L’uomo e il denaro 629 società» (cap. II), con - TopicsExpress



          

L’uomo e il denaro 629 società» (cap. II), con alcune riflessioni sulla donna e sugli intellettuali che si prestano a cambiar pensiero per accon- tentare i più potenti; «L’uomo di denari» (III); le patologie collegate al denaro (IV); e infine un capitolo dedicato alla società della mente, do- ve l’antropologia possa aiutare a rifondare i legami sociali a vantaggio dell’uomo (V). Andreoli riconosce al denaro cinque fun- zioni. La prima, più abituale, è l’ instrumen- tum vitae , il mezzo per acquistare i beni che servono per vivere, per poter soddisfare le esigenze fisiche, psicologiche e sociali. La seconda funzione del denaro «è quella di amuleto, o comunque di antidoto, contro la paura» (p. 134). In un tempo di incertezze (perdita del lavoro, recessione economica, malattie), i soldi aiutano (ad esempio nell’ac- cesso alle cure); però «appena se ne sono accumulati un po’ [...] vengono in mente nuove calamità ancora più grandi. Bisogna risparmiare sempre di più, perché il metro di giudizio è uno solo: la paura del futuro, di un futuro pieno di disgrazie» (p. 136). Fa- cendo l’esempio del monaco e dell’eremita, l’A. afferma che solo una proiezione totale nell’eternità è capace di togliere valore al denaro. La terza funzione è quella deco- rativa, «il denaro come imbellettamento, come simbolo che ci si porta addosso» (p. 149). Laddove la bellezza è vissuta come ossessione, la critica di Andreoli raggiun- ge i toni dell’indignazione: «condanno ogni comportamento pubblico che esalta la bel- lezza fisica. Sono indignato che si guardi solo al corpo e non si parli di bellezza della persona valutando anche il portamento, la grazia, lo stile, la classe [...]. Ma ciò che più mi colpisce e rattrista è il modo in cui molti anziani ricercano il bello, assieme na- turalmente all’efficienza di un corpo che nasconde l’età reale. Ero abituato a considerare la bellezza del vecchio rappor- tandola alla sua lunga vita e ai cambiamenti del corpo, che anche in questa età mostra una sua bellezza, seppure diversa da quella giovanile» (pp. 151- 152), perché in grado di rac- contare la vita di una persona. La quarta funzione dei soldi è quella filantropica, «a fini utili per un’intera società, o per alcune persone in particola- re» (p. 166). Infine il quinto uso possibile è nei circuiti del riciclaggio e riguarda quel- le organizzazioni che guadagnano denaro in modo illegale e poi, per usarlo, devono «lavarlo» (p. 171). Nell’affrontare il rapporto tra malattia e denaro, l’A. precisa che la gravità della pri- ma dipende dalla personalità individuale; dopodiché analizza sette di quelle che egli chiama patologie collegate al denaro, anche se non lo sono immediatamente nell’imma- ginario collettivo. Si comincia con la di- pendenza, in cui «si avverte il bisogno [di denaro], ma anche il condizionamento: non è più possibile vivere facendone a meno» (p. 178); si instaura un legame nevrotico, simile a quello con le sostanze stupefacen- ti, e si esprime sia in una dipendenza dal denaro sia «per il denaro», quando «ci si lega ad alcune attività perché garantiscono profitto» (p. 183). Poi si passa alla depres- sione, considerata la forma più grande di sofferenza legata ai soldi: siccome nella no- stra società l’uomo si definisce per il suo denaro, anzi egli stesso è denaro, quando questo manca, si entra in depressione. Gli esempi riguardano la perdita del lavoro, in cui non viene meno solo lo stipendio ma lo status associato, e i suicidi da denaro, in aumento durante le crisi finanziarie. La Andreoli riconosce al denaro cinque fun - zioni. La prima, più abituale, è l’ instrumen - tum vitae , il mezzo per acquistare i beni che servono per vivere, per poter soddisfare le esigenze fisiche, psicologiche e sociali. La seconda funzione del denaro «è quella di amuleto, o comunque di antidoto, contro la paura» ( La terza funzione è quella deco - rativa, «il denaro come imbellettamento, come simbolo che ci si porta addosso» (p. 149). Laddove la bellezza è vissuta come ossessione, la critica di Andreoli raggiun - ge i toni dellindignazione: «condanno ogni comportamento pubblico che esalta la bel - lezza fisica. Sono indignato che si guardi solo al corpo e non si parli di bellezza della persona valutando anche il portamento, la grazia, lo stile, la classe []. La quarta funzione dei soldi è quella filantropica, «a fini utili per unintera società, o per alcune persone in particola - re» (p. 166). Infine il quinto uso possibile è nei circuiti del riciclaggio e riguarda quel - le organizzazioni che