UN MARE…DI SUPERSTIZIONI La paura dell’ignoto, degli - TopicsExpress



          

UN MARE…DI SUPERSTIZIONI La paura dell’ignoto, degli insondabili segreti celati negli abissi e in quella sconfinata distesa d’acqua che circonda il pianeta, ha generato sin dagli albori della navigazione una fitta serie di credenza e superstizioni. Per secoli miti e leggende sono stati tramandati a colmare col soprannaturale, quel vuoto che la razionalità ancora non riusciva a riempire. Stregonerie, esorcismi, rituali pagani e religiosi erano il pane quotidiano di capitani e marinai sempre attenti a non sfidare le regole della fortuna e a ingraziarsi con riti propiziatori la benevolenza degli elementi. Ecco allora che una tromba d’aria in avvicinamento all’orizzonte poteva essere “tagliata” con una spada e deviata recitando una preghiera o una formula magica; le onde si placavano mettendo in mostra seni nudi di una polena, o facendo scoccare in acqua dal più giovane dei marinai una freccia magica. Figuriamoci cosa accadeva in occasione di fenomeni non proprio all’ordine del giorno come i fuochi di Sant’Elmo (scariche elettro luminescenti dovute a particolari campi elettrici), il passaggio di una cometa o la comparsa di un miraggio: presagi di morte, di disgrazia, forse ingannevoli o positive a seconda dell’interpretazione che per tradizione se ne dava. E non ci si limitava a guardare al cielo e tra le onde. Se uno squalo per esempio seguiva la scia di una nave era di cattivo auspicio perché si credeva fosse in grado di fiutare l’odore della morte. Gabbiani e albatross erano a loro volta l’incarnazione dei marinai morti in mare e portatori di tempeste. Guai a fargli del male: avrebbe significato naufragio sicuro. Così se tre uccelli si trovavano a volare sopra la nave in direzione della prua, l’equipaggio si disperava per l’imminente disgrazia da questi annunciata. Peggio ancora se un cormorano si posava sul ponte di una nave e scuoteva le ali: era lì per rubare l’anima a qualcuno! Diversamente i delfini e le rondini erano di buon auspicio e anche il gatto a bordo aveva una posizione di privilegio. Ma esauriti tutti gli esperimenti scaramantici contro agenti atmosferici e animali, per il povero marinaio superstizioso l’insieme di precetti anti-iella non erano finiti. Bisognava vedersela anche con le persone. Non ci poteva essere cosa peggiore infatti di incontrare, prima di salpare sulla strada del porto, una persona coi capelli rossi, strabico o con i piedi piatti. Se questi gli avesse rivolto la parola per il vascello sarebbe stata la fine. E chi partiva più? L’unico modo di esorcizzare questo influsso malefico era in extremis di parlargli prima che questo sfortunato dai capelli rossi, strabico o con i piedi piatti, potesse avere qualcosa da dire. Stessa sorte per chi sulla via del mare incontrava un avvocato, categoria da sempre detestata dai marinai, in particolare da quelli inglesi che li chiamavano spregevolmente “Iandsharks”, squali di terra. Anche i preti erano tenuti alla larga dalle imbarcazioni: averne uno a bordo avrebbe rappresentato infatti un’aperta sfida a Satana. Anche streghe e fattucchiere erano tenute da conto dai naviganti, disposti a elargire fior fiore di quattrini piuttosto che farsi perseguitare dal malocchio. A bordo poi non dovevano esserci donne. Portava male. Secondo alcune tradizioni però una donna nuda, o incinta poteva placare anche la più terribile delle tempeste. Infine non potevano essere imbarcate spoglie di persone morte. Anche se a poche miglia dal porto, i cadaveri dovevano essere sempre tassativamente offerti al mare. Stare al passo con tutte queste regole doveva essere difficile per chi viveva diversi mesi l’anno in mare. I marinai non potevano neanche tagliarsi i capelli o le unghie in navigazione. Un’accorciatina era concessa in caso di offerta votiva verso il mare in tempesta ed era possibile dedicarsi a un po’ di manicure soltanto nelle notti di luna piena. Assolutamente di malasorte era quindi indossare gli abiti di un altro marinaio, soprattutto se morto nel corso dello stesso viaggio. Ognuno aveva i propri e solo quelli. Se un marinaio parlava troppo era malvoluto, se fischiava probabilmente finiva in mare dopo un paio di giri di chiglia. Inglesi e francesi avevano però una loro teoria: fischiare piano in caso di bonaccia portava il vento, quindi in quei casi e solo in quelli, si poteva fare un’eccezione. Bisognava poi assolutamente evitare di fare cadere fuori bordo un bugliolo o una scopa, di imbarcare un ombrello, bagagli di colore nero, fiori, ed era vietato guardare alle proprie spalle quando si stava lasciando un porto. Quindi non si potevano pronunciare le parole “verde”, “maiale”, “uovo”, “tredici”, “coniglio” e parlare di una nave “affondata” o di qualcuno “annegato”. In certe situazioni bisognava usare delle locuzioni standard come quella degli inglesi che, per dire che un uomo era scomparso in mare, dicevano che era finito nella cassa di Davy Jone (figura demoniaca che raccoglieva le anime delle persone morte in mare). Per i poveri marinai un paio di scarpe lasciate con la suola verso l’alto valevano chissà quale punizione: somigliavano a una nave capovolta e questo, tanto per cambiare, portava male. Accendere una sigaretta da una candela, anche al pub, significava condannare un marinaio a morte, gettare un sasso fuoribordo, sulle onde, inimicarsi il mare, salire a bordo di una nave col piede sinistro equivaleva a un malocchio e così poggiare una bandiera sui pioli di una scala o ricucirla sul cassero di poppa. Bisognava poi evitare il suono prodotto dallo sfregamento del bordo di un bicchiere o di una tazza e il rintocco di una campana mossa dal rollio. Era invece di buon augurio per un marinaio avere un tatuaggio, lanciare un paio di scarpe fuori bordo immediatamente dopo il varo di una nave, indossare un orecchino d’oro (utile a coprire le spese di sepoltura qualora il marinaio fosse deceduto), e toccare, prima di imbarcarsi, il bavero di un altro marinaio. Con la diffusione del cristianesimo chi viveva di commerci e di superstizioni ebbe un bel daffare anche a scegliere solo il giorno in cui partire. Una nave infatti non doveva cominciare un viaggio di venerdì perché era il giorno in cui Cristo era stato crocifisso. Allo stesso modo, non si potevano mollare gli ormeggi il primo lunedì di aprile perché coincideva con il giorno in cui Caino uccise Abele. Anche il secondo lunedì di agosto era meglio restare in porto: in quel giorno Sodomia e Gomorra furono distrutte. Partire il 31 dicembre era altrettanto di cattivo auspicio perché era il giorno in cui Giuda Iscariota s’impiccò. Cose d’altri tempi? Non proprio. Ne è un esempio il celebre velista Olivier de Kersauson che non molti anni fa rinunciò a prendere il largo di venerdì col suo maxi cat Geronimo per uno dei suoi tentativi di record oceanici: questo malgrado le ottime condizioni meteo. Il pallino per la superstizione di chi va per mare non accenna a svanire neppure oggi. E se non è per superstizione è per scaramanzia. Come un tempo oggi la parola “coniglio” è bandita dal vocabolario marinaresco, così come il verde è considerato da molti un colore da non utilizzare. Articolo tratto dalla rivista “Bolina"
Posted on: Mon, 02 Sep 2013 10:58:40 +0000

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