Una città più moderna Nel 1874 il prefetto, Antonio Mordini, - TopicsExpress



          

Una città più moderna Nel 1874 il prefetto, Antonio Mordini, aveva segnalato al ministro dell’Interno Minghetti un preoccupante aumento delle attività criminali della camorra, nonché l’incremento dei suoi rapporti di affari illeciti con esponenti dei più elevati strati sociali. Si praticavano estorsioni alla luce del sole. Camorristi controllavano appalti e aste pubbliche. Si recavano in tribunale per intimidire i giudici e i giurati. Ormai, però, i camorristi, come abbiamo già accennato nel capitolo precedente, non erano più delinquenti marginali, facili da perseguire. Nel primo quindicennio unitario avevano allargato e consolidato le loro relazioni, aumentato gli affari, affermato la loro posizione sociale. Avevano amici autorevoli, compagni di affari e quindi ricattabili, che, per forza di cose, garantivano per loro. Su questo aspetto, sempre Barbagallo, ci racconta una storia esemplare. Pasquale Cafiero, era capo dei facchini alla Gran Dogana, . Inviato dal 1864 al ’67 al domicilio coatto, nel 1875 ormai . L’ispettore di polizia del Porto lo protegge. Nel 1880 Cafiero rischia di essere licenziato dalla Dogana. Il solerte ispettore di Mercato denuncia le sue continue prepotenze sui facchini, le estorsioni e i furti a danno dei commercianti di grano. Si schierano immediatamente dalla sua parte amici garanti del facchino-camorrista, trai quali il giornalista e deputato De Zerbi. Una lettera di raccomandazione al questore viene fornita dai principali mercanti di grano operanti a Napoli. A suo favore interviene il consigliere provinciale e proprietario dei mulini Luigi Petriccione. Da Palermo giunge, sempre al questore, la raccomandazione dell’onorevole Saverio Fruscia Sciacca, internazionalista e socialista. Aveva, infatti, segnalato l’ispettore, che Cafiero si atteggiava : ma la principale attività politica era consistita nell’estorcere denaro . All’inizio del 1881 il questore chiudeva il caso, comunicando al direttore della Dogana che, in merito al procedimento per l’ammonizione giudiziaria, , compiuta naturalmente dall’ispettore del Porto, l’amico. Come si è letto, è antico il vergognoso rapporto tra politici e criminalità organizzata. Al Porto c’erano anche le banchine della Pietra del pesce, dove i pescatori sbarcavano e consegnavano le ceste ai grossisti. I pescatori, dopo lunghi ed inutili tentavi di sottrarsi alle estorsioni, alla fine decisero di pagare una somma per ogni cesta sbarcata. A loro volta i capiparanza si accordavano per tenere alti i prezzi di vendita del pesce, per cui i pescivendoli erano costretti a indebitarsi con loro. Per scandire meglio l’evoluzione della camorra, riferiamo anche della incredibile, precoce e rapida carriera delinquenziale di un giovane camorrista. Pasquale Scialò,‘o Sciascillo , a 15 anni compie quattro ferimenti a colpi di pistola. Alla fine del 1878 fa esplodere una bomba carta; il 30 dicembre ammazza un giovane di vent’anni. Il tribunale gli concede sempre la libertà provvisoria, anche dopo l’omicidio; per il quale sarà condannato nel 1880 a cinque anni di reclusione. Nel gennaio 1881 il questore di Napoli denuncia al procuratore del re che il soggetto dopo tante ribalderie non risulta mai condannato e per questo “va pubblicamente vantandosi per le alte protezioni di cui gode”. Finalmente il 1883 il ventenne ‘o Sciascillo, dopo aver proseguito imperterrito nelle sue azioni criminose, viene condannato a sei anni di carcere, in via definitiva. Se ne perderanno le tracce, né si conosceranno le specifiche protezioni di cui aveva goduto. Un settore fondamentale dell’attività camorristica, nel quale operavano anzitutto i capintesta da Salvatore De Crescenzo a Ciccio Cappuccio, ‘o signorino era quello legato alla “filiera” dei cavalli. Il controllo partiva al momento delle aste degli scarti equini dell’esercito, che venivano accaparrati a basso prezzo, eliminando, si intuisce con quali mezzi, la concorrenza. Il secondo passaggio era rappresentato dal commercio della crusca e delle carrube per l’alimentazione degli animali. Era