Lelezione di Longo[modifica | modifica sorgente] Con la fine del - TopicsExpress



          

Lelezione di Longo[modifica | modifica sorgente] Con la fine del centrismo e con linizio dei governi di centro-sinistra il PCI di Togliatti non mutò la sua posizione di opposizione al governo. Il 21 agosto del 1964 morì a Jalta Palmiro Togliatti. I suoi funerali, che videro la partecipazione di oltre un milione di persone, costituirono il più imponente momento di partecipazione popolare che la giovane Repubblica Italiana aveva conosciuto fino a quel momento. Lultimo documento di Togliatti, che ne costituiva il testamento politico e che fu ricordato come il memoriale di Jalta, ribadiva loriginalità e la diversità di vie che avrebbero consentito la costruzione di società socialiste, unità nella diversità del movimento comunista internazionale. Il PCI lasciato da Togliatti era un Partito che, pur continuando a rimanere ancorato al centralismo democratico, cominciava a sentire lesigenza di rendere visibili quelle che, al suo interno, erano le diverse sensibilità e opzioni politiche. Il primo Congresso dopo la morte di Togliatti, lXI svoltosi nel gennaio del 1966, fu il teatro del primo scontro svoltosi alla luce del sole dalla nascita del Partito nuovo. Le due linee politiche che si fronteggiarono furono quella di destra di Giorgio Amendola e quella di sinistra di Pietro Ingrao. Sebbene la posizione della sinistra di Ingrao si rivelò in minoranza, in particolare sul tema della pubblicità del dissenso (che, si riteneva, avrebbe aperto le porte alla divisione del partito in correnti organizzate), molte delle sue istanze (messa allordine del giorno del tema del modello di sviluppo, necessità di una programmazione economica globale che si contrapponesse alla inefficace programmazione del governo, attenzione al dissenso cattolico e ai movimenti giovanili) furono accolte nelle Tesi congressuali. Il lavoro di sintesi, rivolto al rinnovamento nella continuità, tra le diverse anime del Partito suggellò la leadership di Luigi Longo, eletto Segretario generale dopo la morte di Togliatti e degno continuatore delle politiche del defunto leader. Luigi Longo Nel ruolo di successore di Togliatti i due candidati più forti erano proprio Amendola e Ingrao, ma Longo, per le garanzie di unità e continuità che dava la sua figura, che aveva ricoperto con Togliatti la carica di vicesegretario e aveva sempre con lealtà ed efficacia coadiuvato il Segretario, costituiva la soluzione migliore per la segreteria del Partito. Longo continuò nella definizione di una politica nazionale del PCI e infatti a differenza del 1956, nel 1968 il partito si schierò contro linvasione sovietica della Cecoslovacchia. La segreteria di Berlinguer[modifica | modifica sorgente] Nel 1972 divenne segretario Enrico Berlinguer, che, sulla suggestione della crisi cilena, propose un compromesso storico tra comunisti e cattolici democratici, che avrebbe dovuto spostare a sinistra lasse governativo, trovando qualche sponda nella corrente democristiana guidata da Aldo Moro. I rapporti con lUnione Sovietica si allentarono ulteriormente quando, a opera dello stesso Berlinguer, iniziò la linea euro-comunista, basata su unalleanza tra i principali partiti comunisti dellEuropa occidentale, il PCI, il PCF - Partito Comunista Francese, guidato da Georges Marchais ed il PCE - Partito Comunista spagnolo, guidato da Santiago Carrillo, che cercò una qualche indipendenza dai sovietici. LEurocomunismo però durò poco a causa del riallineamento del Partito Comunista Francese alla tradizionale dipendenza dalla linea del PCUS, il calo del peso elettorale dei comunisti spagnoli e lacutizzarsi delle differenze interne nello stesso PCI. Nonostante le critiche rivolte al PCUS, Berlinguer continuava ad elogiare il regime sovietico, sostenendo nel 1975 che lì esisteva «un clima morale superiore, mentre le società capitalistiche sono sempre più colpite da un decadimento di idealità e di valori etici e da processi sempre più ampi di corruzione e di disgregazione», contrapponendo il «forte sviluppo produttivo» dellURSS alla «crisi del sistema imperialistico e capitalistico mondiale».[37] Ancora nel 1977 Berlinguer parlava di «grandi conquiste» realizzate dai paesi comunisti, ammettendo però lesistenza di «lati negativi» che «consistono essenzialmente nei loro tratti autoritari o negli ordinamenti limitativi di certe libertà»; aggiungeva tuttavia che «quei paesi rappresentano una grande realtà sociale, una grande realtà nella vita del mondo di oggi».[38] Nel novembre di quellanno Berlinguer pronunciò a Mosca, dove si era recato per le celebrazioni comuniste dei sessantanni dalla Rivoluzione dOttobre dei bolscevichi, un discorso che spinse alcuni, come Ugo La Malfa e Eugenio Scalfari, a ritenere ormai prossima la rottura del PCI con lUnione Sovietica; altri però, in particolare gli intellettuali della rivista socialista Mondoperaio, non vedevano nessuna rottura, se non una generica presa di distanza dallo stalinismo che non conduceva però ad un effettivo ripudio dellideologia marxista-leninista, né allammissione di come la repressione del dissenso in URSS fosse una diretta conseguenza di quellideologia.