Nuova censura anche in Italia? Il libro La Nuova Censura di - TopicsExpress



          

Nuova censura anche in Italia? Il libro La Nuova Censura di Jean-François Revel (Rizzoli 1977) descrive un clima politico francese per molti versi simile al nostro, non solo di oggi, ma presente da decenni. Revel prende lo spunto dallo “scandalo” creato artificiosamente dalla sinistra – da una certa sinistra – francese in seguito alla recensione che Revel si permise di pubblicare su L’Express, allora diretto da lui, per aver in tal modo contribuito alla diffusione del suo libro “La Tentazione Totalitaria”. In mancanza di un ufficio censorio di stampo governativo nei paesi occidentali la sinistra ricorre sistematicamente a metodi stalinisti o nazisti per squalificare gli avversari sia personalmente con un metodico “assassinio della persona” e con l’adozione i trucchi dialettici studiati e insegnati nelle scuole di partito. Revel, in seguito al dibattito nel programma televisivo “Apostrophes” del 16 gennaio 1976, mette in evidenza questi trucchi, riportando lunghi brani della discussione che lo vede di fronte a interlocutori qualificati come René Andrieu (commentatore politico de l’Humanité), Jacques Delors (politico passato dal gaullismo al partito socialista). Moderatore del dibattito fu Bernard Pivot (noto critico letterario, eletto membro – primo non scrittore – dell’Académie Goncourt). Ritengo utile riportare le considerazioni Revel che svelano le tattiche che vengono adottate anche nei nostri dibattiti televisivi, opportunamente definiti dal meno impegnativo termine “talk show”. Et voilà: “Fin dal primo secondo di discussione, Delors prende il posto di Andrie per dare un bel colpo di scopa. Per il consumato stalinista è un sogno: far fare il lavoro da un uomo che “non è militante comunista” è sempre stato l’ideale. Delors impara in fretta la logica dell’Unione. Sotto lo sguardo estasiato del redattore capo dell’Humanité, di cui, sempre continuando a parlare, spia di tanto in tanto con timore e speranza il volto per verificare se il suo servizio riesce ad attenuare le prevenzioni comuniste nei suoi confronti, l’ex consigliere dell’ex Primo Ministro di Georges Pompidou procede a grandi passi verso il portafoglio ministeriale nel futuro governo di sinistra. Tutto l’armamentario della censura che abbiamo visto nei capitoli precedenti si ritrova in queste poche battute, con un’arma supplementare puramente fisica, fornita dalla natura orale del dibattito, cioè la costrizione vocale consistente, per i due compari, nell’unire il più possibile le loro vociferazioni per impedirmi persino di rispondere alle loro obiezioni. Andrieu si serve di vecchi trucchi, insegnati nelle scuole di Partito, cioè di parlare il più interminabilmente possibile, interrompere costantemente l’avversario quando parla e, quando finalmente arriva il suo turno di parlare, dirgli: “Ah, la prego, non mi interrompa! L’ho lasciata parlare fino adesso, mi lasci finire.” Quando l’avversario parla, cosa che, malgrado tutto, deve pur succedere di tanto in tanto, il débater comunista deve esprimere tutti i segni della più gioiosa ilarità: il viso di Andrieu, lungo com’è, per tutta la durata della trasmissione ha conservato costantemente un rictus fisso. Oppure Andrieu faceva finta di non ascoltarmi, si chinava verso la sua cartella posata per terra per frugarvi a lungo, alla pesca di misteriosi documentiche dovevano schiacciarmi, la quale cartella, mi rivelò più tardi uno spettatore presente nello studio e in buona posizione per vederla, era, del resto, completamente vuota. Tutti questi trucchi sono destinati ad impedire materialmente la parola. Più sottilmente, applicando la stessa tattica di André Fontaine (giornalista de Le Monde), Delors comincia imprimendo nella mente dei telespettatori una nosione falsa della tesi centrale del libro, cioè che l’oggetto di quest’ultimo sarebbe, in primo luogo, di dimostrare l’identità del nazismo e del comunismo; in secondo luogo, di sostenere che, nella Storia, il comunismo detiene il monopolio della violenza; in terzo luogo di fornire una macchina da guerra contro l’Unione della sinistra in Francia. In altre parole: due tesi che non si trovano affatto nel mio libro e, per quanto riguarda la terza, l’attacco contro le intenzioni dell’autore che mira ad attribuirgli lo scopo di nuocere a priori e permette di evitare la discussione di fondo. In nessuna parte del mio