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Vi riportiamo qui un articolo (sintetizzato il più possibile, ma comunque alla fine alleghiamo il link sul quale cliccare nel caso in cui vorreste approfondire il tema) che lega il corpo alla mente e di come una patologia cardiaca sia collegata, ovviamente, al grado di benessere psicofisico!!! La psicologia clinica ha cercato, nelle sue diverse applicazioni, di dare una sempre maggiore sistematicità ai concetti psicologici collegati alla malattia organica. L’elemento comune che sembra unificare le diverse impostazioni è quello della riconsiderazione di un soggetto “contestuale” la cui identità si costruisce all’interno delle relazioni. A partire da questa considerazione il processo di cura non può limitarsi all’organo o al tratto, ma deve estendersi anche a tutto ciò che è collegato e ricollegabile al disturbo. In quest’ottica la malattia viene quindi intesa come il risultato di una complessa interazione tra dinamiche evolutive, individuali, processi biologici geneticamente determinati ed esperienze sociali critiche. Ci sembra che l’approccio relazionale-sistemico, tra gli altri, si sia fatto portatore di questa visione che spinge ad abbandonare una visione meccanicisticocausale. In tale approccio ogni elemento di un sistema (familiare, sociale, biologico) influenza gli altri e ne è influenzato. Un tentativo di applicare le teorie sistemiche può essere riconosciuto nel modello biopsicosociale proposto da Engel, per il quale la malattia è il risultato di un’interazione tra più fattori che possono essere studiati e affrontati su vari piani (dal subcellulare all’ambientale). Riteniamo infatti che vi sia la necessità di individuare il possibile contributo della psicologia clinica nella prevenzione, nel trattamento e nella riabilitazione del paziente con cardiopatia. Quindi, pur utilizzando il termine psicocardiologia per praticità, è doveroso fare alcune precisazioni, tra cui: 1. Il riconoscimento del legame tra fattori psicologici, sociali ed emotivi con la patologia cardiaca appartiene, oltre che al senso comune, anche alla tradizione clinica. Già nel 1628, William Harvey sottolineava che un “turbamento mentale” che induca piacere o determini uno stato affettivo doloroso influisce sull’attività del cuore 2. Nel caso della cosiddetta “psicocardiologia”, più che pensare la pratica psicologica e quella cardiologica come un tutt’uno, si preferisce sottolineare la necessità che professionisti con competenze diverse riescano a comunicare sullo stesso piano e ad integrare le proprie differenti e complementari competenze al fine di ottenere un unico risultato: quello del miglioramento della prevenzione, della cura e della riabilitazione dei molti individui portatori di malattia cardiaca. 3. Per quanto riguarda l’intervento psicologico, è necessaria una riflessione sulle conoscenze e competenze derivanti dalla formazione in psicologia clinica e su come queste debbano diventare uno strumento “su misura” nella pratica con il paziente cardiopatico. Le attività della psicocardiologia riguardano la prevenzione, la diagnosi, la cura, e la riabilitazione, in ambito sia ospedaliero che extra ospedaliero, di pazienti che presentano una cardiopatia, oppure il rischio dello sviluppo di una patologia cardiaca. Lo psicologo in ambito sanitario si occupa delle difficoltà comportamentali, emotive e relazionali delle persone che vengono curate, in regime di degenza o ambulatoriale, per una patologia cardiaca cronica o acuta. Affinché si possa implementare un intervento mirato, è necessario prendere in considerazione alcuni elementi fondamentali, quali: la conoscenza delle caratteristiche e dei bisogni specifici ed unici del paziente, l’atteggiamento del paziente nei confronti della malattia, di se stesso , dello staff medico paramedico, e dello psicologo stesso. Lo sviluppo della psicocardiologia. Le ricerche che hanno maggiormente dato impulso allo sviluppo della psicocardiologia sono state quelle focalizzate sull’associazione tra i fattori di personalità e malattia cardiaca. Tra queste spiccano i classici studi dei due cardiologi di San Francisco Meyer Friedman e Ray Rosenman, iniziati negli anni cinquanta, i quali misero in evidenza l’esistenza di una complessa sequenza di comportamenti e caratteristiche indicate come schema comportamentale di tipo A (type A behavior pattern - TABP), che può essere osservato in qualsiasi persona aggressivamente coinvolta in un compito, la quale prevede di raggiungere risultati sempre più elevati, solitamente in situazioni di competizione con altre persone. Queste indagini hanno però rappresentato una svolta di notevole interesse in ambito scientifico: è ormai pressoché riconosciuto che alcuni tratti di personalità possono influire negativamente sulla salute e in particolar modo sulla salute cardiaca. Gli studi più recenti sull’individuazione di caratteristiche di personalità riconducibili alla cardiopatia sono quelli di Denollet e colleghi che hanno rivolto i loro interessi verso la definizione di un nuovo pattern di personalità potenzialmente associato alla malattia cardiaca, la personalità di tipo