Sia l’esercito bosniaco che la neonata Federazione - TopicsExpress



          

Sia l’esercito bosniaco che la neonata Federazione croato-musulmana e l’esercito croato, furono addestrati ed equipaggiati da consiglieri turchi e statunitensi. L’addestramento fu curato da una società privata nota come Military Professional Resources International (MPRI), una società statunitense composta da generali e colonnelli in pensione. La MPRI venne pagata 400 milioni di dollari per addestrare l’esercito bosniaco, dai governi di Arabia Saudita, Kuwait, Brunei e Malesia. Molti membri dell’esercito bosniaco erano estremisti islamici che ora sono leader di al-Qaida. Dopo aver ricevuto l’addestramento dalla MPRI, l’esercito croato lanciò un’offensiva nel nord-ovest della Jugoslavia, occupando il territorio attorno a Banja Luka e la Krajina e distruggendo i colloqui di pace in corso a Belgrado. Nei cinque giorni precedenti l’offensiva croata, dal nome in codice operazione Tempesta di Fulmini, il generale della MPRI Carl Vuono, che fu Capo di Stato Maggiore dell’Esercito USA sia durante l’invasione di Panama che nella guerra del Golfo, s’incontrò almeno una decina di volte con il generale croato Varimar Cervenko, nell’isola di Brioni nel mare Adriatico. [15] L’operazione Tempesta di Fulmini ha dato un nuovo significato alla frase “pulizia etnica”. Durante l’assalto sanguinoso croato alla Krajina, interi villaggi serbi furono saccheggiati e bruciati, lasciando centinaia di morti e oltre 170.000 senzatetto. Durante l’assalto croato a Knin, consiglieri degli Stati Uniti sostennero un sanguinoso massacro che spinse 200.000 contadini serbi a fuggire. Molti miliziani croati impiegati nell’assalto erano membri del fascista Congresso Nazionale croato (CNC), che aveva ricevuto finanziamenti da simili paria internazionali come il dittatore nicaraguense Anastasio Somoza e quello paraguaiano Alfredo Stroessner. Il leader del CNC, Janko Skrbin, fu condannato come criminale di guerra nazista, continuando ad evitare il carcere dal suo rifugio negli Stati Uniti. [16] Il comandante militare jugoslavo Momcilo Krajisnik disse dell’offensiva croata, “Ci troviamo nella posizione di fare fallire i colloqui di pace (a Belgrado), o rendere chiaro che non accetteremo un falso cessate il fuoco, approvando così l’atteggiamento della comunità internazionale verso il comportamento musulmano e croato. Se singoli attori della crisi continuano a destabilizzare e distruggere lo Stato, l’esercito della Repubblica si impegna in misure per difenderne l’integrità, la sovranità e l’ordine costituzionale“. [17] Con le bombe della NATO che piovevano sulla Bosnia e i croati che scatenavano l’offensiva con il sostegno degli USA, il governo jugoslavo fu costretto agli accordi di pace di Dayton, sponsorizzati dagli USA, che sancirono la spartizione della Jugoslavia. [18] Nel 1995, il presidente Milosevic disse che fu ingannato a Dayton dalla delegazione degli Stati Uniti, guidata dall’inviato di Clinton Richard Holbrooke, ex banchiere del Credit Suisse First Boston, la vecchia narco-banca dell’Eastern Establishment che finanziò gli attentati a Kennedy e De Gaulle, e che gestiva i conti della Lake Resources di Richard Secord. Nel dicembre 1995, durante lo sbarco di truppe straniere nelle nuove nazioni di Croazia, Bosnia e Slovenia, per “mantenere la pace”, il comandante dell’esercito jugoslava Ratko Mladic invitò il popolo jugoslavo a “difendere ciò che è nostro da secoli“. Disse degli sforzi in stile Iron Mountain della NATO, per il mantenimento della pace, “Non dobbiamo permettere che il nostro popolo