Tutte le leggi ad personam della sinistra 0 19 settembre 2013 by - TopicsExpress



          

Tutte le leggi ad personam della sinistra 0 19 settembre 2013 by Eugenio Cipolla Vent’anni dopo sono ancora tutti lì. A destra, a sinistra, al centro. Persino i rivoluzionari sono gli stessi. Hanno solo cambiato colore, passando da uno sgargiante verde a un oro stellato. Davvero, non manca proprio nessuno. E ieri Silvio Berlusconi lo ha ampiamente dimostrato. Non solo lui con il suo videomessaggio di sedici minuti e tante ripetizioni, ma anche i suoi nemici, i suoi detrattori, i suoi avversari. Tutti a dire le stesse cose di vent’anni di fa, esponendo teorie logore e banali, riproponendo sempre la solita minestra sull’imprenditore furfante sceso in politica appositamente ed esclusivamente per difendersi dai processi (quali non si sa, visto che prima del 1994 Berlusconi e le aule di giustizie non si conoscevano), capace solo di affossare il paese e partorire leggi ad personam. Già, le leggi ad personam. Come se dall’altra parte non ne avessero mai tirata fuori neanche una, come se la storia, l’unica a raccontarcela giusta, fosse stata assassinata, occultata e sepolta per propagare una verità diversa. Lo sa bene Marco Travaglio, bravo a raccontare la realtà del suo piccolo mondo, quello dove si è rinchiuso dopo il fulminante incontro con Montanelli, eccezionale nel fare l’elenco delle leggi ad personam, o presunte tali, fatte dai governi Berlusconi. Dimenticandosi, appunto, forse pure troppo spesso, di tutte quelle varate in questi anni dalla sinistra per agevolare personaggi più o meno vicini all’universo post-comunista. Ultima, ma solo in ordine cronologico, “la legge Severino”, votata in maniera bipartisan da Pd e Pdl sull’onda emotiva degli scandali dei gruppi consiliari in varie regioni italiane. Un mostro giuridico che non solo nasconde profili di incostituzionalità, ma che ha di fatto salvato l’ex braccio destro di Pier Luigi Bersani, Filippo Penati, da un processo per concussione, dato che abbrevia i termini di prescrizione proprio per quel reato. Eppure ce l’hanno propinata come una legge giusta, necessaria e urgente. Un po’ come successe nel dicembre del 1972 con la cosiddetta “legge Valpreda”, varata dal governo Andreotti dopo un’incessante campagna mediatica promossa da un vastissimo movimento d’opinione che, su input delle sinistre, si era mobilitato in favore di un artigiano anarchico, meglio noto come Pietro Valpreda. In carcere per la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, beneficiò di un provvedimento che disponeva la concessione della libertà provvisoria anche a coloro che erano imputati per reati gravissimi. Una robetta da niente, insomma. Bazzecole – si dirà – rispetto a un Lodo Alfano, alla legge Cirami o alla ex Cirielli. O perché no alla “legge Sofri”, approvata da un Parlamento a maggioranza centrosinistra l’11 novembre 1998, all’indomani del respingimento dell’istanza di revisione delle condanne di Sofri, Bompressi e Pietrostefani per il delitto Calabresi. Proprio grazie a quella legge, in caso di revisione del processo disposta dalla Corte di Cassazione, essa sarebbe potuta avvenire in una Corte d’Appello diversa da quella cui apparteneva il giudice di merito, se coinvolto nell’indagine preliminare o nella sentenza di condanna. Fu tutto vano, però. Così come la proposta, sempre di quel periodo, contenuta in un disegno di legge firmato da alcuni senatori dell’Ulivo (nello specifico Ersilia Salvato, Luigi Manconi e Cesare Salvi, ndr) che prevedeva una modifica dell’articolo 176 del codice penale. “Il condannato alla reclusione può essere ammesso alla liberazione condizionale quando siano trascorsi più di 20 anni dal fatto per il quale è stato condannato, sempre che in libertà, ovvero durante il tempo di esecuzione della pena, abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere insussistente il pericolo che commetta altri reati”, si leggeva la proposta di cui, per puro caso, avrebbero beneficiato proprio Sofri, Bompressi e Pietrostefani. Ma la più grossa la fece senza dubbio il governo Prodi nell’estate del 1997 (ministro di Grazia e Giustizia, Giovanni Maria Flick, ndr), quando con la sponda dell’Ulivo promosse e approvò l’abrogazione dal codice penale dell’abuso d’ufficio non patrimoniale. Legge che, guarda caso, riguardava proprio Romano Prodi, presidente del Consiglio, e Claudio Burlando, ministro dei Trasporti, indagati per quell’odioso reato. Risultato: Prodi uscì indenne da un’inchiesta contornata da molti punti oscuri, fu prosciolto, evitando il rinvio a giudizio, e continuò la sua brillante carriera politica. Identica sorte toccò al dalemiano Burlando, per il quale i magistrati annunciarono addirittura la sospensione del procedimento che lo riguardava in attesa delle decisioni del Parlamento Sovrano (solo col centrosinistra). Esilarante, insomma. Soprattutto se si pensa che il trio di governo Prodi-Burlando-Flick era accomunato dal fatto che quest’ultimo, allora Guardasigilli e dunque direttamente chiamato in causa nel momento di controfirmare la legge, era stato l’avvocato difensore dei primi due. Stupefacente alla stessa maniera del decreto con cui il ministro Oliviero Diliberto, l’anno successivo, rinviò di sei mesi l’incompatibilità nella funzione di Giudice per l’udienza preliminare, chiamato a decidere se archiviare un’inchiesta o rinviare a giudizio, di un medesimo Giudice delle indagini preliminari, se nel corso di queste avesse disposto custodie cautelari. L’incompatibilità sarebbe dovuta entrare in vigore il 2 giugno ’99, ma il governo D’Alema la posticipò al gennaio del 2000. Perché altrimenti il Gip di Milano, Alessandro Rossato, proprio quello del processo Imi Sir, sarebbe divenuto incompatibile e non avrebbe potuto decidere come Gup il rinvio a giudizio di Berlusconi, che venne nel novembre. E anche qui, sia chiaro, sono solo coincidenze.
Posted on: Fri, 20 Sep 2013 21:04:30 +0000

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