OUT. A Leonida basterà una via, tarantino traditore in esilio ma - TopicsExpress



          

OUT. A Leonida basterà una via, tarantino traditore in esilio ma autore eccelso nella poesia. Sono nato e cresciuto a Taranto ed anche io ho visto ed apprezzato il film 300, ma non per questo grido “Questa è Spartaaa” ogni volta che varco la soglia di una delle stanze di casa mia. E’ questo quel che mi è venuto in mente venendo a conoscenza della recente proposta di brandizzazione dell’intera città che si vedrebbe immolata alla sola contaminazione spartana come gli A.U.T. Artisti Uniti per Taranto (ora anche per Sparta) hanno avuto modo di presentare solo pochi giorni fa. Premetto che stimo quei ragazzi molto più della stragrande maggioranza dei tarantini, tanto che molti di loro li considero miei fratelli e mie sorelle prima ancora che guerrieri al mio fianco da proteggere col mio scudo, sono certo che con me farebbero parimenti. E allora mi aspetto che come provenienti da un fratello vengano lette le mie parole a cui cerco di dare il senso di critiche oneste, magari pungenti perchè condite di ironia per non annoiare chi mi legge, ma comunque costruttive in un mare sterile di ipocrisia delirante. Il punto della questione, a mio avviso, è proprio la cultura a Taranto, latitano sia gli usufruitori disposti a pagare per cibarsene e sia coloro che hanno le competenze e il genio per produrne tanto da vivere di essa come di un qualsiasi altro lavoro. Sembra che basti dar poco in maniera gratuita per essere “adulati” più del dovuto. A Taranto non deve bastare questo, non possiamo proprio accontentarci soprattutto ora. Pretendo molto di più per la mia, la nostra, città. Anche da persone come Marco che in questa città servono più del pane, persone che vanno ascoltate, stimolate, valorizzate, protette come ancore di salvezza per barche nella tempesta. Gli AUT sono musicisti, arrangiatori, cantanti, scrittori, interpreti ma ciò che è certo è che non sono architetti, scultori, storici, ingegneri, esperti in urbanistica o in marketing ma comunque apprezzo il fatto che loro si siano cimentati in questa avventura visionaria, forse proprio come per denunciare il lassismo e l’indifferenza di chi potrebbe fare e non fa, degli ignavi. E voglio lanciarmi nella citazione di un paio di proverbi per difendere il loro coraggio: Solo chi fa sbaglia. E sbagliando s’impara. Precisato questo, io di ‘sta civiltà spartana non ne andrei troppo fiero visto che gli uomini dovevano saper fare solo la guerra tant’è che venivano strappati da bambini alle loro famiglie e le donne dovevano sfornare figli come panzerotti per contribuire alla guerra. Queste sempre gravide facevano quasi a gara per chi riuscisse a farne di più, e l’onore più grande era quello di morire di parto. Per gli uomini, invece, morire in guerra. Una sorta di paradosso di un hippy colpito dall’Alzheimer: fate l’amore per la guerra. Odio la guerra con tutto me stesso ed attualmente solo due categorie sociali possono avere famiglie numerose: i ricchi e gli ignoranti. Non mi vanterei troppo di una civiltà in cui i neonati portatori di handicap o anche solo gracili venivano scartati dalla vita con la stessa facilità che si impiega a buttare via le ossa di pollo. A me proprio non va giù di glorificare chi approdò qui e distrusse l’abitato indigeno per arricchirsi sfruttando le risorse del nostro territorio, pena dover riconoscere alla famiglia Riva e a tanti altri il ruolo di spartani D.O.C. Un po’ tutti, in quasi tremila anni, sono venuti qui e hanno fatto i cazzi loro. Tra i vari: ateniesi, normanni, romani, aragonesi, borboni, arabi, bizantini, angioini, Mussolini e tutti, ma proprio tutti, hanno distrutto le opere precedenti per impiantarci le proprie usando anche i resti di quanto distrutto. Ed è un po’ quello che mi ricorda la riprogettazione di piazza Fontana la cui pecca, a mio avviso, è quella di non essere curata ma soprattutto compresa, riconosciuta, sentita come una cosa propria a cui voler bene. Ritengo che un brand sia fondamentale al giorno d’oggi per essere più incisivi nel settore turistico, ma nessuno ci vieta di usare ciò che già c’è e che ci permettere di essere riconosciuti nel mondo da diversi decenni. Non prendere in considerazione questo significherebbe buttare al vento un lavoro di anni svolto da altri amanti della nostra città, significherebbe fare come fanno i governi che si alternano tra destra e sinistra. Ricominciare sempre da capo quando l’unica cosa di cui abbiamo bisogno è andare avanti quanto più in fretta è possibile per colmare, almeno in parte, i colpevoli ritardi di questa città, dei suoi direttori d’orchestra e dei suoi abitanti. Non voglio essere ossessionato da scudi installati, addirittura ad ogni numero civico, e che è? Manco gli americani sono così kitsch e sfarzosi. Gradirei invece che pescassimo dalle diverse nostre origini che sono una peculiarità di Taranto, un melting pot di razze e stili, di civiltà e tradizioni perché meticcio è ricchezza. Vorrei che amplificassimo tutto questo con buon gusto ed equilibrio, che fossimo un po’ più spartani, appunto. Sobri ma efficaci, raffinati ed indimenticabili. Tremo all’idea di vedere riproposta nella mia città la parte malata del modello di sviluppo del turismo salentino dove se non hai un tamburello per la pizzica non hai il diritto di tatuarti “I Love Salento” e cantare Lu rusciu te lu mare. Dove anche ad un pranzo domenicale che chiama a raccolta una famiglia intera può divenire luogo in cui udire qualcosa di simile a “Lu sugo, lu pane, lu jentu”, quest’ultimo prodotto dal nonno che non è riuscito a trattenere un po’ d’aria. Le cafonate lasciamole ad altri, durano poco dal punto di vista commerciale mentre qui, invece, ci serve creare alternative economiche durature da puntare contro il ricatto occupazionale. Mi fa paura specie assistere a certe presentazioni in un’università, luogo del sapere, della conoscenza, quasi a dispetto di chi quei luoghi li ha frequentati per studiare e solo poi proporre cose attinenti dopo anni di sacrifici, ricerche e bocciature. Vomito senza sosta nel vedere i soliti avvoltoi fare promozione di certi eventi, che non mi sento di definire culturali, quasi sino al punto di fare proprie le proposte altrui per non meglio precisati scopi che non c’è affatto bisogno di precisare. Taranto va cambiata in fretta, anche in questo. Occorre la condivisione delle proposte, ma prima ancora la condivisione dei progetti come anche degli sforzi, dell’entusiasmo, della voglia di riscatto ma anche delle competenze. Rassegnamoci al fatto che non tutti possiamo fare tutto, io non potrò fare l’ingegnere col mio curriculum attuale e sfido chiunque a cercare un gommista per curarsi una lombosciatalgia. Abbiamo necessità di uscire da una mentalità di provincia, sentendoci dapprima comunità e solo dopo città come accade naturalmente per territori abitati da circa 200.000 abitanti. Ma noi siamo meticci e con così tanta ricchezza è difficile mettersi d’accordo sul punto da cui cominciare davvero ma poi sapremo non retrocedere mai neanche di un solo passo. A Leonida basterà una via, tarantino traditore in esilio ma autore eccelso nella poesia.
Posted on: Mon, 11 Nov 2013 14:37:28 +0000

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