finisca sotto il dominio di macellai. Coloro che ci hanno bombardato ora s’infiltrano come agnelli, dicendo che vogliono proteggere la pace.” Mladic è stato successivamente incriminato dal Tribunale internazionale per i crimini di guerra (IWCT), insieme al presidente serbo-bosniaco Radovan Karadzic. Prima di perseguire i dirigenti jugoslavi in contumacia, il procuratore capo dell’IWCT Richard Goldstone si riunì per due giorni con il direttore della CIA di Clinton, John Deutch, ex direttore di Citibank e SAIC. Lo IOR fu, tra il 1946 e il 1971, il maggior azionista del Banco Ambrosiano[22][23]. Già nel 1978 il capo della Vigilanza della Banca dItalia Giulio Padalino aveva eseguito unispezione sui conti del Banco, facendo luce sulla parte occulta della contabilità: dietro alle varie società estere che acquistavano cospicui pacchetti di azioni Ambrosiano cerano lo stesso gruppo di Calvi e lo IOR[24]. A quel tempo, lo scandalo non ebbe alcun seguito. Tuttavia, dopo il crac del Banco Ambrosiano, le responsabilità furono confermate nel corso delle indagini dal ritrovamento di lettere di patronage concesse nel 1981 da Marcinkus (direttore dello IOR dal 1971 al 1989) a Roberto Calvi (direttore del Banco Ambrosiano), con le quali confermava che lo IOR «direttamente o indirettamente» esercitava il controllo su Manic. S.A.(Lussemburgo), Astolfine S.A. (Panamá), Nordeurop Establishment (Liechtenstein), U.T.C. United Trading Corporation (Panamá), Erin S.A (Panamá), Bellatrix S.A (Panamá), Belrosa S.A (Panamá) eStarfield S.A (Panamá)[25], società fantasma con sede in noti paradisi fiscali, che avevano fatto da paravento alla destinazione dellingarbugliato circolo di denaro che aveva drenato duemila miliardi di lire dalle casse dellAmbrosiano[26]. Lallora ministro del Tesoro Beniamino Andreatta impose la liquidazione del Banco Ambrosiano. Andreatta riferì in Parlamento l8 ottobre 1982, dichiarando che il Banco aveva un buco di circa due miliardi di dollari, di cui un miliardo e 159 milioni garantiti dallo IOR.[27] ECONOMIA Di Francesco De Dominicis per Libero Tenere il conto non è affatto facile. Un po perché sono parecchi un po perché vengono nascosti e non pubblicizzati. Il pallottoliere (per ora) si ferma a sei: sono i regali del governo di Enrico Letta alle banche italiane. Alcuni sono già messi nero su bianco negli atti ufficiali, altri saranno formalizzati tra pochi giorni, qualcuno è un progetto in fase piuttosto avanzata. Loperazione congegnata a palazzo Chigi ruota per lo più attorno alla legge di stabilità - su cui il Governo si appresta a chiedere la fiducia - e ai cosiddetti decreti collegati. Ma non solo. In pratica, Letta ha preferito distribuire in più veicoli normativi i favori concessi ai banchieri invece di metterli tutti insieme in un solo provvedimento. Opzione, questultima, che avrebbe comportato il rischio di farsi «sgamare» subito. E in effetti la ricostruzione il dossier è stata una specie di caccia al tesoro. Lopera di dissimulazione del premier, che per loccasione si è trasformato in uno stratega militare, è stata meticolosa. Qui mettiamo in fila i tasselli del puzzle scovati nel percorso: sconto fiscale sulle perdite; paracadute sui derivati legati a Bot e Btp; rivalutazione quote Banca dItalia con consequenziale innalzamento dei coefficienti patrimoniali; garanzia della Cdp sui prestiti alle pmi; privatizzazioni con dividendo straordinario della Cassa depositi per la dismissione di Sace; realizzazione della bad bank in cui far confluire i 145 miliardi di euro di sofferenze (i prestiti non rimborsati). Lelenco finisce qui. Tuttavia