quest’ultima, poi, l’attività ufficiale svolta da molti camorristi. L’organizzazione criminale esercitava il pieno controllo di tutti i cocchieri e stallieri. A dare forza a questi traffici quindi la stretta congiunzione con l’esercizio dell’usura. La camorra non cessava di evolversi. La pratica dell’estorsione, rinnovata e allargata, si diffondeva nella “società civile” di quel tempo e nella sua rappresentanza politica e amministrativa. Ce ne spiega il perché il prof. Barbagallo: . Alla fine dell’Ottocento l’espansione dell’illegalità criminale si misurava con gli sviluppi della politica. Non essendo ancora nati i partiti di massa, questi si muovevano come aggregati di notabili, guidati da personalità eminenti come Nicotera, Crispi, Rudinì, Giolitti, Zanardelli, Sonnino. Non era più una stretta oligarchia di ricchi e aristocratici. Sulla scena politica irrompevano ceti meno altolocati, più disponibili a più larghe relazioni. Si tenga presente che le riforme elettorali degli anni ’80 allargavano il voto ai maschi ventunenni in grado di leggere e scrivere. D’altra parte l’illegalità e la criminalità applicata alle amministrazioni pubbliche non erano una novità. L’amministrazione del potere politico era nata, nell’età moderna, a cominciare dalla Francia, con la vendita delle cariche e la venalità degli uffici. A Napoli, poi, i Borbone avevano affidato gestione di appalti e tangenti, forniture e concessioni a nobili e principi, ma anche ai propri camerieri. La modernità quindi, senza alcun stupore, avanzava anche a Napoli, esprimendo qui pratiche corruttive e illegali. A metà agosto del 1884 arrivò il colera e fece il primo morto. A settembre l’epidemia esplose nei quartieri popolari e devastò la popolazione ammonticchiata nei fondaci e nei bassi. Il 15 gennaio 1885 fu approvato dal Parlamento la legge per il Risanamento della città di Napoli. Prevedeva un finanziamento di 100 milioni per le opere di bonifica e per la nuova rete fognaria, agevolazioni fiscali, una più incisiva procedura d’espropriazione per pubblica utilità, che colpiva gli interessi dei proprietari. Queste condizioni non convinsero le imprese edili nazionali ad assumere i lavori di ‘sventramento’ e di risanamento dei quartieri bassi, considerati costosi e incerti. Si determinò così una paralisi produttiva. Soltanto nel 1904 un nuova convenzione consentirà di portare a termine nel 1910 i lavori previsti per il 1894. E soprattutto avevano privilegiato la costruzione di nuovi quartieri signorili. ’ammodernamento edilizio di Napoli, insomma, era giovato alla borghesia e aveva ignorato i bisogni dei diseredati per i quali era stato in principio pensato. Tuttavia fu realizzato un efficiente sistema di fognature che migliorava la situazione igienica della città. La ricostruzione del centro, del sistema fognario e i contratti stipulati con le società erogatrici dei servizi pubblici, sollecitavano le amministrazioni ad assumere atteggiamenti imprenditoriali che, tra scontri certamente non disinteressati, assumevano una sinistra modernità, in quanto spingeva ad intervenire con la richiesta e la percezione di ‘contrattare tangenti’. Sullo sfondo di tutto questo si sviluppava una lotta tra gli aggregati conservatori e clerico- moderati sostenuti dalla Curia arcivescovile e un sistema di potere politico-amministrativo della Sinistra massonica guidato dal ministro dell’Interno Giovanni Nicotera. Il gruppo (ma era ben più di un gruppo) nicoterino, attivo nell’organizzazione delle clientele politico-amministrativo nei quartieri popolari del centro, presidiava anche il settore delle imprese economiche. Nell’ultimo quinquennio dell’Ottocento l’amministrazione comunale di Napoli resta dei gruppi nicoterini, poi diventati crispini. Sono questi poi i giorni in cui vengono messe a punto le nuove convenzioni con la Società belga dei tramways, con la società per l’acqua del Serino e con le aziende elettriche per l’impianto di illuminazione. La pubblica opinione era generalmente convinta, non a caso, che queste società avessero erogate somme per contrattare e definire le convenzioni. Un rappresentante della Società