Visto che trascorro più tempo in ospedale che con la mia famiglia - TopicsExpress



          

Visto che trascorro più tempo in ospedale che con la mia famiglia io cercò e trovo documenti interessanti . E un caso ? O e Santa verità ? Per me e Santa verità visto che sono oncologi di fama a dichiararlo e non qualche scarparo .28 maggio 1998 Ravenna, muore dipendente di una ditta avente in appalto la manutenzione del petrolchimico Enichem, colpito al volto da una valvola schizzata da una tubatura. (Fonte: Ambiente e Lavoro Onlus - sezione Toscana) PRECIPITA DAL TETTO DI UN CAPANNONE E MUORE. Priolo / Dipendente della Remic che aveva in appalto ristrutturazioni allinterno dellEnichem SIRACUSA – Un volo da unaltezza di circa dieci metri non ha dato scampo ieri mattina ad un operaio che stava lavorando alla riparazione del tetto di un capannone nella zona industriale di Priolo. Il morto è Antonino Vicari, 39 anni, nato a Palermo ma residente a Siracusa, dipendente della Remic-Italia, società che aveva avuto in appalto lavori di ristrutturazione allinterno dello stabilimento Enichem. Il tragico incidente si è verificato poco dopo le 8. Antonino Vicari era salito sul tetto del capannone, dove avrebbe dovuto sostituire le lastre in eternit della copertura. Ma, per cause che devono essere accertate (potrebbe avere perso lequilibrio o potrebbe avere ceduto il tetto del capannone) è precipitato. Soccorso dai colleghi di lavoro è stato trasportato in ospedale su unambulanza dellEnichem. All“Umberto I” è giunto intorno alle 8,45. I medici non hanno perso tempo. Il paziente è stato sottoposto ad accertamenti e nel contempo gli sono state prestate le prime cure, ma è stato tutto inutile. Dopo appena un quarto dora dal ricovero, mentre era ancora al pronto soccorso, è morto. Sullepisodio è stata aperta uninchiesta dal sostituto procuratore della Repubblica Alessandro Centonze. Su incarico del magistrato, nella stessa mattinata di ieri, il medico legale Biagio Saitta ha effettuato lispezione esterna del cadavere. Loperaio sarebbe morto a causa di un forte trauma toracico. Non dovrebbe esserci bisogno dellautopsia: la chiara ricostruzione dellepisodio e i risultati del primo esame effettuato dal medico legale hanno fornito al magistrato elementi a sufficienza per avere un quadro completo della situazione. Nel cantiere è stato effettuato un sopralluogo dagli agenti del commissariato di polizia di Priolo, che hanno anche provveduto a raccogliere le testimonianze dei colleghi di lavoro della vittima. Attraverso queste dichiarazioni è stato possibile effettuare una dettagliata ricostruzione dei fatti, della quale è stata informata la procura della Repubblica. La magistratura vorrà evidentemente verificare se nel cantiere in cui lavorava Antonino Vicari fossero state adottate tutte le necessarie misure per garantire la sicurezza degli operai. La Gazzetta del Sud 15 Sett 1999 Brindisi / Almeno 14 operai deceduti di tumore e 83 gravemente ammalati MORTE AL PETROLCHIMICO: 68 INDAGATI Le accuse: strage colposa e disastro ambientale doloso BRINDISI – La Procura di Brindisi ha emesso 68 informazioni di garanzia nei confronti di dirigenti ed ex dirigenti delle società Montedison, Enichem, Evc e Celtica ambiente in relazione a numerose morti per tumore ed a malattie che hanno colpito operai del Petrolchimico di Brindisi. Gli indagati – direttori di stabilimento, direttori del personale e responsabili della sicurezza, avvicendatisi nel corso degli anni – sono accusati a vari titolo di stage colposa, disastro ambientale doloso, lesioni gravi e omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro. È stato anche disposto il sequestro dellintera