Oggi ho lasciato che fosse Falco a decidere per me. Mi sono - TopicsExpress



          

Oggi ho lasciato che fosse Falco a decidere per me. Mi sono distesa, ho avvicinato le labbra al suo orecchio, gli ho sussurrato di portarmi dove potessi respirare e mi sono affidata completamente a lui. Ho chiuso gli occhi, affinché sentisse che la strada era tutta sua e sua era la nostra meta. Ho respirato a fondo - mi riprendo tutta l’aria che mi manca in questa casa immensa, ogni volta che mi ci allontano - e ho lasciato che il vento mi cantasse le sue canzoni fra i capelli. Sentivo i muscoli di Falco fremere sotto le mie gambe, mentre la strada che ci lasciavamo alle spalle allungava il suo sguardo a quella che ci aspettava per regalarci l’ignoto. Quando gli ho chiesto di correre più forte, Falco mi ha obbedito prontamente. La vita vibrava e io ero libera. E mentre l’aria profumata mi colpiva il viso per regalare ai miei occhi lacrime che sapevano solo di orizzonte, sono scoppiata a ridere perché ho immaginato mia madre e la faccia che avrebbe fatto se solo mi avesse visto in quel momento: con i miei ormai logori pantaloni di fustagno (“una donna per bene non indossa pantaloni”), aggrappata al mio cavallo in una posizione che avrebbe giudicato poco adatta a una signora; con i capelli disordinati che urlavano di gioia per la libertà ritrovata. Mamma storce il naso ogni volta che oso essere libera. Mio padre invece ama la mia libertà. Mi ha regalato questo vecchio paio di pantaloni (mia madre non glielo ha mai perdonato) e mi ha insegnato a cavalcare, di nascosto. Papà mi ha insegnato la libertà. E poi, per uno strano gioco del destino, me l’ha tolta. Non è stato necessario che aprissi gli occhi per capire dove Falco mi aveva portato. Mi è bastato il sale che mi ha invaso le narici. A volte penso che Falco sia l’unico essere vivente a conoscermi davvero. Mi capisce senza bisogno che io faccia altro se non toccarlo o prendere in mano le sue redini. Sente come sto, quelle che sono le mie sensazioni, le emozioni che vivo. E le vive insieme a me. Amo quel piccolo angolo di spiaggia da sempre. Mi piace perché sembra un mondo a parte, staccato da tutto il resto. Un’isola felice, azzurra sotto e sopra. Non so perché non sia meta abituale di villeggianti, visto che è un pezzo di Paradiso; forse, semplicemente, perché nessuno lo ha ancora scoperto. Le scogliere, simili a due braccia allargate in un gesto affettuoso, partono dalla spiaggia e si estendono per una ventina di metri verso l’infinito, delimitando un incantevole specchio d’acqua, sempre protetto, in quel modo naturale, da ogni capriccio del mare aperto. Sulla destra, scendendo una breve rampa, perpendicolare a quella che porta le barche in acqua, si arriva in un piccolo villaggio di pescatori dove sembra che il tempo si sia fermato. Quelle case, tutte uguali tranne che nei colori, sono addossate l’una all’altra e paiono azzuffarsi tra loro per contendersi le attenzioni del mare. Sono scesa da cavallo e mi sono seduta sulla sabbia, su quella linea di confine fra acqua e terra, dove le onde si spengono in quel leggero mormorio che diviene la voce incastonata delle conchiglie. Qualcuno cantava, al di là di una finestra aperta; una donna anziana, seduta sull’uscio di casa, sferruzzava al ritmo di quella canzone. Panni stesi danzavano al suono melodico di un venticello leggero, macchiando di colore lo sfondo bianco e scrostato di una casetta a due piani. Di tanto in tanto, qualche folata di brezza un po’ più forte delle altre mi portava il profumo di ciò che stava essiccando su quei larghi contenitori di vimini, simili a quelli che vedevo da bambina in casa dei miei nonni. La vecchia torretta d’avvistamento era alle mie spalle, a ricordarmi tempi passati e scorribande marine da cui occorreva difendersi. Mi ha sempre incuriosito il mare e tutto ciò che c’è là dietro. Non so perché qualcosa di tanto ignoto e infinito possa regalarmi tanta pace, ma è così. Quando sto davanti a lui e mi lascio avvolgere dal suo profumo e ascolto incantata la sua voce immutabile e perenne, mi sembra quasi che l’inquietudine che mi porto dentro possa placarsi, anche se solo per pochi istanti. È l’unica cosa davanti alla quale riesco ad arrestare il volo dei miei pensieri. Alcuni pescatori erano seduti in cerchio sulla sabbia, vicino alla rampa che porta alle loro case; intrecciavano reti, con movimenti agili e sicuri, con una leggerezza che mi pareva straordinaria per loro mani tozze e callose. Quando si sono accorti della mia presenza, per un attimo, hanno smesso il loro lavoro per guardare incuriositi la donna sicuramente più stramba che abbiano mai visto. Poi hanno guardato Falco e credo abbiano riconosciuto lo stemma sulla sua sella perché hanno repentinamente abbassato gli occhi per non rialzarli più. Neanche quando l’onda è andata a sbattere contro gli scogli. O forse non li hanno più rialzati perché il mare era completamente piatto, anche al di là dell’abbraccio della scogliera, e il tonfo nell’acqua devo essermelo solo sognato.
Posted on: Sat, 28 Sep 2013 15:03:31 +0000

Trending Topics



Recently Viewed Topics




© 2015