non ci sarebbe alcuna sorpresa se lEsecutivo delle larghe intese dovesse allungarlo ancora un po. Cerchiamo, intanto, di capire nel dettaglio di cosa stiamo parlando. Partiamo con lo sconto fiscale sulle perdite. Si tratta degli sgravi tributari legati alla deducibilità dei crediti non performanti (le sofferenze), di cui abbiamo già riferito su queste colonne. Larco di tempo in cui le banche potranno spalmare le sofferenze cala da 18 a 5 anni. E lo scherzetto garantisce agli istituti vantaggi per 20 miliardi tra il 2015 e il 2022. La norma è contenuta nella legge di stabilità che stasera approda allesame dellaula del Senato. Ed è proprio la relazione tecnica alla «finanziaria» che certifica lentità del primo regalo agli istituti di credito. La riforma allinea il sistema tributario italiano a quello degli altri paesi europei. Non a caso, la norma , dopo il giro di vite varato da Giulio Tremonti negli scorsi anni, era attesa. E per certi versi giusta. Tuttavia, quello bancario è lunico settore ad aver beneficiato della generosità dellEsecutivo. Il secondo favore è il paracadute statale sui derivati. Si tratta della garanzia che lo Stato potrà offrire smobilitando la liquidità dei conti di tesoreria per assicurare i derivati degli istituti. Una misura che, stando alle carte di via Venti Settembre, non grava tecnicamente sui conti pubblici, ma che politicamente, invece, ha un peso enorme. Le banche che sottoscrivono derivati col Tesoro ottengono una speciale copertura assicurativa pubblica. Un paracadute, appunto, che non solo garantisce listituto che ha in pancia i bond pubblici italiani in caso di (improbabile) fallimento del Paese, ma che, nellimmediato, alleggerisce il peso di quei titoli, considerati rischiosi dalle agenzie di rating, e spinge in alto i requisiti patrimoniali. La norma è scritta da un paio di mesi, ma il provvedimento in cui piazzarla va ancora definito. Il paracadute «salva banche» era stato inserito prima nel decreto sullIva (settembre), poi nel collegato alla manovra (ottobre) con cui, tra altro, sono stati salvati i bilanci di Roma Capitale. Nessun ripensamento, comunque, assicurano fonti vicino al dossier. Al momento giusto il regalo sarà confezionato e consegnato ai banchieri. Terzo: la rivalutazione della quote di Bankitalia. Bisogna attendere poco. Salvo ulteriori rinvii, già martedì il consiglio dei ministri mostrerà il semaforo verde alla riforma sullassetto proprietario dellistituto centrale. Il decreto era stato portato al cdm di mercoledì scorso e rinviato vista lassenza del prescritto della Banca centrale europea. La misura porterà a un rafforzamento del capitale delle banche e delle assicurazioni azioniste di Bankitalia. Ci sarà purea un incasso per lerario fra 1 e 1,5 miliardi che però, visti i tempi tecnici, dovrebbe arrivare nel 2014. La relazione commissionata al Comitato di esperti di alto livello formato dai professori Franco Gallo, Lucas Papademos e Andrea Sironi aveva nei giorni scorsi individuato un valore delle quote, ora al livello simbolico di 156mila euro, fra i 5 e i 7,5 miliardi di euro. Per istituti e compagnie si avrebbe un flusso di dividendi (circa il 6%) che salirebbe a un livello fra i 360 e i 420 milioni di euro lanno. Non solo. Con la riforma scatta pure un rafforzamento del patrimonio preziosissimo viste le regole di Basilea3 che chiedono di aumentare progressivamente gli indici di capitale. A sollecitare il decreto è stata lAbi daccordo con Intesa e Unicredit, principali «azioniste» di via Nazionale. La riforma, comunque, pone un tetto al 5% alle partecipazioni. Ne consegue che