La divinazione e gli oracoli[modifica | modifica sorgente] Larte - TopicsExpress



          

La divinazione e gli oracoli[modifica | modifica sorgente] Larte divinatoria (μαντική τέχνη) è la modalità con cui gli uomini interpretano i segni inviati loro dagli dèi[153]. Nella Grecia antica dubitare di questo è indice di mancanza di religiosità[154]. Se tutti gli dèi sono liberi di inviare agli uomini i loro segni, è Apollo il dio che consente solo ad alcuni di questi ultimi di interpretare correttamente i segni divini[155]. Lindovino, il mantís (μάντις), è luomo che possiede questo privilegio, un privilegio che può risultare ereditario[154]. I segni inviati dagli dèi corrispondono in genere a tutto ciò che accade in modo casuale: «uno starnuto involontario, un inciampamento, uno scuotimento delle membra; un incontro imprevisto o leco di un nome colto casualmente; fenomeni celesti come fulmini comete, stelle cadenti, eclissi di sole o di luna e perfino gocce di pioggia»[156]. Dal che nascono delle pratiche divinatorie come il tiro a sorte, losservazione dei fulmini, dellimmagine restituita da uno specchio[157], levocazione degli spiriti dei defunti, lesame dei visceri delle vittime sacrificali[158], losservazione del volo degli uccelli[159]. Particolare interesse si conserva per losservazione del volo degli uccelli[160] rapaci (οἰωνός) da parte dello οἰωνοπόλος (oiōnopólos)[161]: lo oiōnopólos sceglie un luogo ben individuato e fisso[162] e da lì indirizzando lo sguardo verso il Nord[163] osserva la direzione del volo degli uccelli. Lesame dei visceri delle vittime sacrificali svolto dallo ἱεροσκόπος (hieroskópos) è, durante le guerre, il compito proprio del μάντις che segue, unitamente alla mandrie addette allo scopo, larmata; e non si dà inizio allo scontro se i segni non vengono interpretati favorevolmente[164]. Erodoto[165] ricorda come, a Platea, Greci e Persiani rinviarono lo scontro per giorni in quanto i risultati, ottenuti con la stessa tecnica divinatoria, ne sconsigliavano linizio. Ma non sono solo i visceri che vengono esaminati, e tra questi particolare riguardo era riservato al fegato (ἧπαρ hēpar), ma anche se la bestia si reca spontaneamente o meno allaltare, come divampa il fuoco e come le parti dellanimale sacrificato bruciano, come scoppia la vescica[166]. Altra pratica divinitoria piuttosto diffusa, soprattutto per problemi di salute, è lenkoímēsis (ἐγκοίμησις)[167] consistente nel dormire allinterno di un santuario allo scopo di ricevere un sogno profetico dagli dèi, e dove linterpretazione dello stesso era cura di un corpo sacerdotale (ὀνειροπόλος, oneiropólos) ad essa dedicato. Gli oracoli (χρηστήριον anche μαντεῖον)[modifica | modifica sorgente] Loracolo (χρηστήριον chrēstḗrion, anche μαντεῖον manteîon)[168] è quel santuario (τέμενος anche ἱερόν) dove un dio offre un responso (χρησμός, chrēsmós) ovvero dà una risposta (μαντεία manteía) a coloro che cercano il suo consiglio. Erodoto elenca 18 santuari con oracoli, tra questi i più famosi in epoca classica risultano quello di Zeus a Dodona, quello di Amphiáraos (Ἀμφιάραος) a Oropo, quello di Trophṓnios (Τροφώνιος) a Lebadea, quello di Apollo a Didima e, più presitigioso tra tutti, quello di Apollo a Delfi[169]. Lorigine di questi oracoli è probabilmente orientale: i Greci del VII secolo a.C. già conoscevano loracolo di Ammone situato nelloasi di Siwa. Nellantichità, loracolo di Zeus a Dodona sosteneva di essere il primo per origine. NellIliade Achille invoca lo Zeus di Dodona, dove vivono i suoi profeti che dormono per terra e mai lavano i piedi[170]; allo stesso modo Odisseo vorrebbe recarsi a Dodona per conoscere i piani di Zeus dal movimento della chioma della quercia a lui dedicata[171]. Esiodo[172] in un testo con lacune, parla di tre colombe che vivono sulla quercia, in testi successivi tali colombe altro non sarebbero che le sacerdotesse delloracolo[173]. Scavi arecheologici hanno verificato lesistenza di un santuario, in cui fu eretto, ma solo nel IV secolo a.C., un piccolo tempio[174]. LOracolo di Delfi[modifica | modifica sorgente] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Oracolo di Delfi. Il sacrificio[modifica | modifica sorgente] Il sacrificio[modifica | modifica sorgente] Un kratēr (κρατήρ) attico a figure rosse, risalente al 430 a.C. e raffigurante larrostimento delle interiora (σπλάγχνα splánchna) per mezzo di lunghi spiedi (οβελοί obeloi) da parte delladdetto a questo specifico compito (lo σπλαγχνόπτης splanchnoptēs) (Museo del Louvre, Parigi). Tra le interiora splancniche, grande attenzione viene riservata al fegato (ἧπαρ hēpar) che prima dellarrostimento viene attentamente esaminato in quanto qui, più che in qualsiasi altro organo della bestia macellata, si può leggere il messaggio inviato dagli dèi agli uomini. Le interiora vengono comunque tutte esaminate seguendo lordine di estrazione dal ventre: cuore, polmone, fegato, milza e reni. Successivamente allestrazione delle viscere viene praticato il disossamento dellanimale per prelevare le ossa, costituite essenzialmente dai femori (μηρία mēria) e dalla colonna vertebrale (ὀσφῦς osphŷs), che essendo le parti destinate agli dèi vengono bruciate integralmente sullaltare (bōmos) prima dellarrostimento delle splánchna. Particolare di un oinochoe (οἰνοχόη) attico a figure rosse, risalente al 430 a.C. e raffigurante un momento del sacrificio greco, (Museo del Louvre, Parigi). Da notare la corona indossata dai celebranti che indica da una parte la loro consacrazione mentre dallaltra ricorda, nellatmosfera festosa del rito, la sottomissione agli dèi. La corona indossata durante il rito rammenta infatti la corona che Prometeo è costretto a portare dopo essere stato liberato dalle catene[175], a memoria della sua punizione per aver ingannato Zeus nel tentativo di favorire gli uomini[176]. Aulos (flauto greco antico) in osso di cervo, risalente agli inizi del V secolo a.C. rinvenuto a Paestum, nella Tomba 21, in località Tempa del Prete e conservato al Museo archeologico nazionale di Paestum. Questo strumento, unitamente alla musica, è fondamentale nel rito greco del sacrificio. Esso ritma lincedere del corteo sacrificale (pompē). Il suo suono è più simile a quello del nostro oboe piuttosto che a quello del flauto. Nella religione greca il sacrificio è il principale atto di culto[177]. « Nessun potere politico può esercitarsi senza lofferta sacrificale. Lentrata in guerra, lo scontro con il nemico, la conclusione di un trattato, i lavori di una commissione temporanea, lapertura di unassemblea, lentrata in carica dei magistrati: sono altrettante attiviità che cominciano con un sacrificio seguito da un pasto comune » (Marcel Detienne e Jean-Pierre Vernant La cucina del sacrificio in terra greca. Torino, Boringhieri, p.9) Particolare di un dipinto votivo (πίναξ) corinzio su tavoletta lignea del VI secolo a.C., rinvenuto in una grotta consacrata alle ninfe a Pitsà, e oggi conservato presso il Museo nazionale di Atene. Questo reperto è particolarmente