Roberto De Laurentis - gli otto punti essenziali 1. Ridurre la - TopicsExpress



          

Roberto De Laurentis - gli otto punti essenziali 1. Ridurre la burocrazia • La macchina pubblica trentina sembra avere fatto proprie queste parole assumendo dimensioni spropositate tanto da essere, nei fatti, ormai incomprimibile. Spesso i dirigenti, ai quali la legge ha delegato ampi poteri, si esprimono sulla base del perdurare e del moltiplicarsi di adempimenti fondati sull’interpretazione di norme –talvolta perfino pure, semplici invenzioni– che nulla hanno in comune con la funzione da perseguire loro attribuita. D’altra parte, l’eccessivo attenersi ai formalismi è diventato il mezzo per non decidere e, quindi, per non assumersi alcuna responsabilità. Se peraltro, all’interno della burocrazia, non si sale per merito perché correre qualche inutile rischio? Dovranno pertanto essere riviste, ridotte e sburocratizzate le attuali, pesanti ed invasive procedure, regolamenti e leggi per renderle “umane” e facilmente fruibili tanto dall’impresa quanto dal cittadino. Eliminando lungaggini, farraginosità e prassi troppe volte autoreferenziali e funzionali solo a se stesse ed utili a chi le progetta, le genera, le governa. 2. Contenere la spesa pubblica • Finora la spesa da ridurre è stata sempre e comunque la “spesa degli altri”. Dovranno, al contrario, essere chiaramente individuate e dichiarate le spese da contenere. Rilanciando l’accorpamento o la fusione tra comuni, la revisione ed il funzionamento degli Enti intermedi (quali le Comunità di Valle), la riforma dell’organizzazione turistica trentina in un nuovo rapporto pubblico-privato, l’abolizione di Enti e di sotto-Enti che talvolta si autogiustificano. Deve essere la stessa Provincia a dare il buon esempio eliminando gli sprechi, riducendo i costi di gestione, attivando –e non solo parlandone–le cosiddette “economie di scala”. E la stessa cosa vale anche per gli altri Enti pubblici territoriali e per le Società di sistema proliferate eccessivamente, senza strategia e senza controllo, negli ultimi anni. • E’ giunto il momento nel quale le Amministrazioni comunali, in luogo di aumentare l’IMU o le varie addizionali, in luogo di lagnarsi con i cittadini perché costrette a ridurre i servizi, facciano un serio esame di coscienza e comprimano, da subito, le loro spese poiché gli spazi di manovra ci sono e molto ampi. 3. Favorire lo sviluppo delle imprese • Lavori Pubblici. In un momento di grave difficoltà economica l’investimento in opere pubbliche rappresenta una delle possibilità per il rilancio tanto delle imprese quanto dell’occupazione. Partendo dall’assunto che il denaro destinato alle opere pubbliche è della nostra comunità e proviene dalla tassazione del nostro tessuto economico e sociale, è evidente come si abbia il dovere morale di utilizzarlo prevalentemente per far ripartire, attraverso i lavori pubblici, l’economia del nostro territorio. Guardando alla vicina provincia di Bolzano, non ci sono dubbi sulla necessità di introdurre anche nella nostra legislazione trentina forme di protezione che favoriscano l’aggiudicazione dei lavori alle imprese locali di ogni ordine e grado. E senza remore, poiché deve essere proprio la politica provinciale, a fronte delle difficoltà vissute dalle imprese, a farsi carico di ogni iniziativa orientata alla protezione del proprio tessuto economico. • Imposte. Riduzione dell’IRAP. Da quando è stata introdotta tale imposta è considerata una delle più odiose e, se la PAT ha fatto grossi sforzi per ridurne l’onere (86 milioni di € sul 2012), rimane tuttavia un’imposta ingiusta alla radice. Si chiede l’azzeramento dell’IRAP per due anni, da estendere a tutte le imprese, con un’eventuale ripresa –a partire dal terzo anno ad economia riavviata– di un 33% annuale. In sintesi, 5 anni tra moratoria e regime differenziato dell’imposta. • Contributi. In tema di contributi si osserva una tendenza pluriennale: contributi enormi a settori della ricerca che hanno una ricaduta