[39] In occasione della Biennale di Venezia, tra la fine del 1977 e il 1978, quando il suo Presidente, lallora socialista Carlo Ripa di Meana, intese dar voce al dissenso degli intellettuali perseguitati dallUnione Sovietica, il PCI reagì duramente alliniziativa parlando di provocazione, e sollecitando il governo italiano a ritardare il finanziamento della Biennale; diversi artisti e intellettuali vicini al partito comunista, come Vittorio Gregotti e Luca Ronconi, si dimisero in segno di protesta dal Comitato della rassegna.[40] Il tema dei rapporti del PCI con lURSS sarà al centro di aspri dibattiti e scontri politici, tra la fine degli anni 70 e linizio degli 80, tra Berlinguer e lemergente leader socialista Bettino Craxi, che rimproverava ai comunisti italiani di mantenere intatti i legami col regime sovietico e di non sposare fino in fondo i valori della socialdemocrazia europea.[41] Lambiguità dei rapporti del PCI con lURSS si protrasse per tutti gli anni Ottanta. Se nel 1981, in seguito al golpe polacco di Jaruzelski che si ribellò a Mosca, Berlinguer giunse a dichiarare conclusa la spinta propulsiva della Rivoluzione dottobre,[42] il PCI tuttavia si oppose duramente allinstallazione di una base euromissilistica in Italia come risposta ai missili di nuova generazione puntati dallURSS contro lItalia e lEuropa occidentale. Ancora nel 1984, in risposta al documento dellallora cardinale Ratzinger che condannava le teologie della liberazione, sia per lideologia materialista di stampo marxista ad esse sottesa, ritenuta inconciliabile col cristianesimo, sia per il loro carattere totalizzante derivante da quella stessa ideologia, il mensile Rinascita, da sempre strumento di elaborazione e diffusione della politica culturale del PCI, attaccò duramente le posizioni espresse da Ratzinger, sostenendo che i suoi giudizi sul socialismo in generale e sulle sue applicazioni concrete in Unione Sovietica sarebbero stati schematici, grossolani, e privi di considerazione storica. Solidarizzò col futuro pontefice un ex-membro del PCI, Lucio Colletti, fuoriuscito dal partito in seguito ad una profonda revisione delle proprie convinzioni ideologiche: «Il giudizio del Pci sullUnione Sovietica è il frutto, tuttora, di un avvilente compromesso intellettuale e morale. Decine di milioni di vittime sotto Stalin; il totalitarismo; il Gulag; un sistema che tuttora procede utilizzando il lavoro forzato dei lager; la mortificazione politica dei cittadini; la giustizia asservita al partito unico: tutti questi non sono ancora argomenti sufficienti perché il Pci possa trovarsi daccordo con lelementare verità espressa nel documento di Ratzinger: cioè, che in quei paesi, milioni di nostri contemporanei aspirano legittimamente a ritrovare le libertà fondamentali di cui sono privati da parte dei regimi totalitari; che questa è una vergogna del nostro tempo; che si mantengono intere nazioni in condizioni di schiavitù indegne delluomo; e che a questa vergogna si è giunti, con la pretesa di portare loro la libertà».[43] Il KGB sovietico fu spesso tramite di trasferimenti illegali di valuta e finanziamento illecito al PCI durante gli anni sessanta e settanta come sostenuto a seguito della diffusione di vari rapporti detti Impedian, contenuti nel dossier Mitrokhin[44], secondo il rapporto n. 100 del dossier[44] solo nel 1971 un agente italiano al servizio del KGB, Anelito Barontini (nome in codice Klaudio) consegnò cifre in contanti per complessivi due milioni seicentomila dollari. Nel rapporto n. 122 del 6 ottobre 1995 segue un elenco dettagliato delle cifre, dal 1970 al 1977, con elencati i nomi dei vari dirigenti coinvolti, tra cui Armando Cossutta[44]. I rapporti tra PCI e KGB non si limitarono al solo inoltro dei finanziamenti, ma anche nellutilizzo delle competenze del servizio segreto sovietico per rilevare eventuali apparati di ascolto posti nella sede del Comitato Centrale italiano (rapporto n. 131)[44], e nelladdestramento alla cifratura e alle comunicazioni radio di personale del Partito, come ad esempio dellagente Andrea, noto come Kekkini (traslitterazione del nome Cecchini), membro del Comitato centrale del PCI, inviato con passaporto straniero falso a nome di Ettore Morandi via Australia a Mosca dal giugno allagosto 1972, anche per prendere accordi sullinstaurazione di una rete di comunicazione bidirezionale, fabbricazione di documenti falsi e altre attività illegali (rapporto n. 197)[44]. La solidarietà nazionale[modifica | modifica sorgente] Enrico Berlinguer Nella seconda metà degli anni settanta si acuirono le tensioni sociali e politiche. La crisi economica-energetica, la disoccupazione, gli scioperi, il terrorismo conversero verso quello che molti hanno definito lannus horribilis delle rivolte: il 1977: echi sessantottini vibravano di nuovo fra gli studenti, riverberi della lotta di classe animavano il confronto, cioè il conflitto, fra i sindacati e le imprese, e molti da molte classi sociali si rivoltavano in armi contro avversari politici e istituzioni. Anche il PCI contestò sempre più fortemente la pregiudiziale che impediva al suo partito di accostarsi alla gestione del Paese. Liniziativa fu lasciata a Giorgio Amendola, rappresentante prestigioso (anche per tradizione familiare) dellala moderata del partito e uomo capace di dialogare con i non comunisti, che proclamò che lora era suonata per far parte a pieno titolo del governo. Nel febbraio del 1977 fu