soprattutto Intesa (ha il 42,18% del capitale) dovrà successivamente cedere una parte consistente del suo pacchetto azionario. Non sono mancate, comunque, le critiche. Non solo fra quanti considerano loperazione una sorta di trucco contabile, ma anche chi, come un ex alto funzionario della stessa Banca dItalia, Giovanni Siciliano (oggi alla Consob), sostiene che «solo lo stato possa decidere sulla destinazione di risorse prodotte con beni pubblici» e perciò «deve essere il solo azionista» di via Nazionale. Anche la garanzia della Cassa depositi e prestiti sui finanziamenti alle pmi, quarto regalo in ballo, è in dirittura darrivo. La misura è contenuta in un emendamento del Governo alla legge di Stabilità che entro martedì sarà licenziata da palazzo Madama, per poi passare al vaglio della Camera. Il discorso è articolato, ma nella sostanza grazie al blitz le banche pubblicizzano i rischi e privatizzano gli utili. Per dare credito alle piccole e medie imprese potranno beneficiare dello scudo della Cdp. Lemendamento introduce «il Sistema nazionale di garanzia», che ricomprende il fondo di garanzia per le pmi, compresa la sezione speciale «Grandi progetti di ricerca e innovazione», e il fondo di garanzia per la prima casa. La Cdp, poi, potrà acquistare titoli dalle banche «nellambito di operazioni di cartolarizzazione aventi ad oggetto il credito verso piccole e medie imprese». Con le privatizzazioni, poi, e siamo a cinque, le banche potranno ottenere un doppio beneficio. Il piano di dismissioni di aziende pubbliche è stato già approvato dal Governo. Saranno aperti diversi fronti. Uno di questi prevede la cessione di Sace (fino al 60%): la società che assicura le imprese allestero è controllata dalla Cdp. Vuol dire che il ricavato sarà girato agli azionisti: il Tesoro (80%) e le Fondazioni bancarie (20%). Seppure in via indiretta, gli istituti sono favoriti. E cè chi sostiene che lo saranno anche dalle altre privatizzazioni. Nessuno vieta, infatti, che le stesse banche possano entrare in gioco e rilevare pacchetti di aziende in vendita. E con la crisi che ha sbracato le valutazioni, gli affari non mancheranno. Pure per le banche. Ultimo capitolo, la bad bank. Per ora si tratta di un progetto segreto in mano a Bankitalia, secondo quanto riferito dal settimanale LEspresso. Anche in questo caso è possibile un ruolo della Cdp per la costituzione di un veicolo in cui confluirebbero i 145 miliardi di euro di sofferenze. Gli istituti potranno liberarsi agevolmente della zavorra dei prestiti non rimborsati. Faranno uno sconto alla Cassa e si troveranno coi bilanci puliti. Una lavanderia a basso costo. ESTERI TURKYA DA IL GIOrnale fiamma nirestein- titolo I faraoni dEgitto alla guerra col sultano turco È un grande scontro di leoni della stessa famiglia sunnita che ruggisco¬no¬per affermare il loro orgoglio pluri¬millenario. Il Medio Oriente è dilania¬to dai due¬fronti islamici sciita e sunni¬ta luno contro laltro, ma adesso si ri¬vela anche la micidiale concorrenza interna al fronte più storicamente ro¬busto, quello del sultano turco e del fa¬raone egiziano. Ieri lEgitto ha degra¬dato le relazioni diplomatiche con la Turchia ed espulso il suo ambasciato¬re dal Cairo; con rapida reazione la Turchia ha dichiarato lambasciato¬re egiziano «persona non grata» e de¬gradato le relazioni con lEgitto allo scambio fra «incaricati daffari». Lambasciatore egiziano era torna¬to dalla Turchia in agosto, quando Mohamed Morsi era stato cacciato via dal generale Sisi con una grande ri¬voluzione militare e popolare. Il mini¬stero degli Esteri egiziano spiega che «la leadership