UNA LACRIMA MI HA SALVATO-. Angèle Lieby, per la prima volta in - TopicsExpress



          

UNA LACRIMA MI HA SALVATO-. Angèle Lieby, per la prima volta in Italia, ha narrato la sua incredibile vicenda domenica alla trasmissione Angèle è stata salvata da una lacrima. La sua vicenda è quella di una persona che, solo grazie a una casuale lacrima, ha scampato la morte, ma è anche una forte denuncia della nostra cultura occidentale, spesso troppo frettolosa nel “liquidare” quelle vite che non si ritengono meritevoli di cure. “Sono l’unica donna al mondo che ha potuto leggere il preventivo del suo funerale”, ha scherzato Angèle. Ma ha anche aggiunto che ciò che la ha salvata è stata certamente la sua volontà di vivere, ma anche l’amore dei suoi cari e la sua fede” La storia di Angèle, 57 anni, operaia, inizia il 13 luglio 2009. Si reca all’ospedale di Strasburgo, ne discute con i medici che «non capiscono nulla». Non si sente bene, inizia a parlare con difficoltà, fatica a respirare, perde conoscenza. Una diagnosi sciagurata porta i dottori a decidere di intubarla e lasciarla cadere in coma farmacologico. Un coma dal quale, apparentemente, Angèle non si risveglierà mai più. La donna è ormai un vegetale, per la disperazione dei parenti, il marito Ray e la figlia Cathy, già madre di due bambine. Ma questo è solo ciò che si vede. In realtà, Angèle sente tutto, sebbene – come racconta oggi – non riesca a vedere nulla. Intorno a lei è solo nero. È solo buio. Raccontando quei giorni, in cui attorno al suo capezzale si riuniscono i cari e i medici: “Devo sentire tutto per capire cosa succede”. Capisce di essere attaccata a una macchina, intuisce di essere alimentata da un sondino. Soprattutto comprende che i medici la danno per spacciata. Dopo tre giorni di coma in cui il suo corpo subisce continui peggioramenti, il 17 luglio un medico – che lei ironicamente soprannomina “dottor Sensibilità” – consiglia al marito di prenotarle un posto al camposanto e di iniziare a contattare le pompe funebri. È meglio intendersi per tempo sulle misure della bara. Angèla sente tutto. Cerca di urlare, ma la sua è una voce muta. Si accorge che il marito le tiene la mano, ma non ha forza per fare alcun cenno. Si accorge e prova dolore quando i dottori le pinzano un seno, ma non può farlo intendere a chi “sta fuori: “Quello che provo non corrisponde a ciò che trasmetto”. I medici si fanno sempre più insistenti col marito. Ormai la situazione è disperata, “occorre staccare la spina”. Un consiglio cui Ray si oppone («non accetteremo mai»), mentre Angèle recita il Padre Nostro. Il 25 luglio, anniversario del suo matrimonio, entra nella sua stanza Cathy che le rivela di aspettare il terzo figlio e che desidererebbe tanto che la nonna potesse almeno vederlo. È a quel punto che accade l’inaspettato. Dagli occhi di Angèle sgorga una lacrima. Una sola lacrima che consente alla figlia di avvertire i dottori. Poi il movimento di un mignolo. In quel corpo imbalsamato c’è vita. Da quel momento, Angèle “rinasce”. Studi più approfonditi su quel corpo, che fino a pochi istanti prima appariva solo come un cadavere, rivelano che soffre della sindrome di Bickerstaff. La rieducazione, il periodo che la porta fino alla completa guarigione, è lungo e faticoso. Il marito la assiste con costanza, annotando su un quaderno i progressi. Intanto lei impara lentamente a far comprendere i suoi sentimenti; una pallina regalatale dal coniuge l’aiuta a riacquistare la mobilità degli arti. Il 14 agosto, per la prima volta, esce dal letto. Lenti progressi le consentono di diventare sempre più indipendente dai macchinari: reimpara a parlare, a deglutire, a relazionarsi con gli altri. Il 30 gennaio 2010 è a casa. Il 20 marzo, primo giorno di primavera, esce all’aria aperta. La sua vicenda le ha insegnato che «bisogna saper superare le proprie sofferenze e avere fiducia nella vita. Se oggi mi sento più fragile del solito, domani posso avere la fede di riuscire a superare le montagne». Buon pomeriggio a tutti. DonSa
Posted on: Sun, 17 Nov 2013 16:00:46 +0000

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