area su cui insiste linsediamento chimico, pari a circa 270 ettari. Le indagini furono avviate quattro anni fa dopo la denuncia di un lavoratore inviata al magistrato di Venezia Felice Casson, che si occupava di vicende simili avvenute nel Petrolchimico di Porto Marghera. Casson trasmise la documentazione ai colleghi brindisini e gli agenti della Digos della questura furono incaricata di cominciare gli accertamenti. Le perizie commissionate a tecnici ed oncologi hanno confermato che lesposizione al cloruro di vinile monomero ed al policloruro di vinile allinterno degli impianti di produzione ha causato la morte per tumore di almeno 14 lavoratori e linsorgenza di patologie degerative polmonari in altri 83 operai. La lista potrebbe ulteriormente allungarsi, visto che gli effetti del contatto con queste sostanze emergono anche a distanza di anni. Potrebbero riguardare anche cittadini che, a qualsiasi titolo, potrebbero aver inalato il cloruro di vinile. Gli impianti posti sotto accusa sono stati dismessi dalla società proprietaria, la Evc, che nei mesi scorsi li ha ceduti alla Celtica Ambiente che in quellarea intende realizzare un impianto per la produzione di energia dalla combustione di rifiuti. «Un tavolo unitario, di concerto con le istituzioni locali, per valutare immediatamente la grave e drammatica situazione» emersa dall inchiesta giudiziaria viene intanto sollecitato in uninterrogazione dei deputati Ds pugliesi Cosimo Faggiano e Rosa Stanisci. I due parlamentari chiedono nel documento, inviato al presidente del Consiglio e ai Ministri dellAmbiente, della Sanità e dellIndustria, «quali azioni si intendono attivare in maniera autonoma per valutare i danni prodotti allambiente ed alla salute dei cittadini brindisini e per garantire interventi adeguati di controllo e di prevenzione per il futuro individuando nel contempo ritardi e responsabilità, se esistono, nelle istituzioni a questo preposte». Al processo Legambiente e Wwf si costituiranno parte civile. «Oltre a seguire con attenzione il processo – spiega il direttore generale di Legambiente, Francesco Ferrante – continueremo la nostra battaglia affinché vengano disinnescate le bombe chimiche di Porto Marghera e Brindisi, venga risanato lambiente, si creino le condizioni per un adeguato risarcimento per gli operai e le loro famiglie». «Finalmente – è il commento del presidente del Wwf, Fulco Pratesi – la magistratura ha compiuto il primo importante passo a difesa della salute dei cittadini in un area ad altissima vocazione turistica, purtroppo trasformata in una delle aree a più alto rischio industriale». Il polo industriale di Brindisi, fa sapere lassociazione, è uno dei 10 siti contaminati, insieme a quelli di Manfredonia, Piombino, Venezia, Genova-Priolo, Taranto, Pitelli, Casal Monferrato, litorale Domizio-Flegreo, Pieve Vergonte, per i quali è prevista la bonifica ed il ripristino secondo il decreto del ministero dellAmbiente. La Gazzetta del Sud 10/11/2000 LOPERAIO, IL GIUDICE, LA MORTE CHIMICA Pvc e cvm, la mappa italiana dei veleni. I ritardi e le rimozioni della magistratura, parla Luigi Mara . M. CA. Era ora, dice Luigi Mara. Da anni in assemblee, convegni, articoli Mara - e con lui tutta Medicina democratica - pone una domanda: Ma in Italia di Casson ce nè uno solo?. Dietro la domanda una constatazione: cvm e pvc sono sostanze tossiche, erano e sono presenti nel ciclo produttivo di diversi petrolchimici, ma solo per quello di Marghera si processa per strage e disastro ambientale il gotha della chimica. Le informazioni garanzia inviate a 68 dirigenti ed ex dirigenti del petrolchimico di Brindisi dicono che finalmente si muove unaltra procura. Nonostante