prezioso perché poco o nulla è rimasto della pittura della Grecia antica su materiale ligneo essendo questo materiale altamente deperibile, in questo caso il raro fenomeno di conservazione lo si deve al deposito di cristalli di calcare sulla superficie. Il dipinto, disegnato su una base di gesso e con lutilizzo anche del prezioso colore azzurro, mostra un corteo sacrificale (pompē) guidato dalla kanephoros. Il sacrificio è quello di un agnello (legato per mezzo di una corda rossa che ne indica la consacrazione agli dèi) dedicato alle tre Charites. Da notare il flautista (αὐλητής aulētēs) che con le note del suo strumento impone il ritmo della marcia del corteo. La presenza della musica (μουσική mousikḗ) nel sacrificio greco è a tal punto caratteristica che Erodoto (Historìai I, 132) si stupisce della sua assenza nei sacrifici dei Persiani[178]. In questo dipinto compaiono due strumenti, la lýra (λύρα), la cui invenzione era attribuita a Ermes, che successivamente la donò ad Apollo rendendolo così il dio della musica; e laulós (αὐλός) il flauto a doppia canna, la cui invenzione era attribuita ad Atena la quale lo gettò in un ruscello dopo che lo specchio dacqua le restituì il volto deformato. Fu il satiro Marsia a recuperarlo in Frigia e a sfidare Apollo in una gara che terminerà con la sua sconfitta e quindi con il suo scorticamento vivo per aver osato sfidare un dio[179]. La lýra era generalmente costruita da un guscio di tartaruga nella cui cavità venivano tese delle corde di budello o di tendine, in genere in numero di sette, strette tra due corna unite tra loro da un bastone messo di traverso. Laulós, il flauto a doppia canna, era generalmente costruito in legno o in osso. Il suono dellaulós somigliava piuttosto al nostro oboe che al nostro flauto. Luso dellaulos era proprio non solo dei sacrifici, ma anche degli esercizi ginnici e di quelli militari in quanto aiutava la concentrazione. La fossa del bothros, laltare della religione greca dedicato alle divinità ctonie e al culto degli Eroi, conservato presso la Valle dei Templi di Agrigento. Tale culto si svolgeva a partire dalla sera per mezzo di libagioni (χοαί, choaí) di sangue, vino o latte versato in una fossa (bothros) o in un altare basso (eschara), ma anche per mezzo di sacrifici cruenti che seguivano le libagioni, ma lanimale, in genere dal manto nero, veniva immolato con la testa rivolta verso il terreno e bruciato integralmente (ἐναγισμός enagismós), non seguiva quindi il banchetto rituale (δαίς daís)[180]. Il sacrificio greco si presenta con differenti caratteristiche e nomi a seconda del tipo di offerta e delle divinità o esseri a cui esso è destinato. Come evidenzia, tra gli altri, Paolo Scarpi[181] il sacrificio veniva quindi così distinto: Choaí (χοαί)[182]: consiste nelle libagioni di vino oppure di latte e miele o di sola acqua, ed è destinato ai defunti, agli eroi e alle divinità ctonie. Spondaí (σπονδαί)[183]: consiste nelle libagioni di vino oppure di latte e miele o di sola acqua, ed è destinato agli dèi dellOlimpo. Aparchái (απάρχαί): consiste nelle primizie dellagricoltura poste nei boschetti sacri o gettate nei corsi dacqua e destinate a Demetra, Dioniso o alle ninfe. Nephália (νηφάλια): consiste in acqua, miele od olio e destinato ai defunti. Thysía (Θυσία): consiste nel sacrificio di uno o più animali (bue, maiale, capra o pecora) ed è destinato agli dèi dellOlimpo. In genere in questo sacrificio della vittima sacrificale venivano bruciati solo il grasso e le ossa, il restante veniva macellato, cotto e distribuito ai partecipanti al banchetto sacrificale (δαίς daís). Enágisma (ἐνάγισμα, anche Haimakouría αίμαχουρία): consiste nel sacrificio di uno o più animali (bue, maiale, capra o pecora) ai defunti, agli eroi o alle divinità ctonie. In genere in questo sacrificio la vittima sacrificale veniva interamente bruciata[184]. I sacrifici solenni e cruenti, sempre e solo di animali domestici[185][186], venivano introdotti da un corteo (pompē πομπή) guidato da una vergine detta kanephoros (κανηϕόρος, portatrice del cesto) che reggeva un cesto (κανοῦν, kanoun) contenente dei pani, chicchi di cereali, sale e, nascosto sotto di questi, il coltello sacrificale (mákhaira μάχαιρα). Tale corteo incedeva ritmicamente al suono di uno o più flauti. Gli intervenuti si disponevano a semicerchio nellarea posta tra laltare e il tempio, volgendo le spalle a questultimo[187] davano inizio al sacrificio. Dopo le libagioni di acqua, vino o latte e miele (a seconda della divinità a cui era destinato il sacrificio), la vittima veniva aspersa con dellacqua durante la purificazione delle mani, cui seguiva il lancio dei chicchi di cereali, di modo che, raggiunta dallacqua fredda e dalle granaglie, scuotendosi e chinando la testa (hypokyptein), assentiva al sacrificio[188]. Senza lassenso della vittima sacrificale, il sacrificio greco non poteva avere luogo[189]. Dopo le preghiere e con il lancio dei chicchi di cereali, alla vittima veniva asportato un ciuffo di peli dal capo che veniva gettato nel fuoco e quindi sgozzata (sphazein). In questo momento i flauti cessavano di suonare mentre le donne presenti alzavano un grido (ololughé)[190]. Nel caso di un sacrificio olimpico il sangue veniva raccolto in un vaso (σφαγεῖον sphageîon) e quindi spruzzato sullaltare (bōmos βωμός ), nel caso di un sacrificio ai morti o alle divinità ctonie, lasciato colare a terra. Sempre nel caso di un sacrificio agli dèi olimpici lanimale sgozzato e dissanguato veniva macellato dal mágeiros[191] (μάγειρος) sul tavolo (trápeza τράπεζα) e la sua carne fatta a pezzi e cotta (bollita in un calderone, il lebēs λέβης)[192], tranne le viscere (splánchna σπλάγχνα[193]) che invece venivano grigliate su lunghi spiedi (ὀβολοί obeloi), e consumate insipide [194]subito dal gruppo ristretto dei sacrificanti, gli splanchneúontes[195]. La suddivisione in parti dellanimale sacrificato era rigidamente stabilità: la pelle andava al sacerdote (hiereús ἱερεύς), così anche le cosce (κωλῆ kōlē̂) che divideva però con i magistrati[196]. Nella Teogonia, Esiodo (VIII sec.