UNA SECONDA CHANCE 1 Ogni volta che scendo a passeggiare in - TopicsExpress



          

UNA SECONDA CHANCE 1 Ogni volta che scendo a passeggiare in Khreschatyk Street, provo la stessa sensazione: sono vecchio. Le ragazze hanno le gambe lunghe e magre e le scarpe col tacco. Le fisso negli occhi verdi o azzurri, non abbassano lo sguardo. A volte sorrido, raramente faccio un complimento. Ne sono felici, sono fiere della loro gioventù, seduttrici nate. Eppure la loro bellezza è sfolgorante e breve, come le estati qui a Kiev. Vogliono godersela, in fondo sono nate dopo l’indipendenza, sono cresciute nel più sfrenato materialismo, dove i più forti hanno tutto e i deboli niente. Andando verso piazza Maidan, ci sono tre chioschi di gelati. Tra un chiosco e l’altro, la notte i barboni dormono accanto ai loro fagotti. Ora è sera, una babushka vende frutti di bosco dentro bicchieri di plastica. Le lascio pochi Grivnia, mi fa un sorriso sdentato. Mi sono sentito vecchio fin dalla prima volta, tre estati fa. Eppure avevo 48 anni, non troppi per corteggiare una ragazza, almeno qui a Kiev. Ma allora non lo capivo. Mi ripetevo che la mia vita era finita, che non potevo più aspettarmi nulla. Pavel Kisselyov era soltanto il nome di uno dei tanti oligarchi di questo strano paese e io un avvocato di mezz’età. Paola e Giulio erano morti da più di un anno. Io ero vivo, ma morivo lentamente insieme a loro, giorno dopo giorno. Continuavo a lavorare, in uno stato di trance permanente. Cercavo di andare avanti come prima, ma niente era più come prima - e non lo sarebbe mai più stato. La vita è sempre unica: quella di una farfalla come la nostra. A volte, scorre serena. Più spesso è una lotta. Qualche volta, tutto cambia in un istante. La mia vita era stata sconvolta: in un istante, ero rimasto solo. Il come è talmente banale da non meritare commenti: un macchinista ha spinto il treno a 190 km/h in un tratto dove doveva andare a 80. Il perché non lo conosco. Del resto, sono troppo colto per non pensarla come Galileo sull’inutilità di cercare i perché. Sono rimasto solo, chiuso nel dolore. Nessuno ha il monopolio del dolore e basta ascoltare gli altri per comprendere che non c’è vita senza sofferenza. Essere solo a 48 anni: tardi per rifarsi una vita, presto per dedicare al ricordo gli anni che mi restano. Non credo in Dio, ma Paola e Giulio ci credevano: andavano a Santiago de Compostela in una sera d’estate e sono morti prima di arrivare. A volte mi domando se le vittime siano loro o se invece siamo noi, rimasti a piangerli. Ma non è una domanda a cui possa rispondere, è il mistero della vita. Della vita e della morte, perché non cè luna senza laltra. La solitudine era una bolla di sapone che mi aveva inghiottito: vedevo il mondo, ma non potevo più farne veramente parte. Mi giungeva leco della vita, come un rumore di fondo che non mi lasciava riposare, come il canto delle sirene, dolcissimo e irreale. Poi, una sera di luglio, è giunta la telefonata di Kisselyov. La vita è così: fino all’ultimo respiro tutto può cambiare. 2 “Avvocato, ho in linea un signore che parla inglese. Non ho capito il cognome”. “Passamelo, Erika”. “Good evening, my name is Pavel Kisselyov. I’ve got your number from the Nepali Ambassador in Moscow, Mr. Gurung”. Kiran Gurung, il mio migliore amico. Non lo vedo da vent’anni. Ascolto la storia di Kisselyov in piedi, guardando fuori dalla finestra. Mi parla lentamente, con una voce bassa, profonda. Il suo inglese è perfetto. Mi racconta di avere un problema in Italia. Il suo avvocato lo sta ricattando. Vuole un avvocato indipendente, onesto e capace. Kiran gli ha parlato di me, così ha deciso di chiamarmi. “Could you come to Kiev on Wednesday?” E’ venerdì. Apro l’agenda, anche se so che non ho più udienze fino a settembre. Gli chiedo se ci voglia un visto, risponde di no. Dico che va bene. Mi domanda la mail, per mandarmi il suo indirizzo. Poi, ci salutiamo. “Erika, per favore, vieni un