Imperialismo e controrivoluzione nel mondo arabo e - TopicsExpress



          

Imperialismo e controrivoluzione nel mondo arabo e musulmano Circola in internet una foto degli anni ’70: alcune ragazze, vestite all’ occidentale, passeggiano per le vie di Kabul, perfettamente serene, sicure, sorridenti. Il contrasto con la situazione attuale della donna afgana è fortissimo. Quale terribile controrivoluzione! Non solo ha annegato nel sangue intere generazioni, ma ha stravolto i costumi di popolazioni, che sembrano ripiombate in un medioevo da incubo! L’estremismo islamista, si dirà! Ma con ciò non si è spiegato un bel niente, se non se ne ricercano le cause. E noi le cause principali le cercheremo, non nel misterioso Oriente, ma nell’Occidente affaristico, protettore di tutti i reazionari, e soprattutto in America. Niente di completamente nuovo, in realtà: già al tempo della rivoluzione francese, la modernissima Inghilterra borghese non esitò ad allearsi con i vecchi regimi d’Austria, Prussia, Russia, e persino con briganti e sanfedisti, pur di sconfiggere i giacobini e poi Napoleone. Popoli ormai abituati alle libertà borghesi furono di colpo sottoposti alle vecchie forme di controllo burocratiche e clericali, per la maggior gloria del capitale inglese. Gli Stati Uniti hanno fatto la stessa cosa: si sono alleati con i peggiori reazionari del Pakistan e dell’Arabia Saudita, e con i signori della guerra afgani, per travolgere il regime laico (non certo iperivoluzionario) e nel contempo far cadere nella trappola militare l’esercito sovietico. E, con una faccia di tolla incredibile, il governo americano sostiene di essere in Afghanistan anche per difendere la libertà della donna. Questa alleanza con le correnti religiose reazionarie non è accidentale, per gli Stati Uniti e gli altri imperialismi d’occidente, ma è una politica ben precisa e di lungo periodo. In tutto il mondo arabo ha permesso di combattere le forze che tendevano all’unificazione nazionale, perché una grande repubblica araba che andasse dal Golfo Persico all’Atlantico sarebbe stata intollerabile per l’imperialismo occidentale. E’ la tradizionale politica del ‘divide et impera’. Francia e Gran Bretagna, con gli accordi di Sykes – Picot, spezzettarono oscenamente il mondo arabo. Wilson, al tempo della prima guerra mondiale, operò per dividere gli stati dell’Europa centro -orientale, ma ancora sulla base di criteri etnici. Il gioco va avanti fino a un certo punto, riesce dove convivono popoli diversi, ciascuno non troppo numeroso, ma non dove ci sono popoli che si estendono su vasti territori e comprendono decine e persino centinaia di milioni di individui. Su base religiosa, invece, è possibile un frazionamento pressoché infinito. In piccoli paesi come il Libano e la Siria convivevano da secoli diverse confessioni, finché l’imperialismo non ha avuto interesse a metterle le une contro le altre. Dove le divisioni non ci sono, si creano artificialmente. In America latina, la CIA e molte “associazioni benefiche” finanziano le sette religiose, e c’è chi sostiene che la scelta di un papa argentino sia stata fatta proprio per parare questi colpi. Un preciso piano di balcanizzazione del Medio Oriente è condensato nell’articolo “Come il Medio Oriente apparirebbe migliore” di Ralph Peters. Prevede lo spezzettamento dell’Arabia Saudita, che cederebbe ampi territori allo Yemen, alla Giordania, a uno stato confessionale comprendente le città di La Mecca e Medina e a uno stato sciita del sud Iraq. Con un’evidentissima contraddizione, mentre si afferma che “Lascesa della ricchezza e di conseguenza dellinfluenza dei Sauditi è stata la peggior cosa che potesse accadere al mondo islamico fin dal tempo del Profeta, ed agli Arabi