-VII sec. a.C.) offre una spiegazione poetica e mitica della spartizione della vittima sacrificale tra uomini e dèi, attribuendo la scelta a un inganno di Prometeo [197]. La vicenda raccontata da Esiodo si svolge in unepoca mitica quando gli dèi e gli uomini convivevano insieme, condividendo lo stesso banchetto. Zeus divenuto re degli dèi decide, dopo avere delimitato compiti e funzioni tra gli immortali, di definire il ruolo spettante agli uomini stabilendo una giusta ripartizione degli onori. Viene chiamato per questo Prometeo, il titano che non ha partecipato al conflitto con gli dèi, il quale si presenta al consesso degli dei e degli uomini con un grande bue che abbatte e macella ripartendone il corpo in due parti rispettivamente destinate agli dei e agli uomini. In questo modo, evidenzia Jean-Pierre Vernant[198], «Il sacrificio appare così come latto che ha consacrato, realizzandola la prima volta, la segregazione degli statuti divino e umano.». Ma Prometeo vuole ingannare Zeus: sotto un sottile strato di grasso appetitoso nasconde le ossa del bue prive di carne, mentre, avvolta nella pelle e nello stomaco ripugnante, cela tutto ciò che di delizioso ha la bestia. Zeus deve scegliere per primo, il re degli dèi ha compreso linganno ma decide di accettarlo privilegiando la parte di grasso e di ossa nascoste condannando così gli uomini: « Mangiando la carne gli uomini firmano la loro sentenza di morte. Dominati dalla legge del ventre, si comporteranno ormai come tutti gli animali che popolano la terra, i flutti, o laria. Se provano piacere a divorare la carne di una bestia morta, se provano un bisogno imperioso di nutrimento, dipende dal fatto che la loro fame non si placa mai, rinasce sempre perché è il segno di una creatura le cui forze a poco a poco sono usurate ed esaurite, è il segno di una creatura votata alla fatica, allinvecchiamento e alla morte. Contentandosi del fumo delle ossa, vivendo di odori e di profumi, gli dei testimoniano di appartenere a una razza la cui natura è completamente diversa da quella degli uomini. Sono gli immortali che vivono sempre, giovani in eterno, il cui essere non comporta niente di perituro e che non hanno alcun contatto con il dominio del corruttibile. » (Jean-Pierre Vernant. Mito e religione in Grecia antica p. 37) Infine, se consideriamo che lalimentazione carnea dei Greci coincideva con il sacrificio degli animali[199] il rituale sacrificale rispondeva a una sensibilità propria di questa cultura religiosa: « È chiaro che il rito sacrificale greco mira a predisporre lannientamento della vita come il centro sacro dellazione. I molti complicati preparativi sottolineano come sia innaturale e quanto turbamento provochi ciò che sta accadendo. [...][200] Caratteristica di tutti questi riti è lambivalenza dei sentimenti che trova espressione nella cerimonia. Luomo, mentre offre un sacrificio secondo il volere della divinità, deve però vincere o superare una inibizione a uccidere; mentre esprime sentimenti di colpa e di rimorso, dimostra un rispetto della vita profondamente radicato. Più forte è tuttavia una necessità superiore che lo spinge a uccidere. » (Walter Burkert. Origini selvagge. Sacrificio e mito nella Grecia arcaica. Bari, Laterza, 1998, pp. 20-1) Il tempo sacro: calendario religioso e feste[modifica | modifica sorgente] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Festività (Grecia antica). Koûros funerario risalente al VI secolo a.C., rinvenuto a Anavyssos (Attica) e oggi conservato presso il Museo archeologico nazionale di Atene. Alla base della statua, un distico recita: « Fermati e piangi di fronte alla tomba di Kroisos, che Ares furioso uccise, mentre combatteva tra i primi » Statua di sirena in marmo pentelico, rinvenuta presso la necropoli del Ceramico (Atene) e risalente al IV secolo a.C., oggi conservata presso il Museo archeologico nazionale di Atene. Le sirene sono strettamente collegate ai culti funerari, esse stazionavano alle porte degli Inferi avendo il compito di consolare le anime dei defunti con il loro dolce canto e di accompagnarle nellAde. George M.A. Hanfmann[201] ricorda che questo stretto collegamento con il mondo dei morti, testimoniato soprattutto dal fatto che fin dai tempi più antichi le loro immagini fossero a corredo delle tombe, fa supporre ad alcuni autori che le sirene fossero in origine degli uccelli in cui trovavano dimora le anime dei defunti. Da notare il palmo della mano sinistra, che è tutto ciò che ci resta delle braccia, posto sul lato della testa onde tirare, nella lamentazione del morto, i capelli sciolti. La gravità del lamento risulta ben impressa anche nellinclinazione della testa e nei contratti lineamenti del viso. « Voi, piumate vergini figlie della Terra, voi Sirene invoco, ai pianti miei venite qua, col libico flauto o con le cetre: siano per i miei tristi lutti, consone lacrime, pianti per pianti, per musiche musiche: ai gemiti consoni complessi Persefone mi mandi, voci di morte, e da me con le lacrime sabbia un peana nel regno di tenebra omaggio per i defunti sepolti là » (Euripide. Elena, 167-179. Traduzione di Filippo Maria Pontani, Milano, Mondadori, 2007, p. 485) La nozione di psyché (ψυχή)[modifica | modifica sorgente] I poemi omerici affrontano più volte il tema di ciò che accade dopo la morte: cessata la vita del corpo, la sua psyché (ψυχή) vola via. (GRC) « ἀλλὰ τὰ μέν τε πυρὸς κρατερὸν μένος αἰθομένοιο δαμνᾷ, ἐπεί κε πρῶτα λίπῃ λεύκ ὀστέα θυμός, ψυχὴ δ ἠΰτ ὄνειρος ἀποπταμένη πεπότηται » (IT) « ma la furia impetuosa del fuoco ardente li disfa non appena θυμός (thumos) abbandoni le bianche ossa e la ψυχὴ (psyché) come unimmagine di sogno vola via. » (Odissea, XI, 220 e segg.) Qui si presentano due nozioni, quello del θυμός (thumos) e quello della ψυχὴ (psyché). Richard Broxton Onians (1899-1986)[202] osserva che θυμός viene così indicato quando questi è racchiuso nei polmoni (ritenuti organi dellintelligenza) come un elemento caldo; il termine diviene invece ψυχή quando abbandona il corpo con lultimo respiro, divenendo un elemento freddo. Ma accade anche che θυμός e ψυχή lascino insieme il corpo, tuttavia ψυχή lo abbandona giungendo nellAde (Ἅδης) come ἠύτ ὄνειρος (un fantasma visto in sogno) mentre θυμός viene distrutto dalla morte. La nozione di psyché (ψυχή) è difficilmente traducibile in lingua italiana, come in qualsiasi altra lingua moderna, in quanto non si riuscirebbe a coprirne lintera area semantica. Genericamente il lemma moderno meno inadeguato può essere quello di anima[203]. Luomo greco dei poemi omerici crede dunque che dopo la morte sopravviva solo la psyché del defunto, tale psyché non è altro che una immagine dello stesso che scompare come fumo[204] o come unombra[205]. Tale ombra disegna la figura del morto quando era vivo, ma poco di più: « La psiche, secondo la concezione omerica, non somiglia affatto a cio che noi, in opposizione al corpo, sogliamo chiamare spirito. Tutte le funzioni dello spirito umano, nel senso più ampio della parola, denominate variamente dal poeta, sono attive, anzi sono possibili, soltanto finché luomo vive. Al sopraggiungere della morte, luomo che costituiva un tutto completo, si scinde: il corpo, cioè il cadavere, diventa terra insensibile, si corrompe; la psiche perdura intatta. Ma essa non salva lo spirito e le forze di lui, più che non salvi il cadavere; quando lo spirito e gli organi labbandonano, si dice chella è priva di sensi: tutte le forze della volontà, del sentimento e del pensiero spariscono colla scomposizione delluomo nelle sue parti costitutive. » (Erwin Rohde. Psiche. Bari, Laterza, 2006, p. 13) Ne consegue che per le credenze proprie delluomo omerico, con la morte non finisce lesistenza in quanto tale, ma certamente lesistenza delluomo inteso come personalità, volitività, affettività. Lombra che si aggira nellAde è solo un sogno, unimmagine sbiadita e priva di qualsiasi contenuto rispetto a quello che da vivo egli