Per chi avesse problemi ad addormentarsi la sera, in luogo del - TopicsExpress



          

Per chi avesse problemi ad addormentarsi la sera, in luogo del classico conteggio degli ovini, suggerisco la lettura di questo testo, che è la revisione del mio intervento lunedì scorso nella seduta della Commissione sulle riforme costituzionali dedicata al tema della forma di governo: "Sul tema della forma di governo vorrei proporre quattro spunti di riflessione, riservandomi di riprendere il quarto nella prossima riunione. 1. Il primo è che mi è sempre sembrata poco adeguata la ricostruzione delle vie possibili per la riforma delle istituzioni in Italia che contrapponeva rigidamente la democrazia maggioritaria a quella proporzionalistica ed assembleare o, per riprendere la formula di Duverger cara a molti colleghi seduti attorno a questo tavolo, quella che contrapponeva democrazia immediata e democrazia mediata. Mi è sempre sembrato che la via del regime parlamentare razionalizzato (di tipo tedesco, spagnolo o svedese) fosse intermedia fra il parlamentarismo di tipo assembleare, o il multipartitismo estremo di cui ragionava Leopoldo Elia, e le esperienze che sono correntemente considerate esempi di democrazie maggioritarie, sia che esse consistano in varianti del regime parlamentare (come il c.d. sistema Westminster) sia che diano luogo a tipi diversi di forme di governo. Credo che il nostro tentativo di cercare di correggere le regole sulla forma di governo italiana possa muoversi fra le diverse varianti di regime parlamentare razionalizzato. 2. In secondo luogo non condivido le ricostruzioni che, analizzando le principali democrazie rappresentative consolidate, vedano nell’Italia una eccezione, e magari la imputano al tipo di forma di governo. Che l’attuale assetto delle istituzioni politiche italiane presenti vari profili di disfunzionalità mi pare un dato oggettivo: e nelle precedenti riunioni abbiamo messo in evidenza la disfunzionalità di maggior rilievo, quella rappresentata dal bicameralismo perfetto. Tuttavia mi pare inesatto che il regime parlamentare costituisca una eccezione in prospettiva comparata, almeno in Europa. Se guardiamo ai 28 Stati membri dell’UE, più che una exception italienne, si deve ravvisare una exception française, che ci viene spesso ricordata, sulla forma di governo, dai colleghi costituzionalisti d’Oltralpe: dei 28 Stati membri dell’Unione, solo quattro – Francia, Cipro, Lituania e Romania – sono attualmente rappresentati nel Consiglio d’Europa dal Presidente della Repubblica. A parte il caso francese, si può notare che Cipro è l’unica repubblica presidenziale “pura” nell’Europa a 28 e che solo in Lituania (da pochi giorni presidente di turno) la rappresentanza europea è stata stabilmente assegnata al Capo dello Stato, mentre in Romania, la questione della rappresentanza nel Consiglio europeo è stata risolta lo scorso anno dalla Corte costituzionale a favore del Presidente (si v. Le Monde, 5 luglio 2012, p. 7) ma la questione è rimasta controversa, mentre occorrerà ora capire come si comporterà la Croazia (entrata nell’Unione da appena una settimana). Tuttavia resta fermo che la grande maggioranza degli Stati membri è rappresentata in Consiglio dal Primo Ministro: e questo è un indizio che i regimi politici europei sono per lo più retti dalla logica del governo parlamentare, anche in quei (numerosi) casi in cui il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto (Slovenia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Bulgaria, Portogallo, Austria, Irlanda, Finlandia). Dunque i semipresidenzialismi europei sono per lo più “apparenti” (come già notava Duverger a proposito di alcuni di essi) e si tratta in realtà di regimi parlamentari con Presidente della Repubblica eletto a suffragio universale, ma nei quali la “presidenzializzazione della politica” ha operato a vantaggio del Primo Ministro, espresso dalla maggioranza parlamentare. Ecco di nuovo il regime parlamentare razionalizzato, che è la regola, mentre il particolare sistema di governo francese costituisce la vera eccezione. 3. Al sistema di governo francese, che continuerò a chiamare per comodità “semipresidenziale”, ma solo alla condizione di ricordarne la differenza assai profonda con quasi tutti gli altri sistemi di governo europei che pur presentano le caratteristiche strutturali indicate da Duverger per la definizione di questo “tipo”, mi pare si possano rivolgere varie critiche. a) Preliminarmente desidero osservare che non mi pare accettabile la più radicale fra le critiche al semipresidenzialismo francese: quella che lo considera una anomalia dal punto di vista del principio democratico. Questa tesi mi pare francamente estremista ed essa fa il paio con quella – di segno opposto – che ritiene che il sistema di governo francese sia più democratico di quello italiano, in quanto i francesi, a differenza degli italiani, eleggono anche il Presidente della Repubblica. Mi pare che con questo tipo di argomenti ideologici si vada poco