fin dalla conquista ottomana (se non mongola).”, tuttavia non se ne prevede la destituzione: “Confinata ad un territorio indipendente attorno a Riad, la dinastia Saud sarebbe capace di molta meno malizia verso lIslam ed il mondo.” E’ proprio il metodo reso celebre dal Congresso di Vienna, in cui si dividevano i popoli con i criteri più arbitrari, ma i monarchi di diritto divino al massimo venivano ridimensionati. Il Pakistan verrebbe smembrato, con la formazione del Belucistan e con la concessioni di vaste zone all’Afghanistan. Altri stati vi sono ritagliati e ricuciti, secondo criteri prevalentemente religiosi. Unica eccezione, l’unificazione dei Curdi, ma il motivo lo spiega poco dopo: “Un Kurdistan libero, che si estende da Diyarbakir a Tabriz, sarebbe il principale stato filo-occidentale tra la Bulgaria ed il Giappone.”(1) In realtà, tale nuova suddivisione renderebbe i paesi arabi e musulmani ancora più dipendenti dall’America. In ultima istanza, l’integralismo e le divisioni religiose sono in funzione di quest’ultima. Gli arabi, i persiani, i pakistani più politicizzati sono consapevoli che l’integralismo è una creazione dell’occidente. Pascal Ménoret scrive: “Se l’integralismo ha trovato un terreno così favorevole in Arabia Saudita, il suo sviluppo è da imputare, più che a una scelta rigorosamente islamica da parte dei suoi dirigenti, all’alleanza tra Arabia e Stati Uniti”. E cita un passo di Bani Sadr: “Come diceva Benazir Bhutto, l’idea dei talebani era inglese, la gestione americana, il denaro saudita e la realizzazione sul campo pakistana… La funzione del discorso integralista in quanto parte integrante del potere dominante è permettere a quest’ultimo di affermare che la violenza sarebbe esportata dall’insieme del mondo non occidentale verso l’Occidente! Mentre in realtà è l’Occidente a essere all’origine di questa violenza che gli si rivolge contro”. Ménoret cita pure un uomo d’affari liberale di Gedda: “Non esistono movimenti religiosi, né in Arabia Saudita né nel mondo arabo: i movimenti islamisti sono movimenti politici e non religiosi.” (2) In effetti, se si cerca di capire gli avvenimenti del Vicino Oriente basandosi sulle dichiarazioni ideologiche delle diverse componenti religiose, non si riesce a cavare un ragno dal buco. Non si capisce, ad esempio, perché Obama abbia potuto appoggiare i Fratelli Musulmani, mentre l’Arabia Saudita applaudiva il golpe dei militari, cioè di una componente tendenzialmente laica. Neppure le trame dei servizi segreti, a cominciare dalla CIA, possono dare una spiegazione attendibile, perché la loro azione è subordinata alla politica e agli interessi degli stati. Se cerchiamo invece di comprendere il conflitto degli interessi economici, possiamo trovare il filo conduttore, a patto che non intendiamo trarne conclusioni immediate e meccaniche, e non cerchiamo scorciatoie grossolanamente economicistiche. Cominciamo con l’Egitto: fin dai tempi del nasserismo, ha una storia economica particolare. Nei paesi in cui il capitalismo arriva in ritardo e si forma una borghesia compradora, l’esercito può assumere su di sé la funzione storica di sviluppare l’economia, supplendo la borghesia infeudata al capitale estero. Col tempo, tuttavia, questa funzione, entro certi limiti progressiva, si trasforma in privilegio. Le privatizzazioni, sviluppatesi a partire del periodi di Sadat, hanno fatto dei militari i gestori dell’economia. I militari egiziani sono editori dei grandi quotidiani, controllano vasti settori di dalle lavatrici ai medicinali, oltre, naturalmente, alle industrie di armamenti e tecnologia militare. Gestiscono industria alimentari, latte, pane, carne, il turismo, compresi i grandi alberghi. Gran parte dei finanziamenti, forniti dagli Usa o dall’Arabia Saudita, sono stato spesi a favore di questa casta, che sfrutta la manodopera gratuita dei coscritti e ha innumerevoli esenzioni.