fu. Nonostante questa nozione della realtà dei defunti, luomo greco tributa agli stessi dei culti familiari presso le loro tombe. I morti vengono quindi percepiti ancora come potenti, in grado di influire in qualche modo sulla vita dei loro cari[206]. Con il successivo emergere dei culti misterici, si diffonde lidea che chi muore, qualora avesse praticato quelle iniziazioni, possa ambire ad unaltra condizione rispetto a quella comune, una condizione simile a quella riservata agli eroi rapiti nellIsola dei beati. Mentre « Chi da stolto ha trascurato o disprezzato liniziazione, naturalmente non ha uguale sorte laggiù, come dice in forma riservata linno di Demetra. Soltanto gli iniziati hanno vita, dice Sofocle; i non iniziati, cui laggiù andrà male, non si dovevano certo concepire altrimenti che come ombre vagolanti nella semi vita crepuscolare dellErebo omerico. » (Erwin Rohde. Op.cit. p. 255) Le religioni dei misteri (ὄργια) e delle iniziazioni[modifica | modifica sorgente] Rilievo in marmo rinvenuto a Eleusi, risalente al V secolo a.C. e conservato presso Museo archeologico nazionale di Atene. Il rilievo raffigura a sinistra Demetra (Δημήτηρ) che impugna un lungo scettro (skêptron), suo attributo come bastone da pellegrino durante la lunga ricerca della figlia Persefone; al centro Trittolemo (Τριπτόλεμος), figlio di Celeo re di Eleusi[207], mentre riceve da Demetra una spiga di grano con lincarico di diffondere la conoscenza tra gli uomini[208]; a destra Persefone (Περσεφόνη) che regge con la mano sinistra una lunga fiaccola, propria dei misteri eleusini celebrati di notte per commemorare il ritorno notturno della figlia di Demetra. Una placca votiva in terracotta rinvenuta nel santuario di Eleusi, risalente al IV secolo a.C. è conservata presso il Museo archeologico nazionale di Atene. Gli iniziati illuminano il rito notturno con le fiaccole e vengono accolti nel santuario da Demetra che è assisa sul cesto contenente gli oggetti sacri, Persefone invece è in piedi impugnando una torcia. Da notare il kernos (κέρνος) che una donna (terza figura da sinistra della fila superiore) trasporta sulla testa. Antico kernos risalente al II millennio a.C., rinvenuto in una tomba presso Milo è oggi conservato al Museo del Louvre di Parigi. In ambito efesino, luso di questo vaso per offerte multiple era cultuale. In ogni piccolo recipiente (kotyliskoi) venivano deposti semi e granaglie per commemorare il dono dellagricoltura da parte di Demetra. Nei Deipnosophistai (Δειπνοσoφισταί, XI, 56, 478d) di Ateneo, che qui cita il Sulla pelle sacra a Zeus di Polemone di Ilio, ne viene precisato il contenuto: foglie di ormino, teste bianche di papavero, grani di frumento e di orzo, piselli, grani di veccia e di rubiglia, lenticchie, fave, grani di spelta, avena, frutta (fichi?) conservata (palathion), miele, olio vino, latte e lana di pecora non lavata. Colui che portava il kernos (kernophorein) ne assaggiava. Statua in marmo pentelico raffigurante Dioniso (Διόνυσος) ebbro appoggiato a un Satiro che impugna un lagobolon ( Λαγωβόλον, bastone per catturare le lepri), rinvenuta a Megara, risalente al III secolo d.C. e conservato presso il Museo archeologico nazionale di Atene. Dio dellebbrezza ma questa intesa come mutamento dello stato di coscienza provocato dallintervento divino, non quindi necessariamente collegata al consumo di vino, bensì come manía (μανία, furore) questa intesa come incremento della forza spirituale che si diffonde, durante i riti, tra i fedeli del dio. Durante la trasformazione di coscienza, fedele e dio si fondono ed entrambi si indicano come Βάκχος (Bákkhos)[209]. I Satiri sono divinità della vita selvatica dei boschi e dei luoghi selvaggi. Da vecchi vengono indicati come Sileni[210], in età ellenistica sono associati a Dioniso. Menade (μαινάδες, mainádes) danzante, particolare di uno skyphos a figure rosse del IV secolo a.C. rinvenuto a Paestum e oggi conservato al British Museum di Londra. L orgion (ὄργιον) dionosiaco consisteva in un rito notturno celebrato sui monti alla luce di fiaccole, dove, al suono di flauti, timpani e antiche cornamuse, si danzava a un ritmo sfrenato seguendo un moto circolare e alzando grida. I partecipanti al rito, prevalentemente donne, si coprivano con lunghe pelli di volpi o di caprioli, indossando copricapi muniti di corna o lasciando libera la capigliatura. Impugnando serpenti, tirsi o pugnali, la cui lama era nascosta nelle foglie di edera, rapiti da un sacro furore i bacchi[211] si gettavano su animali vivi per sbranarli crudi. Tale pratica avrebbe consentito agli iniziati di chiamare al rito lo stesso dio Dioniso e, risultando così degli entheos, dei pieni di dio, finivano per identificarsi con la stessa divinità[212]. In lingua italiana il termine mistero indica ciò che sfugge alle normali possibilità di conoscenza, quindi ciò è enigmatico, oppure può significare ciò che è indicato come segreto. Mistero deriva dal termine latino mystērĭum con analogo significato, a sua volta dal greco mystḕrion (μυστήριον), quindi a sua volta da mýstēs (μύστης) col significato di iniziato. Per inquadrare correttamente il lemma utilizzato in questa voce occorre ricordare, con lintroduzione di Walter Burkert al suo saggio del 1987 Antike Mysterien, Funktionen und Gehalt[213], come sia più corretto intendere laccezione riportata dal termine latino initiatio. Infatti: « i misteri erano cerimonie di iniziazione, culti nei quali lammissione e la partecipazione dipendono da qualche rituale personale da celebrare sulliniziando. La segretezza e, nella maggior parte dei casi, unambientazione notturna sono elementi concomitanti di questa esclusività. » (Walter Burkert. Antichi culti misterici. Bari, Laterza, 1989, p. 13) Quindi lespressione religioni dei misteri non intende tanto indicare credenze o culti greci segreti quanto piuttosto un insieme di culti che si fondano sulle pratiche di iniziazione laddove questo termine indica ciò che permetterebbe al suo partecipante « luscita da uno status in funzione dellentrata in uno status diverso, talora in modo radicale, dal precedente. » (Carlo Prandi. Iniziazione in Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993, p. 377) « Liniziazione opera un passaggio da uno stato ad un altro stato, da uno stadio della vita, da un genere di vita ad un nuovo genere di vita. È allorigine di una serie di mutamenti che introducono liniziato in una comunità umana, in un mondo di valori, in vista di una missione o di unesistenza più perfetta » (Julien Ries. Riti di Iniziazione. in Dictrionnaire des Religions (a cura di Jacques Vidal). Parigi, Presses universitaires de France, 1984. In italiano: Dizionario delle religioni (a cura di Paul Puoupard). Milano, Mondadori, 2007, p. 915) I Misteri di Eleusi[modifica | modifica sorgente] Origini mitiche e loro fondamento[modifica | modifica sorgente] Il testo fondamentale dei Misteri di Eleusi, che ne narra sia il mito sia la fondazione, è lInno a Demetra collocato come secondo inno nella raccolta degli Inni omerici. La sua datazione è controversa ma si ritiene sia certamente anteriore almeno alla metà del sesto secolo a.C.