il ritardo, è una buona notizia, aggiunge Mara, si apre una breccia anche al Sud su una questione fondamentale come la salute dei lavoratori e dei cittadini. Questione che ne richiama altre: cosa, come, dove, per chi produrre? Domande che travalicano le aule di giustizia, mettono in discussione un sistema inquinante e inquinato, che inquina anche le istituzioni. Una magistratura che non insabbia, che non si lascia inquinare, fa solo il suo dovere. Ha ragione Mara a parlare di ritardo. Lesposto di Luigi Caretto, operaio del petrolchimico di Brindisi morto due anni fa di tumore, e di Medicina democratica è della metà degli anni 90. E la data pressapoco dellesposto presentato da Gabriele Bortolozzo e da Medicina democratica per i morti del petrolchimico di Marghera. Mentre a Brindisi siamo ancora alle informazioni di garanzia, il processo per Marghera è iniziato da più di un anno e si concluderà lestate prossima. Diversi i tempi, identico però il metodo. Dietro entrambe le inchieste ci sono la dedizione, il protagonismo, la passione di due operai che si sono fatti medico scalzo. E di tecnici, quelli di Medicina democratica, che non vendono al miglior offerente le loro competenze. Linchiesta dal basso è lunica, pur tra mille difficoltà, che ha le gambe per camminare, afferma Mara. Che cita a memoria quel che diceva nel 1904 (!) un funzionario del ministero della sanità: Nessun ispettore, per quanto bravo, può sostituire lesperienza diretta dei lavoratori per eliminare i rischi e la nocività. Frase che contiene in nuce il metodo Maccacaro. Purché non sia un alibi, avverte Mara, i controllori la loro parte la devono fare. La mappa da controllare, purtroppo, è vasta. Per restare solo alla coppia mortifera cvm-pvc, la magistratura dovrebbe occuparsi di quel che è successo nei petrolchimici di Ravenna, Porto Torres e Ferrara. E meriterebbe uninchiesta, anche se è chiuso dal 78, lo stabilimento Solvay di Rosignano. Altre due sostanze, arsenico e formaldeide, hanno causato tumori e malattie ai lavoratori del petrolchimico di Manfredonia dove si producevano fertilizzanti. Una sentenza ha già riconosciuto che loperaio Antonio Lo Vecchio è morto per intossicazione da arsenico, mentre resta aperto il procedimento per altri decessi. Fibre di vetro e formaldeide sotto accusa alla Vetrotex di Vado Ligure, ceduta dalla Montedison alla Sant Gobain: qui, dal 76 almeno un centinaio di lavoratori sono morti e si sono ammalati per cause professionali. Il Manifesto 10/11/00 BRINDISI, LORA DEI VELENI Petrolchimico, 68 dirigenti accusati di strage GIUSEPPE DAMBROSIO - BRINDISI . Strage colposa. Unaccusa pesantissima rivolta a dirigenti e direttori delle società che si sono succedute nel corso degli anni alla guida del petrolchimico di Brindisi. Disastro ambientale doloso, lesioni gravi, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni, le ulteriori ipotesi di reato citate negli avvisi di garanzia che hanno raggiunto 68 pezzi grossi (alcuni sono ex) di Enichem, European Vinyls Corporation (Evc), Montedison e Celtica Ambiente. Nel mirino dei giudici della procura di Brindisi gli impianti di trattamento del cloruro di vinile, dai quali si produceva, fino a un anno e mezzo fa, il famigerato Pvc. In queste ultime accuse laggravante del dolo: i dirigenti sarebbero stati consapevoli di organizzare la produzione di un elemento nocivo per la salute. Da questo allipotesi di strage colposa il passo è breve per una rosa di 68 persone i cui nomi non sono stati resi noti. Dietro linchiesta le confessioni di un operaio brindisino, Luigi Caretto, caporeparto, sessantacinque anni. Per anni aveva coordinato le squadre di operai Evc, consapevole di