(3) L’altro grande potentato economico è, appunto, la Fratellanza. “Osservando il mercato azionario egiziano, culla delleconomica liberalizzata del paese, ci si imbatte in un dato sorprendente: nessuna azienda dei Fratelli musulmani o dei militari compare nellelenco, e sono davvero poche le informazioni riguardanti le loro rendicontazioni finanziarie. Sotto un governo islamico che lascia intendere un’apertura globale, i due imperi economici continuano ad operare clandestinamente.”(4) Tutto questo suona molto levantino, o, se volete, molto italiano. I leader della Fratellanza, tuttavia, mancano di esperienza nei settori industriali strategici. A causa del lungo imprigionamento, sono stati tenuti fuori da questi settori, e hanno investito i loro capitali nella vendita di beni di importazione e nella gestione di gigantesche catene di supermercati. La loro esperienza si lega soprattutto al settore commerciale. La grande conflittualità con i militari deriva, tuttavia, dal loro indirizzo di politica economica generale. Non avendo una significativa industria locale da difendere, sono più permeabili al capitale estero, per il quale possono agire come quinta colonna. Di un ricchissimo esponente dei Fratelli, Hassan Malek, Gilbert Achcar dice che un ritratto di questo personaggio potrebbe essere intitolato “L’etica della Fratellanza e lo spirito del capitalismo”, azzardando un paragone con la celebre opera di Max Weber. La vicinanza di certi atteggiamenti religiosi con lo spirito capitalistico non è propria solo del calvinismo. E Sameh Elbarqy, ex appartenente alla Fratellanza, parla di capitalismo estremo.(5) Si tratta di qualcosa che somiglia fortemente a quella “filosofia dell’avarizia” di cui parla Max Weber, l’ideale dell’uomo onesto “degno di credito”, l’idea che il singolo sia tenuto moralmente ad aumentare il proprio capitale. “L’attività lucrativa non è più in funzione dell’uomo quale semplice mezzo per soddisfare i bisogni materiali della sua vita, ma, al contrario, è lo scopo della vita dell’uomo, ed egli è in sua funzione. Questa inversione del rapporto “naturale”… è palesemente e assolutamente un motivo conduttore del capitalismo…” (6) Se è così, si spiega perché sono così invisi ai militari e a operai e contadini. Il liberismo estremo porterebbe alla distruzione di tutte quelle barriere che frenano gli investimenti esteri, e l’industria dei militari ne sarebbe travolta. Significherebbe anche la fine delle sovvenzioni alimentari per il settore più debole della popolazione, come chiede il Fondo monetario internazionale, la riduzione dei salari e i licenziamenti di massa nelle funzione pubblica. Tutte cose che piacciano a Wall Street e a Obama, ma che costituirebbero un grosso ridimensionamento per l’esercito e una tragedia immane per i settori poveri della popolazione. Questo spiega la temporanea alleanza di gran parte della popolazione con i militari. Ma, da qui a dire, come fa Samir Amin, che “la caduta di Mohamed Morsi e del governo dei Fratelli Musulmani è una grande vittoria per il popolo egiziano”(7), ce ne passa. L’atteggiamento dei militari nei confronti delle rivendicazioni operaie e degli scioperi è altrettanto reazionario quanto quello dei Fratelli. Il golpe egiziano ha messo ancora una volta in evidenza la crisi dell’influenza degli Stati Uniti dell’area, tanto più che Arabia S. e Turchia spingevano per un intervento diretto americano in Siria, e per un crescente isolamento dell’Iran, scontrandosi invece con un cambiamento di rotta USA. Gli Stati Uniti probabilmente bloccano i finanziamenti all’Egitto, e sono venuti meno anche quelli del Qatar, alleato dei Fratelli musulmani; in compenso sono subentrati quelli dell’Arabia Saudita, che ha accettato con entusiasmo il golpe, che la libera dalle preoccupazioni della propaganda dei Fratelli, troppo efficace sulle masse e corrosiva nei confronti della vecchia monarchia assoluta. Il totale degli aiuti all’economia egiziana da parte delle monarchie del Golfo raggiunge la cifra complessiva di 12 miliardi di dollari.