[214]. Kore (Persefone), figlia di Demetra, viene rapita da Ade, dio degli Inferi: mentre raccoglie dei fiori nella piana di Nysa, insieme alle sue compagne, figlie di Oceano, dal prato fiorito spunta un narciso di straordinaria bellezza, ecco che Kore, immersa in un sacro stupore (θαμβήσασ), protende le mani per raccogliere il meraviglioso fiore quando dalla base del narciso si apre una voragine da cui emerge il re dei morti, Ade, che la rapisce. Nel momento del ratto, e fino a che ella scorgeva «la terra e il cielo stellato, il mare pescoso dalle vaste correnti, e i raggi del sole [...] sebbene ella fosse angosciata, la speranza le confortava il nobile cuore...»[215]. Demetra disperata la cercò per nove giorni senza nutrirsi (di ambrosia, ἀμβροσία). Helios decise quindi di raccontarle laccaduto: Zeus, il re degli dèi, aveva concesso Persefone in sposa al fratello Ade che quindi laveva rapita. Ancora più addolorata, e ora anche furente nei confronti di Zeus, Demetra rifiutò quindi di tornare sullOlimpo e, trasformatasi in una vecchia, si recò a Eleusi sedendosi vicino al Pozzo delle Vergini. Le figlie del re di Eleusi, Celeo, recatesi al pozzo, la interrogarono su chi fosse e da dove venisse. Demetra rispose di chiamarsi Doso e raccontò loro di essere sfuggita ai pirati che lavevano rapita nei pressi di Creta. Mosse a compassione, le figlie di Celeo la invitarono quindi a palazzo per fungere da nutrice a Demofonte, lultimo figlio della regina Metanira, sposa di Celeo. Demetra entrata nel palazzo del re di Eleusi si sedette in disparte su uno sgabello, restando per molto tempo silenziosa e con il volto velato, fino a che la serva Iambe riuscì a farla sorridere con i suoi scherzi. Metanira offrì quindi del vino a Demetra la quale rifiutò chiedendo invece del ciceone, una bevanda composta da orzo tritato, acqua e foglie di menta. Demetra non allattò Demofonte, ma segretamente lo massaggiava con lambrosia, immergendolo (κρύπτεσκε, coprendolo) di notte nel fuoco; questa operazione trasformava lentamente il figlio di Celeo in un dio, in un immortale eternamente giovane. Ma la madre Metanira scoprì Demetra mentre immergeva Demofonte nel fuoco e si spaventò. Allora Demetra cessò lopera di trasformazione in dio dellinfante e, manifestandosi come dea, abbagliante, a Metanira, accusò lumanità di essere stolta. Ora Demofonte non può più divenire un dio, ma Demetra, lasciando il palazzo, chiese a Metanira di ergergli un santuario con un altare da dove ella potesse insegnare i suoi riti agli uomini. Edificato il santuario, Demetra vi si rifugiò e, ancora adirata per la scomparsa della figlia Persefone, da lì provocò unaridità che desolò tutta la Terra, generando carestie e impedendo così agli dèi di ricevere sacrifici dagli uomini. Vanamente Zeus le inviò dei messaggi per farla tornare sullOlimpo. Demetra gli rispose che sarebbe risalita sul monte degli dèi e avrebbe posto termine alla carestia solo qualora avesse potuto rivedere la figlia. Zeus si convinse quindi a intimare ad Ade di restituire la figlia alla dea, ma Ade, prima di rispettare lordine del re degli dèi, fece inghiottire a forza a Persefone un chicco di melograno, il cibo dei morti. Per questa ragione Persefone-Kore fu costretta a ritornare presso il re degli Inferi per quattro mesi lanno. Ritrovata la figlia, Demetra acconsentì a ristabilire la vegetazione sulla Terra e a rientrare sullOlimpo, ma non prima di aver insegnato i suoi Misteri a Diocle, Trittolemo, Celeo ed Eumolpo[216]. Così si avvia a concludere lInno: « Felice tra gli uomini che vivono sulla terra colui chè stato ammesso al rito! Ma chi non è iniziato ai misteri, chi ne è escluso, giammai avrà simile destino, nemmeno dopo la morte, laggiù nella squallida tenebra. » (Inno a Demetra 480 e segg. Traduzione di Filippo Càssola. Op.cit. 75-7) André Motte[217] individua nella fase iniziale dellInno a Demetra lelemento portante dellinsegnamento iniziatico: quando Kore raccoglie il narciso si fa donna, sposa di Ade che le spiega che quaggiù ella regnerà «su tutti gli esseri che vivono e si muovono» (δεσπόσσεις πάντων ὁπόσα ζώει τε καὶ ἕρπει) non quindi su un regno di ombre come rappresentato in Omero. La risalita di Kore corrisponde inoltre al ritorno della vegetazione sulla terra. « Si comprende meglio ora in che modo il prato fiorito della scena iniziale può costituire sia limmagine esemplare delle origini dove si snoda il dramma, sia il simbolo delle speranze che nutrono i mystoi, cioè rinascere un giorno alla luce come Core. Contrariamente a ciò che esprime la Nekyia dellXI canto dellOdissea, qui il telos si riunisce allarche tou biou. NellOdissea, ai morti evocati da Ulisse sul bothros viene impedito di soggiornare a lungo sul prato dasfodelo che si estende tuttintorno, e Persefone stessa li prega di tornare nelle nebbie oscure; in qualche modo viene proibito loro di rinascere. [...] Ma se la partecipazione ai misteri di Demetra non allontana il passaggio attraverso la morte, almeno contiene per liniziato la promessa di essere nuovamente unito nellal di là alla dea e allarche tou biou, di cui, con sua figlia, è lincarnazione. » (André Motte. Notte e luce nei misteri di Elusi in Simbolismo ed esperienza della luce nelle grandi religioni (a cura di Julien Ries e Charles Marie Ternes). Milano, Jaca Book, 1997, pp. 109) I Misteri[modifica | modifica sorgente] Mircea Eliade[218] ricorda come lInno menzioni due tipi di iniziazione: il primo collegato al ricongiungimento di Demetra con Persefone, il secondo riguardante la mancata immortalizzazione di Deofonte. Così dopo la mancata immortalizzazione di Deofonte Demetra rivela la sua identità e dopo il ricongiungimento con la figlia si decide a comunicare i Misteri agli uomini che non corrispondono tuttavia alla loro divinizzazione in vita ma alla beatitudine ( beato, ὄλβιος), post-mortem, per gli iniziati. « In fin dei conti, il ratto -cioè la morte simbolica- di Persefone ebbe conseguenze considerevoli per gli umani. Da quel momento una dea olimpica e benevola abitò temporaneamente il regno dei morti. La dea aveva annullato la distanza invalicabile tra Ade e lOlimpo. Mediatrice fra i due mondi divini, poteva dora innanzi intervenire nel destino dei mortali » (Mircea Eliade. I misteri di Eleusi in Storia delle credenze e delle idee religiose, vol. 1. Milano, Rizzoli, 2006, p. 320) Il santuario riguardante i Misteri di Eleusi (Telestèrion, τεληστήριον) risulta eretto nel XV secolo a.C. data a cui si può far avviare la pratica degli stessi[219] quindi essi furono praticati per circa duemila anni anche se è probabile una loro rielaborazione nel corso dei secoli[220]. I Misteri di Eleusi vengono distinti in Piccoli Misteri[221][222] celebrati nel mese di Antesterione (Ἀνθεστηριών, febbraio-marzo) nella località di Agra (sobborgo di Atene), consistenti in digiuni, purificazioni[223] e sacrifici guidati da un