guidare i suoi uomini fra i meandri di una macchina infernale. Nel 1996, dopo sei mesi di permanenza negli impianti di Porto Marghera, il Caretto decise di raccontare tutto a Felice Casson (sostituto procuratore di Venezia) e di indicare con precisione lassenza assoluta di qualunque forma di sicurezza nellimpianto di Pvc di Brindisi, nel quale aveva lavorato per oltre 15 anni. Dopo quattro anni, quelle accuse agghiaccianti, inoltrate al pool di magistrati brindisini coordinati dal procuratore Cosimo Bottazzi, hanno scatenato un terremoto giudiziario forte di unattività capillare della Digos locale. Nei numerosi sopralluoghi, è emerso che i sacchi di cloruro di vinile venivano depositati nei magazzini senza alcuna forma di tutela degli operai, che quotidianamente venivano a contatto con la sostanza cangerogena sparsa per ogni dove. Peraltro, tornando a casa dal lavoro, Caretto raccontava in famiglia che talvolta, fra gli impianti di produzione del Pvc nevicava. Era un modo più dolce per spiegare che i filtri del reparto si rompevano spesso e riversavano ovunque una sostanza bianca simile ai fiocchi di neve. Una neve assassina, che non gli ha perdonato loltraggio delle confessioni e lo ha ucciso nel novembre del 1998. Caretto infatti, morto come 14 dei suoi colleghi per un tumore ai polmoni, fa parte oramai di un uditorio di tragiche ombre che alimentano limmagine grottesca del caso Pvc. Altri 83 operai degli impianti di produzione di Pvc e Cvm invece, stando alle attività di monitoraggio di tecnici e oncologi, presentano gravi insorgenze di patologie degenerative polmonari causate dal contatto con le sostanze incriminate. Ad oggi, i lavoratori col marchio ex-Evc sono 120, tutti legati alla speranza della reindustrializzazione dello stabilimento inattivo. Speranza spezzata dal sequestro di tutti gli impianti di trattamento del clorulo di vinile e delle relative aree di pertinenza: P16 (stoccaggio, Celtica Ambiente), ex-P17 (produzione Pvc, Enichem spa), P18b (produzione Cvm, Celtica Ambiente), Dms2 (deposito, Powerco spa), ex P18a (produzione, Powerco spa). Le lotte per la salute, nel petrolchimico di Brindisi durano da oltre 30 anni dichiara Roberto Aprile (Cobas Brindisi). Oltre al problema lavorativo, la questione principale, nel caso di Brindisi, è il desiderio di giustizia per chi è morto e per chi oggi rischia di morire.Il sindaco Giovanni Antonino, manifestando lipotesi di costituirsi parte civile, così dichiara: La nostra preoccupazione riguarda più fronti: da un lato linquinamento ambientale, dallaltro i problemi occupazionali, dal momento che nellarea del petrolchimico è stato avviato un importante processo di riconversione industriale che potrebbe essere bloccato o subire rallentamenti in seguito al sequestro. La magistratura ha infatti messo i lucchetti a tutta larea dellinsediamento chimico, pari a circa 270 ettari. La riconversione, cui si riferisce Antonino è stata affidata alla Celtica/Powerco, che in quellarea intende realizzare un impianto per la produzione di energia dalla combustione di rifiuti (sulla cui compatibilità abientale cè molto da discutere). Inoltre, un membro del Cda di Powerco, Marcello Quadri, nellambito dellinchiesta del Ticino Gate, è stato arrestato e ha dovuto abbandonare la spa brindisina. Il Manifesto 10/11/00 MORTI AL PETROLCHIMICO: VISIONATE 2000 CARTELLE CLINICHE BRINDISI - Gli effetti devastanti sulle persone della polvere di cloruro di vinile e di Pvc negli impianti del Petrolchimico brindisino emergono dalla relazione di uno dei consulenti tecnici della Procura, loncologo Cesare Maltoni. Nei giorni scorsi i magistrati brindisini hanno inviato 68 informazioni di garanzia