lontano (o forse troppo, ma su un piano diverso da quello dell’analisi delle istituzioni, che a me interessa). b) Varie sono invece le obiezioni di funzionalità che è possibile rivolgere al sistema di governo francese. b1) In primo luogo, se prendiamo sul serio un tema che è stato spesso richiamato nelle precedenti riunioni di questa Commissione – quello della semplificazione istituzionale – mi pare che il sistema francese non semplifichi, ma complichi. In Francia è infatti necessario votare quattro volte (primo e secondo turno delle elezioni presidenziali, primo e secondo turno delle elezioni legislative) per produrre un Presidente con un governo ed una maggioranza. Ciò richiede tempi piuttosto lunghi, non molto diversi dai due mesi che sono stati necessari in Italia fra il 24 marzo ed il 28 aprile per formare l’attuale governo dopo le elezioni. Ciò comporta una inevitabile crescita dell’astensionismo, soprattutto nel secondo turno delle elezioni legislative. Inoltre questo sistema dell’abbinamento delle elezioni presidenziali e legislative è stato sinora sperimentato in Francia solo 3 volte (2002, 2007 e 2012): è vero che in tutti e tre i casi ora indicati esso ha prodotto un Presidente con una maggioranza di governo, ma si tratta ancora di un sistema in via di consolidamento (oltretutto il 2002 è un precedente molto anomalo, dato il ballottaggio presidenziale Chirac-Le Pen), in cui questo esito non è affatto assicurato. b2) In secondo luogo si tratta di un sistema in cui vi è un forte squilibrio fra i poteri politici, a vantaggio del Presidente (molti studiosi parlano infatti di presidenzialismo, nel senso di un sistema presidenziale squilibrato). Una situazione di equilibrio si ritrova solo in periodo di coabitazione, quando il sistema prende a funzionare come un regime parlamentare razionalizzato: ma si tratta di un assetto considerato in Francia poco desiderabile e forse anche improbabile (anche se non impossibile) dopo l’inversione del calendario elettorale dal 2002 in poi. b3) In terzo luogo, un aspetto particolarmente discutibile di questo sistema è la dissociazione fra potere e responsabilità: il potere principale, quello presidenziale, è del tutto irresponsabile, mentre il Primo Ministro svolge il ruolo di “parafulmine”. Il tutto al di fuori delle regole scritte nella Costituzione, che sembrerebbe fare del Primo Ministro il principale organo di indirizzo politico (si v. l’art. 20). In quarto luogo, questo sistema, che apparentemente esibisce una forte capacità decisionale, genera un sovraccarico di attesa nei poteri politici e d’altro canto finisce per espellere la protesta dalle istituzioni, che si manifesta in frequenti rivolte di piazza. In effetti, queste forme di “controdemocrazia” costituiscono per vari aspetti la polizza di assicurazione della democrazia francese: se la V Repubblica è senza dubbio un sistema democratico consolidato e pluralista, ciò si deve, a mio avviso, più alla società francese e ai suoi anticorpi, che al suo sistema istituzionale. c) Ma al di là di tutto ciò, e ricordando che il sistema italiano presenta ormai un catalogo di vizi non certo inferiori a quello francese, il problema principale rispetto all’ipotesi di trapiantare in Italia il sistema semipresidenziale mi pare sia rappresentato dalla difficoltà di realizzare tale trapianto, che è stato in effetti più volte tentato, in vari Paesi, in Europa e fuori. Con una sintesi un po’ “brutale”, mi pare si possa dire che questo trapianto ha generato tre esiti diversi: c1) un assetto superpresidenziale (in Russia ed in altri Paesi dell’ex-Urss, ma anche in Africa nera, ove i Presidenti-autocrati, soprattutto nei Paesi francofoni, apprezzano molto le virtù delle istituzioni della V Repubblica, che evidentemente si adattano bene al culto del “capo” che caratterizza molte società africane), che riproduce il predominio del Presidente della Repubblica francese sulle altre istituzioni, ma senza quei contrappesi istituzionali e – soprattutto – sociali, che operano potentemente in Francia. c2) un assetto parlamentare, con Presidente eletto a suffragio universale, in cui il Capo dello Stato ha poteri talora inferiori a quello italiano: e questo è l’assetto che costituisce la regola nell’Europa comunitaria. c3) una situazione di conflittualità permanente fra il Presidente eletto a suffragio universale e il governo (con la sua maggioranza parlamentare). Questo assetto, che è talora affiorato anche in Polonia (sotto Lech Walesa) e in Portogallo (sotto Ramalho Eanes) è divenuto la regola in Romania sulla base della Costituzione del 1991. Questo caso deve essere ricordato in quanto la Romania è stato il Paese dell’Europa centro-orientale che si è applicato con maggior zelo nel tentativo di replicare in patria le istituzioni politiche francesi (supportato al riguardo da esperti di trapianto delle istituzioni gaulliane). Dapprima la Romania ha importato il sistema francese con l’abbinamento fra elezioni presidenziali ed elezioni legislative (ciò è