mistagogo (μυσταγωγός); e Grandi Misteri celebrati nel mese di Boedromione (Βοηδρομιών, settembre-ottobre), della durata di otto giorni. A questi Grandi Misteri poteva partecipare chiunque parlasse greco e non si fosse macchiato di omicidio, compresi quindi gli stranieri, gli schiavi e le donne, purché avessero partecipato precedentemente ai Piccoli Misteri. Il primo giorno dei Grandi Misteri, il 15 di Boedromione, si celebrava ad Atene presso lEleusinion (Ελευσίνιο) arredato allo scopo con gli oggetti sacri (Ιερά hierà) del santuario di Eleusi[224] lì solennemente trasportati il giorno precedente, il 14 di Boedromione. Nellagorà (ἀγορά) si riunivano gli iniziati accompagnati dal loro tutore (mistagogo, μυσταγωγός) ateniese ricevevano le istruzioni dello ierofante (ἱεροϕάντης) che tra laltro invitava coloro che si erano macchiati di omicidio e coloro che non parlavano la lingua greca ad allontanarsi[225]. Il secondo giorno, il 16 di Boedromione, una processione si recava sulla costa (ἄλαδε μύσται, al mare, o voi iniziati) dove i nuovi adepti, accompagnati sempre dal tutore già iniziato ai Misteri, si bagnavano al Falero e dove contestualmente lavavano un porcellino che sarebbe stato sacrificato e mangiato al loro ritorno in città[226], da questo momento agli adepti era proibito nutrirsi fino allarrivo, al quinto giorno, ad Eleusi[225]. Il terzo giorno, il 17 di Boedriomone, alla presenza delle autorità cittadine non solo ateniesi, lArconte Basileus (Ἄρχων Βασιλεύ) e la sua consorte eseguivano un grande sacrificio a Demetra e Kore (Persefone). Il quarto giorno, il 18 di Boedriomone, si svolgeva una processione e un sacrificio ad Asclepio[227]. Allalba del quinto giorno, il 19 del mese di Boedromione, un imponente corteo[228] muoveva dallagora di Atene, attraversando la Porta Sacra del Ceramico, per raggiungere in serata, quindi con linizio del ventesimo giorno, il borgo di Eleusi situato a venti chilometri a Occidente. Comuni cittadini, oltre i tutori e neofiti, accompagnavano le sacerdotesse che riportavano al santuario di Eleusi i corredi sacri. Durante tutto il tragitto i partecipanti al corteo intonavano un canto di cui conosciamo solo il titolo: Iacchos (Ἴακχος)[229][230], alternandolo, nelloccasione dellattraversamento del fiume Cefiso, a scambi di motti scherzosi e osceni[231], astenendosi dallassumere cibo o bevande. È certo dunque che ogni Ateniese partecipava al corteo e non solo gli iniziati ai Misteri, dal che se ne deduce che questa parte del culto non era affatto segreta[232]. Arrivati al santuario ( τεληστήριον, Telestèrion) di Eleusi, i fedeli si separavano dagli altri partecipanti e, alla luce delle torce, entravano nel cortile davanti al santuario, dove si purificavano nelle vasche e dove le donne danzavano intorno alla fonte di Callicoro. Entrati quindi nel santuario, interrompevano il digiuno bevendo il ciceone (κυκεών)[233][234]. La restante parte del rito di iniziazione risulta segreta quindi a noi sconosciuta[235]. Gli storici delle religioni offrono comunque delle ipotesi di una sua ricostruzione[236] partendo da autori pagani (più restii a fornire informazioni) ma anche cristiani (i quali potrebbero di converso non essere ben informati)[237]. Nel 395 d.C., nello stesso anno in cui Teodosio I proibì tutti i culti pagani, i Visigoti guidati da Alarico distrussero una parte del Telestèrion che non fu più ricostruito. Per quanto attiene il significato proprio dei Misteri di Eleusi, Ugo Bianchi[238] si sofferma su due passaggi a questi inerenti: « Felice[239] chi entra sotto terra dopo aver visto quelle cose conosce la fine della vita, conosce anche il principio dato da Zeus » (Pindaro. Frammento 137. Traduzione di Giorgio Colli in La sapienza greca vol.1. Milano, Adelphi, 2005, pagg. 92-3) Dove da una parte si conferma che la parola beati (olbios, ὄλβιος) apriva lacclamazione liturgica ma anche che « la partecipazione ai misteri si qualificava anzitutto come un vedere riservato ed iniziatico, un vedere che - nel testo pindarico- si tramuta in un sapere che, totalizzante, si riferisce ai fondamenti stessi della vita, al suo alfa e al suo omega, un sapere che concerne questa vita e laltra » (Ugo Bianchi. Op.cit. p. 267) Evidenziando poi che il termine vita viene nominato dopo lavvio della stessa dato da Zeus, Bianchi sottolinea: « è da ritenere che la frase voglia alludere alla profondità dellesperienza eleusina, che fa scendere liniziato fino a quel trascendente livello ove sono la radice e i significati della vita e della morte, del morire e del vivere -inteso questultimo come pienezza e compimento dellesperienza nel suo complesso. » (Ugo Bianchi. Op.cit. p. 267) Riguardo al secondo passaggio, inerente al seguente frammento di Sofocle: « O tre volte felici, quelli fra i mortali, che vanno nell’Ade dopo di aver contemplato questi misteri: difatti solo a essi laggiù spetta la vita[240], mentre agli altri tutto va male laggiù » (Sofocle. Frammento 837. Traduzione di Giorgio Colli in La sapienza greca vol.1. Milano, Adelphi, 2005, pagg. 94-5) Ugo Bianchi osserva come esso «pone come termine di riferimento proprio il vivere, nella sua accezione più ricca di contenuto (zen, in nota critica: Il termine zen è più forte di quello di bios. Questultimo accenna al ciclo vitale, laltro, invece alla pienezza di vita).» Dionisismo[modifica | modifica sorgente] Nel suo saggio sul Dionisismo, contenuto nel I volume delle La religioni dei misteri, Paolo Scarpi si avvia così a concludere: « Se, come possiamo credere, i Greci evocavano Dioniso per allontanarlo così da marginalizzare il disordine, e se nello stesso tempo è possibile riconoscere una spinta elitaria che ha progressivamente condotto il dionisismo ad assumere forme e pratiche cultuali proprie, benché sempre regolamentate dallo stato, è impossibile una descrizione del fenomeno misterico dionisiaco e soprattutto μυστήρια dionisiaci » (Paolo Scarpi. La religioni dei misteri vol.1. Milano, Mondadori/Fondazione Lorenzo Valla. 