a 68 tra dirigenti ed ex amministratori di aziende chimiche (Montedison, Eniche, Evc e Celtica ambiente) accusati a vario titolo di vari reati tra i quali strage colposa e disastro ambientale doloso. Maltoni ha esaminato quasi duemila cartelle cliniche di operai ed impiegati che per anni sono stati a contatto con le sostanze tossiche. Attraverso tale indagine, ha stabilito che sono morti per tumore almeno 14 lavoratori, mentre altri 83 si sono ammalati di acrosteolisi, due del morbo di Raynaud, quattro del morbo di Dupuytren e diciotto di asbetosi. Si tratta di patologie gravissime che, nella maggior parte dei casi, causano il decesso del paziente o comunque danni irreversibili. Il bilancio, però, non può essere considerato definitivo, nonostante gli impianti in questione siano stati dismessi. La Repubblica 11/11/00 CHIMICI DA MORIRE. Gli operai del polo di Brindisi: vogliamo il lavoro, ma sulla salute nessuna mediazione GIUSEPPE DAMBROSIO - BRINDISI . Apochi giorni dallo sconcerto provocato dallinchiesta sui morti dellimpianto di trattamento del Pvc, gli operai chimici si riuniscono per stilare un documento indirizzato al governo. Qui si muore. Dobbiamo rallentare il treno in corsa, stando attenti però a non farlo deragliare. Nessuno di noi vuole chiudere gli stabilimenti e perdere il lavoro, però la salute non la vogliamo mediare con niente. A dirlo è Antonio Epifani, operaio di una ditta appaltatrice e sindacalista, nellassemblea di lavoratori tenutasi laltro ieri nella mensa del petrolchimico di Brindisi, cui hanno partecipato tanti dipendenti dellindotto e delle aziende che curano la manutenzione. Assemblea programmata dagli operai, ma non autorizzata (alla fine tollerata) dai vertici dello stabilimento. Dopo la passerella di numerosi politici locali, gli operai, nel documento conclusivo, hanno chiesto la tutela degli ex-Evc - i dipendenti della società che fino a un anno e mezzo fa ha gestito il petrolchimico. Dipendenti che in assemblea non si sono fatti vedere numerosi, proprio perché i più vulnerabili in questa fase di tormentata riconversione del polo chimico, in cui si innesta linchiesta giudiziaria. Dallassemblea è giunta anche la richiesta della sollecita introduzione di un grande ed avanzato sistema integrato di monitoraggio e sicurezza ambientale capace di salvaguardare la salute dei lavoratori. E nel difendere il ruolo dellindustria chimica a Brindisi, i lavoratori riuniti hanno formulato una richiesta al governo per il riconoscimento di lavoro usurante. Attorno al monitoraggio ambientale ruota buona parte del dibattito sia allinterno che allesterno delle fabbriche. Uno fra gli ambientalisti in assoluto più consapevoli della città, Doretto Marinazzo (direttivo nazionale di Legambiente), in un recente incontro pubblico col ministro dellambiente Bordon ha fatto notare limportanza fondamentale, ma non sufficiente del monitoraggio: Sarebbe come dare un termometro a un malato terminale; nel caso di Brindisi potrebbe servire a poco se le aziende continuano a violare la legge. Da oltre 30 anni si sa che lanilina o il Cvm sono sostanze cancerogene e che il rischio è enorme. Da un uditorio meno affolato, accanto al camino della sua casa, uno dei tanti ex del petrolchimico, ora annichilito da un male che gli consuma giorno per giorno i polmoni, ricorda cose agghiaccianti. E Luigi Rubino, 64 anni, dipendente negli anni 70 di una ditta appaltatrice, la Labor. Per guadagnare una lira in più abbiamo perso la vita dice Rubino, legato per 18 ore al giorno a una macchina che gli dà lossigeno. Nel 1974, dopo avere fatto il contadino, Rubino decise di entrare al petrolchimico e fu assunto come turnista nel p-25. La sua