La scuola di danza, un bene collettivo Relatore: Antonio - TopicsExpress



          

La scuola di danza, un bene collettivo Relatore: Antonio Cioffi Presidente dell’Associazione Marchigiana Scuole di Danza Vorrei fare alcune riflessioni sul valore delle scuole di danza private, cioè su quel settore produttivo della nostra economia che svolge attività formativa, culturale e sociale, e che si rivolge ad una utenza amatoriale. Ovviamente, la locuzione amatoriale è riferita al fruitore del servizio e non al soggetto che eroga il servizio, che invece deve essere tutt’altro che amatoriale. Vorrei però partire dai dati ed analizzarli, per poi arrivare insieme a voi ai concetti, alle conclusioni. Quanti ragazzi svolgono attività di danza e quante scuole ci sono in Italia? Da una stima sommaria e prudenziale, credo che si possa parlare di oltre 500.000 allievi. Le strutture nelle quali si pratica esclusivamente danza sono circa 2.500 scuole, cioè una media di 120 scuole a regione. Tengo a precisare che non ho tenuto in considerazione le cosiddette palestre, cioè quei luoghi dove si fa prevalentemente ginnastica, attività aerobica e muscolazione, nelle quali da danza è solo un’attività accessoria. Il pubblico che segue i saggi di danza delle scuole è stimato ad oltre 3.000.000 di spettatori, considerando 6 familiari per ogni allievo. Questi dati sono riferiti unicamente alla sfera amatoriale e non tengono conto del pubblico degli spettacoli prodotti da compagnie professionali e di coloro che interagiscono con tale settore. Sembra che il dato proiettato a tutta la sfera della danza, amatoriale e professionale, compreso lo spettacolo dal vivo, porti la soglia dei 3 milioni di utenti a 6 milioni di persone che, in un modo o in un altro sono a contatto con la danza. Questa cifra, che è strettamente collegata alla capacità produttiva dell’intero sistema culturale italiano, è del tutto ragguardevole. Ma, pur rimanendo nella sfera amatoriale e guardando al suo indotto, all’insieme di attività produttive che le scuole private generano su scala nazionale, vediamo che le cifre non sono meno interessanti. Innanzitutto, quanto spendono le famiglie nell’attività di danza dei propri figli? Qui la stima è di 250.000.000 di Euro in quote versate ogni anno alle scuole di danza. A questi dobbiamo aggiungere ciò che le famiglie spendono nei negozi per l’abbigliamento e per i costumi del saggio, che è valutato ad oltre 150.000.000 di Euro. Naturalmente, sappiamo che mentre un bambino spende circa 70 Euro per il suo corredo, un’allieva di danza classica spende la stessa cifra solo per acquistare un paio di scarpe da punta che le durano 20 giorni, e poiché ne acquista circa 20 paia all’anno, spende dai 1.000 ai 1.500 Euro soltanto per le scarpine. Quindi se sommiamo le due cifre, cioè 250 milioni e 150 milioni sappiamo che le famiglie spendono mediamente 400.000.000 di Euro all’anno. Ma quali sono gli incassi per le scuole? Riprendiamo il dato iniziale di 3 milioni di spettatori ai saggi di fine anno e moltiplichiamo questo dato per il costo medio del biglietto di 13 Euro a persona, otteniamo poco meno di 40.000.000 di Euro di incassi lordi al botteghino. E sommando questi ai 250 milioni di quote che le famiglie versano alle scuole, si ha un totale di circa 300.000.000 di Euro che vanno alle scuole. Queste cifre sono considerevoli. Ma, quanto rimane alle scuole? Ahimé, ben poco. Infatti, queste retribuiscono i propri insegnanti, versano i contributi e le tasse, pagano gli affitti, pagano le utenze, pagano i diritti alla SIAE, i compensi ai commercialisti e consulenti vari, investono in pubblicità, ristrutturano i locali, ecc. ecc. Possiamo considerare che una scuola di medie dimensioni impiega 8-10 collaboratori retribuiti e dichiarati (cioè 6 insegnanti, 2 addetti alla segreteria, 1 addetto alle pulizie), quindi in totale oltre 25.000 persone tra insegnanti e altri collaboratori lavorano nel settore delle scuole private. E per tornare ai costi generali, dobbiamo aggiungere quelle voci che tutti conosciamo bene, poiché riferite ai dati macroeconomici del costo della vita, degli affitti dei locali commerciali, del costo della comunicazione, dei costi sociali, delle tasse, e non per ultimo, dei costi delle bollette dell’energia elettrica e del gas, che stanno ancora aumentando. Un altro aspetto da considerare sono i costi dell’ affitto del teatro per l’effettuazione dei saggi. Qui i dati parlano di una media di 1.500 euro al giorno e dunque circa 12.000.000 di Euro che sono ridistribuiti sul territorio. Sono rare le convenzioni a favore delle scuole, fatte con i teatri ed i loro gestori, neppure quando parliamo di teatri comunali, quindi di luoghi