Ugo La Malfa a dichiarare per primo, pubblicamente, la necessità di un governo di emergenza comprendente i comunisti, ma la proposta fallì per il dissenso democristiano e socialdemocratico. Il 1978 fu per il PCI lanno del destino. Iniziò presto, con un incontro subito dopo Capodanno, fra Berlinguer e Bettino Craxi, al termine del quale fu rilasciata una nota indicativa di ufficiale identità di vedute, espressione tradotta dagli analisti come una sorta di via libera (o di non nocet) del PSI alle manovre del segretario comunista. Delle quali, già cominciate da molti mesi, si poteva ora parlare anche pubblicamente. Dopo una paziente opera di ricerca di possibili strategie di accesso pur parziale al governo, Berlinguer pareva aver individuato in Aldo Moro linterlocutore più adatto alla costruzione di un progetto concreto. Aldo Moro era il presidente della DC, e condivideva con il segretario del PCI Enrico Berlinguer alcune caratteristiche personali che sembravano predisporre al dialogo: erano entrambi sottili intellettuali, lungimiranti politici e abili nonché pazienti strateghi. Fu Moro a parlare per primo di possibili convergenze parallele, sebbene non propriamente in relazione ai desiderata del politico sardo, ma fu lo stesso Moro a mobilitare lapparato democristiano per verificare la possibilità di convertire ad utile accordo la sterile distanza che sino ad allora aveva diviso DC e PCI. Dai clandestini iniziali contatti, sinché possibile per interposta persona, si passò in seguito ad una minima frequentazione diretta nella quale andava assumendo forma e contenuti il progetto del compromesso storico. Moro individuava nellalleanza col PCI lo strumento che avrebbe consentito di superare il momento di gravissima crisi istituzionale e di credibilità dello stesso apparato democratico repubblicano (screditato anche dalle campagne comuniste sulla questione morale), coinvolgendo lopposizione nel governo e dunque assicurando il minimo necessario di consenso perché il Paese potesse sopravvivere a sé stesso in simili ambasce. Nella DC, Berlinguer vedeva invece primariamente (ma non solo semplicemente) quel possibile cavallo di Troia grazie al quale avrebbe potuto portare finalmente il suo partito alla responsabilità di governo. Entrambi, è stato sostenuto, potevano aver condiviso il timore che la crisi in cui versava il Paese potesse dar adito a soluzioni di tipo cileno, come già anni prima paventato dallo stesso Berlinguer. Il compromesso storico, in questottica, poteva porre il paese al riparo da eventuali azioni delluno e dellaltro fronte. Ad ogni buon conto, Berlinguer fu intanto ammesso, primo comunista italiano, a lavori para-governativi, come le riunioni dei segretari dei partiti della maggioranza, in qualità di esterno interessato. Mentre Moro veniva definitivamente prosciolto dagli addebiti giudiziari in relazione allo scandalo Lockheed, che lo aveva infastidito sin da quando aveva cominciato a guardare ad una possibile intesa coi comunisti[senza fonte], si preparava nel marzo del 1978 una riedizione del governo Andreotti, cui il PCI avrebbe dovuto smettere di fornire appoggio esterno (nel precedente governo detto delle non sfiducia, dal 1976, aveva garantito lastensione, per la prima volta rinunciando al voto dopposizione), offrendo il voto favorevole ad un monocolore DC, in attesa di una fase successiva nella quale ammetterlo definitivamente e a pieno titolo nella compagine governativa. Nasceva, questo governo, con alcuni membri assolutamente sgraditi al PCI, come Antonio Bisaglia, Gaetano Stammati e Carlo Donat-Cattin, la cui inclusione nella compagine ministeriale era stata operata da Andreotti, nonostante le richieste di esclusione da parte del PCI; secondo una versione accreditata molti anni dopo, insieme con Alessandro Natta, capogruppo alla Camera, Berlinguer dovette sveltamente decidere se proporre alla Direzione del partito già convocata per il pomeriggio dello stesso giorno di ritirare lappoggio al governo. Ma la stessa mattina del 16 marzo, giorno previsto per la presentazione parlamentare del governo tanto faticosamente messo insieme, Moro fu rapito (e sarebbe poi stato ucciso) dalle Brigate Rosse. Berlinguer intuì immediatamente la calcolata determinazione di un attacco che pareva studiato per mandare a monte tutto il lavoro occorso per raggiungere la solidarietà nazionale e propose di concedere a questo pur non accetto governo la fiducia nel più breve tempo possibile, per potergli assicurare pienezza di funzioni in un momento cruciale della democrazia italiana. La fiducia fu dunque votata dal PCI insieme a DC, PSI, PSDI e PRI, ma non senza che Berlinguer precisasse che lespediente di Andreotti, che suonava di repentina modifica unilaterale di accordi lungamente elaborati, costituisse invece un Governo che, per il modo in cui è stato composto, ha suscitato e suscita, comè noto (ma io non voglio insistere in questo particolare momento su questo punto), una nostra severa critica e seri interrogativi e riserve[45]. Il ritorno allopposizione[modifica | modifica sorgente] Se Moro non fosse stato rapito, il PCI avrebbe dato battaglia ad Andreotti, ma sia pure faticosamente e in modo non pienamente adeguato alla situazione, gli fu risparmiato. Durante il sequestro Moro, il PCI fu tra i più decisi sostenitori del cosiddetto