mansione era quella di insacchettare lanidride ftanica scagliettata. Dopo poche settimane i miei occhi erano neri, pieni di sangue, gonfi. Sentivo perdere i polmoni, sternutivo, perdevo sangue dal naso. Lanidride ftanica, trattata allo stato liquido e calda nel reparto p-26, passava al p-25 dove veniva raffreddata passando allo stato solido. Qui una macchina scagliettatrice frantumava la sostanza solida, che veniva riversata in una tramoggia. La mansione di Rubino era quella di accomodare la tramoggia in sacchi di carta da 25 kg e siggillarli. Nonostante la maschera e gli occhiali protettivi, la polvere entrava dappertutto. Il 3 maggio dello stesso anno Rubino, in preda a forti crisi repiratorie, dovette ricoverarsi. Bruciori congiuntivali, epitassi delle narici, affanno repiratorio sono le sintomatologie contenute nella sua cartella clinica. Il medico che lo tenne in cura, il prof. Gianfranco Biagini, non lasciò dubbi sulla natura dei suoi disturbi: si trattava di intossicazione acuta da anidride ftanica. Dopo un solo mese di lavoro, Rubino aveva perso il 25% della capacità polmonare, come dimostrano le prove spirometriche. Da allora, non fu mai più in grado di svolgere turni regolari. Lavanzare del suo male lo costringeva a più mesi di infermità, fino al 1993, quando dovette lasciare definitivamente i reparti e legarsi indissolubilmente, per tutto larco della giornata, alla macchina dellossigeno. Credevamo di lavorare per campare, invece abbiamo lavorato per morire conclude. Rubino infatti, lasciò la terra nella speranza di guadagnare una lira in più. Con un sorriso, ma con gli occhi lucidi, ricorda un giorno, molto lontano, quando il suo medico curante gli disse hai dei polmoni di cavallo, sani come un chiodo. Altri tempi: ora lanziano Luigi sta seduto e ride poco. Ma racconta che, quel medico, quando lui era bambino e lavorava alla forgia, spesso gli regalava dei formaggini: per me erano la fine del mondo e fa un gesto di grandiosità con le mani. Erano altri tempi. Il Manifesto 22/11/00 La strage del Petrolchimico. Mantova, sottaccusa linceneritore per 200 casi di tumore dal nostro inviato CARLO BONINI. MANTOVA - Cè un angolo di Italia dove è più facile morire di un male assassino. Dove è un rischio statisticamente significativo, fino a 25 volte superiore alla norma, andarsene di un male raro, che qui tanto raro non lo è più. Che silenzioso cova nei tessuti, che ti accompagna maligno per anni, nascosto in un anfratto filamentoso dei tuoi muscoli, del tuo grasso. Sarcoma dei tessuti molli, lo chiama la scienza. SE TI colpisce alle gambe, alle braccia, pasticcia le carni trasformandole in tumefatti e lividi bubboni. Se ti esplode nelle viscere, divora quel che incontra. Questo angolo di Italia, frazione di Mantova, ha un nome - Frassino e Virgiliana - quieto come le esistenze di chi ha avuto in sorte di viverci. Almeno fino a quando il Grande Camino non decise di liberare il nutrimento di quel male assassino. Lo riconosci da lontano il Grande Camino. Arrivando da nord, lungo lautostrada. E linceneritore dellEnichem, ex Montedison, il più grande stabilimento italiano di stirene, derivato base per la fabbricazione di materiali plastici. Dal polistirolo alle plastiche deformabili per paraurti. E lo riconosci perché se ne sta lì, solitario, piantato al centro di unimmane estensione di capannoni e cisterne, spalmati su unestensione di territorio pari a quella del centro storico di Mantova. Un labirinto di tubature, forni e alambicchi di acciaio temperato, dove ogni anno si rovesciano 350 mila tonnellate di benzene pompate dal petrolchimico di Marghera e pronte alla raffinazione. Un cilindro piantato a guardia della