Moses smashing the Tables, RembrandtPAUL CELAN, POESIE LE POESIE - TopicsExpress



          

Moses smashing the Tables, RembrandtPAUL CELAN, POESIE LE POESIE DI GERUSALEMME Tu sempre mandorla, che parlavi solo a metà, ma tremata sino dal germe, te lasciavo attendere, te. Ed ero non ancora orbato d’occhi, ancora non spinata la fronte celeste del canto, che inizia: Hachnissini*. ("Accoglimi in te" - Parigi, rue Tournefort, 2.9.1968) Stava la scheggia di fico sul tuo labbro, stava Gerusalemme attorno a noi, stava l’odore dei chiari pinastri sopra la nave danese, che ringraziammo, io stavo in te. (Parigi, rue d’Ulm, 17.10.1969) Tu sempre mandorla [Mandelnde] è stata scritta più di un anno prima del viaggio di Celan a Gerusalemme. Le poesie erano per Celan la via più diretta, più chiara per comunicare se stesso al tu. Trovava sempre un tu concreto, di cui aveva bisogno, per lui importante, al quale parlare della sua acuta esperienza. Diceva spesso: "Le poesie sono così esplicite". E talvolta anche "Cosa posso dire d’altro? Le mie poesie hanno già parlato". Tu sempre mandorla parla di attesa e lasciar attendere. Parla dell’incontro che non ebbe luogo, di qualcosa, che era possibile ed era stata tralasciata. Allora, quando non aveva ancora la fronte celeste spinata dal dolore/i, allora, quando però già sapeva degli inferni che lo attendevano: dell’"essere orbato d’occhi"; dell’"essere non più del tutto là", come lo definì più tardi nelle sue lettere: lasciò attendere la "Mandelnde", che parlava solo a metà – questo "parlare a metà" era troppo poco, però egli sapeva che era mosso sino dal germe. "Mandelnde", una forma così desueta della parola "Mandel", parla di un essere che continua, un essere nell’ebraico. "Mandelnde" sta anche qui, come in altre poesie, per l’ebraico, è il tu a cui ci si rivolge. Il tu, che significa patria, origine, e ora anche Gerusalemme, il tu che egli lasciò attendere, forse anche perché questo tu non poteva ancora del tutto indirizzare a lui la parola. A tutto questo Celan poi si rivolge con la parola ebraica tratta dalla poesia di Bialik: "Hachnissini" – "accoglimi in te" Oppure, come nella poesia di Bialik (tradotta liberamente): "Accoglimi sotto le tue ali, sii per me madre e sorella, sii a me il grembo e sii a me rifugio, nella mia pena". Del "parlare a metà" si parlò poi spesso, e anche del dover "parlare del tutto". In una delle sue lettere, osservò più tardi: "Tu da molto tempo non parli più a metà, tu svegli le mie chiarezze. [...] E insieme a Tu sempre mandorla venne Stava, forse i più chiari, persuasi versi di questa serie di poesie: la poesia parla dell’incontro non mancato, l’incontro a Kikar Dania, sulla piazza dove c’è il monumento della nave danese, eretto dalla città di Gerusalemme per ringraziare il re di Danimarca e il popolo danese, che, esponendosi a grave pericolo personale, salvarono nel 1943 molti ebrei, imbarcandoli su navi danesi dirette in Svezia. ~Alcune scelte antologicamente (originale tedesco + traduzione)... CORONA da Mohn und Gedächtnis, in Paul Celan, Poesie, a cura di G. Bevilacqua, “I Meridiani” Mondadori, Milano 1998, p. 58 Aus der Hand frisst der Herbst mir sein Blatt: wir sind Freunde. Wir Schälen die Zeit aus den Nüssen und lehren sie gehen: Die Zeit kehrt zurück in die Schale. Im Spegel ist Sonntag, im Traum wird geshlafen, der Mund redet wahr. Mein Aug steigt hinab zum Geschlecht der geliebten: wir sehen uns an, wir sagen uns Dunkles, wir lieben einander wie Mohn und Gedächtnis, wir schlafen wie Wein in der Muscheln, wie das Meer im Blutstrahl des Mondes. Wir stehen umschlungen im Fenster, sie sehen uns zu von der Sraße: Es ist Zeit, das man weißt! Es ist Zeit, das der Stein sich zu blühen bequemt, dass der Unrast ein Herz schlägt. Es ist Zeit, das es Zeit ist. Es ist Zeit. CORONA da Papavero e memoria Dalla mano l’autunno mi bruca una foglia: è sua, siamo amici. Facciamo sgusciare il tempo via dalle noci e gli insegniamo ad andare: il tempo si dirige all’indietro, nei gusci. Nello specchio è domenica, nel sogno potremo dormire, la bocca in verità conversa. Il mio occhio corre giù, fino al grembo dell’amata: ci guardiamo a vicenda, ci diciamo oscure parole, ci amiamo l’un l’altra come papavero e memoria, dormiamo come vino nelle conchiglie, come il mare nel chiaro-sangue di luna. Abbracciati, stiamo alla finestra, ci vedono su dalla strada: è tempo, che si sappia! E’ tempo, che la pietra si disponga a fiorire, che l’ansia un cuore possa colpire. E’ tempo, che sia tempo. E’ tempo. ********* IN ÄGYPTEN da Mohn und Gedächtnis, in Paul Celan, Poesie, p. 70 Du sollst zum Aug der Fremden sagen: Sei das Wasser. Du sollst, die du im Wasser weißt, im Aug der fremden suchen. Du sollst sie rufen aus dem Wasser: Ruth! Noëmi! Mirjam! Du sollst sie schmücken, wenn du bei der Fremden liegst. Du sollst sie schmücken mit dem Wolkenhaar der Fremden. Du sollst zu Ruth und Mirjam und Noëmi sagen: seht, ich schlaf bei ihr! Du sollst die Fremde neben dir am schönsten schmücken. Du sollst sie schmücken mit dem Schmerz um Ruth, um Mirjam und Noëmi. Du sollst zur Fremden sagen: sieh, ich schlief bei diesen. IN EGITTO da Papavero e memoria Devi, all’occhio della straniera, dire: sii l’acqua. Devi, loro che sai nell’acqua, nell’occhio della straniera cercarle. Devi chiamarle dall’acqua: Ruth! Noemi! Miriam! Devi ornarle, se stai con la straniera. Devi ornarle con i capelli di nuvola della straniera. Devi, a Ruth e Miriam e Noemi, dire: Guardate, dormo con lei! Devi, la straniera vicino a te, nel modo più bello adornarla. Devi adornarla con il dolore per Ruth, per Miriam e Noemi. Devi alla straniera dire: guarda, ho dormito con loro. *********
Posted on: Fri, 20 Sep 2013 13:08:22 +0000

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