LA RAGAZZA DAL CERCHIO ROSSO Non era mai stato un capo, e lui lo - TopicsExpress



          

LA RAGAZZA DAL CERCHIO ROSSO Non era mai stato un capo, e lui lo sapeva. Per esserlo occorrevano le convinzioni, essere sano, saldo e affascinante come il mare stratificato di sole e non il rodìo intimo del suo delirante sillogizzare che lo stordiva e lo lasciava deserto con il cancro della solitudine e la nebbia della disillusione. Era disilluso; lo sapeva e non chiedeva più niente alla vita se non di essere cosciente,inutilmente,di un esistere senza un perché. E’ vero che a volte il sangue gli si rimescolava,palpava l’estate nuda,l’arsura della vita che,acqua freschissima,gli inebriava la gola,facendogli male,senza mai saziarlo,come il morso insoddisfatto della mela,il sapore avido del pane. Non aveva limiti allora; si stordiva, scandalizzava per il gusto di scandalizzare,per fare esperienza,per succhiare fino in fondo l’essenza del vivere,banale,banale e bellissimo,fare il pagliaccio,gioco di fanciullo capriccioso e ritirarsi sempre disgustato,sentendosi sempre diverso dagli altri. Così pensava mentre si distribuivano dolci,liquori,vino,taralli. Si trovava lì e non sapeva nemmeno lui il perché: era andato a quel matrimonio un po’ per convenienza,un po’ con la segreta speranza di abbandonarsi al fluido vitale che lo invadeva fragorosamente come cascata e divertirsi,stordirsi,stringersi,accaldato,seni,bocche,gambe,nel delirio dei sensi. Ma era calmo,quasi distaccato,come quando lo scolaro si allontana dalla lavagna per inquadrare meglio il suo problema o quando la macchina da presa ingloba nella sua unità magnetica tutto,angolo,persone,sentimenti mentre l’operatore ne resta, inconsapevolmente, ma realmente fuori. Era calmo e non freddo; non si può essere freddi nella vita: si può odiare, amare,annoiarsi,delirare,mostrarsi indifferenti,ma freddi no, a meno di essere deficienti e senza l’esperienza del dolore che ci preserva la compostezza dolce dell’esistere come un liquore gustato lentamente dinnanzi al fuoco,in una serata invernale. Ora la madre baciava il figlio-sposo; era un addio,uno sfuggire dal nostro mondo di una persona amata ormai in un’altra dimensione,con la sua personalità,le sue lotte e gioie divise con l’altra. Semplice e commovente sentì su di sé quel bacio: anche lui aveva detto addio tante volte; al suo canneto,alle chele dei granchi e alla sparute anguille nei fossati, al mare grande,ai due occhi profondi che ancora gli davano brividi. Certo,non che gli dispiacessero: erano la sua ricchezza nel suo pugno chiuso,per non perderla nella banalità dei giorni comuni e conservarla intatta nel colloquio con se stesso. Era questa la vita: sapere di essere diverso,di non poter comunicare senza perdersi; quella era la vita: la ragazza dal cerchio rosso,timida nel momento dell’attesa,insignificante quasi di fronte ad altre apparentemente più dotate prima del grande ballo; ma abbagliante,poi,che occupa tutto il locale,nel giro frenetico delle coppie; come le altre sensuale,bella,ma altera,taciturna,distaccata quasi lo sguardo metafisico del gatto che osserva,pensa impassibile. La invitò allora a ballare; uno,due,tre volte,eternamente. Rifiutò sempre,dolce e mesta,senza una parola. E finalmente capì che la vita era silenzio,nel vuoto assordante di tanta stupidaggine. Ed ebbe chi in cui credere e agire: se stesso che ormai sapeva.
Posted on: Sun, 23 Jun 2013 09:28:55 +0000

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