PER NOI, ANTIMODERNI. Buongiorno Ve li ricordate i Ferragosto - TopicsExpress



          

PER NOI, ANTIMODERNI. Buongiorno Ve li ricordate i Ferragosto in città? Milano, Roma, Bologna, erano chiuse come armature medievali. Si diventava signori del castello. Tutto appariva come sarebbe dovuto essere ma nelle altre stagioni era sventrato. Rare le auto e sempre fuggevoli. Chi le guidava si vergognava di essere rimasto in città. Erano quelli che negli anni del boom avevano alzato troppo il gomito a firmare cambiali e cercavano di tappare i buchi, di banca in banca. A godersi i monumenti in fiore, le strade a misura d’uomo, la granita di caffè nell’unico chioschetto aperto sulla terrazza del Pincio, erano i signori e quelli che, come Jannacci allo zoo, volevano vedere l’effetto che fa. Ve li ricordate i “signori”? Ricchi o poveri. Si riconoscevano a viso. Signori certi elettrauto, infermieri, manovali. Gentili, dignitosi, fieri. Il loro linguaggio era schietto, mai volgare. Quelli che bestemmiavano contro un disgraziato che attraversava sulle strisce li mettevano in manicomio. C’erano aristocratici cafoni per i quali l’appellativo di signore era un mero retaggio feudale. E sartine molto più sobrie ed eleganti delle contesse decadute che portavano loro a rammendare un abito da sera. Ma c’erano anche esponenti di famiglie storiche che mai si sarebbero fatti riconoscere per la lunghezza dello yacht o il villone a Portofino. Non avevano bisogno di esibire le credenziali del potere. Li riconoscevi per strada semplicemente perché non avevano indosso nulla che potesse farli riconoscere. Vestivano con la stessa classe con cui certi metalmeccanici indossavano la tuta. Non camminavano mai con gli occhi bassi, sprofondati nel proprio «Io» come maiali nel truogolo. Se li guardavi, i signori di tutte le classi sociali facevano un sorriso gentile, rallentavano. Sembravano chiederti: «Ha bisogno di me?» A Natale come a Ferragosto. Si rispondeva con un cenno di grazie, e ci si allontanava con la rassicurante sensazione di aver incrociato qualcuno della tua specie. Un tempo, i signori ricchi e poveri si riappropriavano della città. Ferragosto e dintorni erano una benedizione. Sfrigolavano i ventagli o cigolavano le pale sui soffitti, l’aria condizionata era roba da turisti americani in albergo. La sera si stava in terrazza. Eravamo umani. Affacciati sul prossimo. Nel Ferragosto 2013, Roma è città aperta come un’enorme scatola di sardine. A Milano è rimasto spalancato il venti per cento dei negozi in più. Sei italiani su dieci trascorrono il ferragosto a casa. Le strade sembrano le spiagge di Rimini di qualche anno fa. Indossiamo bermuda ridicoli, da bracconieri di elefanti in Kenya, carichi di tasche inutili. In testa portiamo cappellini con visiera da ciclisti. Ci stanno venendo tristi facce dell’Est. Poggiamo su scarpe da astronauti che fanno jogging sui crateri della luna. Ma abbiamo corpi budinosi per pantagruelici eccessi di fast-food. Esibiamo nudità invase da tatuaggi che danno la sgradevole impressione di gente poco lavata. Siamo tanti e andiamo in branco, senza neppure il vigliacco sollievo di scusarci, un giorno: «Era il Capo, a condurci. Io non sapevo». Capibranco, nisba. Di aquile neppure l’ombra. Tutti capetti siamo. Caporali di giornata. Arroganti in famiglia o con i sottoposti, succubi ubbidienti di chi ha il portafoglio più gonfio. Poveri ma brutti. Incarogniti con la politica, furiosi per le tasse ereditate dal governo Monti. Ma gli evasori? Sono quelli che sbraitano più forte: «E noi paghiamo!» Ipocriti Totò senza dolcezza partenopea. Le nostre donne indossano stivaletti da amazzoni, ma non hanno destriero né un seno mozzato per guerreggiare meglio. Esibiscono “due poppe così” e cosce da ballerine magiare. Sul gonnellino nero sfavillano griffe argentee come addobbi per alberi di Natale, ma a firmare Fiorucci o Emporio Armani i sederini da trampoliere, è stato un solerte falsario di Pechino per 5 dollari al giorno. A noi, per farli anche pataccati, ce ne costano 20. Siamo italiani d’agosto in città aperte come le spaccate degli atleti olimpici. Nelle nostre cuffiette ascoltiamo musica “vintage”. Canzoni di quando la rabbia era cultura, suonate da personalità esasperate come Jimi Hendrix. Quegli ululati della sua Fender Stratocaster, quei gridi elettrici di rivolta al bempensantismo americano, per noi in coda a “Nonsolopizza”, il 15 di agosto, fanno tendenza, quindi compassione. Non significano più niente. L’assolo di chitarra di “Little wing” trasmesso dall’I-pod di una ragazza in pattini con il piercing al naso risuona sferragliante nella folla tanto quanto l’arrivo della metro o la sirena di un’ambulanza. Non abbiamo memoria storica, conoscenza, neppure della nostra storia di famiglia. Ci annoiava. Così siamo sradicati e soli. Se entriamo in un locale, miracolosamente vuoto tranne una coppietta che si bacia in un angolo, scegliamo di andarci a sedere al tavolino a fianco. Siamo diventati vampiri di serie C, succhiamo gli avanzi delle emozioni altrui. Il vuoto interiore ci sgomenta, quindi solo ciò che è già colmo ci attrae, per prosciugarlo. Consumiamo qualsiasi cosa senza masticare. Siamo italiani costretti a trascorrere ferragosto in città. Senza un euro non c’è scelta. Inghiottiamo tutto ciò che ci passi davanti gratis. È arrivata la lezione della Storia, era ora. La terza guerra mondiale, quella dei soldi, è perduta. Saccomanni intravede una “lucina in fondo al tunnel”. Sarà l’inizio del dopoguerra, evviva! Ma le città ad agosto resteranno aperte ancora a lungo, zeppe di famiglie e commercianti, tutti a leccarsi le ferite. Riscopriremo il neorealismo. Andremo in bicicletta come i cinesi di ieri, invece di massacrare di botte un vecchio per rubargliela com’è successo qualche giorno fa a Roma. È la globalizzazione, bellezze. Città aperte e pedalare
Posted on: Wed, 14 Aug 2013 06:19:42 +0000

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