Senato: Intervento di oggi su comunicazione Presidente Letta - TopicsExpress



          

Senato: Intervento di oggi su comunicazione Presidente Letta G20: Signor Presidente, colleghi Senatori, onorevole Presidente del Consiglio, le comunicazioni dedicate ai risultati dell’atteso vertice del G20, svoltosi la scorsa settimana, giungono in un momento assai importante e delicato nel quale alle aspettative di una rapida uscita dalla recessione abbattutasi sull’economia internazionale si sono sommate le speranze di una soluzione politica al ginepraio siriano. L’ordine del giorno, com’è noto e come risulta anche dalle dichiarazioni rese a caldo proprio a San Pietroburgo dai Capi di Stato e di Governo partecipanti al vertice, ne ha significativamente risentito. La gran parte del lavoro degli sherpa sui dossier preparatori ha dato certamente dei frutti sotto il profilo economico, ma assai circoscritti, mentre sul piano politico il G20 non è riuscito a trovare alcuna via d’uscita alla crisi determinata dall’uso di armi chimiche, avvenuto alla periferia orientale di Damasco lo scorso 21 agosto. Come Lega Nord, ci limiteremo oggi ad esprimere poche osservazioni. La prima, inesorabilmente, è una riflessione sul ruolo di questo nuovo forum multilaterale, il cui peso nella governance mondiale è cresciuto parallelamente allo sviluppo delle economie emergenti, anche se con esiti finora piuttosto deludenti. Vogliamo dirlo chiaramente: il G20 non ci entusiasma. Infatti, mentre il vecchio G7 funzionava egregiamente nel coordinare le politiche economiche delle maggiori potenze economiche occidentali, stabilendo di volta in volta su chi incombesse il compito di trainare l’economia internazionale, nel G20 le cose paiono andare molto diversamente. Lo si è attivato per provare a superare la crisi abbattutasi sulle maggiori economie occidentali coinvolgendo gli emergenti. Ma non ci si è riusciti, anche perché i Brics hanno cercato di sfruttare il momento per migliorare la propria posizione relativa nel sistema internazionale. Lo schema pare ripetersi anche sul terreno politico-strategico, nel quale la sensazione è che le cose stiano andando persino peggio, in ragione della minore omogeneità geopolitica del raggruppamento. Riconosciamo che sono uscite fuori delle cose interessanti a San Pietroburgo, specialmente sotto il profilo delle misure da adottare per cercare di favorire una ripresa che sia accompagnata dalla generazione di posti di lavoro. E’ stato trattato il problema della gestione dell’indebitamento accumulato dagli Stati in questi anni difficili di rallentamento economico e crescita della disoccupazione. Ma accordi veri sono stati raggiunti soltanto su aspetti del tutto secondari della vicenda economica contemporanea, quelli sui quali è più facile aggregare il consenso, come la lotta allo shadow banking. Non a caso, vi è chi, con riguardo al G20, parla ormai di “mini-lateralismo”. Si è cercato in un certo senso ancora una volta di far della manutenzione della globalizzazione, enfatizzando ad esempio la necessità di continuare a garantire l’apertura dei mercati ed il carattere unitario del mercato globale. Ma non si è chiarito come questo obiettivo possa conciliarsi con l’evidente tendenza ad allestire raggruppamenti regionali più o meno allargati, dei quali l’Unione Europea è l’esempio più evidente ma non unico. E soprattutto sono rimaste fuori dalle discussioni, per quanto se ne sappia, sia il tapering che è all’orizzonte negli Stati Uniti, che gli ambiziosi progetti che concernono le aree transoceaniche di libero scambio. Di una, quella transatlantica, dovremmo in futuro esser parte anche noi, se andranno in porto i negoziati iniziati lo scorso 8 luglio. Il tapering è una novità importante perché, se verrà confermato, la Federal Reserve americana finirà presto, forse già all’indomani delle imminenti elezioni tedesche, di iniettare i grandi quantitativi di dollari con cui ha alimentato l’avvio della ripresa