fronte della fermezza, del tutto contrario a qualsiasi tipo di trattativa con i terroristi, i quali avevano chiesto la liberazione di alcuni detenuti in cambio di quella dello statista democristiano. In questa occasione si acuì la contrapposizione tra il PCI ed il PSI guidato da Bettino Craxi, che tentò di sostenere politicamente gli sforzi di coloro che tentavano di salvare la vita di Moro (la sua famiglia, alcuni esponenti della DC non direttamente impegnati nel governo, il papa Paolo VI), sia per un intento umanitario e di ripulsa verso una concezione eccessivamente statalista dellazione politica, tipica del cosiddetto umanesimo socialista, sia per marcare la distanza dei socialisti dai due maggiori partiti e dalla dottrina del compromesso storico che rischiava di confinare definitivamente il PSI in un ruolo marginale nel panorama politico italiano. Dopo il tragico epilogo della vicenda di Moro, lunico effetto di rilievo sulla DC parvero le dimissioni di Francesco Cossiga, che era ministro dellinterno. Il PCI restava fuori della compagine di governo, Berlinguer non partecipava più alle riunioni insieme ai segretari dellarco costituzionale (anche se a livello parlamentare i contatti continuavano ad essere tenuti dal capogruppo Ugo Pecchioli), il governo Andreotti restava dovera, sempre con Bisaglia e Stammati a bordo. Fu nel giugno del 1978, un mese dopo la morte di Moro, che esplose con inaudita virulenza il caso del presidente della Repubblica Giovanni Leone, che grazie ad una campagna cui il PCI aveva già dato un contributo fondamentale (e che a questo punto omise di ritirare), fu costretto alle dimissioni. Oltre al rancore verso Andreotti, cui si doveva un governo diverso da quello concordato (e che avrebbe dovuto presentare dimissioni almeno di cortesia, in caso di elezione di un nuovo capo dello Stato), si è supposto che la campagna scandalistica sia stata ulteriormente indurita da Berlinguer per poter far salire al Quirinale qualcuno meno avvinto dalla pregiudiziale anticomunista di quanto non fossero stati i presidenti precedenti. Lelezione di Sandro Pertini, oltre che gradita al PCI, piaceva a molti settori della politica. Da parte dei socialisti, nel cui partito militava, vi era ovviamente la soddisfazione per la nomina di una figura amica, che avrebbe potuto accrescere la capacità di influenza del partito craxiano. Da parte democristiana (dalla quale si era barattata la candidatura con la persistenza al governo), Pertini era ritenuto poco pericoloso, almeno fintantoché fossero proseguiti i buoni rapporti con il partito del Garofano. E anche i repubblicani guardavano a possibili riprese di prestigio (e di influenza politica) con un nuovo scenario che premiava con la carica uno degli storici partiti laici italiani. Lentusiasmo di Berlinguer fu però di breve durata, poiché non solo Andreotti non si dimise, ma addirittura - dopo la caduta determinata dallopposizione comunista allingresso nel primo sistema monetario europeo - successe a sè stesso, con lAndreotti-quinquies, sul principio dellanno successivo, per governare le inevitabili elezioni anticipate. Il PCI fu quindi escluso dalle relazioni fra i partiti della maggioranza, e si apprestò a tornare al suo ruolo di opposizione. Il PCI si ritrovò di nuovo allopposizione: nel decennio successivo si ritrovò completamente isolato in quanto il PSI di Bettino Craxi dopo avere a lungo oscillato, governando a livello locale sia con la DC che con il PCI, formulò stabilmente, a livello nazionale, unalleanza di governo con la DC e con gli altri partiti laici, PSDI, PLI e PRI, denominata pentapartito, facendo pesare sempre di più, nelle richieste di posti di potere, il suo ruolo di partito di confine. Alessandro Natta Berlinguer, per uscire dallisolamento, provò a ricostruire delle alleanze nella base del Paese, cercando convergenze con le nuove forze sociali che chiedevano il rinnovamento della società italiana e riprendendo i rapporti con quello che era il tradizionale riferimento sociale del PCI: la classe operaia. In questottica vanno lette le battaglie contro linstallazione degli Euromissili, per la pace e, soprattutto, nella vertenza degli operai della FIAT del 1980. Il PCI in quella lotta arrivò addirittura a scavalcare il ruolo della CGIL e la sconfitta finale e quella riportata anni dopo nel referendum sulla scala mobile segnarono in maniera indelebile il Partito. In particolare il referendum del 1985, che era stato fortemente voluto da Berlinguer, per abrogare il c.d. decreto di San Valentino del 14 febbraio 1984 del Governo Craxi, con il quale era stato recepito in una norma legislativa valida erga omnes laccordo delle associazioni imprenditoriali con i soli sindacati Cisl e Uil, con lopposione della CGIL, che tagliava 4 punti percentuali dellindennità di contingenza, segnò il punto massimo dello scontro tra Berlinguer e Craxi. Lopposizione comunista al primo governo a guida socialista della storia della Repubblica toccò punte di parossismo e Craxi venne indicato come un nemico della classe operaia; molti iscritti e sindacalisti socialisti della CGIL furono indotti dal clima di ostracismo determinatosi nei loro confronti ad aderire alla UIL, guidata da Giorgio Benvenuto che divenne di fatto il sindacato socialista, pur se molti rimasero nella CGIL, grazie anche