VIOLENZA SULLE DONNE: perché e cosa fare? Approfondimento - TopicsExpress



          

VIOLENZA SULLE DONNE: perché e cosa fare? Approfondimento tematico I) LE DIVERSE FORME DELLA VIOLENZA Mass media, aule dei tribunali e centri di ascolto confermano quotidianamente che la violenza è drammaticamente dilagata, in Italia e nel mondo, e nalla maggior parte dei casi si consuma all’interno della coppia e della famiglia, sia nel corso della relazione affettiva (fidanzamento, matrimonio, convivenza), sia dopo la separazione. E le donne – i soggetti tipicamente più deboli – sono le principali vittime. ALCUNI DATI PRELIMINARI Secondo l’ultimo Rapporto dell’Osservatorio di Telefono Rosa disponibile (2009) è solo dell’1% la percentuale di violenze compiute sulle donne da sconosciuti e sale dal 53% al 42% la percentuale di donne che dichiarano di aver subito violenza dai propri mariti. Aumentano, però, gli atti violenti subìti dagli ex. Questi, in sintesi, i numeri e i dati più significativi: → gli autori delle violenze sono soprattutto persone in possesso di titoli di studio medio-alti e di età compresa tra i 35 e i 54 anni; → rispetto al passato, in base al Rapporto, è aumentata la percentuale di persecutori che vivono in situazioni di particolare difficoltà lavorativa e ha raggiunto il 12% la percentuale dei soggetti disoccupati; → il 12% delle vittime che si è spontaneamente rivolta a Telefono Rosa in cerca di soccorso ha affermato di aver subito maltrattamenti già durante il periodo di fidanzamento e nel 61% dei casi, inoltre, i comportamenti violenti sembrano consumarsi solo all’interno delle mura domestiche; → nel 44% dei casi le donne hanno ammesso di aver subito ricatti, insulti, minacce, nel 26% dei casi violenza fisica anche con oggetti contundenti e taglienti, nel 13% dei casi violenza economica e nel 7% violenza sessuale. Nel 78% dei casi le violenze sono ripetute più volte e le donne che hanno subito comportamenti violenti e persecutori sono state minacciate, insultate verbalmente, pedinate e hanno subito appostamenti e danni alle auto o ai motorini; → il 50% delle violenze subite da vittime che si sono rivolte a Telefono Rosa rientra, di fatto, nei casi di reato di stalking che si è verificato in diversi modi: appostamenti (15%), minacce (53%), pedinamenti (14%), telefonate continue (15%), sms e lettere (15%), insulti verbali (22%), danni materiali (6%); → la violenza subita è principalmente di tipo psicologico (31%) seguita dalla quella fisica (23%): in base all’indagine, prevale la violenza psicologica tra le italiane, quella fisica tra le straniere (lo conferma anche il fatto che sono soprattutto loro a ricorrere alle cure ospedaliere: 14% a fronte del 7% delle italiane). Il rapporto si chiude con un dato preoccupante: il 12% di vittime che dichiara di restare con il proprio persecutore per un sentimento di amore. LE DIVERSE FACCE DELLA VIOLENZA L’art. 1 della Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della violenza contro le donne (1993) la definisce come “qualsiasi atto di violenza per motivi di genere che provochi o possa provocare danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione o privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita pubblica che privata”. Partendo da questa definizione, si possono distinguere diverse forme di violenza, più o meno immediatamente tangibili ma comunque tutte parimenti gravi in quanto idonee a ledere la personalissima identità e dignità fisica e/o morale della donna: VIOLENZA DOMESTICA: si consuma all’interno delle mura domestiche ed è esercitata da familiari, partner abituali, occasionali o conviventi. Può essere: FISICA: Il c.d. ti voglio bene ma ti picchio, dalle classiche “botte” (calci, pugni, schiaffi, graffi e morsi che lasciano ecchimosi, ematomi, fratture ecc.), alle – secondo un’accezione più ampia – urla verbali, il tirare i capelli, lo strattonare la vittima, lo spaccare oggetti. C’è chi muore sotto i colpi dell’”amato”. Rientrano in questa categoria anche le molestie e gli abusi sessuali, l’incesto e lo stupro. Per arrivare sino ai matrimoni coatti, alla prostituzione forzata e alla mutilazione genitale, con ciò intendendosi qualsiasi forma di rimozione e/o modificazione totale o parziale dei genitali femminili esterni perpetrata ai danni di donne o bambine per ragioni culturali o comunque non terapeutiche. In quest’ottica, il legislatore italiano ha emesso la legge 9/18 gennaio 2006, n. 7, in tema di “Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazioni genitali femminile”, finalizzata a promuovere e garantire un’attività di prevenzione, assistenza, e riabilitazione di donne e bambine già sottoposte