molto ridotta, se non nulla, sul territorio. Contributi enormi ad aziende in crisi che, al contrario e talvolta in violazione dei patti, utilizzano la forza-lavoro quale arma di ricatto attraverso la minaccia di licenziamenti. Contributi enormi ad imprese decotte che si traducono in una perpetuazione degli sprechi. Contributi enormi a settori dell’economia che spesso non sono nemmeno in grado di giustificare un ritorno dell’investimento. Così un’idea potrebbe essere: perché non erogare finanziamento alle imprese più promettenti –in termini di sviluppo, di occupazione della forza lavoro, di mercati– indipendentemente dalla loro grande o piccola dimensione? • Disuguaglianze. Ha senso una Associazione di categoria più Associazione di altre? C’è ancora qualche ragione perché la Federazione della Cooperazione trentina riceva un contributo annuo di 3,5 milioni di euro per servizi prestati? Ai quali si aggiungono gli aiuti alle cooperative agricole che ammontano ad oltre 31,5 milioni esclusi i contributi per l’agricoltura mentre gli stanziamenti per la Cooperazione, in ambito turistico, ammontano a 5,9 milioni. Come da bilancio 2013 della PAT. Un autentico fiume di denaro che, anche volendo riconoscere un ruolo sociale ad alcuni settori della Cooperazione, potrebbe e dovrebbe essere riorientato su tutte le imprese del territorio. • Credito diretto. A fronte dell’attuale situazione legata al cosiddetto “credit crunch”, posto in atto dal sistema bancario di territorio, si rileva la necessità di procedere, in relazione alla quota di finanziamento pubblico, al trasferimento diretto delle risorse da PAT ai Confidi. Anche nell’ottica di affidare ai soli Confidi, veri conoscitori dell’impresa, tanto la valutazione del progetto da finanziare quanto l’affidamento richiesto. Evitando nel contempo all’impresa, e all’imprenditore, quella serie di passaggi, spesso lenti ed umilianti, che caratterizzano oggi il rapporto impresa-istituti di credito. Integrando inoltre, l’azione di sostegno alle imprese, con il ricorso alla creazione ed al supporto di nuove realtà del mondo creditizio quali, ad esempio, Imprebanca ed Artigiancassa. • Semplificazione. Drastica riduzione dell’invasività burocratica – diventata nel tempo addirittura più onerosa del costo del lavoro stesso – quale fondamentale “contributo indiretto” alle imprese. Soprattutto nell’ottica di un nuovo rapporto “macchina pubblica-cittadino impresa” costruito sul partenariato e non sull’attuale meccanismo “controllo-sudditanza-repressione”. 4. Mantenere e creare i posti-lavoro • Tutelare l’impresa. Valorizzare e sostenere le imprese sane –quelle che producono ricchezza per il territorio– significa tutelare il lavoro e le persone che, nelle stesse imprese, operano. Invertendo così quell’abitudine consolidata del “contributo a pioggia, erogato al più forte” che ha preso quasi sempre la direzione della grande impresa mentre, al contrario, è stata la piccola e media impresa di territorio ad avere assicurato e favorito in questi anni tanto il mantenimento del tessuto economico quanto dell’occupazione. Rivendicando, nello stesso tempo, anche il ruolo di aggregatore sociale, garante della dignità stessa del cittadino-lavoratore. • Promuovere l’impresa. Favorire la nascita ed accompagnare lo sviluppo di “aziende locali” (in via prioritaria quindi la piccola impresa) incentivando, salvaguardando e mantenendo in tal modo la creazione di ricchezza, il rilancio dei consumi, la ricaduta delle imposte sul territorio. • Finanziamenti. Invertire l’attuale tendenza di richiamare, attraverso il ricorso ad ingenti quantità di denaro pubblico, imprese dall’esterno –in modo particolare legate al mondo ICT– che poi, nei fatti, non creano occupazione territoriale e non si radicano nella comunità ma sono pronte ad andarsene una volta esauriti sovvenzioni e contributi ricevuti. E che quindi, per quanto sopra, non investono né in professionalità riutilizzabili né in patrimonio umano locale. • Accesso al mondo del lavoro. Rendere