belga confermò: . La camorra, intesa come organizzazione di plebei e analfabeti di certo non c’entrava direttamente. Si trattava di una forma moderna di corruzione clientelare e familistica diffusa anche in altre città e in altri continenti. Anche se Napoli, nella sua originalità, ci metteva del suo. Per esempio, non aveva titolo di studio nemmeno il ragioniere capo, che preparava il bilancio. Il 1° maggio 1899 i giovani socialisti napoletani fondarono il settimanale . Obiettivo immediato fu l’attacco contro la ‘camorra’ amministrativa e politica che dominava Napoli, per cui fu creata un’apposita rubrica titolata “Contro la camorra”. Sul finire del ’99 iniziò il processo a Milano per l’omicidio mafioso del marchese Emanuele Notarbartolo, già sindaco di Palermo e direttore del Banco di Sicilia. Il figlio Leopoldo denunciò in aula il deputato Raffaele Palizzolo quale mandante del delitto. L’8 dicembre la Camera approvò l’autorizzazione a procedere contro l’onorevole che fu arrestato la sera stessa. Due giorni dopo pubblicava un numero speciale tutto dedicato a Napoli, in considerazione del fatto che .Gli inizi del novecento – La lotta ai guappi di sciammeria La lotta alla “camorra amministrativa” segnerà la fine del gruppo che, in un primo tempo, si richiamava a Nicotera e poi a Crispi. Tuttavia ciò non provoca un cambiamento progressivo e più democratico. Al Municipio di Napoli tornano a insediarsi i clerico-moderati, i cattolici conservatori che avevano già amministrato e che rimarranno al potere per oltre dieci anni. Negli anni del rilancio industriale e di una modernizzazione che aveva invaso una larga parte della Penisola, a Napoli sarà un moderato conservatorismo politico a guidare il Municipio, le associazioni commerciali e industriali, gli stessi processi di espansione, anche se relativa, di gruppi finanzieri e mercantili. Non si fermava intanto l’attacco socialista al sistema clientelare e camorristico che caratterizzava l’attività amministrativa nella metropoli e nel vastissimo territorio agricolo della Terra del Lavoro (che si combinava con la provincia di Caserta). La condanna più dura, pronunciata da un deputato socialista, fu riservata al giolittiano Peppuccio Romano, non a caso deputato di Sessa Aurunca (collocata nella Terra di Lavoro) definito . Le dure parole subite dal giolittiano furono confermate, qualche tempo dopo, dal prefetto della provincia di Caserta, che all’epoca si estendeva a Sora e a Gaeta, che in una relazione riservata al ministero diceva che nell’agro aversano . Per il vero non erano soltanto i deputati dell’Estrema sinistra ad intervenire contro la camorra. Un deputato clerico-moderato di Napoli-Chiaia, denunciava e invitava il governo a combatterla, ammonendo: . Una parte della stampa locale (quella che contava) e in particolare il “Mattino” e il suo vate Scarfoglio, difendeva a tutto campo e con veemenza il Romano. Questo però non fermava l’azione della Prefettura casertana contro il politico-camorrista. Nel collegio di Aversa si raddoppiavano i contingenti di carabinieri e poliziotti, si aggiungevano quaranta guardie di finanza, veniva impiegata anche la cavalleria. Lo Stato, attestava il prefetto al governo, era entrato in guerra contro l’onorevole che si appoggia alla malavita locale e la sostiene vigorosamente traendo in gran parte da essa la sua forza elettorale. Perciò è grato alle figure principali di essa; perciò si adopera in ogni contingenza in favore loro. Non appena esse hanno a rendere qualche conto alla giustizia, egli si pone in prima linea per difenderle recandosi personalmente nelle Aule del Tribunale e mostrandosi apertamente ai Magistrati compiacenti con la veste di fautore e di patrocinatore, sostenuto a sua volta da numerosi affiliati alla malavita.