Sionismo come « socialismo » nazionale pseudo-liberale. Un - TopicsExpress



          

Sionismo come « socialismo » nazionale pseudo-liberale. Un elemento che ha contribuito a fare la fortuna del sionismo, soprattutto catturando l’immaginazione di quella sinistra che da tempo ha abbandonato il marxismo, è stato quello di essersi presentato, almeno fino al 1977, data del primo governo della destra in Israele, come «socialismo» nazionale (anche se, dopo i governi di destra in Israele - quelli di Begin, di Shamir, di Netanyahu e di Sharon - dopo la scomparsa dei kibbutz e di ogni traccia di ‘socialismo’, le illusioni della sinistra sono dure a morire, come la pigrizia mentale d’altronde). Scrive sempre Zeev Sternhell sul ‘socialismo’ nazionale: L’ideologia del socialismo nazionale nasce in Europa tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX. Si propone come la vera soluzione, puntando a sostituire le ideologie marxista e liberale. Il suo postulato – il primato della nazione – trova le premesse nel socialismo premarxista di Proudhon. E’ un’ideologia che presenta la nazione come un’entità storica, culturale o biologica. Per preservare il suo avvenire e proteggersi dalle forze che scalzano la sua armonia, la nazione deve consolidare la sua unità interna, spingendo tutte le sue componenti alla missione comune. Per questa nuova ideologia, il liberalismo e il marxismo costituiscono il più grande pericolo che, nel mondo moderno, minacciano la nazione. Il liberalismo, perché concepisce la società come un’aggregazione di individui in eterna lotta per un posto al sole, una sorta di mercato selvaggio, la cui sola ragione d’esistenza è di soddisfare gli egoismi dei singoli, quelli dei più forti ovviamente e il marxismo, perché sostiene che la società è divisa in classi nemiche impegnate in una lotta senza pietà tanto più inevitabile in quanto iscritta nella logica interna del capitalismo. (Op. Cit., p. 135) Il « socialismo » nazionale rifiuta categoricamente la lotta di classe e l’internazionalismo proletario. La sua singolarità consiste nel fatto che esso aderisce al principio del primato della nazione, la quale è posta in posizione assolutamente prevalente rispetto a qualsiasi altro aspetto, rinnegando così i principi universalistici del socialismo. Tuttavia, se pure rinnega il marxismo, il ‘socialismo’ nazionale non rinuncia a voler risolvere a suo modo la questione sociale. Rifiutando i principi marxisti, primo fra tutti l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, il « socialismo » nazionale afferma di voler risolvere la questione sociale con una critica ai settori parassitari del capitale, alla rendita, alla grande finanza, agli speculatori, ai borsisti, a tutti coloro che dispongono facilmente di denaro e non lo investono attivamente creando posti di lavoro e facendo crescere la società e la nazione. Costoro vengono definiti, parassiti, plutocrati, usurai, perché si arricchiscono solo loro senza benefici per la nazione. Ci si rivolge al « lavoratore » (certo non al « proletario », naturalmente), al contadino, al negoziante, all’artigiano e a quei settori del capitale produttivo, il borghese ‘positivo’ che investe e rischia il suo denaro nella produzione. Ovviamente, il « socialismo » nazionale non intende affatto cambiare la società, né mai esso ha preso provvedimenti per eliminare il ceto dei parassiti, degli speculatori, dei finanzieri tanto criticati. Anzi i provvedimenti principali sono diretti contro gli operai, costretti in corporazioni, senza sindacati, senza partiti politici che li rappresentino in modo autonomo. Gli operai vengono invece iscritti, con le buone o con le cattive, nel partito nazionale, associati nelle sue istituzioni, arruolati nell’esercito. Il socialismo « nazionale » è infatti un’ideologia aggressiva che punta alla conquista di territori altrui per metterli a disposizione della propria nazione e per impadronirsi delle loro ricchezza (colonialismo). E’ anche un’ideologia razzista che ritiene la propria nazione superiore alle altre. Nella storia, il « socialismo » nazionale si è realizzato prevalentemente sotto forma di sistema antidemocratico e reazionario, anzi decisamente dittatoriale. La sua forma più brutale è stata il nazismo (Nazional Socialismus), ma anche il fascismo mussoliniano può essere considerato una forma di « socialismo » nazionale. Vi è tuttavia anche una forma di « socialismo » nazionale con caratteristiche