2007, p.230) Premesse le difficoltà di descrivere i misteri (μυστήρια) propri di Dioniso si può comunque attestare la presenza del suo culto a partire dalle religioni egee, così in due tavolette rinvenute nel Palazzo di Nestore a Pilo di Messenia (PY Xa, 102 e PY Xb, 1419), dove appare il nome del dio in miceneo: Di-wo-nu-so (Lineare B: 𐀇𐀺𐀝𐀰), ma nella forma genitiva di Di-wo-nu-so-jo (Lineare B: 𐀇𐀺𐀝𐀰𐀍). Il suo nome significa Giovane figlio di Zeus[241] e la sua figura è legata inequivocabilmente alla giovinezza[242]. Quindi dio della vita feconda, in particolare, ma non solo, della vegetazione e quindi della vite, delluva e del vino. L’iniziazione dionisiaca consisteva nella condivisione della teofania di Dioniso da parte delle Menadi (Μαινάδες). Ciò accadeva di notte in luoghi selvaggi e solitari attraverso danze estatiche e per mezzo di un sacrificio nel quale la vittima veniva squartata (σπαραγμός sparagmos) e poi mangiata cruda: questo era il modo di entrare in comunione con Dioniso, in quanto gli animali così sacrificati erano sue incarnazioni[243]. Rammentando la testimonianza di Diodoro Siculo[244] sulla esistenza dei Misteri dionisiaci e sul fatto che questi, a partire dal V secolo a.C., avessero acquisito delle influenze orfiche, Mircea Eliade così si avvia a concludere: « Più ancora degli altri dèi greci, Dioniso sorprende per la molteplicità e la novità delle sue epifanie, per la varietà delle sue trasformazioni. È in perenne movimento; penetra ovunque, in tutti i paesi, presso tutti i popoli, in tutte le religioni, pronto ad associarsi a divinità diverse, anzi perfino antagoniste (per esempio Demetra, Apollo). È, senza dubbio, lunico dio greco che, rivelandosi sotto aspetti differenti, affascina e attrae tanto i contadini che le élites intellettuali, i politici e i contemplativi, gli orgiastici e gli asceti. Lebbrezza, lerotismo, la fertilità universale, ma anche le esperienze indimenticabili suscitate dal ritorno periodico dei morti, o dalla mania, dallo sprofondare nellincoscienza animale o dallestasi dellenthousiasmos - tutti questi terrori e rivelazioni hanno ununica origine: la presenza del dio. La sua natura esprime lunità paradossale della vita e della morte. Per questo, Dioniso costituisce un tipo di divinità radicalmente diverso dagli Olimpî. Era forse, tra tutti gli dèi, il più vicino agli uomini? In ogni caso ci si poteva avvicinare a lui, si giungeva a incorporarlo, e lestasi della mania dimostrava che la condizione umana poteva essere oltrepassata. » (Mircea Eliade. Dioniso o le beatitudini ritrovate in Storia delle credenze e delle idee religiose, vol. I. Milano, Rizzoli, 2006, p. 402) La presenza del dio Dioniso, quindi il differente stato di coscienza che provocava tale estasi, da un parte consentiva alle menadi di profetizzare in modo del tutto differente da quello omerico dove, in questultimo caso, la profezia nasceva dalle interpretazioni di segni causali esterni mentre nellorgia bacchica sorgeva invece dallentusiasmo, ovvero dalla possessione divina; dallaltra forniva il supporto a credenze secondo le quali la psyché liberatasi del corpo si univa alla divinità acquisendo così uno stato superiore allordinario[245]. 1leftarrow.pngVoce principale: Religione dellantica Grecia. Orfeo (Ὀρφεύς), fondatore dellOrfismo[246], «cantore e sciamano, capace di incantare animali e di compiere il viaggio dellanima lungo gli oscuri sentieri della morte»[247], ritratto in un kratēr (κρατήρ) attico a figure rosse risalente al V secolo a.C. e oggi conservato presso il Metropolitan Museum of Art di New York. Orfeo, che siede a sinistra impugnando la lira (λύρα), veste un abito tipicamente greco, a differenza delluomo che gli si pone in piedi davanti che invece indossa un costume tracio. Questo particolare, unitamente alla presenza, a destra, della donna che impugna una piccola falce, può rappresentare una delle varianti della sua leggenda che lo vuole missionario greco in Tracia, ucciso lì dalle donne in quanto escludendole dai suoi riti induceva i loro mariti ad abbandonarle[248]. Orfeo ucciso dalle menadi, in uno stamnos a figure rosse, risalente al V secolo a.C., oggi conservato al Museo del Louvre di Parigi. Questo dipinto racconta la morte di Orfeo secondo il mito che lo vuole ucciso dalle seguaci di Dioniso, da questo dio a lui inviate in quanto mosso dalla gelosia per lardore religioso che il poeta conservava nei confronti di Apollo, da lui invocato sul monte Pangaio (anche Pangeo) quando il sole, immagine di Apollo, sorgeva[249]. Alcuni frammenti (relativi al Column XXI[250]) del Papiro di Derveni, risalente al IV secolo a.C., rinvenuto semicombusto in una necropoli scavata nei pressi della località di Derveni (Macedonia, a circa 10 km da Salonicco), probabile necropoli dellantica località di Lete, e oggi conservato presso il Museo archeologico di Salonicco. Da evidenziare anche la vicinanza con Pella, centro dove, intorno al 400 a.C., Archelao aveva trasferito la capitale macedone, precedentemente collocata ad Aigai (oggi Vergina). Il Papiro è stato rinvenuto in una tomba appartenente ad un gruppo di due tombe di notevole rilevanza, affrescate e con corredo sontuoso, probabilmente appartenenti allalta aristocrazia. Le tombe accoglievano i vasi dove erano state raccolte le ceneri dei defunti dopo la loro cremazione, in accordo con la credenza orfica del corpo inteso come tomba dellanima. Il Papiro, rinvenuto nella tomba A quella tra le due relativamente meno sontuosa, non faceva parte del corredo, anzi risulta semicombusto, rinvenuto insieme ad altri oggetti semicombusti prima dellapertura della cassa: esso faceva quindi parte dei residui del rogo funerario. In origine, il Papiro doveva essere lungo più di tre metri, scritto su numerose colonne disposte verticalmente, ogni colonna conteneva tra le undici e le sedici righe, composte a loro volta da una decina di parole. Ciò che è stato rinvenuto è probabilmente quindi solo un decimo dello scritto originale. La lingua del testo è in dialetto ionico con elementi in attico. La sua datazione è confermata dalla presenza di una moneta di Filippo II rinvenuta nella tomba B. Lorigine orfica del testo è confermata dalla presenza del nome di Orfeo (nella colonna 14 citato per ben due volte)[251]. Dioniso bambino munito di corna in una scultura romana del II secolo d.C. Il primo Dioniso (anche Zagreo (Ζαγρεύς, Zagreus)[252] verrà divorato dai Titani la cui folgorazione da parte di Zeus darà, secondo lantropogonia orfica, origine allumanità. « il ventre di Persefone si gonfia di un frutto fecondo e genera Zagreo, bambino munito di corna, che sale, lui solo, sul trono celeste di Zeus; con la sua piccola mano vibra il fulmine, è nelle sue mani puerili di un neonato che si librano le saette. Ma non occupa per molto il trono di Zeus, perché i Titani, astuti, cosparso il volto con del gesso ingannatore, spinti dalla rabbia profonda e spietata di Era, lo uccidono con un pugnale venuto dal Tartaro, mentre guardava la sua falsa immagine riflessa nello specchio. » (Nonno di Panopoli. Dionisiache VI, 165-172. Traduzione di Daria Gigli Piccardi, Milano, Rizzoli, 2006, pp.483-485) «Luovo, per gli orfici, è allorigine della vita, ne è la pienezza stessa: una vita però che degrada progressivamente sino al non-essere dellesistenza individuale.»