40 persone più ricche in Indonesia concentrano altrettanta ricchezza che 60 milioni di indonesiani. L’esempio indonesiano non solo evidenzia l’ipocrisia dell’ordine capitalista, ma mette in luce le conseguenze della liquidazione completa di un Partito Comunista: dipendenza nazionale e impoverimento generale.
Posted on: Mon, 01 Jul 2013 07:44:04 +0000

Trending Topics



Recently Viewed Topics




© 2015