libro c’è il paragone tra comunismo e nazismo. Avrei potuto farlo. Altri – Pierre Daiz, Juri Orlov – lo hanno fatto. Ê legittimo, scientificamente, sotto l’aspetto della struttura e del funzionamento dello Stato totalitario e del sistema repressivo; solo che io non l’ho minimamente fatto nella Tentazione totalitaria perché non era questo il tema. Concentrare l’apertura della discussione su questa affermazione era falso, ma abile: in effetti, la partecipazione dell’URSS alla Seconda Guerra Mondiale contro il nazismo, rende scandaloso l’accostamento dei due sistemi per laa maggior parte delle persone. Si dimentica per prima cosa che due regimi totalitari che si combattono non sono perciò meno totalitari e in secondo luogo che Stalin non ha mai dichiarato la guerra a Hitler. Voleva solo starsene tranquillo, e i partiti occidentali non si sarebbero mai sognati con gli alleati se non fosse stato il Reich a prendere l’iniziativa di invadere l’Unione Sovietica. Il monopolio della violenza attribuito ai paesi comunisti: questa tesi non esiste assolutamente, né implicita né esplicita, nel mio libro. Infine, per quanto riguarda l’accusa di aver scitto soltanto per nuocere all’Unione della sinistra, rimando ai capitoli precedenti in cui questo tema è stato lungamente discusso. Due affermazioni false e un “processo alle intenzioni (come si dice in gergo politico): ecco che cosa Jacques Delors offre su un vassoioa René Andrieu come prezzo per la sua laboriosa assunzione. Con queste falsificazioni,applica la sua intelligenza alle necessità dell’alleanza comunista. E dopo questo mi viene ancora a dire che ho avuto torto a parlare di “suicidio dei socialisti”. Infatti parlavo di suicidio morale e intellettuale, a meno che non sia conforme alla morale socialista praticare il cinismo politico per ottenere voti. Dopo questa brillante introduzione alla sua comparsa, René Andrieu può entrare tranquillamente in scena. Ma ci tengo a far osservare che nel monmento stesso in cui la sinistra, in generale, e il P.C.F. in particolare, pretendono di non ispirarsi assolutamente al modello sovietico, continuano a difenderlo. Allora è buono? È cattivo? Se è buono, perché respingerlo? Se è cattivo, perché accusare di anticomunismo “viscerale” coloro che lo respingono? Delors snocciola dei desolanti luoghi comuni, che avevo già demolito nella Tentazione, come quello consistente nel dire che ci sono degli “aspetti positivi” nelle società comuniste. Ci sono aspetti positivi dappertutto, perfino nell’ergastolo! Il problema non sta lì, ma nel conoscere la proporzione tra aspetti positivi e aspetti negativi. Adesso la parola passa a Andrieu, senza che io possa quasi mai fisicamente rispondere, poiché il regista della cerimonia, Bernard Pivot (devo dirlo francamente, benché lo stimi, anzi proprio perché lo stimo) si lascia prendere le leve della trasmissione, mentre avrebbe dovuto ripartire quasi cronometricamente il tempo di parola. Andrieu applica la tattica che ha imparato, continuando a parlare senza sosta, sempre lamentandosi di essere interrotto, e questo gli permette di accumulare se o sette obiezioni. Poi, quando l’interlocutore vuol cominciare a risponder partendo dalle prime obiezioni in elenco, lo interrompe ancora e lancia una nuova accusa. L’avversario, sforzandosi di rispondere a quest’ultima, abbandona le obiezioni precedenti, non avendo né il tempo né la possibilità di tornarci su, e questo dà agli ascoltatori la sensazione che si trovi a corto di argomenti. Questi procedimenti derivano dalle tecniche dell’interrogatorio praticate dalle polizie politiche di tutto il mondo, e in particolare nella madrepatria di tutte le polizie politiche, la Russia, antica e, soprattutto, contemporanea. Siccome avevo a che fare con due politici molto indifferenti alla conoscenza, è evidente che la mia ostinazione a rispondere sul contenuto dei dossiers era molto ingenua. Ma è stato al di sopra delle mie forze eguagliare Andrieu e Delors nel disprezzo dei telespettatori.” Revel porta a sostegno della sua tesi di un’intossicazione della verità cosciente e voluta dalla sinistra con ripetute citazioni di dibattiti televisivi. Ai dubbiosi posso solo consigliare di prendere in mano “La Nuova Censura” e leggere attentamente il suo contenuto. Revel non c’è più, ma il suo messaggio vive più che mei. Ascoltatelo.
Posted on: Wed, 09 Oct 2013 14:39:12 +0000

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