più facile non solamente l’entrata ma anche l’uscita dal mondo del lavoro che, pure essendo materia di legislazione nazionale, vede tuttavia una larga possibilità di intervento dovuto alle competenze in materia assunte dalla PAT. Nell’ottica di tutelare al meglio chi lavora e di individuare, senza incertezze, chi finge di lavorare. Recuperando parzialmente quel concetto di flex-security, fondamentale nei momenti di difficoltà economica, senza tuttavia abbandonare nessun tema connesso al welfare. Allo stesso tempo è necessario ripensare profondamente tanto le strategie quanto il ruolo in capo all’Agenzia del Lavoro, è necessario ridisegnare nuove forme di intervento, è necessario rovesciare la direzione delle attuali politiche formative ed occupazionali. • Apprendistato. Ricorrere in modo sempre più importante al “contratto di apprendistato”. Che non ha età, in quanto si può “apprendere” in qualunque momento della vita. Che è una cosa seria. Che rappresenta la volontà di trasferire le conoscenze e le competenze. Che non deve essere più ridotto a semplice utilizzo di bonus fiscali sul costo del lavoro. • Rapporto scuola-lavoro. Rilanciare la formazione all’interno delle imprese (primo passo verso un “sistema duale”) che, da una parte, produca lavoratori preparati e non persone parcheggiate temporaneamente in attività senza prospettive e che, dall’altra, non sia più un elemento fondamentale e remunerativo innanzitutto per i professionisti della formazione. • Un lavoro, non un posto. Recuperare il lavoro come idea/concetto di dignità, di emancipazione, di indipendenza, di libertà. Rendere meno accattivante il concetto di “posto”, soprattutto pubblico, con l’eliminazione di rendite di posizione e di garanzie ormai superate (talvolta medioevali) ha il significato di educare le nuove generazioni all’impegno. Non all’impiego qualunque e comunque. 5. Rendere efficiente il settore pubblico. • Garanzia. E’ necessario modificare la sicurezza ingiusta del “tutto garantito”, per introdurre il concetto del “merito”, in una macchina-pubblica che sembra rinchiusa in una fortezza inavvicinabile e, soprattutto, inviolabile. Perché è arrivato il momento di aprirne le porte in quanto quella macchina non fa più correttamente il proprio lavoro ed, in aggiunta, oggi costa troppo. Ogni giorno sia i cittadini irritati sia le imprese esasperate chiedono che qualcuno vada all’attacco della fortezza. Perché torni ad essere un servizio – pagato da tutti e quindi di tutti – e non solo un centro di potere funzionale a se stesso. E’ una partita che si dovrebbe giocare sulla base della legislazione nazionale ma che, tenuto conto della nostra capacità di una gestione in autonomia, si potrebbe provare ad affrontare. Assieme ad un Sindacato capace di abbandonare i vecchi schemi standardizzati sul “servizio pubblico” per produrre nuove e calibrate soluzioni organizzative. • Merito. Quanti dipendenti pubblici, funzionari, insegnanti, operatori sanitari sono quotidianamente mortificati da dirigenti per anzianità, per conoscenza, per fedeltà alla politica e che, al contrario, avrebbero dovuto diventare tali per professionalità, per capacità, per merito? E’ necessario che lo spirito di servizio, il senso di appartenenza all’istituzione, l’impegno e la professionalità, siano i soli parametri da impostare per riscattare, eliminandole, le attuali inefficienze del settore pubblico. 6. Gestire la sussidiarietà ed il nuovo welfare. • Ammortizzatori sociali. Se la PAT ricorda, con forza e legittimo orgoglio, di avere preso in carico la delega inerente gli “ammortizzatori sociali” sia come cittadini sia come imprenditori desideriamo ricordare che tale ulteriore carico ci obbliga anche ad un supplemento di responsabilità. E riteniamo debba essere aperta una riflessione completa sul tema per ridefinire tanto gli attuali ambiti della sussidiarietà quanto il rapporto diritti/doveri. Non solamente in relazione ad un diritto di cittadinanza –che diventa momento inderogabile per un nuovo