turca ha insistito nella sua posizione inaccettabile, sobillan¬do la comunità internazionale e espri¬mendo posizioni che sono unoffesa alla volontà popolare». Lo scontro fra Egitto e Turchia ha un nome: Fratellanza Musulmana. Fra il movimento islamista che era ap¬parso come il vincitore nelle rivolu¬zionimediorentali e lAkp, il partito di Erdogan, cè un rapporto di identifi¬cazione: la vittoria di Morsi era stata considerata dal leader turco come co¬sa sua. La sua furia per il fallimento della Fratellanza in Egitto lo ha stra¬vol¬to fino a dichiarare che Israele è re¬sponsabile della deposizione di Mor¬si. Ieri ha salutato la crisi con la Raa¬ba, il gesto delle quattro dita dei soste¬nitori di Morsi. Non solo le parole hanno portato il generale Sisi allesasperazione. La Turchia, riporta il giornale egiziano al Watan , ha aiutato alquanto i soste¬nitori di Morsi, ha accolto le loro riu¬nioni a Istanbul, ha aiutato a organiz¬zare manifestazioni. Non finisce qui: Ankara, accusa Asharq al Awsat, sup¬porta la parte peggiore dei ribelli qae¬disti in Siria. E lEgitto fronteggia al Qaida nel Si¬nai. I rapporti di Erdogan con gli Usa, con lIrak, con lIran, coi paesi del Gol¬fo, con lArabia Saudita e adesso con lEgitto sono stati immolati sullalta¬re della Fratellanza. Strana scelta per chi sogna limpero ottomano. CULTURA Cinema-Arianna Finos per La Repubblica Nella maschera triste che è il viso di Woody Allen, leuforia sintuisce dallo scintillio degli occhi rimpiccioliti da lenti ogni anno più spesse. Ti accoglie in un salottino del glorioso hotel Le Bristol. Un paio di ritrovati successi hanno sollevato dalle sue spalle gracili il peso di un decennio opaco, prolifico quanto alterno nei risultati. Midnight in Paris ha scalato vette dintroiti sconosciute al cineasta newyorkese (56 milioni di dollari in Usa, 151 nel mondo) e in Blue Jasmine (in sala il 5 dicembre per Warner) lAllen migliore, quello di Match Point per intenderci, mette in scena la crudele parabola di Jasmine, signora altoborghese in miseria dopo larresto del marito truffatore (alla Madoff), costretta a lasciare il lusso di Manhattan per una nuova vita nella periferia di San Francisco. «Lidea del film è venuta mentre pranzavo con mia moglie. Soonyi mi ha raccontato dellamica di unamica, donna colta e ricchissima, yacht, ville, aerei privati, il cui stile di vita è collassato allimprovviso. Mi è sembrata una storia tragica e perfetta». Il film fotografa lo stato danimo di unAmerica ancora provata dalla crisi. «Per pura coincidenza, la crisi ha regalato maggiore risonanza alla vicenda di Jasmine. Negli ultimi dieci anni in America tutti hanno perso: ricchi, classe media e poveri hanno fatto un passo indietro. Ma io sono partito dal dramma personale, storia vera e tragedia greca insieme. Una creatura dellalta società precipita in una realtà insostenibile e matura lorribile consapevolezza di essere stata strumento della propria distruzione». Linterpretazione di Cate Blanchett è da Oscar. «Il suo talento, la sua profondità hanno dato a Jasmine unumanità che sulla carta non aveva, costringendo il pubblico a preoccuparsi per questa donna piena di difetti, pillole, alcol. Cate è la migliore della sua generazione. Ho sempre lavorato con le attrici migliori, Meryl Streep, Gena Rowland, Diane Keaton, Dianne Wiest. Tutte erano già magnifiche prima di conoscermi e lo sono state anche dopo». Le protagoniste femminili sono una costante del suo cinema. «Gli uomini sono chiusi, al massimo sarrabbiano. Le donne sono più libere nelle loro emozioni, più drammatiche, complicate, interessanti. Almeno per