La crisi dell’economia di mercato aperta e in libera concorrenza - TopicsExpress



          

La crisi dell’economia di mercato aperta e in libera concorrenza non erode soltanto stipendi e pensioni, ma provoca la reviviscenza di forme di potere autocratiche capaci di imporre senza condizionamenti le proprie decisioni. Basti pensare al fatto che la BCE non può svolgere, a causa dei divieti contenuti nei Trattati, il ruolo di prestatore di ultima istanza, ma può inviare ai governi degli Stati membri lettere che prescrivono la realizzazione di programmi liberisti e di riforme costituzionali monetariste. La nostra Costituzione «viene imbrigliata nella camicia di forza» del Fiscal compact e nei vincoli del pareggio di bilancio e viene alterato, di conseguenza, «l’equilibrio dei poteri a vantaggio di un esecutivo a guida forte». La conseguenza di queste operazioni restauratrici «sarà la cancellazione di ogni residua forma di stato sociale, la perdita dei diritti e delle tutele del lavoro e la drastica limitazione delle condizioni di vita di larghissimi strati della popolazione». Proprio questo è l’obiettivo che si è prefissato il Governo delle ignobili intese PD-PDL-Scelta civica. Riscrivere la Costituzione per averne un’altra che consenta l’autoritarismo del sistema Presidenziale volto ad assicurare il rispetto dei trattati europei e la totale cessione di sovranità nazionale nelle politiche economiche, lasciando alla politica nazionale solo il compito di una ordinaria amministrazione, non dissimile da quella di un consiglio comunale. Stupisce non poco la deriva del PD che lo sposta radicalmente dalle sue origini popolari ricollocandolo verso quelle delle elites e delle lobbies economiche neoliberiste, che propone il PD come rappresentante della destra in sostituzione del berlusconismo, ormai internazionalmente improponibile, rifiutato e inaccettabile. Letta è il nuovo leader della destra economica europea bene accetto dalla signora Merkel e dai burocrati di Eurotower, per lui garantisce la sua appartenenza alle lobbies economiche a partire dalla Trilateral Commission. Letta uguale a Monti e continuità delle sue politiche liberticide.a Indispensabile è invece affrontare il tema delle possibili vie di uscita dalla trappola dei vincoli antisociali predisposta dai Trattati comunitari. Il varco può essere individuato nella riattualizzazione dei principi e delle norme della Costituzione e, in particolare, di quelle concernenti la disciplina dei Rapporti economici (titolo III). Si tratta di rilanciare, in primo luogo, i poteri e le funzioni della programmazione dell’economia (art. 41, terzo comma Cost.) al fine di affrontare e risolvere mediante una visione di carattere globale le storiche contraddizioni che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione dei lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. La Costituzione italiana pone in opera gli istituti democratici d’indirizzo dell’offerta produttiva secondo i bisogni della collettività e legittima, pertanto, l’uso da parte delle assemblee elettive e della democrazia organizzata di una serie di poteri pubblico-sociali diretti a orientare l’attività di impresa verso la realizzazione di finalità sociali. L’art. 41, terzo comma, della Costituzione implica una produzione industriale politicamente e socialmente controllata con la preminenza del Parlamento anziché dell’esecutivo. Una prospettiva, dunque, opposta a quella delineata dai provvedimenti concernenti la cd. governance economica europea che con il pretesto di fronteggiare l’instabilità economica rafforzano, da un lato, il ruolo degli esecutivi e depotenziano, dall’altro, il ruolo dei Parlamenti chiamati ormai a svolgere «una funzione meramente ratificatoria delle decisioni assunte altrove». La fase attuale caratterizzata dalla crisi della “globalizzazione” finanziaria non può cancellare, tuttavia, il fatto che la Costituzione italiana, a differenza di quelle “social-democratiche” o “liberal-progressiste”, si è assunta il compito di disciplinare gli strumenti idonei a consentire l’esercizio di un controllo dell’economia socialmente orientato. Essa non limita l’intervento pubblico al campo dei cd. servizi sociali (sanità, istruzione, trasporti), ma lo estende al campo della produzione manifatturiera dei beni economici e a quello dei mercati dominati dai poteri privati che operano al riparo dell’“autonomia” del sistema delle imprese finanziarie ed industriali. La tanto invocata garanzia dei diritti sociali non può essere ottenuta, infatti, con gli interventi settoriali e assistenzialistici propri del cd. “stato amministrativo” o con le sentenze dei giudici ordinari e costituzionali, ma mediante l’elaborazione di politiche economiche supportate da una strumentazione istituzionale coerente e conseguente (enti pubblici economici, imprese pubbliche, servizi pubblici, nazionalizzazioni, socializzazioni). Occorre considerare, a questo proposito, come la Costituzione italiana abbia introdotto nell’ambito delle funzioni concernenti il governo democratico dell’economia anche quella di indirizzo e coordinamento delle attività finanziarie dei soggetti pubblici e privati in vista della realizzazione delle finalità di giustizia sostanziale proprie della forma di stato democratico-sociale. Questa impostazione dovrebbe orientare anche il processo di costruzione di una nuova Europa democratica e sociale capace di promuovere il progresso materiale e spirituale della società. Occorre, insomma, ripensare l’Europa dalle «fondamenta», schiodandola dalle tavole della «costituzione monetaria in cui è stata ripetutamente trafitta». I costituzionalisti, nell’intraprendere quest’opera complessa ma fondamentale per le sorti della civiltà, non dovrebbero dimenticare il richiamo di Antonio Gramsci, il quale osservava che: «la storia nelle sue linee generali si fa sulla legge scritta» e che i «fatti nuovi che rovesciano la situazione» derivano da un «mutamento preparato molecolarmente» che finisce poi con l’esplodere.
Posted on: Wed, 31 Jul 2013 09:52:31 +0000

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