protagonismo delle persone, dei lavoratori, degli imprenditori– ma anche per rispetto delle imprese stesse che forniscono nutrimento agli ammortizzatori. I quali, a loro volta, scaricano poi il loro peso direttamente sul singolo cittadino. • Persona al centro del sistema. E’ evidente come sia indispensabile rimettere la persona al centro del sistema di welfare ma anche come sia necessario disegnarne un modello veramente funzionante e sostenibile. Che spazi dalla sanità integrativa alla previdenza, dalla formazione continua al sostegno al reddito, dall’esperienza della bilateralità alla contrattazione territoriale. Con la persona, al centro del sistema, che dovrà assommare in sé sia i diritti sia i doveri nei confronti del sistema stesso. • Politica dei diritti. La politica dei diritti, che in questi ultimi anni è stata sostanzialmente una politica degli emolumenti (il Progettone, la mobilità, la Cassa in deroga, l’assegno di garanzia, etc..), deve essere rivista non tanto nella quantità o nelle risorse economiche quanto nella filosofia di accompagnamento che ne sta alla base. Oggi limitata alla pura assicurazione o, in alternativa, alla pura assistenza. • Politica dei doveri. Ci si deve fare carico del sistema tutti assieme ma, allo stesso tempo, chi riceve deve essere disponibile soprattutto a dare, ritornando alla comunità il proprio impegno ed il proprio servizio. La disponibilità, quale forma di dovere, dovrà diventare la condizione senza la quale non viene consentito l’accesso a nessuna forma di welfare. E questo deve trasformarsi in un modello, anche culturale, rispetto al quale la sussidiarietà diventa motore indispensabile. Allo stesso tempo la parte pubblica dovrà fare qualche passo indietro favorendo così il protagonismo delle parti sociali alle quali vengono richiesti un ruolo ed una funzione più di educatrice che di controllo. Solo così strutturato il meccanismo della sussidiarietà potrà garantire un sistema forte ed equilibrato. 7. Rivitalizzare la comunità e la persona. • Politica, non polemica. Il Trentino ha necessità di tornare alla politica e di abbandonare contrapposizioni e polemica. Di tornare ad una collaborazione reale tra le istituzioni, la società civile, il mondo economico volta al lavorare assieme per il bene comune. Con un “ruolo da protagonista” dell’imprenditore, chiamato ad alimentare una nuova e diversa stagione di idee, di lavoro, di impegno civile, di coesione sociale. Oltre gli attuali steccati creati, nel tempo, dagli egoismi dell’appartenenza alimentati dal desiderio di intercettare, solo per sé stessi, risorse monetarie che erano enormi e sembravano inesauribili. Dobbiamo tornare a giocare la nostra parte, assumendo oneri e responsabilità, perché dalle difficoltà attuali non devono uscirne solo i più furbi ma tutti. Senza lasciare indietro nessuno. • Non più deleghe in bianco. Le nostre Categorie rivendicano il diritto/dovere di portare la propria voce aldilà delle sole questioni economiche. Perché le nostre non sono imprese di capitali finanziari, e di risorse umane senza volto e senza nome, ma realtà fatte di uomini e donne. Di semplici cittadini, ma con volto e nome conosciuto, che sono tali prima ancora di essere imprenditori. E dunque la Sanità, la Cultura, la Scuola, la Ricerca, l’Università non sono “cose da esperti” ma appartengono innanzitutto ai cittadini che fanno vivere quelle “cose” attraverso l’imposizione fiscale, nazionale o locale che sia. Non più deleghe in bianco, quindi, ai cosiddetti esperti ma ragionamenti e suggerimenti per dare un contributo vero ai temi della collettività e del territorio. 8. La difesa dell’autonomia. • Non è necessario né dichiararla né definirla. E’ sufficiente realizzarla e farla vivere. Anche attraverso il dare concretezza ai 7 punti su esposti e trovando soluzioni, a livello locale, per tutti quei problemi che vediamo, evidenziamo, critichiamo a livello nazionale.
Posted on: Sat, 17 Aug 2013 18:03:28 +0000

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