me». Quanto ha contato lincontro con Diane Keaton? «Convivere con lei mi ha cambiato profondamente. Ha personalità, è intelligente, percettiva, artistica. Mi ha insegnato a vedere il mondo con i suoi occhi. Per lei ho scritto il ruolo di Io e Annie. È venuto bene, così ho continuato a lavorare su ruoli femminili sempre più felice e a mio agio». Quale dei personaggi di Blue Jasminele somiglia di più? «Jasmine, anchio tendo colpevolmente a negare la realtà». Racconta ancora di un matrimonio in crisi. «Negli anni ho capito che è solo una questione di fortuna. Tu pensi di poter controllare la cosa, fai quel che è giusto, consulti amici e avvocati. Due persone che sincontrano sono come stazioni radio: raramente le frequenze sono in sintonia. Quando succede è fantastico». La crisi economica ha toccato anche lei? «Ho avuto meno interessi dai soldi in banca, ma non ho perso il lavoro, come è successo a insegnanti e impiegati. Non ho mai voluto speculare in borsa, anche quanto avrei potuto. Tanti anni fa diedi istruzioni precise al mio consulente: non voglio diventare ricco, solo avere quel che mi basta per continuare a lavorare. Non ho mai pensato ai soldi, né accettato un lavoro per soldi. Faccio lartista e ho guadagnato. Ho una casa, una macchina, poche cose. E faccio film che costano poco». Le sue sono spesso storie di ricchi. «Mi interessa il denaro come fenomeno, ho anche pensato a un documentario. E mi affascinano i ricchi. Sono istruiti e potenti, ma commettono le stesse sciocchezze dei poveri. E sono ugualmente infelici. Mi piace osservarli, le loro barche e gli aerei, le tresche amorose e i matrimoni insoddisfatti, i figli problematici. A New York sono lunico artista in un quartiere di banchieri, avvocati, manager. So come parlano, come fanno shopping, quali ristoranti scelgono. Mangio negli stessi posti e cammino nelle stesse strade. Sono cresciuto povero, a Brooklyn, ma ho raccontato il mio passato poche volte, Broadway Danny Rose, Radio Days. Più spesso mi colpiscono le storie di ricchi che dovrebbero essere felici e non lo sono». Lei recita un povero in Gigolò per caso di John Turturro. «Esperienza rilassante, tutte le seccature del set erano del regista. Interpreto un tizio che sinventa lidea di procacciare a Turturro donne ricche per appuntamenti a pagamento. Recitare il pappone mi è venuto naturale, mi sono sentito credibile». Lavora poco, come attore. «Difficile trovare ruoli. A settantasette anni mi toccano i padri, gli zii, i nonni. E i registi non mi chiamano. Ogni cinque anni mi offrono un ruolo, a volte così piccolo, stupido o volgare che devo rifiutare. Sarei felice di lavorare per Martin Scorsese, Oliver Stone, Alexander Payne». Forse pensano che lei sia troppo impegnato nei suoi progetti. «No. Quando vuoi davvero qualcuno tenti anche se sai che è indaffarato o scontroso. Io chiesi a Greta Garbo per Zelig, lei neppure mi rispose». In Blue Jasmine ha voluto i comici Louis C. K. e Andrew Dice Clay in ruoli drammatici. «Negli anni ho capito che i comici sanno recitare ruoli drammatici, mentre gli attori seri fanno ridere di rado. Perfino Marlon Brando quando cercava di essere divertente era un disastro». A settantasette anni è dura fare il cinema? «Nellultimo giorno di riprese del nuovo film, nel sud della Francia, ho lavorato diciotto ore consecutive. Ho patito il caldo, il freddo, la pioggia. Il cinema funziona così, ma non è come fare il muratore. Non si lavora mica per davvero». AFORISMIASSIOMI La bolletta la paga la povera gente.
Posted on: Mon, 25 Nov 2013 08:37:21 +0000

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