allimpegno del suo Segretario generale Luciano Lama, che non aveva condiviso fino in fondo la scelta di Berlinguer di raccogliere le firme per lindizione del referendum. L11 giugno 1984 il segretario del PCI morì a Padova a causa di un ictus che laveva colpito il 7 giugno sul palco mentre stava pronunciando un discorso, trasmesso in diretta televisiva, in vista delle elezioni europee del successivo 17 giugno. La morte di Berlinguer destò unenorme impressione in tutto il Paese, anche per la casuale presenza a Padova del Presidente della Repubblica Sandro Pertini che accorse al capezzale del segretario comunista e decise di riportarne la salma a Roma con laereo presidenziale. I funerali videro una grandissima partecipazione di popolo, non solo delle migliaia di militanti del PCI provenienti da tuttItalia, ma di moltissimi cittadini romani, e lomaggio alla salma di delegazioni di tutti i partiti italiani, compresa quella del MSI, e dei partiti socialisti e comunisti di tutto il mondo. Alle elezioni europee il PCI raggiunse il suo massimo risultato (33,3% dei voti), sorpassando, sia pur di poco e per la prima e ultima volta, la Democrazia Cristiana (33,0% dei voti), per cui i commentatori parlarono di un effetto Berlinguer. La segreteria del PCI passò ad Alessandro Natta, ma il partito, nonostante il successo alle elezioni europee e pur mantenendo una consistente base di massa, aveva ormai iniziato un lento e graduale declino. Nellaprile del 1986 fu tenuto, anticipatamente a causa della disfatta dellanno precedente nelle elezioni regionali, il XVII Congresso nazionale del PCI. Come risposta alla crisi il gruppo dirigente del Partito tentò, grazie alla decisiva spinta dellarea migliorista di Giorgio Napolitano, un riposizionamento internazionale del PCI proponendo il totale distacco dal movimento comunista per entrare a far parte, a tutti gli effetti, del Partito Socialista Europeo. A questa linea si oppose duramente un piccolo gruppo organizzato da Cossutta che, in minoranza allinterno del Partito, aveva dato vita ad una vera e propria corrente stabile sin da quando, in occasione del golpe polacco di Jaruzelski, Berlinguer aveva proclamato esaurita la spinta propulsiva della rivoluzione dOttobre. Nel maggio 1988 Natta è colto da un leggero infarto[46]. Non è grave, ma gli vien fatto capire dagli alti dirigenti che non è più gradito come segretario. Natta si dimette e al suo posto viene messo il vice Achille Occhetto. Nel marzo 1989 Occhetto lancia il nuovo PCI come uscirà dai lavori del XVIII Congresso nazionale, il primo a tesi contrapposte nella storia del partito (sebbene non fu garantita una piena ed effettiva parità di condizioni al documento della minoranza). Il 19 luglio 1989 viene costituito un governo ombra ispirato al modello inglese dello Shadow Cabinet, per meglio esplicitare lalternativa di governo che il PCI intendeva rappresentare. Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Governo ombra del Partito Comunista Italiano. La caduta del Muro di Berlino e lo scioglimento del PCI[modifica | modifica sorgente] Achille Occhetto Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Svolta della Bolognina. Il 12 novembre 1989, tre giorni dopo la caduta del muro di Berlino, Achille Occhetto annunciò grandi cambiamenti a Bologna in una riunione di ex partigiani e militanti comunisti della sezione Bolognina. Fu questa la cosiddetta Svolta della Bolognina nella quale il leader del Partito propose, prendendo da solo la decisione, di aprire un nuovo corso politico che preludeva al superamento del PCI e alla nascita di un nuovo partito della sinistra italiana. Nel Partito si accese una discussione e il dissenso, per la prima volta, fu notevole e coinvolse ampi settori della base. Dirigenti nazionali di primaria importanza quali Pietro Ingrao, Alessandro Natta e Aldo Tortorella, oltre che Armando Cossutta, si opposero in maniera convinta alla svolta. Per decidere sulla proposta di Occhetto fu indetto un Congresso straordinario del Partito, il XIX, che si tenne a Bologna nel marzo del 1990. Tre furono le mozioni che si contrapposero: la prima mozione, intitolata Dare vita alla fase costituente di una nuova formazione politica era quella di Occhetto, che proponeva la costruzione di una nuova formazione politica democratica, riformatrice e aperta a componenti laiche e cattoliche, che superasse il centralismo democratico. Il 67% dei consensi ottenuti dalla mozione permise la rielezione di Occhetto alla carica di Segretario generale e la conferma della sua linea politica. la seconda mozione, intitolata Per un vero rinnovamento del PCI e della sinistra fu sottoscritta da Ingrao e, tra gli altri, da Angius, Castellina, Chiarante e Tortorella. Il PCI, secondo i sostenitori di questa mozione, doveva sì rinnovarsi, nella politica e nella organizzazione, ma senza smarrire se stesso. Questa mozione uscì sconfitta ottenendo il 30% dei consensi. la terza mozione, intitolata Per una democrazia socialista in Europa fu presentata dal gruppo di Cossutta. Costruita su un impianto profondamente ortodosso ottenne solo il 3% dei consensi. Il XX Congresso, tenutosi a Rimini nel febbraio del 1991, fu lultimo del PCI. Le mozioni che si contrapposero a questo Congresso furono sempre tre, anche se con schieramenti leggermente diversi: la mozione di