(8) Non si tratta di generosità, i sauditi sanno che se in Egitto scoppia una rivoluzione, anche le monarchie assolute arabe ne sarebbero travolte. L’alleanza di ferro tra gli USA e il regno saudita è in difficoltà. Eppure, proprio da qui gli Stati Uniti cominciarono a scalzare l’influenza in Medio Oriente delle precedenti potenze, Gran Bretagna e Francia. E’ utile ricordare le tappe principali dell’ascesa USA nell’area. Nel 1933 venne firmata la concessione petrolifera alla compagnia monopolista americana Aramco controllata dalla Socal. 14 Febbraio 1945: incontro sul Quincy tra il re Abdelaziz Al Saud e il presidente Roosevelt. Un accordo col quale la monarchia assoluta araba ha garantito agli USA tutto il petrolio necessario, ottenendone in cambio protezione politica. Tensioni fortissime ci furono a partire dal 1973 in occasione della crisi petrolifera. Il 9 febbraio 1975, il quotidiano The Sunday Times rivelò un piano statunitense per la conquista dei pozzi dellArabia Saudita e del Kuwait, che prevedeva anche per la Gran Bretagna l’occupazione di Abu Dhabi; era stato progettato nel 1973 dalla Casa Bianca durante la crisi petrolifera con lembargo del petrolio arabo. Il 13 gennaio 1975 Henry Kissinger, segretario di Stato di Richard Nixon, in unintervista a Business Week, proponeva un attacco militare contro lArabia Saudita: Limpiego di massicce strategie di guerra contro paesi come lArabia Saudita potrebbe far sì che questi paesi qualora decidessero di non collaborare vedrebbero entrare in pericolo la propria stabilità politica.(9) Sempre nel 1975 re Faysal fu assassinato da suo nipote, che l’inchiesta presentò come l’unico responsabile, anche se rimasero forti dubbi su eventuali mandanti. Mettersi contro l’America porta iella. Poi i rapporti tra Stati Uniti e Arabia Saudita si stabilizzarono. Il vantaggio per gli USA furono enormi: gli Stati Uniti, in virtù di un patto con lArabia Saudita, che prevedeva la protezione militare della monarchia, chiedevano che i sauditi vendessero petrolio solo in cambio di dollari. Altri paesi s’aggiunsero. Washington poté stampare tutti i dollari che voleva, e poteva comprare petrolio con la sua stessa moneta, mentre gli altri paesi dovevano procurarsi i dollari. Guai a chi usava altre monete! Nel 2000 Saddam cominciò a vendere petrolio in euro, e nel 2003 ci fu l’aggressione: nel 2011 Gheddafi propose avanzò la creazione del dinaro, una moneta nordafricana con la quale scambiare il petrolio, ma non ebbe il tempo di portarla avanti. Chi tocca il dollaro muore. Ma il sistema dei petrodollari presuppone stabilità nell’area. Brandon Smith ricorda che la caduta della monarchia egiziana e l’ascesa di Nasser ha determinato “ la scomparsa della sterlina britannica come Top petro-Pound e come valuta di riserva mondiale. Leconomia britannica poi ha cominciato a vacillare e non è mai tornata al suo antico splendore.” (10) Se ne ricava che un’ulteriore forte crisi in Egitto e in Arabia Saudita porterebbe alla fine del petrodollaro. Questo è uno dei motivi per cui si può ritenere soltanto di facciata il presunto disimpegno di Obama nel Medio Oriente, anche se la stragrande maggioranza dei politici e dei giornalisti finge di prenderlo per oro colato. Per quanto riguarda la situazione