[Te Deum de Calabresi] Ferdinando I di Borbone sale al trono - TopicsExpress



          

[Te Deum de Calabresi] Ferdinando I di Borbone sale al trono nel 1759, all’età di otto anni. Il padre Carlo III, assunta la corona di Spagna, lascia al figlio il regno di Napoli dopo averlo conquistato, reso indipendente e governato con saggezza. A causa della minore età del re il potere viene affidato a un Consiglio di reggenza guidato dal giurista Bernardo Tanucci. Questi, di estrazione borghese, colto e illuminato aveva seguito a Napoli Carlo III di passaggio per Firenze. Il nuovo sovrano resta fuori dalle guerre europee ed attiva un processo riformatore nei vari settori della vita pubblica. Con opportuni provvedimenti legislativi lo Stato viene trasformato in senso laico ed incomincia a liberarsi della grave cappa medievale dei privilegi baronali e di quelli della Chiesa. Con Carlo III Napoli diventa una città europea e vede fiorire una scuola illuministica che compete con quella di Parigi e di Milano. Ma i sommovimenti culturali e politici di Parigi prima, e la Rivoluzione francese dopo, bloccano il processo riformatore. La Rivoluzione fa tremare la Corona. Il Tanucci viene allontanato e al suo posto arriva Lord Acton, che fino a quel momento aveva organizzato con successo la Regia marina e l’esercito. Questi in poco tempo diventa il vero arbitro della politica del Reame, vuoi per i suoi rapporti intimi con la regina Maria Carolina, vuoi per la debolezza del Re, amante dei divertimenti grossolani e poco incline ad occuparsi dei problemi dello Stato. Il potere a Napoli è nelle mani d’un gruppo ristretto: la regina Maria Carolina, Lord John Acton, Lady Hamilton e l’Ammiraglio Horatio Nelson. Col cambio della linea politica del Re si ferma il processo riformatore ed incominciano le persecuzioni di massoni, riformisti e giacobini. Alla politica antifrancese e conservatrice di John Acton e del gruppo, guidato dalla Regina, si oppongono uomini di cultura riformatrice e liberale che organizzano sommosse ed insurrezioni. L’esecuzione a Parigi della Regina Maria Antonietta diventa un incubo per la sorella Maria Carolina, ed il Re, sempre più schiavo della moglie, autorizza una vasta e spietata repressione di liberali, patrioti e massoni. Esecuzioni sommarie, carcere duro ed esilio per gli oppositori. Nel 1799, approfittando della presenza dell’esercito francese a Napoli, i giacobini prendono il potere e proclamano la Repubblica. Alla guida troviamo uomini d’ingegno, come il giurista Mario Pagano. L’intento della nuova classe dirigente è quello di riformare lo Stato in senso liberale. Ma il governo repubblicano, in sostanza sotto il controllo francese, con i primi provvedimenti sbagliati, si aliena l’appoggio popolare. Certo ha influito l’inesperienza dei patrioti dotati di cultura illuministica ma privi di conoscenza dei problemi reali del popolo oppresso e affamato. In questo contesto ha buon gioco il cardinale Fabrizio Ruffo che scende in Calabria e da Scilla organizza l’esercito della Santa Fede alla cui testa risale la penisola combattendo francesi e repubblicani. Conquista Napoli con l’appoggio dei lazzari e della plebe rimasta sempre fedele al Re e alla Chiesa. Il Cardinale vincitore, con grande tatto politico, offre ai rivoluzionari una resa onorevole che dopo però non viene rispettata per l’intervento sulla Monarchia dell’ammiraglio Nelson, amante di Lady Hamilton molto influente sulla Regina. Tutti i capi repubblicani, liberali e massoni vengono arrestati; seguono immediatamente i processi sommari; 123 vengono mandati al patibolo, centinaia incarcerati ed esiliati. Questa carneficina inutile segna un divorzio tra la borghesia moderata e liberale e la dinastia dei Borbone. E certamente qui va ricercata la crisi irreversibile del Regno delle due Sicilie. In questo contesto storico si colloca Il “ Te Deum “ dei Calabresi del poeta Gian Lorenzo Cardona, nato a Bella in Lucania nel 1743, vissuto a Napoli dove fece parte del movimento giacobino assieme ad una elite culturale di estrazione nobiliare e borghese. Col gruppo giacobino napoletano condivise i sogni di libertà, le congiure, le cospirazioni, le speranze nel breve periodo repubblicano, e poi la sconfitta per opera dei sanfedisti del cardinale Ruffo. Ha assistito impotente e atterrito alla carneficina voluta dall’ammiraglio Nelson. Il “ Te Deum “, nella liturgia cattolica, è l’inno di ringraziamento dei fedeli a Dio creatore onnipotente. Nel canto