Occhetto, DAlema e molti altri dirigenti, Per il Partito Democratico della Sinistra, che ottenne il 67,46% dei voti eleggendo 848 delegati. una mozione intermedia, Per un moderno partito antagonista e riformatore, capeggiata da Bassolino, che ottenne il 5,76% dei voti eleggendo 72 delegati. la mozione contraria alla nascita del nuovo partito, Rifondazione comunista, nata dallaccorpamento delle mozioni di Ingrao e Cossutta, ottenne il 26,77% dei voti eleggendo 339 delegati, cioè meno rispetto alla somma dei voti delle due mozioni presentate al precedente Congresso. Partito Democratico della Sinistra e Rifondazione Comunista[modifica | modifica sorgente] Il 3 febbraio 1991, il PCI deliberò il proprio scioglimento, promuovendo contestualmente la costituzione del Partito Democratico della Sinistra (PDS) con 807 voti favorevoli, 75 contrari e 49 astenuti. Il cambiamento del nome intendeva sottolineare la differenziazione politica con il partito originario accentuando laspetto Democratico. Una novantina di delegati della mozione Rifondazione comunista non aderì alla nuova formazione e diede vita al Movimento per la Rifondazione Comunista, che poi inglobò Democrazia Proletaria e altre formazioni comuniste minori assumendo la denominazione di Partito della Rifondazione Comunista (PRC). Correnti[modifica | modifica sorgente] Fin dallinizio il PCI non ha mai avuto componenti interne organizzate e riconosciute, peraltro vietate dallo statuto (c.d. divieto di frazionismo, che proibiva lorganizzazione di minoranze interne) ma piuttosto delle tendenze più o meno individuabili (inizialmente, quelle di Amendola e di Ingrao). Le correnti si sono però via via caratterizzate, fino a divenire più individuabili negli anni ottanta. Miglioristi: rappresentavano la destra del partito. Eredi delle posizioni di Giorgio Amendola (sostanzialmente orientato verso una forma di socialismo democratico e riformista), i miglioristi erano radicati nel suo apparato e nella gestione delle cooperative rosse. Propensi ad un miglioramento riformista del capitalismo, non condividevano la politica sovietica (anche se a più riprese vi si conformarono), contrastarono lestrema sinistra del 68 e del 77 ma anche le correnti del PCI più movimentiste o moraliste. Sostenevano il dialogo e lazione comune con partiti come il PSDI e il PSI, questultimo specialmente durante la segreteria di Craxi, di cui erano interlocutori privilegiati. Furono, con qualche eccezione, grandi sostenitori della svolta di Occhetto nel 1989 (firmando la mozione 1). Il leader tradizionale della corrente era Giorgio Napolitano (divenuto Presidente della Repubblica nel 2006); vi appartenevano inoltre Paolo Bufalini, Gerardo Chiaromonte, Napoleone Colajanni, Guido Fanti, Nilde Iotti, Luciano Lama, Emanuele Macaluso, Antonello Trombadori e altri ancora. Larea ex-diessina del PD raggruppa la maggior parte dei seguaci dei miglioristi. Berlingueriani: Costituivano il centro del partito, erede delle posizioni di Luigi Longo. Questarea, formata da ex-amendoliani ed ex-ingraiani, divenne più inquadrabile durante la segreteria di Berlinguer (che la guidava). Anchessa diffidente nei confronti della Nuova sinistra (seppur meno dei miglioristi), era favorevole al distacco dalla sfera dinfluenza dellURSS per conseguire una via italiana al socialismo, alternativa a stalinismo e socialdemocrazia. Negli anni ottanta i berlingueriani, dopo il fallimento del compromesso storico con la DC, tentarono un alternativa democratica da perseguire moralizzando il sistema partitico (questione morale), sviluppando al contempo una forte avversione al PSI di Craxi. Il centro del PCI si divise poi nellultimo congresso del 1989 tra favorevoli e contrari alla Svolta di Occhetto (mozioni 1 e 2), anche se poi in stragrande maggioranza confluì nel PDS. Berlingueriani erano, oltre a Natta e Occhetto (proveniente dalla sinistra), Gavino Angius, Tom Benetollo, Giovanni Berlinguer, Giuseppe Chiarante, Pio La Torre, Adalberto Minucci, Fabio Mussi, Diego Novelli, Giancarlo Pajetta, Ugo Pecchioli, Alfredo Reichlin, Franco Rodano, Tonino Tatò, Aldo Tortorella, Renato Zangheri e altri; provenienti dalla FGCI erano Massimo DAlema, Piero Fassino, Pietro Folena, Renzo Imbeni, Walter Veltroni. Oggi sono quasi tutti divisi tra Partito Democratico e Sinistra Ecologia Libertà; Minucci e Nicola Tranfaglia hanno aderito al Partito dei Comunisti Italiani (PdCI), Folena è stato eletto in Parlamento da Rifondazione in quota Sinistra europea, mentre Angius ha lasciato SD per il Partito Socialista. Sia Angius che Folena hanno aderito successivamente al Partito Democratico[47]. Alcuni sono usciti dalla politica attiva (prima Natta, poi Tortorella e Chiarante che hanno costituito lAssociazione per il Rinnovamento della Sinistra). Ingraiani: Guidati da Pietro Ingrao, tenace avversario di Giorgio Amendola nel partito, erano per definizione gli esponenti della sinistra movimentista del PCI, molto ben radicati nella FGCI e anche nella CGIL. Questa corrente era contraria a manovre politiche considerate di destra e sosteneva posizioni che erano definite - non sempre in modo coerente - marxiste-leniniste. Era poco avvezza ad alleanze con la DC (per questo motivo molti furono gli ex-ingraiani passati con Berlinguer). Molto meno diffidente di berlingueriani e miglioristi nei