D, ovvero distressed personality. La tassonomia si basa su due tratti, affettività negativa ed inibizione sociale. L’ affettività negativa denota la tendenza a esperire un disagio diffuso ed un pessimismo pervadente. L’inibizione sociale fa riferimento alla difficoltà dei soggetti a manifestare le proprie emozioni ed idee, alla consuetudine di “tenersi tutto dentro”, e alla tendenza a trovarsi in difficoltà nelle interazioni sociali. Un altro campo di indagine riguarda i fattori di rischio comportamentali; infatti, a partire dai primi anni ’60, si è sviluppata una grande quantità di studi sui comportamenti legati alla dipendenza (tra cui spiccano tabagismo ed alcolismo) e sugli stili comportamentali legati alla salute (mancanza di attività fisica). Si è quindi diffusa la modalità d’ intervento, soprattutto di matrice cognitivo-comportamentale, volta alla modificazione dei comportamenti a rischio. Comportamento nei confronti della malattia. Uno degli aspetti da considerare con molta attenzione è l’atteggiamento che ognuno assume nei confronti della malattia. La nozione di comportamento di malattia (illness behaviour) deriva dal concetto di sick role (ruolo di malato ) di Parsons. L’illness behaviour esprime la modalità attraverso la quale le persone interpretano e reagiscono ai loro sintomi e come quindi ricorrono all’aiuto medico. I concetti essenzialmente sociologici di sick role e di illness behaviour sono stati successivamente integrati da Pilowsky che ne ha fornito un’applicazione psicologica. Pilowsky ha definito l’illness behaviour come la modalità con cui gli individui reagiscono agli aspetti del proprio funzionamento valutati in termini di salute e malattia. Secondo l’autore si può anche parlare di abnormal illness behaviour (AIB – comportamento abnorme nei confronti della malattia), che viene definito come un modo di percepire il proprio stato di salute in maniera inappropriata e/o disadattata. “ L’appropriatezza della percezione va considerata sulla base di alcune caratteristiche del paziente quali età, retroterra educativo e socio culturale. Spesso l’AIB è associato con l’eccessiva adozione del ruolo di malato. È inoltre frequentemente connesso al rifiuto nel paziente dell’idea che fattori psicologici possano influenzare lo stato di salute La manifestazione di AIB è spesso associata a vantaggi secondari derivanti dal ruolo di malato, come la dipendenza dagli altri (medico o familiari) o l’esenzione dalle responsabilità imposte dal proprio ruolo sociale. La valutazione dell’ilIness behaviour rende possibile il riconoscimento di quei sintomi somatici che non sono riconducibili ad una patologia fisica bensì ad un disturbo psichico Il contesto familiare. Una sempre maggiore attenzione dovrebbe essere posta alle dinamiche familiari. I rapporti di coppia e familiari sono proprio caratterizzati dalla relazione con un “altro significativo” che costituisce la fonte principale di soddisfazione dei bisogni materiali ed emotivi, i quali si fanno particolarmente evidenti con l’insorgere di una patologia organica. Molti degli studi di matrice relazionale nell’ambito della psicocardiologia si sono focalizzati: a. sull’impatto del disturbo cardiaco sulla relazione di coppia; b. sull’influenza della relazione di coppia sul decorso della patologia cardiaca del paziente; c. sull’influenza della relazione di coppia sull’adattamento psicosociale alla patologia cardiaca. È stato dimostrato che nelle coppie in cui un partner soffre di patologia cardiaca si verifica un deterioramento progressivo della qualità della relazione. Infatti, il paziente,la famiglia ed il medico possono avere priorità diverse, talvolta persino contrapposte, rendendo così il processo di cura un’impresa frustrante e costosa per tutti. Lo psicologo ricopre un ruolo molto importante nell’aiutare il cardiologo: - nell’offrire supporto intra ed extra-ospedaliero ai pazienti su temi quali l’aderenza terapeutica, la modificazione dello stile della vita, la rielaborazione del trauma dovuto al fatto di essere stato “vittima” di un’ “offesa” (termine spesso utilizzato dai pazienti) quale è un evento cardiaco. - nella personalizzazione della terapia: l’ottimizzazione della terapia medica, la comprensione delle pressioni relazionali e professionali con cui si scontra quotidianamente il paziente, e l’anticipazione delle difficoltà emotive e delle conseguenti ripercussioni a livello fisico, sembrano facilitare l’aderenza dei pazienti e diminuire i tassi di ospedalizzazioni dovuti a recidive. - nel miglioramento della comunicazione tra medico e paziente: - nella conduzione di una diagnosi differenziale. Ad esempio, il disturbo da attacco di panico presenta una sintomatologia somatica rilevante, che si manifesta principalmente come senso di costrizione al torace e difficoltà respiratoria. È quindi necessario imparare a distinguere quando tale sintomatologia è dovuta alla presenza di un disturbo cardiaco e quando invece può essere ricondotta ad un attacco di panico. di Beatrice Segalini tesionline.it/v2/appunto-sub.jsp?p=1&id=215
Posted on: Fri, 08 Nov 2013 19:04:55 +0000

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