dell’Arabia, è difficile capirla se la si considera isolatamente dagli stati vicini. I confini sono tuttora quelli fissati dall’imperialismo, quindi estremamente artificiosi. Finché era vitale il nomadismo, i beduini vagavano per la penisola arabica, o verso il Sinai, o per i territori che ora appartengono alla Giordania, alla Siria, all’Iraq, e continuarono a farlo persino quando le potenze coloniali, Gran Bretagna e Francia, cercarono di fermarli con le mitragliatrici. Questo ha conseguenze importanti ancora oggi, perché permangono forti legami di sangue e di cultura, una fitta trama che non è colta da chi non ha una profonda conoscenza di quei paesi. A noi, che non conosciamo la lingua araba e non abbiamo mai vissuto in quelle zone , non resta che leggere gli articoli o i libri di chi c’è stato, cercando di mantenere intatto lo spirito critico. L’Arabia Saudita ha un’importanza determinante a livello regionale, e non è uno scatolone di sabbia ricco di petrolio abitato da beduini. I deserti occupano un terzo del territorio, ma ci sono regioni –testimonia Pascal Ménoret – che ricordano la Borgogna francese. L’islamizzazione forzata è un fatto relativamente recente, la proibizione per le donne di studiare all’estero e di apparire in televisione è del 1980. C’è forte il mito beduino, ma in realtà lo sviluppo economico e l’azione della monarchia, che ha condotto una feroce lotta contro le tribù, hanno ridotto la popolazione nomade al 3%. L’85% degli abitanti vive in città e gran parte della rimanente popolazione pratica agricoltura stanziale, irrigando i campi con acqua trattata dai dissalatori. Per cercare di attutire le contraddizioni di questo paese, per certi aspetti modernissimo, con un’altissima partecipazione dei giovani alla rete web, e compresso da una reazione, che più che attingere alla tradizione s’ispira alle necessità dell’imperialismo, la classe dirigente conduce una politica estera molto attiva, con una forma di militarismo indiretto, per cui, al posto delle truppe saudite operano diverse bande jihadiste ( compresa Al Qaeda). Problemi economici urgenti spingono l’Arabia a una politica aggressiva. Il consumo interno di petrolio cresce continuamente, non solo per il traffico, ma anche per i dissalatori e per la produzione di energia elettrica. Occorre sostituirlo col gas, per poter riservare il petrolio all’esportazione. Le ricerche non hanno dato grossi risultati, ed è impensabile comprarlo dal Qatar, rivale politico. Non è economica l’utilizzazione dei giacimenti di shale gas, per i quali occorre una grande quantità d’acqua, scarsa nel paese. Ci sono importanti giacimenti di gas in Iraq e in Siria, però occorre impedirne l’esportazione verso l’occidente, puntando anche sull’interesse delle tribù locali a mantenere almeno una parte del gas nella zona, per favorire lo sviluppo industriale locale. Col controllo in Siria del triangolo Raqqa, Dayr al-Zawr e Hasaka, l’Arabia Saudita potrebbe impedire ai paesi rivali Iran e Qatar di collegarsi al mediterraneo per esportare il loro gas, e dirottare verso Ryad quello di produzione locale.(11) L’Arabia Saudita ha utilizzato ingenti somme per cercare di indurre le potenze ad intervenire nella guerra siriana: “Il 4 settembre 2013, durante laudizione al Congresso per lautorizzazione dellattacco militare contro la Siria, il segretario di Stato americano, John Forbes Kerry, incalzato dalla repubblicana Ileana Ros-Lehtinen, non ha potuto far altro, infatti, che confessare ciò che lamministrazione Obama nascondeva da tempo e cioè che alcuni paesi arabi serano offerti, con lofferta ancora oggi sul tavolo, di pagare la Casa Bianca perché la Siria fosse invasa e Bashar al Assad deposto.” (12) Non molti sanno che Putin ha dato