confronti dei movimenti del dopo 68, riuscì ad attrarre svariati giovani proprio tra questi ultimi, spesso contrapponendoli a quelli più ortodossi che militavano in Democrazia Proletaria o in altre formazioni di estrema sinistra. Nel 1969 la corrente perse la componente critica legata alla rivista Il manifesto, espulsa - anche con lappoggio di Ingrao - dal partito e poi rientratavi nell 84. I valori principali degli ingraiani erano quelli dellambientalismo, del femminismo, del pacifismo. Si opposero in larga parte alla Svolta della Bolognina, costituendo il nucleo principale del Fronte del No, cioè la mozione di minoranza più consistente (la 2). Ingraiani erano Alberto Asor Rosa, Antonio Baldassarre, Antonio Bassolino, Fausto Bertinotti, Bianca Bracci Torsi, Lucio Colletti, Aniello Coppola, Sandro Curzi, Lucio Libertini, Bruno Ferrero, Sergio Garavini, Ersilia Salvato, Rino Serri e altri; dalla FGCI provenivano Ferdinando Adornato, Massimo Brutti, Franco Giordano, Nichi Vendola. Di origine ingraiana erano, oltre agli ex-Manifesto-PdUP, anche berlingueriani come Angius, DAlema, Fassino, Occhetto, Reichlin e altri. Oggi gli ex-ingraiani sono divisi tra sinistra PD, PRC e Sinistra Ecologia Libertà. Cossuttiani: Forse lunica vera e propria corrente del PCI, presente perlopiù nellapparato partitico, comprensiva però di alcuni ex-operaisti. Larea guidata da Cossutta non voleva rompere il legame internazionalista con lUnione Sovietica, causa di uno strappo lacerante che avrebbe investito anche i connotati politico-ideali in favore di una pericolosa mutazione genetica del partito. Erano inoltre assertori di un legame da conservare e sviluppare con tutti gli altri paesi socialisti (come quello cubano). Nel partito, giunsero a criticare con asprezza lazione politica intrapresa da Berlinguer durante la sua segreteria, combattendo al contempo sia contro lallontanamento progressivo dallURSS che i tentativi di compromesso con la DC. Nel congresso della svolta riuscirono a conquistare solo il 3% dei voti, con una mozione (la 3), sebbene più piccola, maggiormente organizzata e meno eterogenea della seconda. Cossuttiani erano, tra gli altri, Guido Cappelloni, Gian Mario Cazzaniga, Giulietto Chiesa, Aurelio Crippa, Oliviero Diliberto, Claudio Grassi, Marco Rizzo, Fausto Sorini, Graziella Mascia. Attualmente i cossuttiani, che vengono connotati come ex-cossuttiani per la divergente strada politica intrapresa dallo stesso Cossutta (tranne Chiesa che ha seguito un diverso percorso politico-culturale) sono presenti in larga parte nel PdCI (che Cossutta ha presieduto fino alle dimissioni avvenute nel 2006) ma anche in consistenti componenti interne del Prc (Essere Comunisti di Claudio Grassi e Alberto Burgio, LErnesto (dal nome dellomonima rivista) di Fosco Giannini e Andrea Catone). il manifesto: Componente di origine ingraiana nata attorno alla rivista omonima, fu espulsa dal PCI nel 1969. Esponenti più significati e fondatori poi del quotidiano avente il medesimo nome furono Aldo Natoli, Rossana Rossanda, Luigi Pintor, Lucio Magri, Luciana Castellina, Eliseo Milani, Valentino Parlato e Lidia Menapace. La sua dura critica alla politica dellURSS (culminata con la condanna nel 1969 allinvasione sovietica della Cecoslovacchia) le costò la radiazione del PCI. Costituitasi come soggetto politico autonomo di Nuova sinistra, nel 1974 si unificò con il PdUP (costituito da socialisti provenienti da PSIUP e aclisti del MPL) per fondare il PdUP per il comunismo, con Magri segretario. Lunione durò poco: nel 77 larea PSIUP-MPL uscì per confluire in Democrazia Proletaria, mentre gli ex-Manifesto inglobarono la minoranza di Avanguardia Operaia (per poco tempo) e infine il Movimento Lavoratori per il Socialismo (MLS), mantenendo il nome PdUP per il comunismo. Nel 1983 il partito presentò propri candidati nelle liste comuniste; nel 1984 confluì definitivamente nel PCI, con gli ex-militanti del MLS. Quando si tenne il congresso alla Bolognina, la maggior parte degli ex-PdUP per il comunismo aderirono al Fronte del No. Magri e altri rimasero nel PDS per breve tempo, dopodiché aderirono a Rifondazione nel 1991. Nel 1995 lasciarono però il PRC con Garavini, dando vita al Movimento dei Comunisti Unitari che, tranne Magri e Castellina, confluì nei DS nel 1998. Oggi dirigenti ed esponenti del PdUP-MLS si ritrovano, con ruoli diversi in tutti i partiti della Sinistra. Vincenzo Vita, Famiano Crucianelli e Davide Ferrari sono nel PD, Luciano Pettinari in SD, mentre Franco Grillini ha aderito al PS e in seguito allItalia dei Valori. Del MLS, Luca Cafiero ha lasciato la politica attiva, Alfonso Gianni era in SEL (lha abbandonata nel 2013) e Ramon Mantovani in Rifondazione. I fondatori veri e propri del Manifesto sono oggi fuori dalle organizzazioni di partito. Struttura[modifica | modifica sorgente] Segretari generali[modifica | modifica sorgente] I primi due statuti del PcdI (1921 e 1922) non prevedevano la figura del «Segretario generale». Fino al gennaio 1926 il partito era retto da un Comitato Esecutivo ristretto che lavorava collegialmente e allinterno del quale era al massimo rintracciabile un «redattore capo» (art. 47 dello Statuto del 1921) o «segretario» (art. 51). Al III Congresso il CE mutò nome in Ufficio Politico e allinterno di questo fu individuata la figura