pseudo-democratiche. Tale è il sionismo; tali sono certe forme di ‘socialismo’ nazionale nel terzo mondo (la Corea del Sud al tempo degli agglomerati industriali nazionali, prima che questi fossero minati dalla globalizzazione liberista). Il movimento laburista prese la direzione e il controllo della colonizzazione sionista durante gli anni trenta e al momento della proclamazione di Israele furono i laburisti a guidare politicamente lo stato e a deciderne le strutture sociali ed economiche. Fondamento di questo ordine sociale è l’Histadrut, l’onnipotente corporazione dei ‘lavoratori’ e degli industriali. Non è un sindacato, come spesso si dice, ma una struttura nazionale che inquadra « i lavoratori » e « le altre forze produttive » e affida a tutti la medesima missione nazionale. L’Histadrut possiede banche, imprese nel settore dell’industria pesante, degli armamenti, dei lavori pubblici e delle costruzioni, possiede anche la maggiore centrale nazionale di distribuzione dei prodotti agricoli, catene di grandi magazzini e negozi. L’Histadrut controlla l’intero settore cooperativo, si occupa dei contratti tra lavoratori e le imprese che gli appartengono, gestisce direttamente la Cassa Malattia Nazionale, dispone di ospedali, scuole, case di riposo e pubblica un proprio giornale, il Davar. In Israele solo l’esercito è un’organizzazione più capillare e meglio organizzata dell’Histadrut. Tuttavia, seppur meno capillare dell’esercito, questa istituzione è un vero stato nello stato e fornisce al parlamento gran numero di parlamentari e buona parte degli uomini di governo, di sinistra e sorprendentemente, (per chi ha schemi in testa), anche di destra. Dopo l’Histadrut e l’esercito, vengono le altre istituzioni politiche e sociali che completano il quadro. In seguito alla fondazione di Israele, furono sempre i laburisti a dirigere lo stato, fino agli anni settanta quando persero le elezioni a vantaggio del partito del Likud. Questo è un partito seguace di Wladimir Jabotinsky, amico personale del Duce. [Egli chiese, tra l’altro, a Mussolini, di contribuire alla formazione di un nucleo di ufficiali di marina che sarebbe diventato in seguito la marina di Israele. E, naturalmente, il Duce lo accontentò. Così, tra il 1934 e il 1937, fu aperta a Civitavecchia una scuola marittima per aderenti all’organizzazione sionista « Betar », ramo giovanile del partito di Jabotinsky.] La destra una volta salita al potere non ha mai combattuto l’Histadrut, il cosiddetto « sindacato », come fa la destra in tutte le democrazie parlamentari e in tutti i regimi capitalistici liberali con i sindacati veri. Questo perché l’Histadrut non è un sindacato ma un’organizzazione nazionale di lavoratori, di capitalisti e di boiardi di stato, i cui dirigenti vengono scelti ogni 4 anni sulla base di liste presentate da tutti i partiti politici. Attualmente i dirigenti laburisti dell’Histadrut detengono una risicata maggioranza interna rispetto ai rappresentanti della destra. La struttura della società nazionale israeliana è retta da alcune leggi e istituzioni che hanno poco a che vedere con le istituzioni e le leggi di una democrazia liberale. Facciamo alcuni esempi: prima di tutto non esiste in Israele una costituzione, cioè una carta costituzionale.Perché mai? Come mai un paese che si vanta di essere « democratico » anzi l’unica democrazia in Medio Oriente non ha una costituzione? Ebbene Israele non ha una costituzione perché non può averla. Se dovesse provare a scrivere una costituzione laica, gli ebrei religiosi o fanatici, che considerano Israele la realizzazione di una promessa messianica, si rivolterebbero contro lo stato. Se dovesse invece scrivere una costituzione religiosa, moltissimi sarebbero gli ebrei atei o laici che abbandonerebbero il paese per cercare in Occidente quel poco di tolleranza e libertà che vedrebbero sparire del tutto nello stato sionista. Incredibilmente e diversamente da tutte le democrazie liberali, Israele non ha un corpo di leggi che riguarda il potere giudiziario. Anche qui, un corpo di leggi di carattere laico urterebbe contro l’antico codice religioso, l’« Halachà », seguito dai potenti tribunali rabbinici, che si intromettono in tutte le faccende dello stato. In queste condizioni si preferisce procedere come se nulla fosse; se non che, certe leggi sono laiche (quando non urtano troppo i religiosi) ed altre sono religiose (se non urtano troppo i laici). Tutti sanno, per esempio