ordine alle Forze Armate della Federazione Russa di preparare un massiccio attacco militare contro l’Arabia Saudita nel caso in cui l’Occidente attacchi la Siria. Secondo fonti del Cremlino Putin si è infuriato” dopo il suo incontro all’inizio di agosto con il principe saudita Bandar bin Sultan, che lo avrebbe ricattato : se la Russia non accetterà la sconfitta della Siria, “l’Arabia Saudita avrebbe scatenato i terroristi ceceni sotto il loro controllo per causare la morte e il caos durante i Giochi Olimpici Invernali che si terranno dal 7 al 23 Febbraio 2014 a Sochi, in Russia.” Secondo il Telegraph News Service l’Arabia Saudita ha segretamente offerto alla Russia un accordo per il controllo del mercato mondiale del petrolio e del gas, se il Cremlino abbandona il regime di Assad in Siria, e Putin avrebbe risposto: “La nostra posizione su Assad non cambierà mai. Noi crediamo che il regime siriano è il miglior oratore in nome del popolo siriano, e non i mangiatori di fegato” [riferendosi al filmato che mostra un ribelle jihadista mangiare il cuore e il fegato di un soldato siriano], e il principe Bandar ha avvertito che non ci può essere “nessuna fuga da l’opzione militare”, se la Russia rifiuta il ramo d’ulivo.” (13) Bandar Bin Sultan può effettivamente disporre dei terroristi ceceni? Lambasciatore siriano in Giordania Behjat Suleiman ha dichiarato che il principe saudita e capo dellintelligence di Riyadh Bandar Bin Sultan è il vero leader mondiale di al Qaeda. Osama Bin Laden ed Ayman Al Zawahiri sarebbero solo personalità simboliche e mediatiche mentre il vero leader sarebbe il membro della casa reale saudita. Suleiman ha affermato che in questi mesi Bandar Bin Sultan ha incontrato rappresentanti dei gruppi armati e li ha pagati perché agissero in Siria. Lambasciatore ha denunciato l’evidente ingerenza dellArabia Saudita negli affari interi siriani.(14) Scambi di gentilezze tra diplomatici e servizi segreti da prendere con le molle. Non sappiamo, ovviamente, se effettivamente Bandar è il capo di Al Qaeda o solo uno dei suoi ufficiali pagatori. Sappiamo dei suoi stretti contatti con Bush, tanto da essere soprannominato Bandar Bush. Al Qaeda nacque al tempo della guerra in Afghanistan contro i russi, e i servizi segreti sauditi, pakistani e ovviamente la CIA ebbero rapporti continui con questa centrale del terrore. Un rapporto presentato al Congresso dalla commissione di inchiesta sull’11 settembre mise in grosse difficoltà Bush. Ventotto pagine di righe cancellate: in esse risultava che l’Arabia Saudita aveva versato centinaia di milioni di dollari ad organizzazioni legate ad Al Qaeda prima degli attacchi contro New York e Washington. E un agente saudita per anni aveva aiutato e protetto due dei dirottatori sauditi in California. I legami con la famiglia reale saudita e il suo petrolio, avrebbero indotto la Casa Bianca a coprire una parte di verità. (15) Riyadh non è sola ad appoggiare i jihadisti legati ad Al Qaeda. La denuncia arriva dal giornale turco Taraf, che ha intervistato alcuni esponenti jihadisti e ha avuto conferma che possono passare tranquillamente il confine. “ Il “contatto di Al Qaeda” ad Istanbul avrebbe detto a Taraf che i combattenti ceceni sono ora il gruppo più forte e numeroso fra i jihadisti attivi in Siria. Almeno mille ceceni, ha detto, combattono agli ordini del comandante Abu Omar.”