a tali pratiche. PSICOLOGICA: Il c.d. ti voglio bene ma ti anniento, manipolo e distruggo mentalmente, rendendoti dipendente da me: sottintesi, sarcasmo, intimidazioni, critiche quotidiane, battutine destabilizzanti, minacce, ricatti, insulti verbali, colpevolizzazioni, svalutazioni pubbliche e private, umiliazioni, derisione, malumore costante, squalifica o addirittura rifiuto dell’altro. E ancora, mortificazioni, sopraffazioni, tradimenti, bugie. La vittima assume ogni giorno dosi progressive di cattiveria, che finiscono per generare assuefazione. Via via che la violenza progredisce, sale di pari passo la soglia di tolleranza della parte più debole e il rischio è quello che la vittima cada in una condizione di isolamento e si inneschi un rapporto di dipendenza psicologica con il suo aggressore. ECONOMICA: Il c.d. ti voglio bene ma ti privo del denaro e ti metto in condizione di non potertelo procurare: alla vittima (quasi sempre la donna) può essere impedito di studiare, lavorare o avere un conto corrente personale, così come la disponibilità di bancomat o carte di credito. Il denaro viene dato, centesimo per centesimo, su richiesta e a discrezione dell’altro partner, cosicché l’uno si trova in balia dell’autoritarismo dispotico dell’altro, che può permettersi di far leva sulle primarie esigenze di vita del primo (con l’arma del ricatto) per ottenere ciò che vuole. Nella separazione lo stesso meccanismo si applica nel non pagamento dell’assegno. microcrudeltà o STALKING: Il c.d. ti voglio bene ma ti perseguito, ti assillo, ti molesto e non ti lascio andare: assillanti molestie, quali il sorvegliare, aspettare, inseguire, raccogliere informazioni sulla vittima e i suoi movimenti, le intrusioni e gli appostamenti sotto casa o nel luogo di lavoro, i pedinamenti, i tentativi di comunicazione e contatto con lettere o telefonate, sms, e-mail, chat line (il c.d. cyberstalking), graffiti, murales, lasciare messaggi a casa, in ufficio o sull’auto, inviare fiori e regali, fare visite a sorpresa, incontrare “casualmente” la vittima, ordinare merci e servizi a nome della vittima, diffondere dichiarazioni diffamatorie e oltraggiose a carico della vittima, minacciare di usare violenza contro la vittima, fare citofonate mute. E ancora, tagliuzzare la biancheria intima della moglie, mettere in lavatrice a 60° tutti i golf di cachemire del marito, smemorizzare la rubrica telefonica del cellulare del partner o la memoria del computer, riga con le chiavi l’automobile dell’altro. MOBBING familiare: Il c.d. ti voglio bene ma ti molesto psicologicamente e ti vesso in maniera quotidiana e sistematica: comportamenti e molestie psico-fisiche, inflitte dagli stessi familiari e/o partner, che portano la vittima a smarrire gradatamente la propria autostima, a perdere la propria forza e personalità, e che sono, quindi, finalizzati a delegittimare e/o denigrare l’altro, a estrometterlo dai processi decisionali (apprezzamenti offensivi in pubblico o in presenza di amici e conoscenti; palesi e teatrali atteggiamenti di disistima e di critica; provocazioni continuative e sistematiche; coinvolgimento continuo di terzi nelle liti familiari; tentativi di sminuire il ruolo in famiglia o pressioni a lasciare la casa coniugale; ingiurie sistematiche; dimostrazioni di sfiducia). I soggetti coinvolti si trovino su piani distinti, la vittima in una posizione di svantaggio rispetto al c.d. mobber. VIOLENZA SUL LAVORO: si consuma sul posto di lavoro ad opera di colleghi o, più frequentemente, di capi e datori di lavoro. In questa categoria rientrano forme di violenza e addirittura lavoro forzato legate ad un inquadramento salariale non adeguato; violenze inerenti il ricatto sessuale e personale, forme di ricatto lavorativo che incidono sulle scelte personali e individuali della lavoratrice, quali, ad esempio, quelle legate alla gravidanza e alla famiglia. Una nuova e moderna forma di ricatto e sfruttamento riguarda le donne immigrate. In questo caso il ricatto si fonda sull’annullamento del contratto di lavoro che, automaticamente, comporta il rischio per la donna lavoratrice di perdere il permesso di soggiorno. C’è poi il mondo delle badanti, che sono prive di qualsiasi rappresentanza personale e sindacale, talvolta vittime di sfruttamento in merito a orari o tipologie di prestazioni per le quali non vi è un adeguato riscontro economico. VIOLENZA perpetrata attraverso PUBBLICITA’, MODA E TELEVISIONE: è la forma più sottile e meno tangibile di violenza, consumata attraverso la rappresentazione grottesca, volgare, umiliante e non decorosa che sovente televisione, moda e pubblicità offrono della donna. Dal c.d. uso-abuso del corpo