[...] Per tutto ciò, che ora il Cav. Romano sia ritenuto moralmente diffamato è noto; ma la recente lotta elettorale ha valso a confermarlo ed a caratterizzarlo moralmente e politicamente la figura di lui. Il processo Cuocolo, di cui parleremo fra poco, provocò un’attenzione inedita al problema criminale. Si sviluppava così un’analisi dei caratteri e soprattutto dell’evoluzione del fenomeno camorristico. Il dirigente sindacale e giornalista, Eugenio Guarino, per esempio, poneva fortemente l’accento sulla persistenza e aggiornamento dell’associazione delinquenziale, che pareva assumere la forma di una , i cui tentacoli invadevano tutta la città. Indicava, con molto coraggio e spregiudicatezza, quelli che erano i : i legami con la polizia, specie per il controllo del mercato elettorale; la tolleranza della magistratura e, soprattutto, delle autorità religiose che tanto peso avevano nella città; infine l’assuefazione della pubblica opinione allo spettacolo delle istituzioni conniventi con la delinquenza. Il pubblicherà una attenta inchiesta, poi raccolta in volume da Ernesto Serao e Ferdinando Russo. Serao spiegherà la profondità dei cambiamenti che avevano ormai oscurato i tradizionali riti camorristici e che vedevano sempre più crescere la presenza, accanto ai delinquenti plebei, di strati sociali più elevati ed aperti ad altolocate relazioni, grazie agli accordi elettorali, alle pratiche usuraie, al controllo delle aste, al gioco e al mondo appassionato ai cavalli. Sarà un funzionario di polizia, Eugenio De Cosa, nel 1908, a tracciare un intrigante profilo di questi criminali aggiornati ai tempi nuovi: Il camorrista moderno conosce anticipatamente a chi verrà aggiudicato l’appalto di questa o di quella amministrazione, regola la vendita dell’asta pubblica, ne svia le maggiori offerte, concerta e mena a termine questue e feste di beneficenza da cui detrae lauta sua spettanza. Egli inizia e “protegge” case da gioco e di prostituzione prestandosi a fornire i capitali che gli vengono poi resi quintuplicati, dispone della servitù di tutto il quartiere, ed in caso di elezioni, per logica conseguenza, di 100 o 200 voti, secondo la sua importanza e secondo gli anni della sua carriera. Il camorrista moderno conosce ed è conosciuto da tutte le Autorità locali; qualche volta è nominato “notabile” municipale del quartiere, e mercé le sue raccomandazioni, gli abitanti del rione ottengono dei favori delle concessioni. A questi delinquenti che, abbandonate le vecchie frequentazioni, si appropriavano delle abitudini borghesi ed aristocratiche, fu imposto il termine di guappi di sciammeria (ch’era una specie di abito). Veniamo ora al . Lo raccontiamo perché rappresenta la fine della camorra elegante, non sopravviverà al proditorio assalto dei Reali Carabinieri. Gennaro Cuocolo era un rinomato basista di furti di appartamenti, pur discendendo da commercianti di pellami; sua moglie veniva dalla prostituzione. Lui fu ammazzato sulla spiaggia di Torre del Greco; lei, poche ore dopo, nella nuova casa sita tra via Toledo e i Quartieri spagnoli. Era quasi certamente, una storia di sgarro. Il basista si era appropriato della parte spettante ai ladri finiti in carcere, che poi si erano vendicati. La vicenda fu resa più torbida dal fatto che sulla stessa spiaggia in una trattoria si intrattenevano famosi camorristi. C’era il caposocietà di Vicaria e aspirante capintesta Enrico Alfano, detto Erricone, arricchitosi nei traffici di cavalli: C’era poi il professore Giovanni Rapi, molto attivo in un Circolo del Mezzogiorno, ben frequentato da nobili e borghesi, che in sostanza era una bisca. Era presente anche un prete, don Ciro Vittozzi, cappellano del cimitero di Poggioreale, molto legato ai camorristi. Sul duplice omicidio si era affermata l’ipotesi di un chiarimento – tra ladri, basista e capicamorra – finito tragicamente che aveva conseguentemente imposto l’eliminazione della donna in quanto testimone. Il capitano dei Reali Carabinieri, Carlo Fabroni, però, impresse una inaspettata svolta: accusò la Questura di aver fatto scarcerare i camorristi, per vecchie e nuove connivenze, pertanto sollecitò nuove indagini, affidate già alla magistratura, peraltro spaccata al suo interno e sballottata da molteplici pressioni. L’ufficiale prezzolò un collaboratore, Gennaro Abbatemaggio, che vent’anni dopo avrebbe ritrattato tutto. Intanto forniva false dichiarazioni e prove artefatte che partivano da una fantasiosa sentenza di un presunto Tribunale