negli Stati Uniti, tenendo a galla tutto il sistema internazionale. Si tratta di ben 85 miliardi di dollari al mese che spariranno, verosimilmente alimentando una crescita dei tassi in America e, forse, un deflusso di capitali anche dall’Europa. Molti emergenti temono questo sviluppo, che avrà conseguenze anche da noi, nell’Unione Europea ed ovviamente in Italia, sia che la BCE mantenga l’attuale indirizzo di politica monetaria, probabilmente svalutando l’euro, sia che invece decida di distaccarsene, rinnegando la Forward Guidance annunciata recentemente. Vedremo. Ma questo sarebbe stato il tema caldo. Un tema che ci interessa notevolmente, dal momento che se si decidesse di alzare i tassi anche in Europa, per noi sarebbero guai, e che avremmo dovuto cercare di affrontare. Sul piano politico-strategico la corsa all’attacco in Siria, che sembra adesso fortunatamente rallentare, ha invece rivelato due spaccature profonde, sulle quali non è possibile tacere, dal momento che hanno influenzato anche la condotta del nostro Governo. La prima è quella che ha condotto alla polarizzazione tra potenze del vecchio G7 e Brics, dei quali per una volta la Russia ha assunto la leadership. L’altra è quella che concerne l’Unione Europea. Sotto il primo profilo, dobbiamo rilevare, Signor Presidente del Consiglio, una certa ambiguità di fondo, perché nel secondo giorno dei lavori il nostro Governo è riuscito a figurare sia nell’elenco dei Paesi vicini alla Russia nel respingere l’uso della forza contro la Siria, sia in quello degli Stati disposti a sostenere politicamente gli Stati Uniti nella loro azione punitiva anche in assenza di un mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in questo caso apponendo una firma in calce ad un testo scritto assai esplicito. Proprio questa scelta, che ci ha diviso dalla Germania, è valsa al suo Governo le critiche della Cancelliera Merkel – e qui veniamo al secondo profilo - che ha lamentato la nuova frantumazione della solidarietà europea, solo in parte ricucita a Vilnius. In pratica, a San Pietroburgo il nostro Governo è riuscito a generare dubbi sulla nostra posizione, di fatto ambigua, di Paese che appoggia il ricorso alla forza, ma non vi si unisce. Lanciando segnali incoerenti che la platea internazionale fatica a comprendere anche quando si fa riferimento ad ostacoli costituzionali che pure esistono e sono davvero un argine invalicabile. Poco male, potremmo dire. In fondo, non c’è nulla di nuovo, giacché in questa circostanza il Governo altro non ha fatto che muoversi nel solco di una consolidata tradizione del nostro Stato unitario, sempre pronto a “pendolare” da un lato all’altro dei maggiori schieramenti, e debole nella difesa delle proprie visioni e degli interessi nazionali del Paese anche le poche volte che ne è cosciente. Il fatto è, però, che di queste alchimie ed indecisioni, trucchi e trucchetti, escogitati per compiacere l’alleato americano senza troppo urtare la Santa Sede, vi è chi può esser chiamato a pagare un prezzo elevato. Pensiamo oggi, in particolare, ai nostri soldati in Libano, che in caso di conflitto con Damasco potrebbero rapidamente trovarsi ostaggio dell’Hezbollah proprio in ragione dell’appoggio politico garantito a Washington. Per questo, facciamo sommessamente notare come prima di cambiar posizione in dossier tanto delicati, Signor Presidente del Consiglio, sia opportuno cautelarsi adeguatamente, riducendo rischi e vulnerabilità. Evitando che debba provvedervi poi alla chetichella il suo Ministro della Difesa, che digiuna in Piazza San Pietro, ma al tempo stesso manda il cacciatorpediniere Andrea Doria a proteggere, non si sa quanto efficacemente, i nostri caschi blu dell’Unifil. In conclusione, le chiediamo pertanto minore approssimazione e maggior aderenza agli indirizzi annunciati appena lo scorso 27 agosto qui dal suo Ministro degli Esteri.
Posted on: Wed, 11 Sep 2013 17:28:37 +0000

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