femminile, della donna oggetto, alla devastante distorsione di forme e lineamenti del corpo perpetrata senza più freni né inibizioni sia dall’incentivo all’anoressia, sia dalla chirurgia plastica. La pubblicità è responsabile di diffondere troppo spesso, mediaticamente o tramite carta stampata, vecchi stereotipi femminili e, in particolar modo, quello strumentale della “donna oggetto” che sono sia anacronistici – perché non più adeguati né corrispondenti all’attuale ruolo che la donna riveste nella società -, sia lesivi della dignità umana. Si pensi, per esempio, all’uso gratuito e sfrontato della nudità in contesti che nulla hanno a che vedere con il corpo nudo femminile e senza alcuna relazione col prodotto pubblicitario reclamizzato. La moda, invece, è da anni responsabile di veicolare e diffondere, come prototipo di bellezza femminile, il messaggio della donna brutalmente magra, emanciata, dallo sguardo allucinato e spento, quasi a voler assurgere l’anoressia a obiettivo di bellezza: un’immagine pubblicitaria e un concetto di forma fisica distorto, che lanciano un pericolosissimo messaggio a tutte le ragazze che soffrono di disturbi alimentari (secondo molti psichiatri, infatti, la causa principale dei disturbi alimentari delle adolescenti è il volersi adeguare ad ogni costo ai modelli di bellezza femminile che esaltano la magrezza). Quasi che la magrezza fosse un valore femminile da proteggere ad ogni costo, anche a quello della vita. La violenza sulle donne viene perpetrata, in forma sottile, anche attraverso la strumentalizzazione e manipolazione che la televisione fa quotidianamente della loro immagine. Spopola la ragazza stupida in abiti succinti e le donne si trasformano in veicoli di promozione dei più svariati oggetti, finendo per enfatizzare, spesso, solo il lato erotico e la potenza seduttiva femminile. Quello che viene trasmesso in tv, in effetti, sembra non riflettere più i desideri delle donne. Le immagini appaiono per lo più rivolte o a un pubblico maschile o alle donne che hanno introiettato in modo profondo lo sguardo maschile. Infine, le donne sempre più spesso, nell’assurdo tentativo di imprigionare il tempo, perpetrano una vera e propria violenza su sé stesse facendo massicciamente ricorso alla chirurgia estetica, per debellare qualsiasi segno di passaggio del tempo. Non rendendosi conto che, cancellando e stravolgendo la propria fisiognomica, perpetrano un grave gesto di autolesione della propria dignità morale. II) GLI STRUMENTI DI TUTELA, COSA FARE Una premessa è fondamentale: perché le vittime della violenza possano trovare forza, coraggio e spazio per accedere agli strumenti di tutela offerti dalla legge è prioritario e indispensabile svolgere, su scala nazionale, una continua opera di informazione/sensibilizzazione al problema della violenza femminile. Sia perché alle vittime di oggi possa arrivare direttamente all’interno delle case il messaggio che una via d’uscita esiste e che si può e deve chiedere aiuto, sia perché le potenziali vittime di domani possano conoscere in anticipo le modalità di adescamento e assoggettamento del loro carnefice, per non cadere in trappola. Cosa posso fare se sono vittima di una violenza? Chiamare il 112 o il 113 e recarmi in pronto soccorso: nell’emergenza/urgenza della violenza, fisica o mentale che sia, il primo gesto da compiere è chiedere l’intervento delle forze dell’ordine, Carabinieri o Polizia, nonché recarsi al pronto soccorso per ricevere le prime cure necessarie. Rivolgermi a un centro di aiuto: esaurita l’emergenza – o prima che si arrivi alla situazione di vero pericolo – la vittima può rivolgersi ai centri di aiuto, pubblici e privati, sparsi su tutto il territorio nazionale: consultori familiari, centri antiviolenza, sedi del telefono rosa (o azzurro, se la vittima è minorenne), ove trovare ospitalità, soccorso, accoglienza personale, telefonica, consulenza legale, psicologica e medica. Solo a Milano, nel 2009, secondo il report del servizio di prevenzione e contrasto del maltrattamento alle donne del Comune, ben 928 donne si sono rivolte a centri di aiuto per aver subìto maltrattamenti, stupri o molestie: significa più di due donne ogni giorno. Sporgere denuncia: personalmente, rivolgendosi direttamente agli uffici di Polizia o Carabinieri, oppure avvalendosi dell’assistenza di un legale, che si occuperà di redigere l’atto di querela e di depositarlo presso la Procura della Repubblica. Con la denuncia si apre un procedimento penale finalizzato ad accertare la responsabilità dell’autore della violenza. Nelle vicende “a rischio”, le procedure prevedono l’allontanamento dell’aggressore dalla famiglia e altre misure