città, il gendarme della sua cintura industriale. Ora sotto inchiesta della Procura di Mantova. La sua storia è quella dellostinazione di due giovani medici, della giustizia degli uomini, di un sindaco. Ma è anche la storia di una grande paura e un grande cimitero che in molti fanno finta di non vedere. O forse hanno dimenticato. Una storia cominciata nello studio di un medico condotto alla fine del 1997. Il sarcoma - te lo dice qualunque medico generico - è una bestia che quando hai il coraggio di guardare per la prima volta nella sua furia ti ha già mangiato. E le gambe, le braccia di quei tre pensionati della cintura industriale erano conciate da segni inequivocabili. Nellambulatorio del medico condotto Gloria Costani, la diagnosi li condannava: sarcoma dei tessuti molli. Dopo di loro, avevano bussato due donne. A loro era stato risparmiato solo lorrore della vista, non quello del Male. Il cancro, il sarcoma dei tessuti molli - ancora lui - si era mangiato fegato e utero. Si preparava a dilagare nelle viscere. A fagocitare quel che restava della loro esistenza. In quella fine del 1997, dunque, la dottoressa Gloria Costani continuava a rigirarsi tra le mani quelle cinque diagnosi infauste. Cera qualcosa di strano nella maledizione che aveva colpito quei suoi pazienti. E soprattutto cerano almeno quattro buone domande che non riuscivano a trovare risposta. Possibile che un tumore così raro si fosse accanito con tanta statistica cecità sulla piccola comunità dei suoi mutuati? Che nesso poteva esserci tra una tanto rara degenerazione cellulare dei tessuti e delle tranquille esistenze di provincia? E perché poi proprio in quellangolo della cintura industriale di Mantova? Ma sì, perché quel maledetto sarcoma si accaniva sulle frazioni di Castelletto, Formigosa, Frassino, Lunetta, Virgiliana? Ce ne era a sufficienza per non tenerseli quei dubbi. E la Costani decise di metterli per iscritto. Il 22 gennaio del 1998, la rivista Epidemiologia e Prevenzione, in uno studio a sua firma, avvertiva di quel sinistro cluster di sarcomi dei tessuti molli. Di quei cinque casi spia di un addensamento spazio-temporale di una rara forma di tumore maligno, in corrispondenza dellinsieme delle frazioni del comune di Mantova (Castelletto, Formigosa, Frassino, Lunetta, Virgiliana) site a ridosso del polo industriale della città e di quella antistante agli insediamenti industriali (Valletta Valsecchi), ma separata dal lago inferiore. Del resto - sottolineava lo studio - i numeri non erano opinabili. Il Registro tumori della Regione Lombardia fissava per quellangolo del mantovano un rischio atteso di sarcoma dei tessuti molli inferiore ad un caso. E dunque e a maggior ragione: da dove usciva quellimpazzimento della statistica tumorale? Di chi erano figli quei cinque casi? Nel luglio del 1998, quelle domande orfane di risposte arrivarono sullunico tavolo dove avrebbero potuto trovare attenzione. Gli uffici del servizio Prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro della Asl di Mantova. Lì lavorava un medico che del Grande Camino e del suo petrolchimico aveva imparato ad avere paura molti anni prima. Un veneto giovane e testardo. Paolo Ricci. Un nome che in città molti conoscevano. E che comunque difficilmente avrebbero dimenticato. Era arrivato a Mantova nel 1988 Paolo Ricci. E aveva impiegato meno di un anno a firmare il primo esposto-denuncia sul Petrolchimico Montedison. Quello sferragliante mostro che nel 1956 aveva regalato posti di lavoro (3 mila) e benessere ad un angolo depresso della grande piana, aveva cominciato ad uccidere i laghi su cui era affacciato. Ad avvelenarne i fanghi, a rendere insopportabili ai pesci le percentuali