appartenenti alla collettività. Dunque, in realtà, ciò che rimane serve per la manutenzione dei locali e per l’aggiornamento degli insegnanti che deve essere costante e di conseguenza anche costoso. In genere questi costi sono affrontati direttamente dagli insegnanti, ma altre volte le stesse scuole contribuiscono al loro sostenimento, considerandolo un doveroso investimento che migliora il servizio offerto all’utente. Poi, possiamo dire che il settore è in continua espansione, grazie anche a tutto ciò che la televisione propone ai nostri giovani. E questo, benché sia sicuramente un bene in termini di mercato, non sono del tutto convinto che lo sia anche in termini umani e culturali. Ma non voglio qui addentrarmi in questo terreno e lascio ad altri la briga di valutare gli aspetti socio culturali, gli effetti diretti e indiretti, i cosiddetti effetti collaterali, di ciò che la televisione provoca e produce. Mi limito dunque ai fatti: ciò che possiamo dire è che la televisione ha provocato nel corso di questi ultimi anni un aumento della domanda, con una conseguente crescita del settore. Questo è stato in termini diretti di causa-effetto la prima conseguenza della popolarità di certi programmi televisivi. La seconda conseguenza, meno evidente, è stata quella di vedere arrivare nelle scuole di danza tante ragazzine che avevano come unico obiettivo quello di fare la velina o tanti ragazzi che pensavano di riuscire, nel giro di pochi mesi, a fare ciò che normalmente, in qualsiasi arte al mondo, ci si impiega almeno dieci anni di lavoro e disciplina. Quindi abbiamo assistito al diffondersi di una visione distorta della realtà e del concetto di arte con una conseguente estrema banalizzazione di essa. Quello che già, in alcuni casi, si sta delineando all’orizzonte, è il rischio, per alcune scuole che stanno cavalcando questa onda dell’effimero, di dover subire l’effetto del contraccolpo quando qualcuno deciderà, in televisione, che sarà il momento di cambiare aria e lanciare nuove mode. Sarebbe molto interessante sapere quanti ragazzi, tra quelli che frequentano i corsi di danza, sanno dire chi è José Limon, Katherine Dunham o Enrico Cecchetti. Senza cadere nel terreno minato dei paragoni tra maestri di ieri e di oggi, tra buoni e cattivi maestri, tengo solo a dire che sicuramente la scuola di danza, per le potenzialità che ha, per l’indotto che produce, per il ruolo che svolge nella collettività, per la sua azione di formazione del pubblico sul territorio, va ripensata in termini artistici, culturali, sociali e formativi, perché possa rispondere pienamente al suo ruolo di generatrice di ricchezza culturale sul territorio dove opera e possa entrare in stretta relazione con la famiglia e con la scuola istituzionale nell’educazione del giovane. Io credo che la scuola debba avviare questo processo di rinnovamento insieme agli altri organismi preposti alla promozione, alla diffusione ed alla produzione della danza. Le scuole amatoriali sono parte integrante del sistema danza e del sistema produttivo. Le cifre le abbiamo viste prima. Fino a quando questo processo non verrà visto come una unica cosa che si integra e si intreccia, dove ogni parte è un anello essenziale della catena, la danza non potrà avere un radioso futuro in Italia. Perché ognuno penserà solo a sé stesso. Allo stesso modo, tutto il settore della danza deve capire che è parte integrante di un mondo ancora più grande che è, insieme al teatro, alla musica ed alle altre arti dello spettacolo, il sistema culturale italiano, che è fatto di tradizioni, ma anche di contemporaneità. E’ questo, in fondo, che tutti insieme dobbiamo capire ed è questo il messaggio che mi sento di rivolgere al Governo: quello di concepire la Cultura del nostro Paese come una sola grande unità composta da tanti cosmi e microcosmi tra di loro diversi, ma che la arricchiscono e la rendono viva. Ogni parte è essenziale ed ognuna ha pari dignità nella sua diversità. Solo un grande progetto culturale e politico proiettato verso il futuro, ma che parta dalla base, dai sui fondamenti, e che tenga conto dei microcosmi che vivono al suo interno, può far sperare in un nuovo Rinascimento della Cultura. Ma perché questo salto qualitativo possa avvenire, innanzitutto noi della danza dobbiamo pensare in termini globali, sapere guardare lontano, anche fuori dal nostro orto e ragionare tutti insieme, uniti, nella consapevolezza che solo in questo modo possiamo essere una forza capace di cambiare rotta e fare evolvere le cose. Che il settore delle scuole di danza e dell’insegnamento vadano regolamentati è oramai una esigenza non solo inevitabile, ma auspicabile. Pur condividendo il principio che l’insegnamento