(16) Ed è noto che soldati americani e francesi hanno veementemente protestato, dichiarando di non voler combattere a favore di Al Qaeda. In apparenza, tra Arabia S. e USA c’è rottura. Nel frattempo sono ripresi gli attentati suicidi islamisti in Russia. Il rifiuto saudita di partecipare alle riunioni del Consiglio di sicurezza ha avuto riflessi clamorosi, perché appare più rivolta contro gli USA che contro Russia e Cina. C’è pure la minaccia di ritirare i capitali dagli Stati Uniti. C’è chi parla di suicidio dei Saud, chi mette in rilievo che le esportazioni di petrolio saudite si vanno indirizzando sempre più verso la Cina, chi pensa che si tratti di una recita, per non coinvolgere gli Stati Uniti negli attentati e nei massacri condotti da Al Qaeda e da Al Nusra (17). E’ certo tuttavia, che le condizioni che resero possibile la lunga alleanza saudita – americana stanno venendo meno, e che paesi come la Russia e la Cina usano ormai impunemente divise diverse dal dollaro nei contratti petroliferi. Obama è in difficoltà, ha perso la faccia per la questione dello spionaggio. L’unico modo di ricuperare un po’ di credibilità –memore delle intese Kennedy - Krusciov, che tante illusioni diffusero a livello mondiale – è di negoziare una pace con Putin, a costo di tenere a freno Arabia e Turchia. Come tutte le paci dell’imperialismo, non può essere che una pace infame, fatta sulla pelle dei popoli, che non possono decidere il proprio destino. Una tregua che prepari altre guerre, perché altro non può offrire l’imperialismo, a meno che il gigante proletario non si risvegli dal suo lungo tragico sonno. Note 1) Ralph Peters, “Come il Medio Oriente apparirebbe migliore”, Rivista delle Forze Armate, giugno 2006 (Si veda anche ‘Fuori dal Coro’ n. 7 “Come scandalizzarsi per 355 morti ammazzati chimicamente e dormire sonni tranquilli per 110.000 morti ammazzati tradizionalmente”). 2) Pascal Ménoret, “Sull’orlo del vulcano. Il caso Arabia Saudita. 3) Giuseppe Acconcia, “Perché i militari sono i veri king-maker della politica ma anche dell’economia egiziana”. 4) “Egitto. La politica degli imperi nascosti, Fratellanza vs Esercito” di Zeinab Abul-Magd - traduzione a cura di Marta Ghezzi Info –paese. 8 -10- 2012. 5) Gilbert Achcar, « Le « capitalisme extrême » des Frères musulmans », Le Monde diplomatique - février 2013. 6)Max Weber “L’Etica protestante e lo spirito del capitalismo”. 7)Samir Amin: “Ecco cosa succede in Egitto”. Tratto da chiamafrica.it, 16/08/2013 8) “Le monarchie del Golfo concedono all’Egitto 12 miliardi di dollari di aiuto dopo la caduta di Morsi”, R.N., Algerie1, 12 luglio 2013 (trad. ossin). 9) “Sceicco, scusa ma ti rubo il petrolio!”, Stefania Elena Carnemolla, notizie tiscali Globalist, mercoledì 25 settembre 2013. 10) Pronti per la fine del petrodollaro?, Brandon Smith Giovedì 31 Ottobre 2013, Blog Di borsa forextrading finanza. 11) Margherita Paolini “ La mezzaluna delle tribù”.Limes ottobre 2013. 12) Sceicco scusa… cit. 13) “Putin ha ordinato un massiccio attacco contro l’Arabia Saudita se l’occidentale attacca la Siria” By Angelo Iervolino– 28 agosto 2013, Come donchisciotte 14) “Il vero leader di al Qaeda e il principe saudita Bandar Bin Sultan”, Ott 19, 2013 :Fonte: italian.irib.ir /notizie/mondo/item/133215 terrorismo il vero leader di al qaeda è il principe saudita bandar bin sultan. 15) Da La Repubblica del 27/07/2003 , “Così l’Arabia Saudita aiutò i kamikaze dell’11 settembre”Le prove nel dossier “top secret” del Congresso di Raffaella Menichini. 16) “La passione di Erdogan (e della Nato, nota mia)per Al Qaida” 03 Agosto 2013. Scritto da Redazione Contropiano. 17) megachip.globalist “Perché lArabia Saudita si allontana dagli USA” venerdì 25 ottobre 2013 , washingtonsblog ,da Washingtons Blog. Suicidio saudita: Riyadh non solo rifiuta laccordo Russia-USA per la Siria, ma continua la guerra e annuncia misure di ritorsione per punire gli USA. Tempi finiti per i Saud? [Thierry Meyssan], 27 ottobre 2013 , megachip globalist
Posted on: Sat, 02 Nov 2013 08:56:44 +0000

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