Qualcuno faccia qualcosa per questa città (e per questo Paese)! - TopicsExpress



          

Qualcuno faccia qualcosa per questa città (e per questo Paese)! Stento a crederci ancora adesso, mentre butto giù due righe per fissare sulla carta ciò cui ho appena assistito. E non dovrei forse stupirmi di fronte al fatto che oggi, domenica pomeriggio di una giornata di settembre inoltrato, alla Stazione Porta Susa di Torino, scintillante di modernità, aspirante al primato cittadino sull’antica blasonata Porta Nuova, non funzionino gli ascensori? E che non vi sia modo, ad esempio per una persona in carrozzina, né di accedere alla stazione né di parlare con qualche operatore se non percorrendo centinaia di metri (300 mt forse) - la distanza, cioè, che intercorre tra l’ingresso A e l’ingresso D, giacché gli ingressi B e C, chissà per quale motivo, presentano gradini: non sono accessibili!? Ma andiamo con ordine. Intorno alle sette di sera, tornando a casa dal centro, come altre volte, prendo il bus 55 e scendo alla stazione, pronto a balzare sulla metro che mi porterà a casa. Mi dirigo quindi verso l’ascensore esterno: tasto di chiamata (e sorvoliamo sul posizionamento delle pulsantiere, che contravvengono ogni criterio ergonomico, nonostante la pregressa esperienza della Metro)… Nessuna reazione. Non una spia accesa, non un movimento. Sarà guasto. Capita. Torno indietro (e sorvoliamo, per un attimo, sul fatto che se non avessi una carrozzina a motore la cosa mi sarebbe assai gravosa), mi dirigo verso gli ascensori interni. Quello sulla destra: fuori servizio per manutenzione. Quello sulla sinistra: accesso sbarrato da uno di quegli oggetti in plastica gialla che stanno a dirti la stessa cosa: non funziona, oppure: lasciaci lavorare. Mi guardo intorno alla ricerca di un citofono o di un umano in veste di operatore. Deserto. Un signore in attesa di qualcuno o qualcosa mi dice che c’è un ingresso più in là, ma è parecchio lontano. Non passa molto e arriva un giubbotto arancione con un simpatico ragazzone dentro, che sta per entrare in stazione e ha tutta l’aria di lavorarci. Chiedo a lui. Mi confessa di essere l’idraulico e di non saperne nulla, ma con un gesto che stupisce – purtroppo – perché insolito, invece di proseguire per la sua strada, si ferma con me, cerca sul suo cellulare il numero della sala controllo, contatta gli operatori e spiega il problema. In risposta: il consiglio di recarsi all’ingresso B. lo ringrazio per l’aiuto e la gentilezza e proseguo verso l’ingresso B. Ma arrivato all’ingresso B, constato che è un ingresso per tutti ma non per me, perché con la carrozzina a motore quei gradini non c’è modo che li salga. Proseguo, aumenta la pressione sanguigna e il nervosismo misto all’incredulità. L’ingresso C è altrettanto inaccessibile. Quando sto per schiumare di rabbia, mentre passo in rassegna tutte le imprecazioni che conosco all’indirizzo di progettisti, architetti, committenti, gestori e consulenti delle Ferrovie, giunge di corsa un giovane addetto dalla sala controllo, scusandosi per il tempo impiegato a raggiungermi e spiegandomi che non sapeva dov’ero con precisione, a quale punto del lungo tunnel doveva raggiungermi. Sono sicuro che questa persona, per altro molto gentile e premurosa, non ricorderà il nostro dialogo come uno dei più piacevoli della sua vita, ma devo confessare che io ero a quel punto veramente esasperato e che tutto ciò che lui diceva per blandirmi o scusarsi non faceva che accrescere il mio fastidio. E dunque schematicamente ecco quel che ci siamo detti lungo il (lungo) cammino fatto insieme io (I) e l’addetto (A): A – ci scusi, ci hanno telefonato, l’abbiamo vista con le telecamere, ma dovevamo capire dove si trovava esattamente… I – Va bene, ok. Certo però che se ci fosse un qualche mezzo per mettersi in comunicazione con voi, che so, un citofono, avrei potuto dirvelo io stesso… A – Il citofono c’è, dentro gli ascensori… I – Sì, ma se dentro gli ascensori non ci si arriva… Scena 2 A – Dobbiamo andare all’ingresso D, prendere l’ascensore, scendere, ripercorrere la strada indietro sino agli ascensori 6 [credo che abbia detto 6; quel che è certo è che è un sacco di strada] I – …certo che se avessi dovuto spingere la carrozzina a braccia o zompettare sin lì con le stampelle… E aggiungo uno dei miei refrain preferiti sui percorsi “speciali” per disabili: la logica vorrebbe che le “persone a ridotta mobilità” (eufemismo tra i tanti ma forse tra i meno bugiardi per dire carrozzati, stampellati e simili) siano messi in condizione di percorrere MENO strada degli altri, bipedi normodotati, NON di più. Non so perché gli architetti architettino, al contrario, i percorsi più astrusi – sempre “altri”, diversi, e sempre più lunghi, rispetto a quelli “normali”, che sono “normalmente” inaccessibili. Scena 3 I – Ma scusa [ormai siamo passati al “tu”] da quanto tempo sono fuori servizio, gli ascensori? A – Quattro giorni. I – Quattro giorni? Non ci posso credere! Ma siamo a Torino o a Timbuctu? [città che per altro non conosco, motivo per cui di questa frase mi vergogno: mi perdonino gli amici del Mali] A – Hai ragione, ma la Tyssen ha l’appalto per la manutenzione e stiamo aspettando… I – Da quattro giorni? Aspettiamo che la Tyssen abbia voglia di ripristinare gli ascensori (non un ascensore, ma quattro) della principale stazione di Torino? Qui, ho pensato, le possibilità sono due, anzi tre: o le cose non stanno esattamente come mi sono state riferite; o chi ha “disegnato” l’appalto pensava di gestire un condominio e non una stazione, fissando condizioni che consentono al manutentore di riparare gli ascensori con molta, molta calma; oppure, gli accordi sono violati. Il dato di fatto, incontestabile, è che la stazione Porta Susa è drammaticamente carente sul piano dell’accessibilità e dell’informazione e che stasera, se invece di dover tornare a casa in metro avessi dovuto prendere un treno, l’avrei perso. Ci salvi chi può! Antonio Castore, 22 settembre 2013 (sic!), Torino (città del Nord Italia)
Posted on: Mon, 23 Sep 2013 16:58:32 +0000

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