dell’arte sia libera, ritengo che una regolamentazione della materia sia necessaria, negli interessi primari degli stessi allievi, che evidentemente vanno tutelati con norme precise. Credo, però, che porre ordine in un settore che non ha mai conosciuto regole, debba avvenire in modo progressivo e partire da una riformulazione del concetto stesso di scuola e di insegnante. La scuola è un’entità complessa ed organizzata che svolge, in via esclusiva, attività di formazione nella danza attraverso un progetto pluriennale e completo, sotto il profilo didattico, artistico e culturale. Tale progetto deve essere organizzato in programmi di studio pratico e teorico e i corsi suddivisi per livelli progressivi di apprendimento delle tecniche. I corsi devono essere impartiti da docenti qualificati che abbiano conseguito abilitazioni nell’insegnamento di metodi riconosciuti, anche se conseguiti all’estero. A differenza di quanto è avvenuto in Italia, altri Paesi hanno saputo guardare lontano e hanno dato una forte organizzazione territoriale alle rispettive accademie (vedi l’Inghilterra), strutturando il sistema scolastico in modo chiaro e diffondendo metodi di formazione dei docenti e corsi di aggiornamento. Tutto ciò agendo attraverso una rete di sedi distaccate diffuse in tutto il mondo. Io penso che la questione non sia neppure soltanto ed unicamente una questione italiana, ma che si debba ragionare in ambito internazionale, affrontare le questioni insieme ad altri Paesi in sede Europea, che si debba arrivare a degli accordi bilaterali con Paesi membri e sottoporre la questione al vaglio di una authority soprannazionale, per una soluzione globale e condivisa del problema. Inoltre, credo che non basti pensare al futuro insegnante, ma che si debba, allo stesso tempo, sanare la situazione esistente, pensando ai tanti maestri, non più giovani, che hanno fatto la storia (a volte gloriosa) della danza in Italia. Quanti brillanti danzatori sono usciti dalle scuole private italiane? Poi, magari, hanno dovuto perfezionare la loro tecnica a Londra, ad Amsterdam o altrove, perché in Italia non c’era la possibilità di migliorare. Non c’era e non c’è, ad esempio, una grande scuola di danza contemporanea, all’altezza delle grandi scuole europee. Come è possibile che questo non sia mai avvenuto? Come mai non esistono dei centri di formazione nelle arti contemporanee? Che spazi hanno e che possibilità di crescita possiamo offrire ai giovani artisti? Quali mezzi e quali spazi mettiamo a disposizione della ricerca, della sperimentazione di nuovi linguaggi? Poi guardiamoci intorno, guardiamo le nostre belle città, ma non solo i centri storici, anche le periferie, le zone industriali e vediamo spazi urbani in degrado, edifici in disuso ed abbandonati, complessi industriali dismessi ed allora riflettiamo su come potrebbero essere diversi, ristrutturati e riconvertiti in centri di creazione artistica, in teatri non convenzionali, in luoghi di accoglienza per residenze artistiche, insomma in luoghi vivi e produttivi, capaci di riqualificare zone depresse che oggi sono solo inutili e ad alto rischio delinquenza. Ecco che cosa è una nazione moderna e creativa capace di generare nuova cultura e ricchezza, una nazione che punta al futuro e che non guarda solo al passato. Credo che si debba riflettere seriamente anche su questo. Ma, naturalmente, ci vuole la volontà di agire e di cambiare le cose. E non è solo una questione di soldi ma di volontà politica di cambiamento e di crescita. Mi auspico che il settore delle scuole di danza private possa continuare a svilupparsi in maniera adeguata, nel rispetto delle regole giuste e condivise. E mi auspico che anche il settore della danza possa godere di quei vantaggi che le associazioni sportive dilettantistiche godono in ambito fiscale. Altrimenti si perde il significato di giustizia ed il messaggio che si recepisce è che a spuntarla siano sempre le lobby forti. Io invece chiedo pari dignità anche in questo e invito le scuole di danza d’Italia a sottrarsi dal giogo del contentino fiscale offerto dal CONI attraverso gli Enti di Promozione Sportiva. Altrimenti si continua solo ad alimentare la confusione e fare il gioco di chi ha interesse a che non ci sia più distinzione tra le cosiddette danze sportive, i balli di sala, il cha-cha-cha e l’Arte della Danza che tutti noi rispettiamo. La scuola è alla base del sistema, pertanto è da essa che bisogna iniziare, nel rispetto di quelle diversità e dei microcosmi ai quali mi riferivo prima, perchè la scuola è il futuro, un bene che appartiene a tutta la collettività.
Posted on: Sun, 28 Jul 2013 18:50:10 +0000

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