della camorra, riunito in una trattoria di Bagnoli. I delitti erano accollati a un ristretto gruppo di camorristi eccellenti. Con l’invenzione, poi, di riunioni, tribunali e sentenze si allargava l’applicazione del reato di associazione a delinquere. Così si potevano colpire e togliere dalla circolazione alcuni soggetti di quel gruppo di guappi di sciammeria che con i delitti non aveva colpe, ma che aveva avuto la spudoratezza di spartire (o anche millantare) con la crema della società napoletana, angustamente rappresentata da Sua Altezza Reale Emanuele Filiberto di Savoia, duca d’Aosta, residente nel palazzo reale di Capodimonte. Protagonista di questa storia presumibilmente fu un certo Gennaro De Marinis, detto il mandriere, camorrista che esercitava l’attività di usuraio e ricettatore nell’elegante quartiere San Ferdinando e Chiaia, tra corse di cavalli e puntate nei casini da gioco. Tuttavia la guerra scatenata dai carabinieri contro la camorra, pare per impulso del cugino del duca, il re Vittorio Emanuele III, era condivisa dalle parti più diverse. Il processo Cuocolo contrappose la Questura ai carabinieri e sconquassò la magistratura napoletana. La procura di Napoli rinviò a giudizio più di trenta imputati: alcuni per omicidio, la gran parte per associazione a delinquere. Nel 1911 il processo, per legittima suspicione, approdò alla Corte d’Assise di Viterbo. Nel 1912 i giurati emisero una sentenza di colpevolezza. Alfano, Rapi, De Marinis e altri cinque furono condannati a 30 anni. La camorra elegante si inabissò e scomparve la camorra propriamente detta, nella sua forma ottocentesca. Come si è potuto leggere tra Ottocento e primo Novecento la camorra rappresenta un fenomeno urbano, espresso da un ceto sociale, la plebe, prodotto dalla storia di Napoli. Una massa di diseredati, marginali e dipendenti dalle elargizioni di re, viceré, aristocratici e borghesi. I più vocati alla delinquenza si organizzano e impegnano il loro ingegno per cercare strade diverse, ancor più quando da Napoli scomparve la corte, le elargizioni e gli uffici. Quando si procede verso il più liberale primo Novecento aumentano le occasioni d’incontro, di collaborazione tra aggregati politici, economici, amministrativi, camorristici. La relativa espansione economica provocherà l’allargamento dei circuiti economici illegali. Di conseguenza una maggiore presenza dei delinquenti arricchitisi coi nuovi traffici. I camorristi e i guappi napoletani si mostravano, si dichiaravano, si addobbavano con vesti sgargianti. Vi era poi il tentativo, per il vero maldestro, di interloquire da vicino con l’alta società. Tutto ciò produsse una reazione violenta e vincente, tale da distruggere un’associazione criminale. Basterà dire che mentre la camorra tradizionale aveva resistito alle repressioni, quella moderna non sopravviverà all’assalto dei reali Carabinieri. Il suo inabissamento, dopo il processo Cuocolo,segnala la sua marginalità sociale e la subalternità politica ai poteri dominanti. Dall’avvento del fascismo ai ‘magliari ’Le terre della Campania costiera erano ricoperte da orti irrigui, giardini di frutta, seminativi erborati, le più ricche colture intensive. Un’area, quindi, fertilissima con pochi grandi proprietari e molti di media e piccola consistenza. Che, per lo più, fittavano ai coloni. I contadini, molti dei quali piccoli fittuari e coloni, vivevano in miseria, perché sfruttati sia dai proprietari che dagli intermediari nelle compere e nel credito. In questa pianura crescerà una delinquenza che eserciterà uno sfruttamento contadino ben oltre i confini della legalità. Infatti, le campagne dell’Aversano del Nolano, dell’area vesuviana, del confinante agro sarnese diventeranno una vasta area della intermediazione. Qui, a differenza della Sicilia, non operano gabellotti, vi sono, numerosi, mediatori e guappi che intervengono individualmente senza alcuna appartenenza ad associazioni. Esercitano forme di intermediazione, anche ricorrendo alla violenza, sapendo bene che rappresentano l’unica strada che permette ai contadini di relazionare con i mercati urbani e con l’industria di