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@ MARIO AZAD DONATIELLO ecco chi era DOMENICO CHIODO... Quando arriverai alla Spezia saprai perchè si chiama P.ZZA CHIODO ! Terzo di sette fratelli, quattro maschi e tre femmine, Domenico Chiodo nacque a Genova il 30 ottobre 1823 da Teresa Desimoni e Giovanni Battista Chiodo. Era nipote del barone Agostino Chiodo, ufficiale del Genio militare che nel 1808 aveva lavorato alla Spezia nello studio del grande arsenale che Napoleone Bonaparte voleva fare costruire al Varignano, e che dal 21 febbraio al 27 marzo 1849 sarà presidente del consiglio dei ministri del Regno di Sardegna. Da bambino Domenico chiese di entrare come alunno esterno nella Scuola di Marina dove subito si segnalò per ingegno e determinazione. Ai primi del ’38, a soli 15 anni, uscito dall’Istituto con il grado di Guardiamarina si imbarcò sulla nave Des Geneys che aveva il compito di incrociare davanti alle coste della Sardegna per contrastare la pirateria saracena. Suo padre, che era direttore generale del Genio, e il potente zio, volevano però che entrasse nel Genio Marina, e lui alla fine accondiscese entrandovi a 17 anni con il grado di Sottotenente (decreto regio del 6 dicembre 1840) e ponendosi quindi agli ordini del padre. Domenico si fece ben presto notare per la realizzazione di alcune importanti opere marittime, il che gli valse dopo quattro anni il grado di Luogotenente, e quando nel novembre del 1848 il Genio Marina si fuse con il Genio Militare, fu promosso al grado di Capitano. Aveva appena 25 anni. Nel 1849 e 1849 chiese ripetutamente di essere mandato al fronte della prima guerra di indipendenza, ma la domanda venne respinta. Suo zio Agostino in quel frangente era comandante superiore del Genio Militare e forse non voleva privarsi di un elemento così promettente. La svolta si ebbe nel 1853 quando a Genova si pose il problema del trasferimento della Marina militare alla Spezia, e più precisamente al Varignano, e a Domenico venne affidato il compito di accompagnare in Inghilterra l’ingegner James Meadows Rendel, presidente della società degli ingegneri britannici, incaricato dal governo piemontese di elaborare uno studio preliminare di fattibilità di un arsenale nel golfo della Spezia. Rientrato in Italia, non appena approvato da parte della Corona il progetto di Rendel Chiodo sul finire del 1857 venne destinato alla Direzione del Genio appositamente creata alla Spezia, per mettere mano ai progetti particolareggiati della nuova opera. Dopo il (quasi) felice esito della seconda guerra di indipendenza (1859), modificato il quadro politico-militare della penisola, ci si accorse che la soluzione del Varignano non era più adeguata alle esigenze di uno stato così ingrandito (annessioni, plebisciti, conquista del Regno delle due Sicilie da parte di Garibaldi) per cui cominciò a delinearsi l’idea di costruire l’arsenale in altra zona del golfo, e Chiodo, frattanto promosso al grado di Maggiore, propose a Cavour l’ipotesi di San Vito. Cavour, ben deciso a trovare una soluzione alternativa, dette ordine a Chiodo di predisporre nel più breve tempo possibile un progetto di massima. Chiodo eseguì a tempo di record il compito assegnatogli e nell’aprile del 1860 lo presentò al capo del governo. Questi fece un salto a Spezia, dette un’occhiata alla zona prescelta e approvò. Il primo agosto Chiodo già presentava il progetto definitivo e nel 1862 partirono gli espropri: centinaia di famiglie vennero espulse dalle loro case e dalle loro terre e un intero paese (San Vito) fu raso al suolo, con la perdita anche della chiesa e del cimitero. Chiodo, intanto nominato Tenente Colonnello, dette il via i lavori che si conclusero il 29 agosto 1869 con l’immissione dell’acqua del mare nella darsena interna. Va detto che i rapporti fra Chiodo e la nomenklatura spezzina e della Corte di Torino erano piuttosto tiepidi. Il senso di questo distacco emerse chiaro in un messaggio del Generale alla Fratellanza artigiana. Allorché questa associazione, che aveva Giuseppe Garibaldi quale presidente onorario, gli espresse la riconoscenza di tutti gli spezzini per l’opera compiuta, «apportatrice di tanti benefici alle arti e alle industrie della città, nonché di tanto vantaggio alla nazione», Chiodo rispose: «Io sono orgoglioso di siffatta dimostrazione di benevolenza, perché mi viene da cuori sinceri e da uomini che tengono in alto pregio quello che costituisce la vera nobiltà dell’era nostra, cioè la scienza e il lavoro». E al diavolo gli aristocratici con la loro aria di superiorità, era il sottinteso. Pur essendo stato candidato per due volte al parlamento, Chiodo per due volte non era stato infatti eletto a seguito, evidentemente, di ordini venuti dall’alto. Dopo la festa, incaricato di rappresentare l’Italia alla cerimonia inaugurale del canale di Suez, Chiodo, con il grado di Generale, andò in Egitto spingendosi poi sino in Sudan dove contrasse la malaria. Durante la sua assenza il Comune approvò il brevetto che gli concedeva la cittadinanza della Spezia, brevetto che proprio a causa delle sue aggravate condizioni di salute non gli fu mai consegnato. Il progettista dell’arsenale morì il giorno di san Giuseppe del 1870 lasciando la moglie Emma Castelli e i figli Mario e Ulrico in gravi ristrettezze economiche al punto che il governo volendo riconoscere il valore dello scomparso assegnò alla vedova una rivendita di sali, tabacchi e chinino ad Altare. Inoltre si accollò l’onere del corso di studi di Ulrico all’Accademia Navale e fece in modo di fare assumere Mario dalla società genovese Rubattino, quella che si era fatta… rubare da Garibaldi i piroscafi Lombardo e Piemonte usati per la spedizione dei Mille. La morte del generale cadde in una circostanza critica non soltanto per la ricorrenza patronale, ma anche perché si diceva che i repubblicani volessero cogliere l’occasione per festeggiare in maniera eclatante l’onomastico di due altri Giuseppe – Mazzini e Garibaldi – allarmando perciò le autorità le quali paventavano che la festa potesse essere presa a pretesto per fomentare disordini. Ma, spiega Calderai, «propalatasi immediatamente la nuova della morte del generale Chiodo, ne furono così colpiti gli stessi agitatori che desistettero dal divisato movimento e la città poté rimanere tranquilla nel suo dolore», scrisse Talete Calderai braccio destro del Generale. Al termine delle esequie Fratellanza Artigiana, presieduta da Gavino Paglietti, lanciò una sottoscrizione di fondi per erigere un monumento in onore dello scomparso, e già il primo di aprile si formò un comitato promotore. La bella statua che vediamo davanti alla porta principale dell’arsenale, opera dello scultore genovese Santo Varni (1807-1885), fu scoperta il 10 luglio del 1878.
Posted on: Sun, 23 Jun 2013 08:54:44 +0000

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