che non esiste il matrimonio laico in Israele, per cui se un cittadino di Israele vuole sposarsi fuori dall’autorità dei rabbini, ebbene… deve farlo all’estero. Potrebbe addirittura farlo in un paese musulmano come la Giordania o la Turchia. Il potere dei rabbini è talmente forte che costoro costringono gli ebrei riformati (una nuova forma di giudaismo nata negli Stati Uniti) a rinunciare alla loro fede se vogliono stabilirsi in Israele. Lo stato sionista li accetta comunque e questo crea un contrasto tra settori dello stato e autorità religiose. I tribunali rabbinici gestiscono gran parte della ‘giustizia’ e naturalmente lo fanno secondo i dettami della religione. Il potere dei rabbini è talmente forte che non esiste in Israele una cittadinanza « israeliana ». Sulle carte di identità si troverà scritto « ebreo » se si è ebreo (laico o religioso non importa); si troverà « arabo » se si è palestinese, cioè ‘cittadino di secondo rango. Si vive nello stesso stato di Israele ma non si è « israeliani »; si è o « ebrei » o « arabi ». Questo ha anche una valenza non religiosa. Se esistesse la cittadinanza « israeliana » questo vorrebbe dire che gli ebrei non israeliani sarebbero considerati o non cittadini di Israele o non ebrei. Lo stato di Israele infatti è uno stato « ebraico », cioè uno stato per tutti gli ebrei del mondo, indipendentemente se essi risiedono in Israele o meno. Inoltre una eventuale carta d’identità con sopra scritto « nazionalità israeliana » metterebbe sullo stesso piano ebrei e palestinesi, cosa che in uno stato « ebraico » non deve avvenire. Questo è il retaggio assurdo del sionismo. La natura del sionismo si esplicita soprattutto, forse, in un’altra legge, « la legge del ritorno ». Essa dà diritto a tutti gli ebrei del mondo di emigrare in Israele ma, contemporaneamente, nega lo stesso diritto ai palestinesi che sono stati espulsi. Il fatto che la « Terra d’Israele » sia stata destinata, per legge, all’esclusivo godimento degli ebrei (di tutto il mondo) ha un’altra assurda conseguenza: un arabo o un gentile (cioè un non-ebreo, detto goy, o goyim in ebraico) d’Europa o d’America non può acquistare proprietà ebraica in Israele. Si può capire (ma non approvare) la ragione per cui si impedisca ad un arabo, palestinese o non, di acquistare una casa o una terra in Israele; si vuole impedire, cioè, che la terra d’Israele possa ridiventare araba. Quindi un palestinese espulso da Israele nel 1948 (o i suoi discendenti) non possono acquistare la casa e le proprietà che gli furono tolte durante la sua espulsione. Ma non è tutto. Un arabo israeliano può acquistare proprietà solo da altri arabi israeliani, mai da un ebreo; non può neanche acquistare terre sequestrate ai palestinesi dei territori occupati (queste devono andare solo agli ebrei); solo un ebreo invece può acquistare da un arabo israeliano e solo un ebreo ha il titolo di ricevere (quasi gratuitamente) proprietà palestinesi sequestrate dallo stato israeliano nei territori occupati. Ma non basta ancora; se un goy, che vive fuori da Israele, volesse acquistare in Israele una villetta o un appezzamento di terreno per costruirvi un albergo o semplicemente per coltivarlo, non potrebbe farlo. La proprietà della terra e delle case deve restare in mani ebraiche, altrimenti si rischierebbe sempre di perdere l’ebraicità della terra d’Israele. Potrebbe succedere, per esempio, che una organizzazione di carattere umanitario raccogliesse dei fondi e acquistasse terre e proprietà in Israele e poi le lasciasse in eredità ad alcuni profughi palestinesi del Libano o di altrove. Non sia mai! I risultati della pulizia etnica sarebbero vanificati. Si osservi il seguente paradosso: è ovvio che un ebreo israeliano può acquistare proprietà in Europa, America o altrove (molti israeliani hanno proprietà in due paesi) ma un goy che vive fuori da Israele non può acquistare proprietà in Israele. Cosa succederebbe se fosse proibito a un ebreo di qualsiasi paese di acquistare proprietà in un paese qualsiasi diverso da Israele? Sarebbe naturalmente ritenuto antisemitismo da tutti gli ebrei del mondo. Ma Israele non pratica forse una discriminazione simile o molto simile all’antisemitismo contro gli arabi e i non-ebrei? Dal punto di vista politico le cose non stanno meglio. Vi è infatti una legge che impedisce a qualsiasi partito o gruppo che non accetta i principi del sionismo di presentarsi in parlamento o di competere nella campagna