[253]. Luovo, quindi, rappresenta per gli Orfici la compiutezza delle origini, ma in ambito greco può inerire anche ad altri miti come quello che riguarda la nascita di Elena. In questo particolare di unanfora, dipinta da Python (IV secolo a.C.), rinvenuta nella Tomba 24 di Andriuolo ed esposta presso il Museo archeologico nazionale di Paestum, viene raccontata per mezzo di una scena teatrale uno dei mito riguardanti la nascita di Elena (Ἑλένη). Zeus intende unirsi con Nemesi, la dea che indica la potenza della giusta ira nei confronti di coloro che violano lordine naturale delle cose. Ma Nemesi, piena di pudore, fugge il re degli dèi, dapprima lungo la terra, poi in mare e infine in cielo dove assunto il corpo di unoca viene raggiunta da Zeus che prende la forma di un cigno unendosi in questo modo alla dea. Ermes raccoglie luovo, frutto dellunione divina, e lo consegna a Leda (Λήδα), moglie del re di Sparta Tindareo (Τυνδάρεως). Compito della coppia regale è ora quello di eseguire la volontà divina di Zeus, ovvero di porre luovo divino su un altare ancora caldo delle ceneri di un sacrificio, provocandone in questo modo la schiusa. Elena nasce dalluovo.jpg Qui viene raffigurata la ekkolapsis (ἐκκόλαψις, la schiusa delluovo) da dove emerge la divina e bellissima Elena, circondata da Leda e da Tindareo. Alcuni studiosi hanno ritenuto di scorgere delle connessioni tra queste raffigurazioni del mito di Elena e le teologie orfiche diffuse lungo le colonie greche in Italia[254]. LOrfismo[modifica | modifica sorgente] Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Orfismo. LOrfismo consiste in quel movimento religioso sorto in Grecia presumibilmente verso il VI secolo a.C. intorno alla figura di Orfeo[255]. Per quanto le tradizioni recenziori lo indichino come Tracio è opinione di alcuni autorevoli studiosi, come William Keith Chambers Guthrie, che la figura di Orfeo vada piuttosto collegata a quella, non si sa quanto storica, di un antico missionario greco in terra tracia dove, nel tentativo di trasferire il culto di Apollo, perse la vita[256]. È probabile che la figura di Orfeo possa essere precedente alla sua adozione da parte dei maestri religiosi orfici del VI secolo a.C., ma il suo inserimento nelle correnti che si fanno eredi del suo nome «era dovuta a qualcosa di più che non ad un vago sentimento di venerazione per un grande nome dellantichità»[257], frutto, piuttosto, da una parte della necessità di ereditare le credenze sulla possessione divina propria dellesperienza dionisiaca, e dallaltra della convinzione di dover prolungare quelle pratiche di purezza proprie dei Misteri eleusini; tutto ciò corrisponde ai due elementi fondanti delle dottrine orfiche: la credenza nella divinità e quindi nellimmortalità dellanima; da cui consegue, al fine di evitare la perdità di tale immortalità, la necessità di condurre unintera vita di purezza. Linnovazione dellOrfismo[modifica | modifica sorgente] Limportanza dellOrfismo nella storia della cultura religiosa, e più in generale nella storia del pensiero occidentale, è un fatto più volte sottolineato dagli studiosi. Così lo storico delle idee Giovanni Reale: « Nei documenti letterari greci a noi pervenuti compare per la prima volta in Pindaro una concezione della natura e dei destini delluomo pressoché totalmente sconosciuta ai Greci delletà precedenti ed espressione di una credenza per molti aspetti rivoluzionaria, la quale, giustamente, è stata considerata come elemento di un nuovo schema di civiltà. In effetti, si comincia a parlare della presenza nelluomo di qualcosa di divino e non mortale, che proviene dagli Dei ed alberga nel corpo stesso, di natura antitetica a quella del corpo dorme o addirittura si appresta a morire, e dunque, quando allenta i vincoli con esso e lo lascia in libertà. [...] Il nuovo schema di credenza consiste, dunque, in una concezione dualistica delluomo, che contrappone lanima immortale al corpo mortale e considera la prima come il vero uomo o, meglio, ciò che nelluomo veramente conta e vale. Si tratta di una concezione, come è stato ben notato, che inserì nella civiltà europea uninterpretazione nuova dellesistenza umana. Che questa concezione sia di genesi orfica non parrebbe cosa dubbia. » (Giovanni Reale. La novità di fondo dellOrfismo, in Storia della filosofia greca e romana vol.1. Milano, Bompiani, 2004, pp. 62-3) Il testo di Pindaro a cui fa riferimento Reale è un frammento, il 131 b, che così recita: « Il corpo di tutti obbedisce alla morte possente, e poi rimane ancora vivente unimmagine della vita, poiché solo questa viene dagli dèi: essa dorme mentre le membra agiscono, ma in molti sogni mostra ai dormienti ciò che è furtivamente destinato di piacere e sofferenza. » (Traduzione di Giorgio Colli, in La sapienza greca vol.1. Milano, Adelphi, 2005, p.127) Precedentemente anche il grecista irlandese Eric R. Dodds aveva evidenziato questa importante novità di fondo: « Corrisponda o meno al fatto che per un Ateniese del V secolo la parola psychē avesse o potesse avere in sé un vago sentore di soprannaturale, certo non aveva nessuna intenzione puritana, né alcuna suggestione metafisica. Lanima non era prigioniera riluttante del corpo; era la vita, lo spirito del corpo, nel quale si trovava come a casa propria. Ma ecco che il nuovo schema di religione portò il suo contributo carico di conseguenze: attribuendo alluomo un io occulto di origine divina, e contrapponendo così lanima al corpo, inserì nella civiltà europea, unintepretazione che noi diciamo puritana » (Eric R. Dodds. I Greci e lirrazionale. Milano, Rizzoli, 2009, p. 187) Se quindi nellOrfismo si riscontra per la prima volta un inequivocabile riferimento a unanima (ψυχή), contrapposta al corpo (σῶμα sōma) e di natura divina, resta non chiara lorigine di questa nuova nozione. Eric R. Dodds[258] ritiene di individuare questa origine nella colonizzazione greca del Mar Nero avvenuta intorno al VII secolo a.C.[259] che consentì alla cultura greca di venire a contatto con le culture sciamaniche proprie dellAsia centrale, in particolar modo con quella scita[260]. Tale sciamanesimo fondava le proprie credenza sulle pratiche estatiche laddove però non era il dio a possedere lo sciamano quanto piuttosto era lanima dello sciamano che aveva esperienze straordinarie separate dal suo corpo. Alla base di queste conclusioni Dodds pone lanalisi di alcuni personaggi, degli ἰατρόμαντις (iatromanti), veggenti e guide religiose, che, come Abari, giunsero dal Nord in Grecia trasferendo il culto di Apollo Iperboreo; o anche di alcuni Greci come Aristea il quale, originario dellEllesponto, si trasferì, almeno idealmente, nel Nord sede delle sue percezioni sciamaniche, così anche un altro Greco dAsia, Ermotimo di Clazomene. Questi personaggi erano talmente diffusi nellAtene del VI-V secolo a.C. che Sofocle nellElettra[261] vi allude senza la necessità di nominarli. « Ho tentato fin qui di delineare il percorso di una eredità spirituale, che muove dalla Scizia attraverso lEllesponto e passa per la Grecia dAsia, si combina probabilmente con qualche residuo di tradizione minoica sopravvissuta a Creta, emigra verso il lontano Occidente con Pitagora e trova il suo ultimo autorevole rappresentante nel siciliano Empedocle. Questi uomini diffusero la credenza in un io separabile, che mediante tecniche adatte può staccarsi dal corpo anche durante la vita; in un io più antico del corpo, al quale esso sopravvivrà. » (Eric R. Dodds. I Greci e lirrazionale. Milano, Rizzoli, 2009, p. 195) I Misteri di Samotracia[modifica | modifica sorgente] Sezione vuota Questa sezione è ancora vuota. Aiutaci
Posted on: Sun, 24 Nov 2013 19:45:33 +0000

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