cautelari. Il caso, inoltre, può essere segnalato ai Servizi Sociali territorialmente competenti che vengono incaricati di monitorare la situazione ed eventualmente offrire alla vittima una sistemazione alternativa. Separarmi: depositando in Tribunale un ricorso per separazione legale (nel caso di coppia sposata), ovvero di fatto, nel senso di mettere fine al rapporto (nel caso di fidanzamento o convivenza more uxorio). Chiedere che mi venga concessa una misura di protezione: la l. n. 154/2001, “Misure contro la violenza nelle relazioni familiari” ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico – in ambito civile e penale – strumenti forti di protezione delle vittime di violenza familiare. Si tratta, in particolare, di un sistema di protezione a “doppio binario”, che assicura la medesima tutela al coniuge e al convivente: - in sede penale, si può chiedere e ottenere la misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare, ex art. 282 bis c.p.: la vittima deve innanzitutto sporgere denuncia o querela nei confronti del familiare violento. Una volta ricevuta la denuncia o querela, il Giudice, oltre che disporre l’allontanamento, può condannare il violento anche a pagare un assegno in favore dei familiari; - in sede civile, invece, la vittima può avvalersi degli ordini di protezione contro gli abusi familiari ex artt. 342 bis e ter c.c.: 1. ordine di cessazione della condotta pregiudizievole; 2. allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del convivente violento; e, inoltre e in aggiunta, divieto di frequentazione di determinati luoghi; ordine di pagamento di un assegno a favore dei familiari conviventi, che per effetto dell’allontanamento, rimangono privi di mezzi economici; intervento dei Servizi Sociali. Perché la vittima della violenza possa avvalersi di questi strumenti di protezione non è necessario che l’abuso subìto integri un reato, essendo sufficiente che abbia arrecato, o sia idoneo ad arrecare, grave pregiudizio all’integrità fisica o morale o alla libertà personale. Avvalermi della legge contro lo stalking e gli atti persecutori: il 29 gennaio 2009 la Camera dei Deputati ha approvato il disegno di legge n. 2169 che prevede misure idonee a contrastare i fenomeni persecutori e ha introdotto e disciplinato il reato di stalking (art. 612 bis c.p., “atti persecutori”), concepito come delitto contro la libertà morale: commette questo reato chi “con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero a costringere la stessa ad alterare le proprie abitudini di vita”. La pena è la reclusione da sei mesi a quattro anni, aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa. Il 23 febbraio 2009 il Governo ha dato immediata attuazione alla previsione di legge con il Decreto Legge n. 11 (entrato in vigore il 25 febbraio 2009), con il quale ha introdotto le c.d. “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”. Art. 612-bis (Atti persecutori). Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa. La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto e’ connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.». Perché si configuri il reato di atti persecutori (o stalking) è necessario che la condotta sia: 1) reiterata: gli atti e i comportamenti di sorveglianza e controllo, quindi volti alla molestia, devono essere ripetuti nel tempo ed avere, quindi, carattere insistente, duraturo e intrusivo; 2) intenzionale: i comportamenti devono essere consapevoli, intenzionali e finalizzati alla molestia; 3) indesiderata e sgradita, cioè tale da creare disagio, ansia e paura nella vittima, tale da avere l’effetto di provocare disagio fisico o psichico, ragionevole timore per la propria incolumità e per quella di persone care, nonché pregiudizio alle abitudini di vita. Il fenomeno della violenza sulle donne ha assunto dimensioni tali da dover essere considerato, a tutti gli effetti, una vera e propria piaga sociale. Ed è nelle pieghe della società, nelle relazioni tra uomini e donne, negli stili di vita della società moderna e nell’educazione genitoriale che occorre indagare per trovare i semi della violenza. Difficile dire se sia colpa della natura prevaricatoria maschile o dell’incapacità femminile di governare l’altro o, ancora, di un più ampio e generalizzato degrado della società. Probabilmente si tratta di fattori concomitanti, tutti comunque influenti e responsabili. Occorre, dunque, necessariamente ripartire dalla coscienza del singolo, dal valore della dignità propria e altrui. Per far rinascere dal rispetto per sé stessi l’amore e il rispetto per gli altri.
Posted on: Sun, 24 Nov 2013 08:10:27 +0000

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