gregoriano raggiunge vette artistiche di sublime poesia. Non solo le creature umane e terrestri, ma anche i Cori angelici tutti elevano il loro ringraziamento all’Altissimo. L’inno veniva e viene eseguito ancora in circostanze importanti per la vita politica e civile della collettività. Il Cardona, segue apparentemente la tradizione. “Granni Deu, a tia laudamu / Ed a ti ani cunfessamu / Tu crijasti da lu nenti / Celi, Stiddi e Firmamenti; /Terri, Mari, Pisci, Auceddi, /Omu forti e donni beddi; /E pe ta summa crimienzia / Tu ni dai la pruvidenzia” . I cori angelici e gli uomini tutti innalzano a Dio le loro lodi. A questo punto i versi del Cardona assumono un aspetto dissacratorio e satirico verso un Dio potente che consente che il male trionfi, premia i malvagi e sacrifica i buoni. Nel lettore si presenta l’antica domanda che troviamo per la prima volta nel libro di Giobbe: perché Dio premia i cattivi e punisce i buoni? Ma il poeta non s’interroga, si serva della satira e dell’ironia per demolire la presenza d’un Dio buono e provvidente. Cita il Vecchio e il Nuovo Testamento per demolire l’apparato teologico e dogmatico cristiano. A differenza di Arrigo Boito che fa professione di fede in un Dio crudele Cardona sembra intenzionato a demolire la stessa esistenza di Dio. Ironizza sulla promessa di salute eterna per i poveri e perseguitati; irride sulla imperscrutabilità divina. La satira diventa sarcasmo ed invettiva quando dal Re celeste si passa a quello di Napoli e ai responsabili della dura repressione dei patrioti napoletani del 1799. Il Cardona individua una delle responsabili in Lady Hamilton, la bella cortigiana di facili costumi, animatrice di feste e banchetti, centro di ogni intrigo di Corte e amante del Conte Acton prima e dell’ammiraglio Nelson dopo. “ Na Srufazza furasteri / veni scalza ed alla nura ; / ‘Nu Signori Cavalieri / Ciuccia ciuccia s’innamura, /La manteni cu li cocchi; / si fa futtari da tutti / Viva Deu di Sabautti./ Il Nelson si serve proprio di Lady Emma Liona Hamilton per convincere la regina Maria Carolina a non rispettare le condizioni di resa pattuite dal cardinale Fabrizio Ruffo con i capi repubblicani assediati. Cardona scrive la seconda parte del canto nel 1800. I suoi strali, anzi il suo disprezzo è rivolto ora alla Liona, ritenuta responsabile dei patti non mantenuti. “..Ma ‘na scrufa ni spugghiai, / Si pascii di carni umana, Spugghiai banchi, chiesi e chiostri; nun trattai che furii e mostri,/ Spira tossicu e binnitta, / nì li scagghi ‘na saitta “. Ridicolizza le Scritture dove affermano che Dio al termine della creazione fece l’uomo a sua immagine somiglianza. “ Tu che l’omini facisti / tali e quali com’ a tia / E che dopu ti pentisti / d’avi fattu sta ginia ; /Po’ criasti li Niruni, /Li tiranni a milioni / Ed a quisti ti assumigghii? / Che beddizzi! Che cunsigghi! “ Dissacra il peccato originale, la redenzione per i soli battezzati e la giustizia di Dio che trasmette la colpa d’Adamo a tutto il genere umano. “ La justizia tui severa / Tutti l’omini ha futtutu. Ma ‘ntra tanti milioni / c’hai ridenti, tu pirduni / Quiddi picchi vattiati,/ Confessati…uh, che pietati” . Ironizza sul popolo eletto che ha crocifisso Cristo e sull’alleanza del Trono con l’Altare per mantenere lo status quo. “ Nui cridimu a tempi nostri / Che l’aletti su li mostri: / ‘Na scrufazza che ci accidi / Lazzaroni e Santafidi “. Dopo avere demolito i pilastri della dottrina cristiana Cardona lancia l’affondo finale. Colpisce al cuore l’apparato dogmatico della fede cattolica, cioè il Credo, professione di fede dei cristiani.” Nui cridimu firmamenti / Che sit’unu e siti trii / Tutti trii onnipotenti, / Unu Deu non già tri Dii. / Diciarannu li marmotti, / Ch’è nu jocu a bussolotti; / Nui pirò strillami tutti; / Viva Deu di Sabautti. / Il poeta vive in un periodo di grandi rivolgimenti culturali e politici. L’alleanza del Trono con l’Altare blocca anche a Napoli ogni anelito di libertà. Il popolo ignorante e affamato sta con i Borbone anche per gli errori dei francesi e dei liberali napoletani durante la breve vita della Repubblica. Cardona sa bene che per preparare tempi nuovi occorre demolire la monarchia borbonica e quella papale. Questo è lo scopo del Te Deum scritto in dialetto per renderlo accessibile ad un popolo ancora quasi completamente analfabeta. Bruno Chinè youtube/watch?v=9fC8bPrtMwI
Posted on: Mon, 28 Oct 2013 14:29:59 +0000

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