James Turrell, incontri ravvicinati con la luce della rivelazione - TopicsExpress



          

James Turrell, incontri ravvicinati con la luce della rivelazione Pubblico in fila per ore, tantissimi giovani. La mostra al Guggenheim Museum del "signore della luce e dello spazio" è un successo dal nostro inviato MASSIMO VINCENZI La mostra di James Turrell al Guggheneim Museum di New York NEW YORK - A colpire è il successo: pubblico in fila per ore, tantissimi giovani appoggiati alle transenne in paziente attesa di entrare. È l’ingresso del Guggenheim Museum dove dal 21 giugno al 25 settembre va in scena la mostra dedicata a James Turrell, il settantenne californiano, «signore della luce e dello spazio». Insieme alla Rain Room del MoMa è l’esibizione più vista e discussa dell’estate newyorchese, tanto da spingere i critici del Daily Beast a chiedersi: «Sono fenomeni di massa alimentati con sapienza grazie ai social media o sono vera arte?». LE FOTO Domanda ricorrente, quasi inutile. Alla quale il New York Times risponde promuovendo il lavoro di Turrell: «È ottimo», e il colpo d’occhio conferma la critica: la percezione è straniante, lo stupore si impasta alla curiosità. Il catalogo recita: «È la trasformazione più violenta a cui sia stato sottoposto il museo nella sua storia». E il Guggenheim infatti sembra altro da sé. Completamente svuotato, l’architettura di Frank Lloyd Wright ha la duplice funzione di accompagnare l’installazione, dandogli un alveo naturale, e allo stesso tempo si fa piccola, sino a scomparire. L’unica mostra allestita, in questo periodo, sull’astrattismo tra le due guerre mondiali sembra un’oasi di realtà. Le altre stanze offrono uno squilibrio visivo, a volte viene la tentazione di appoggiarsi a qualche sostegno per capire la direzione, per rendersi conto di cosa si sta guardando. «Luce e spazio sono i miei materiali», dice l’artista che da ragazzo studia matematica e soprattutto psicologica percettiva al Potoma College. Poi si innamora dell’arte e insieme a Robert Irwin e Ron Cooper si mette a ragionare su come usare i fasci luminosi per costruire qualcosa di inedito. La sua idea più visionaria, a cui lavora dal 1979 investendo tanto tempo e ancora più denaro, è il Roden Crater Project: una gigantesca perfomance dentro il vulcano spento. Qui a New York, l’opera che vale il biglietto, si chiama Aten Reign (nome di ispirazione egizia) ed è in effetti qualcosa di mistico, interpretazione che Turrell, dalla barba biblica, asseconda nelle interviste: «Nei miei lavori la luce non porta la rivelazione: è la rivelazione». Poi ancora: «Dopo un po’ che si fissano i colori sembra quasi di vedere spuntare una divinità. Di sicuro si esce ridimensionati, più umili, schiacciati davanti alle mille capacità che ha il vuoto su di noi». La spirale centrale del museo è interamente occupata da questa creazione enorme (anche per budget), decine di luci controllate con i computer che corrono sino all’ultimo piano, dove c’è il lucernario. A terra, appoggiati su materassini da ginnastica o meglio da yoga, i visitatori si sdraiano a pancia in su per ammirare quel che accade. Il tempo svanisce, i sessanta minuti che servono a completare il ciclo sembrano un attimo: «Ma come, è già passata un’ora?», è la domanda più ripetuta dai compagni di avventura, che si sentono legati da un vincolo particolare. Si scambiano opinioni: «Tu cosa hai provato? Che effetto ti fa?» James Turrell usa un ossimoro che rende l’idea: «È uno spettacolo meditativo». Il New York Times la paragona alla visione di Incontri ravvicinati del terzo tipo, quando l’astronave scende su Richard Dreyfuss. Nel lungo cono formato dalle pareti si alternano diversi colori che disegnano forme ipnotiche: viola, arancio, rosso, blu, verde e molto rosa. Poi la luce diventa bianca e alla fine si spegne, lasciando solo il grigio del bagliore naturale. Quando si riesce ad alzarsi il viaggio sensoriale continua. Nelle stanze successive ci sono le prime opere, quelle nate quando Turrell si trasferisce al Mendota Hotel di Ocean Park per iniziare i suoi esperimenti. Il percorso sembra un luna park. Un bambino fa le ombre cinesi su un rettangolo di luce dentro una stanza buia, ride felice. È talmente forte l’attrazione che è difficile non provare a interagire con quel niente. Più avanti è ancora la struttura del museo a giocare un ruolo importante: una parete viene tagliata per creare una piccola fessura dalla quale filtra un fascio chiaro che cambia completamente la prospettiva dell’ambiente, gli spettatori curiosano dentro quello spazio per capire cosa nasconde: nulla, ovvio. C’è il cubo, che cubo non è: a vederlo da lontano sembra un quadrato tridimensionale appeso ad un angolo sul muro. Poi, passo dopo passo, si scopre l’inganno. James Turrell prova a spiegare la sua ossessione. Nel catalogo scrive: «Quando si sogna, da dove viene la luce? C’è un tipo che ha una chiarezza più forte e potente di quella diurna e altera i colori veri, quelli originali». E poi ancora: «Mi interessa il punto incui questa visione si incontra con il nostro pensiero fuori dalla realtà fisica: è qui che nasce la creazione». I raggi del sole, all’uscita, sono rincuoranti. Il mondo ritrova le sue forme, compresa la lunga fila di fan entusiasti che non vedono l’ora di sdraiarsi a meditare immersi in questo spettacolo: «È la seconda volta che vengo, ho voluto portarci anche loro», dice James, quarant’anni, che sta qui con i suoi due figli.
Posted on: Tue, 17 Sep 2013 09:59:54 +0000

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