del segretario generale[48]. Dopo larresto di Gramsci nel novembre 1926, la carica di segretario restò comunque formalmente ricoperta dal comunista sardo, ma di fatto lorganizzazione clandestina iniziò ad avere un capo a Mosca (il centro estero) e uno in Italia (centro interno). Furono pertanto a capo del Partito: Amadeo Bordiga (gennaio 1921 - marzo 1923) Palmiro Togliatti & Angelo Tasca (giugno 1923 - agosto 1924) Antonio Gramsci (agosto 1924 - gennaio 1926) Furono segretari generali: Antonio Gramsci (gennaio - novembre 1926) Camilla Ravera (1927-1930) Palmiro Togliatti (1930 - 1934) Ruggero Grieco (1934 - 1938) Palmiro Togliatti (1938 - agosto 1964) Luigi Longo (agosto 1964 - marzo 1972) Enrico Berlinguer (marzo 1972 - giugno 1984) Alessandro Natta (giugno 1984 - giugno 1988) Achille Occhetto (giugno 1988 - febbraio 1991) Presidenti[modifica | modifica sorgente] Luigi Longo (1972-1980) Alessandro Natta (1989-1990) Aldo Tortorella (1990-1991) Organigrammi del vertice nazionale[modifica | modifica sorgente] I congresso Comitato Centrale: Amadeo Bordiga, Ambrogio Belloni, Nicola Bombacci, Bruno Fortichiari, Egidio Gennari, Antonio Gramsci, Ruggero Grieco, Anselmo Marabini, Francesco Misiano, Giovanni Parodi, Luigi Polano (FgcdI), Luigi Repossi, Cesare Sessa, Ludovico Tarsia, Umberto Terracini, Antonio Borgia. Comitato Esecutivo: Bordiga, Fortichiari, Grieco, Repossi, Terracini. II congresso Comitato Centrale: Bordiga, Isidoro Azzario, Vittorio Flecchia, Fortichiari, Leopoldo Gasparini, Gennari, Ennio Gnudi, Gramsci, Grieco, Marabini, Repossi, Sessa, Terracini, Palmiro Togliatti, Giuseppe Berti (FgcdI); nel marzo 1923 cooptazione di Antonio Graziadei e Angelo Tasca. Comitato Esecutivo: Bordiga, Fortichiari, Grieco, Repossi, Terracini; nel marzo 1923 cooptazione di: Mauro Scoccimarro, Togliatti. CE dimissionario nel marzo 1923 e sostituito nel luglio 1923 con Fortichiari, Scoccimarro, Tasca, Togliatti, Giuseppe Vota; in autunno dimissioni di Fortichiari sostituito da Gennari. V congresso Comintern Comitato Centrale: Gramsci, Aladino Bibolotti, Gennari, Gnudi, Fabrizio Maffi, Mario Malatesta, Gustavo Mersù, Scoccimarro, Tasca, Terracini, Togliatti, Giuseppe Tonetti. Supplenti per cooptazione: Flecchia, Alfonso Leonetti, Camilla Ravera, Giovanni Roveda, Giacinto Menotti Serrati. Comitato Esecutivo: Gramsci, Maffi, Mersù, Scoccimarro, Togliatti. Supplenti:Bibolotti, Gennari, Malatesta, Tasca, Terracini, Tonetti. Ufficio di Segreteria: Gramsci, Giuseppe Di Vittorio, Grieco, Mersù, Ravera, Scoccimarro, Giovanni Srebnic, Togliatti. III congresso Comitato Centrale: Gramsci, Luigi Allegato, Luigi Bagnolati, Luigi Ceriana, Flecchia, Gennari, Gnudi, Grieco, Alfonso Leonetti, Fabrizio Maffi, Antonio Oberti, Paolo Ravazzoli, Camilla Ravera, Scoccimarro, Giacinto Menotti Serrati, Tasca, Terracini, Togliatti, Bordiga, Carlo Venegoni e un operaio di Trieste (Luigi Frausin?). Membri candidati: Azzario, Teresa Recchia, Giovanni Roveda, Pietro Tresso. Ufficio Politico: Gramsci, Grieco, Ravera, Ravazzoli, Scoccimarro, Terracini, Togliatti; nel novembre 1926 arresto di Gramsci, Scoccimarro e Terracini sostituiti nellUP da Leonetti, Tasca e Tresso e lesclusione di Ravazzoli; Candidato: Ignazio Silone. VI congresso Comintern Comitato Centrale: Gennari, Gnudi, Grieco, Leonetti, Luigi Longo, Ravazzoli, Ravera, Silone, Tasca, Togliatti, Tresso; Candidati cooptati nellottobre 1928: Di Vittorio, Giuseppe Dozza, Giovanni Germanetto, Teresa Recchia, Pietro Secchia. Ufficio Politico: Grieco, Leonetti, Ravazzoli, Ravera, Silone, Tasca, Togliatti, Tresso, Secchia (FgcdI); Candidato: Luigi Longo (FgcdI a Mosca). Ufficio di Segreteria: Grieco, Ravera, Secchia, Togliatti. «La svolta» del 1929 Comitato Centrale: Di Vittorio, Dozza, Gennari, Germanetto, Gnudi, Grieco, Longo, Ravera, Togliatti; Candidati: Frausin, Antonio Vincenzo Gigante, Battista Santhià. Ufficio Politico: Grieco, Longo, Ravera, Secchia, Togliatti. Nel 1929 espulsione di Tasca; nel 1930 espulsione di Bordiga, Leonetti, Ravazzoli, Tresso; nel 1931 espulsione di Silone. IV congresso Comitato Centrale: Berti, Luigi Ceriana, Gaetano Chiarini, Domenico Ciufoli, Di Vittorio, Dozza, Frausin, Gennari, Germanetto, Gnudi, Grieco, Longo, Ernesto Oliva, Santhià, Togliatti, Tonini, Viana, Gorizia un operaio, Torino da, Trieste designarsi, FgcdI un giovane (Giancarlo Pajetta?); Candidati: Vincenzo Bianco, Luigi Lomellina, Mario Montagnana, Giordano Pratolongo, Francesco Roccati, «Sesto», Ezio Zanelli; Cooptati in seguito: Luigi Amadesi, Luigi Grassi. Ufficio Politico: Di Vittorio, Dozza, Grieco, Longo, Santhià, Togliatti, (G. C. Pajetta?). VII congresso Comintern Comitato Centrale: Giuseppe Amoretti, Bibolotti, Ciufoli, Di Vittorio, Dozza, Gennari, Gnudi, Grieco, Longo, Cesare Massini, Montagnana, Celeste Negarville, Teresa Noce, Agostino Novella, Attilio Tonini, Luigi Viana, Zanelli; Candidati: Luigi Borelli, Rigoletto Martini. Ufficio Politico: Di Vittorio, Gennari, Grieco, Longo, Montagnana, Negarville. agosto 1938 (scioglimento del CC) Centro di riorganizzazione: Berti, Di Vittorio, Grieco, Antonio Roasio. Centro ideologico: Berti, Di Vittorio, Grieco, Umberto Massola, Negarville, Novella, Roasio. V congresso
Posted on: Wed, 30 Oct 2013 19:29:38 +0000

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