guadagnano denaro in modo illegale e poi, per usarlo, devono «lavarlo» ( sette a patologie collegate al denaro, Si comincia con la di - pendenza, si esprime sia in una dipendenza dal denaro sia «per il denaro», quando «ci si lega ad alcune attività perché garantiscono profitto» Poi si passa alla depres - sione, siccome nella no - stra società luomo si definisce per il suo denaro, anzi egli stesso è denaro, Gli esempi riguardano la perdita del lavoro, in cui non viene meno solo lo stipendio ma lo status associato, e i suicidi da denaro, in aumento durante le crisi finanziarie. La Chiara Tintori 630 terza patologia presa in considerazione è l’ansia da denaro, spesso anticamera delle violenze e delle morti scatenate da motivi economici. Il quarto disturbo mette in risalto quanto il denaro possa influenzare il pen- siero: la parafrenia monetaria, cioè i «casi di chi libera una fantasia straordinaria sul denaro, e finisce per credere a situazioni puramente illusorie» (p. 201). La quinta malattia è la stupidità, intesa come «la banalità delle persone che vedo- no, pensano e sognano soltanto denaro» (p. 207). La sesta è l’immoralità: addirittura, per Andreoli, «anche le persone più scrupolose hanno una doppia morale e ne applicano una ai soldi» (p. 207). L’A. individua per stupidità e immoralità la stessa dinamica causa-effetto in cui il «virus di carta» (p. 174) entra in azione, anche se è più difficile per il lettore ascrivere queste due condi- zioni a malattie. Esse sembrano infatti il presupposto per l’utilizzo distorto dei soldi, piuttosto che un atteggiamento causato da un agente esterno patogeno (il denaro), che determinerebbe — senza la volontà del sog- getto — l’instaurarsi di tali patologie. All’ultima malattia, la distruttività, An- dreoli riserva toni particolarmente sdegnati: «è una piccola apocalisse [...]. Nella di- struttività domina la disperazione del sin- golo, la percezione che tutto, proprio tutto non funziona, ogni cosa ha perso senso e si è trasformata in male» (pp. 211-212). L’uomo non merita di diventare un contenitore di monete, un salvadanaio, perché una volta rotto restano solo dei cocci; eppure «questa è la follia, oggi talmente diffusa da sembrare normale. Ma non lo è» (p. 214). Un esempio di distruzione da denaro sono gli arsenali militari: «dai soldi hanno origine le armi di distruzione, i missili, le bombe intelligenti, gli aerei senza pilota, le cosiddette “mis- sioni di pace”, con i soldati che sparano e muoiono sotto le granate. Tutto questo è denaro malato, prostituito, impazzito. Dena- ro coniugato con il potere violento, per un delirio che nessuno psichiatra è chiamato a curare» (p. 215). L’intero volume è attraversato da un sen- timento di sconforto proprio dell’A., «un pessimista attivo che prova a risvegliare chi dorme, e lo fa con la forza delle idee» (p. 108), che non esita a sfogare la sua paura, talvolta trasformata in odio per la società italiana in cui vive: «non amo questa società dell’inutile, della falsità, dell’ipocrisia [...]. Ho paura di un mondo che dichiara inutile la sofferenza di tanti uomini, compresa la mia. Un regime di ignoranti e di saccenti, di falsari che non sanno piangere guardan- dosi allo specchio e non vedono nemmeno il danno che compiono e il male che fanno» (pp. 107-108). Affinché si possa reagire alla nascita di una «cultura, forse una pseudocultura, che esalta il denaro e cerca di attribuirgli tut- ti i benefici un tempo riferiti alla potenza dell’anima» (p. 157), Andreoli suggerisce il ritorno a una società fondata sui bisogni dell’uomo e non su quelli dell’economia, lasciando che quest’ultima sia un modo per dare risposta ai primi. «È tempo di fermarsi dinanzi a una banconota e pensare» (p. 216), di tornare a un «pensiero alto, un’analisi profonda e non più settoriale, che voli fino a toccare le utopie» (p. 227). È tempo di chie- dere alle discipline di interagire, affinché la scienza del comportamento (la psicologia), in grado di distinguere tra bisogni essenziali e secondari dell’uomo, possa essere elevata al rango dell’economia. Occorre «un’antro- pologia dell’insieme e della cooperazione» (p. 218) per costruire una società solidale, allontanandosi dalla catastrofe di una socie- tà sempre più violenta, in quanto formata da uomini sempre più frustrati solo perché non in grado di soddisfare tutta una serie di bisogni indotti. terza patologia presa in considerazione è l’ansia da denaro, spesso anticamera delle violenze e delle morti scatenate da motivi economici.
Posted on: Fri, 02 Aug 2013 08:19:56 +0000

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