elettorale. Se un gruppo di ebrei o arabi israeliani o misto si presentasse alle elezioni con un programma politico finalizzato alla trasformazione dello stato sionista in uno stato democratico per ebrei e palestinesi, esso verrebbe immediatamente escluso dalla competizione elettorale e messo al bando. Vige poi un sistema elettorale assolutamente antidemocratico e discriminatorio nei confronti dei cittadini arabi di Israele (20% della popolazione). Secondo questo sistema, alle elezioni politiche, non si vota per candidati ma solo per partiti, non ci sono cioè preferenze. Sono poi i dirigenti dei partiti che decidono chi debba andare alla Knesset (parlamento). In questo modo le direzioni dei partiti discriminano pesantemente verso i palestinesi e portano al parlamento solo un numero limitato di rappresentanti palestinesi rispetto al numero dei votanti palestinesi. In questo modo si fa votare i palestinesi per i sionisti. Ci si aspetterebbe che quel 20% di elettori palestinesi fossero rappresentati dal 20% di deputati. In realtà i deputati palestinesi non superano mai il 10% degli eletti in parlamento. Ma la cosa più abnorme è chiaramente il fatto che lo stato sionista non ha ancora confini definiti. Sembrerebbe una cosa da niente ma ha conseguenze assolutamente importanti e non solo ripercussioni internazionali. In una democrazia liberale come la Francia o la Gran Bretagna, tutti gli individui che si trovano all’interno dei confini dello stato godono degli stessi diritti politici. Questo non accade in Israele. Dopo l’occupazione dei territori palestinesi nel 1967, Israele allargò, unilateralmente, i suoi confini inglobando anche i territori occupati dove oggi vivono quasi 4 milioni di palestinesi. Ma queste persone pur essendo all’interno dei confini che Israele riconosce come suoi (e provate ad attraversarli e vedrete cosa vi succede!) non hanno mai goduto dei diritti di cui godono gli ebrei e nemmeno dei diritti dei già discriminati arabi israeliani. Viceversa gli ebrei che vivono fuori dai confini riconosciuti a Israele dalla comunità internazionale e che si sono stabiliti nei territori occupati godono degli stessi diritti degli ebrei di Israele, anzi ricevono particolari vantaggi economici e legislativi proprio perché si sono stabiliti nei territori occupati. Con le « trattative » di Oslo, Israele ha pensato di risolvere questa contraddizione razzista. Si è visto come è andato a finire, per Sharon e Olmert, ma anche per i laburisti, cioè per tutti i sionisti, Israele deve continuare a conservare gli stessi confini raggiunti dopo la guerra del 1967 (la risoluzione 242 dell’ONU sancisce invece che lo stato ebraico deve ritornare ai confini di prima del 1967). Così lo stato dei palestinesi, se mai sorgerà, sarà costituito dall’8% della loro patria storica e verrà racchiuso, col Muro dell’Apartheid, dentro il territorio israeliano. Esattamente la stessa cosa che stava succedendo ai bantustans neri entro la Repubblica Sudafricana di De Clerck e soci razzisti. La lotta sionista è sempre stata la lotta per prendere la terra dei palestinesi, senza i palestinesi e l’anomalia tutta israeliana, che cioè i due partiti, il laburista e il likud, sia in alternanza al governo sia più spesso uniti, pratichino la stessa identica politica di pulizia etnica e di discriminazione contro i palestinesi prova che questi partiti hanno buttato alle ortiche i principi di uguaglianza tra tutte le persone ed agiscono discriminando in base alla razza e la religione delle persone che vivono in Palestina. Fanno questo in nome degli interessi supremi della nazione ebraica e dello stato-nazione sionista. Come può Israele aspirare a diventare un paese normale?! Come può la comunità internazionale definire Israele uno stato « democratico » e accoglierlo nel suo seno permettendogli di fare tutto ciò che vuole?! In realtà quando l’Occidente parla di « comunità internazionale » intende solo se stesso. La vera comunità delle nazioni non ha mai veramente e in modo democratico e rappresentativo sancito la nascita di Israele. La risoluzione sulla spartizione della Palestina, la 181, fu imposta ai palestinesi quando l’ONU era costituito da soli 56 paesi [oggi sono 191] e fu votata a maggioranza ristretta da paesi che nel 1947 non rappresentavano più del 18% della popolazione mondiale di allora. (radioislam.org)
Posted on: Tue, 05 Nov 2013 22:43:27 +0000

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