attimo”. “Arrivo, avvocato”. Erika è con me da tre anni. Ha vissuto il mio periodo più difficile, dopo la morte di mia moglie e di mio figlio. Sempre discreta, mai inopportuna. Mi osserva, a volte cerca addirittura di distrarmi. Mi aiuta pensando a tutte le scadenze, riordinando i miei fascicoli, facendo le ricerche di giurisprudenza, scrivendo le prime bozze degli atti. Lavorava all’avvocatura dello Stato, era la mia avversaria in sette processi che ho vinto, uno dopo l’altro, non senza fatica. Una mattina, dopo l’ultima udienza, mi ha quasi sussurrato: “Avvocato, non ha bisogno di una collaboratrice?” Piera, la mia segretaria, aveva appena rassegnato le dimissioni per andare a lavorare come commessa nel negozio di casalinghi di suo marito: dopo un cappuccino insieme da Taveggia ho assunto Erika. “Martedì andrò a Kiev a conoscere questo signor Kisselyov. Per favore, occupati tu del contratto di Borghi”. “Va bene, avvocato”. Le passo il fascicolo di Borghi, lei sta già tornando nella sua stanza, obbidiente, silenziosa: “Non ora, è venerdì. Andiamocene a casa”. “Lei vada pure avvocato, io resto ancora una mezz’ora. Viene a prendermi mio padre”. Il padre è un tranviere in pensione. Tutto fiero che la sua unica figlia sia diventata avvocato. “Come vuoi. Spegni tu i computer?” “Sì, certo”. “Grazie, buon fine settimana”. “Anche a lei, avvocato”. 3 Dicono che il tempo allevi il dolore. Io so che non è così. Non è stato così per me. Il dolore è sempre lì, straziante, come un coltello infilzato nella ferita. Cammino verso casa in questa serata di luglio sapendo che passerò il fine settimana buttato sul divano, solo. La solitudine è un anticipo di vecchiaia. Senza Paola e Giulio io sono diventato di colpo vecchio. Se loro fossero ancora qui, andremmo in montagna, da mio suocero. Giulio starebbe insieme ai suoi amici e io e Paola faremmo la passeggiata accanto al lago tenendoci per mano. Poi, tornati allo chalet, ci metteremmo insieme a cucinare, ascoltando un vecchio cd. E’ passato più di un anno, non ci devo pensare, tutto questo è finito, finito per sempre. Perché la morte è eterna, non la vita e io Paola e Giulio non li rivedrò mai più. Mio suocero si è chiuso nel suo dolore, so che vedermi lo fa soffrire. Ci sentiamo ogni tanto, un paio di volte al mese, fingendo che tutto vada bene. Non è così, la ferita è sempre aperta, dolorosa come il primo giorno. Mi fermo al bar sotto casa a bere uno spritz. “Buonasera avvocato”. “Buonasera, Fabio”. Il bar è tranquillo, i milanesi sono tutti in coda sulle autostrade, verso il mare, i laghi o la montagna. Bevo in fretta, mangiando giusto due olive e salgo a casa. Mi tolgo la giacca, vado in cucina pensando “questa volta ce la devo fare”. Apro il frigorifero, Carmen ha fatto la spesa. Sto per accendere il gas, poi, ancora una volta, il ricordo di Paola mi fa singhiozzare. Apro una busta di bresaola e una mozzarella, prendo una michetta, metto tutto sul vassoio e mi siedo sul divano, davanti alla televisione. Non posso andare avanti così. Non ce la faccio più. 4 La mattina, accendo il computer e compro il biglietto per Kiev. Poi, cerco su Google Pavel Kisselyov: Pavel Kisselyov (in russo: Па́вел Киселёв; Kiev, 17 novembre 1966) è un imprenditore e politico ucraino. Nel marzo 2008 viene indicato dalla rivista Forbes come il quinto più ricco Ucraino e tra i 200 uomini più ricchi del pianeta. Pavel Kisselyov è famoso al di fuori dell’Ucraina per essere il presidente e proprietario della Dynamo Kiev. Kisselyov avviò le sue attività imprenditoriali alla fine degli anni ottanta, allepoca in cui il presidente Gorbachov avviò una riforma che consentiva la nascita di piccole imprese private nell’URSS. Dal 1991, anno della dichiarazione di indipendenza dell’Ucraina, si dedicò alla compravendita di immobili e alla costruzione di opere pubbliche, diventando il più importante immobiliarista ucraino.
Posted on: Sun, 17 Nov 2013 11:02:32 +0000

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