trasformazione. Solo attraverso la cinica imposizione della mediazione viene assicurata la commercializzazione dei prodotti agricoli, nella prima metà del Novecento. Le aree particolarmente infestate da delinquenti e camorristi, di cui si hanno notizie fin dalla metà dell’Ottocento, sono l’agro aversano e la zona dei Mazzoni, quest’ultima tra i Regi Lagni (canali di bonifica) e il basso Volturno tra Cancello Arnone, Castelvolturno, Mondragone. Occorre subito precisare che questa camorra, diversamente da quella napoletana, ha essenzialmente caratteri rurali. Fin dall’Ottocento, comunque, non aveva niente da invidiare a quella urbana, sia per il numero degli adepti, sia per il rilievo dei capi, sia per la violenza. I camorristi casertani erano, per lo più, sensali, mediatori, sedicenti guardiani e, soprattutto, come dice il più volte citato Barbagallo, . Le sue origini sono molto antiche. Questa criminalità, nonostante tutto, tra Ottocento e Novecento, si inserì rapidamente nei processi di modernizzazione, instaurando rapporti con l’attività politica e amministrativa. La descritta delinquenza non avrà remore ad inserirsi nella nuova vita politica, determinata dall’avvento del fascismo, intrigando con podestà e segretari locali del Partito fascista, intervenendo nei conflitti massonici, non trascurando il suo impegno professionale, tanto che tra il 1922 e il 1926 si segnalano centinaia di omicidi, migliaia di furti e rapine, centinaia di incendi e danneggiamenti. A testimoniarlo, sul finire del 1926, un ispettore generale del ministero dell’Interno documentò l’espansione di una “camorra a raggiera” che dal Napoletano si espandeva nel Casertano e raggiungeva l’agro Sarnese-nocerino nel Salernitano. Uno Stato conquistato e amministrato con la violenza non poteva permettersi concorrenza alcuna. E così, mentre in Sicilia a occuparsi della mafia aveva spedito il prefetto Mori, nella Terra del Lavoro inviò il maggiore dei carabinieri Vincenzo Anceschi, nato a Giuliano, quindi pratico della zona. Non solo, nel 1927 abolì la provincia di Terra di Lavoro. La parte al di qua del Garigliano fu assegnata alla provincia di Napoli; da Gaeta fin su a Sora una vasta area fu trasferita al Lazio, nella nuova provincia di Frosinone, che in seguito dovette cederne parte alla neonata Littoria (divenuta poi Latina). Poco dopo fu assunto un altro provvedimento di tipo demografico: i comuni di Casal di Principe, Casapesenna e San Cipriano di Aversa vennero accorpati col nome di Albanova. Intanto i carabinieri assolsero il loro compito. Arrestarono migliaia di delinquenti e di fatto promossero una ventina di processi. Con il processo Cuocolo e l’attacco alla delinquenza casertana i carabinieri raggiunsero l’obiettivo di sconfiggere la camorra storica dalle aree controllate dalla delinquenza campana. Certo la guerra fu condotta non certo con mezzi garantisti, tuttavia fu vinta. Questo, naturalmente, non assicurava la scomparsa della criminalità, ma si esauriva il ciclo storico dell’associazione di delinquenti dotata di propri riti e miti. Restavano i gruppi, sparsi nei quartieri, che gestivano e controllavano la delinquenza diffusa. Ci sembra qui opportuno puntualizzare un aspetto. La mafia siciliana, pur colpita dall’azione del prefetto Mori, procede su una linea di continuità senza fratture e significativi cambiamenti. La differenza con la delinquenza campana sta nel fatto che la camorra ottocentesca resta, indubbiamente, un fenomeno marginale e subalterno rispetto ai poteri dominanti, mentre la mafia è stata sempre in contatto e in concorrenza con le classi dominanti in Sicilia ed espande il suo spazio operativo dentro il sistema di potere dell’isola. . Il contrabbando delle sigarette americane e la borsa nera dei prodotti di prima necessità sono un commercio che vedono impegnate masse popolari e mettono in luce i principali esponenti criminali, non più legati a gruppi camorristici ma operatori individuali. Ritornano in uso, di conseguenza, altre denominazioni: guappi, carte di tressette. Continua
Posted on: Sun, 21 Jul 2013 22:56:16 +0000

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