Siria • Intervenire: e dopo? Il precedente della Libia, fino - TopicsExpress



          

Siria • Intervenire: e dopo? Il precedente della Libia, fino al Mali Il copione maledetto è già scritto e non lascia ben sperare di Anne-Cécile Robert, Giornalista Di Le Monde Diplomatique Tutto lascia pen­sare che gli Stati Uniti, soste­nuti in par­ti­co­lare dalla Fran­cia, pre­ve­dano un inter­vento mili­tare in Siria. La guerra civile che da due anni deva­sta il paese avrebbe cau­sato 100.000 vit­time, tra cui nume­rosi civili. Washing­ton potrebbe bom­bar­dare, in modo mirato, alcuni siti mili­tari di Bashar Al Assad, uti­liz­zando alcune navi posi­zio­nate nel Medi­ter­ra­neo. Se è vero che i cri­mini com­messi in Siria sono par­ti­co­lar­mente gravi, dal momento che si parla dell’uso di armi proi­bite (le armi chi­mi­che) e che la situa­zione uma­ni­ta­ria è intol­le­ra­bile per le popo­la­zioni, come risol­vere il con­flitto in un modo che metta ter­mine alle con­ti­nue vio­lenze, ma che man­tenga gli equi­li­bri regio­nali, già molto fragili? Il pre­ce­dente inter­vento dell’Alleanza Atlan­tica, (Nato), intra­preso con l’autorizzazione del Con­si­glio di sicu­rezza delle Nazioni unite (Onu), in Libia nel 2011, invita infatti alla pru­denza. Il paese si è senza dub­bio libe­rato di un dit­ta­tore assas­sino ma la desti­tu­zione di Muam­mar Ghed­dafi ha anche con­tri­buito a dif­fon­dere degli arma­menti offen­sivi in tutto il Sahel. Una parte di que­ste armi da guerra, insieme alle truppe smo­bi­li­tate dopo la caduta della Guida, sono diven­tate stru­menti per la desta­bi­liz­za­zione del Mali nel 2012, obbli­gando la «comu­nità inter­na­zio­nale» (in que­sto caso Parigi) a una nuova ope­ra­zione mili­tare nel con­ti­nente all’inizio del 2013. Il copione male­detto è quindi già scritto e non lascia ben spe­rare: agire in Siria cree­rebbe le con­di­zioni per una nuova crisi che por­te­rebbe a sua volta a delle tra­ge­die uma­ni­ta­rie e poi a un nuovo inter­vento armato… Che si tratti della guerra por­tata avanti dalla Nato con­tro la Ser­bia nel 1999 o quella degli Stati Uniti con­tro l’Iraq nel 2003, le «guerre uma­ni­ta­rie» non hanno dato risul­tati con­vin­centi a lungo ter­mine: la situa­zione regio­nale nel Kosovo resta deli­cata men­tre l’Iraq è piom­bato in un caos pro­fondo e violento. Para­dos­sal­mente, sem­bra che que­sta que­stione (quali equi­li­bri geo­po­li­tici dopo un’azione inter­na­zio­nale in Siria?) non pre­oc­cupi molto le grandi potenze, for­te­mente col­pite (come è com­pren­si­bile) dalle imma­gini di cada­veri di bam­bini, pro­ba­bili vit­time di veleni chi­mici. Gli Stati Uniti del resto hanno annul­lato l’incontro pre­vi­sto nei Paesi Bassi con la Rus­sia, incon­tro il cui obiet­tivo era pro­prio quello di tro­vare una solu­zione poli­tica alla crisi. L’eventuale ricorso ai bom­bar­da­menti rende futile qual­siasi discus­sione. Tut­ta­via, se ci sarà un inter­vento mili­tare, esso avrà un «dopo», per il quale sarà neces­sa­rio un accordo tra le grandi potenze, tra cui Mosca e Pechino. Il dia­logo dovrà dun­que riprendere. Dall’inizio della guerra civile in Siria nel 2011, ascol­tiamo spesso la voce delle grandi potenze mem­bri del Con­si­glio di sicu­rezza (Stati Uniti, Fran­cia, Rus­sia, Cina e Regno Unito), così come quella dell’Iran, soste­ni­tore fedele di Assad. Ma si sa poco del fatto che il Bra­sile e il Sud Africa, grandi paesi emer­genti, si sono dichia­rati ostili a qual­siasi inter­vento armato e chie­dono il rispetto della carta delle Nazioni unite. Quest’ultima vieta, come sap­piamo, il ricorso alla forza nelle rela­zioni inter­na­zio­nali (salvo in caso di legit­tima difesa o di auto­riz­za­zione da parte Con­si­glio di sicu­rezza) e rac­co­manda la riso­lu­zione paci­fica dei con­flitti, dal momento che la pace è con­si­de­rata un valore supremo. Dal 2011, l’Onu ha auto­riz­zato tre azioni mili­tari occi­den­tali, in Libia, Costa d’Avorio e Mali, in nome di impe­ra­tivi uma­ni­tari. Nel caso della Siria, il veto di Mosca (e di Pechino) rende alta­mente impro­ba­bile una tale auto­riz­za­zione. Ma sem­bre­rebbe che Washing­ton, con il soste­gno attivo di Parigi, sia dispo­sto a fare a meno di que­sta carta pre­ziosa. Lo stesso segre­ta­rio gene­rale dell’Onu lascia che la pres­sione con­tro il régime siriano aumenti senza pro­porre pro­spet­tive poli­ti­che né ricor­dare agli Stati mem­bri dell’Onu, al di là delle loro inten­zioni imme­diate, i loro obbli­ghi riguardo al man­te­ni­mento a lungo ter­mine della pace nel mondo. Agire senza l’avallo del Con­si­glio di sicu­rezza, come nel 1999 in Kosovo, rischia di tur­bare ulte­rior­mente uno sce­na­rio inter­na­zio­nale dove regna sem­pre di più l’anarchia. Ricor­diamo che nel 1999, Mosca aveva usato l’intervento della Nato per giu­sti­fi­care la san­gui­nosa repres­sione della ribel­lione cecena… in que­sto gioco, sono sem­pre i paesi più potenti, i più ric­chi e i meglio armati che vin­cono. L’ordine inter­na­zio­nale auspi­cato dai redat­tori della carta delle Nazioni unite rischia forse di essere sepolto a van­tag­gio di una nuova legit­ti­ma­zione teo­rica del ricorso alla forza nelle rela­zioni inter­na­zio­nali? A quando una rifles­sione di ampio respiro sui nuovi equi­li­bri geo­po­li­tici neces­sari al man­te­ni­mento (o alla ricerca) della pace nel mondo?
Posted on: Thu, 29 Aug 2013 05:48:43 +0000

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