accaduto dal 1991 al 2003, quando la Francia non aveva ancora introdotto tale sistema); poi, con la riforma costituzionale del 2003, la Costituzione romena ha differenziato la durata delle Camere (4 anni) e del mandato presidenziale (5 anni), adottando un sistema di differenziazione dei mandati simile (anche se non identico) a quello francese prima della riforma del quinquennato. Il risultato, comunque, è stato assai poco soddisfacente ed i conflitti fra Presidente e governo si sono verificati già negli anni ’90, sotto le presidenze di Iliescu e di Constantinescu (1996-2000), si sono ulteriormente accentuati nell’ultimo decennio: l’attuale presidente, Traian Basescu, è stato per due volte sospeso dalla carica dal Parlamento (nel 2007 e nel 2012) e per due volte il referendum di revoca che avrebbe dovuto confermarne la destituzione ha avuto esito contrario alla deliberazione parlamentare. Il caso romeno è certo estremo, ma la più consapevole fra le imitazioni della V Repubblica non pare abbia dato sinora buon esito. Dunque il semipresidenzialismo, una volta sottratto al suo contesto francese, può essere, come il Terzo Stato di Sieyès, tutto o nulla. Una buona ragione per astenersi da importare un prodotto di cui non sono chiare le caratteristiche. 4. Se l’ipotesi di imitare il sistema francese presenta le difficoltà che ho appena accennato, è forse meglio lavorare ad una riforma del regime parlamentare. Detto con uno slogan: se proprio vogliamo ispirarci alla V Repubblica, dobbiamo guardare non tanto alla sua anima “gaulliana”, ma a quelle riconducibili a Michel Debré e agli ex Premier della IV Repubblica, che si ispiravano rispettivamente al sistema britannico e al parlamentarismo razionalizzato. A questo proposito, peraltro, non ci si può nascondere che occorrono riforme assai incisive, che dovrebbero intervenire almeno su tre grandi assi: a) una riforma del governo, rafforzando anche formalmente il ruolo del Presidente del consiglio lungo alcune delle linee ipotizzate nel questionario posto a base dei lavori di questa seduta; b) una riforma del Parlamento, rilegittimandolo con una profonda riforma elettorale e rendendolo capace di deliberare in maniera efficiente, sulla base dell’idea che serva un governo forte e un parlamento forte (questa mi pare la principale lezione da trarre dall’esperienza tedesca degli ultimi anni); c) un ripensamento del ruolo del Presidente della Repubblica che abbia come obiettivo una riduzione dei suoi poteri, soprattutto di quelli assunti in via di fatto. Per ragioni di tempo, mi riservo di tornare la prossima volta su questi temi. Vorrei tuttavia fare sin d’ora due brevi osservazioni. La prima concerne il ruolo del Presidente della Repubblica: su questo punto non riesco ad essere d’accordo con la posizione dei colleghi che ritengono che la prassi della presidenza italiana (e in particolare dell’attuale presidenza, soprattutto nel corso dell’ultima crisi) sia del tutto armonica con la logica del regime parlamentare: quest’ultima, infatti, richiede, a mio avviso, che il Capo dello Stato (Presidente o monarca) sia il più possibile sottratto alla determinazione o alla co-determinazione dell’indirizzo politico, sia in generale (scelta della coalizione di governo), sia su temi specifici. Il ruolo svolto dal Presidente della Repubblica nella formazione dell’attuale esecutivo e su vicende specifiche (dal caso Englaro alla guerra di Libia, fino alle recentissime prese di posizione del Consiglio supremo di difesa – un organo che andrebbe a mio avviso soppresso nel quadro della razionalizzazione del nostro regime parlamentare – sulla questione dell’acquisto degli aerei F-35) mi pare poco compatibile con un regime parlamentare classico e col suo archetipo inglese. E devo dire che l’obiezione dei colleghi i quali ritengono che un ruolo simile – per quanto determinato in buona parte dalla situazione di crisi delle istituzioni – necessiti di una legittimazione democratica diversa da quella fornita dall’attuale sistema di elezione non mi sembra del tutto infondato, anche se talvolta mi pare un modo un po’ obliquo per sostenere la tesi semipresidenziale. La seconda osservazione concerne la mozione di sfiducia costruttiva. E’ certo vero, come ci ricordava stamani il prof. Caravita, che essa è stata utilizzata solo di rado nei Paesi in cui è prevista (Germania, Spagna, Slovenia, Belgio, Polonia, Comunità autonome spagnole, Länder tedeschi) e che ancor più infrequentemente essa ha avuto come esito la sfiducia al governo in carica e l’elezione di un nuovo capo di governo. Tuttavia essa ha svolto in queste esperienze la funzione che da essa ci si attendeva: quella di dissuadere le crisi, per la difficoltà di formare coalizioni “positive” fra forze estreme tra loro incompatibili. Ed era stata proprio questa la ragione che aveva indotto ad ipotizzarla ai tempi di Weimar (e poi a introdurla nella Legge fondamentale di Bonn)."
Posted on: Fri, 12 Jul 2013 10:16:23 +0000

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