di concentrazione di mercurio nellacqua. Ma nessuno sembrava volersi porre la più semplice e terribile delle domande. Cosa aveva fatto agli uomini? Nel 1995, Ricci ha la risposta. Uno studio condotto con Enzo Merler, allora ricercatore dello Iarc di Lione (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) e del Cspo di Firenze (centro di ricerca oncologica) accerta che 160 dei 4 mila operai che avevano lavorato nel petrolchimico tra il 1957 e il 1988 erano stati uccisi da tumori maligni. Sì, centosessanta. Unenormità. Soprattutto se incrociati con i decessi causati da tumore nello stesso arco di tempo su una popolazione che per sua fortuna con il petrolchimico e il suo Grande Camino non era entrata in contatto. Era pacifico, insomma. Il rischio di andarsene di tumore maligno, in particolare di un linfoma, quel male cattivo che avvelena il sangue, gonfia i linfonodi, attacca polmoni, ossa, fegato, era fino ad otto volte superiore alla norma per chi aveva vestito la tuta del petrolchimico. Ma questo ancora non spiegava, in quellestate del 1998, quei cinque casi di sarcoma dei tessuti molli isolati dalla medico condotto Gloria Costani. Ricci si rimise dunque al lavoro. Anche perché il petrolchimico, nel 1991, era cambiato di mano. E non sembrava più godere di quella sorta di extraterritorialità che solo il ricatto del benessere aveva conservato intatta per trentanni. Tredici condanne a chi si era avvicendato a capo dei reparti del petrolchimico per reati contravvenzionali alle norme ambientali e di sicurezza dei luoghi di lavoro avevano consigliato lEnichem, nuovo proprietario, ad avviare i primi lavori di bonifica. E dalle sue intercapedini il mostro aveva restituito 700 tonnellate di amianto. In quellestate 98, dunque, Ricci si ritrova tuttaltro che solo. Con lui lavorano Pietro Comba e i ricercatori dellIstituto Superiore di Sanità, si mette in moto il sindaco di Mantova, il diessino Gianfranco Burchiellaro, la polizia municipale. Lobiettivo è verificare ospedale per ospedale, paziente per paziente, il numero di casi di sarcoma dei tessuti molli nellintera provincia di Mantova. Un lavoro infernale che va avanti per due anni, rovesciando gli archivi di 25 ospedali, scartabellando 30 mila cartelle cliniche, fino a quando, la scorsa estate, i numeri non danno la risposta e gli occhi di Ricci non tornano a fissarsi su quei due maledetti quartieri da cui questa storia era cominciata: Frassino e Virgiliana. Lepicentro dellepidemia di sarcoma era lì. Lì i cinque casi. Ma non i soli. Lindagine, di sarcomi dei tessuti molli ne aveva individuati altri 10 allinterno della sola cintura industriale. I dati non consentivano margine di errore. Tra quelle case della periferia la possibilità di ammalarsi di sarcoma dei tessuti molli era duemilacinquecento volte maggiore di chi abitava nel centro storico di Mantova. Qualcosa, nei due chilometri circostanti quelle due frazioni aveva liberato quel male assassino. E per scoprirlo era sufficiente alzare lo sguardo. Il Grande Camino. Lo studio finisce nella mani della magistratura. Il ministro della sanità Umberto Veronesi insedia una commissione. E da loro, ora, si attendono risposte. Ricci unidea se lè fatta e lha affidata tanto alle sue perizie consegnate ai pm di Mantova Giulio Tamburini e Marco Martani, quanto, nel dicembre scorso, alla rivista specialistica della Società nazionale operatori della Prevenzione. Nel Grande Camino - si legge - si è verificato un effetto di forte intensità concentrato in un raggio di due chilometri di cui mai venne data notizia. Probabilmente, una nube di diossina, liberata dalla combustione di cloro. Che silenziosa si è appoggiata sugli alberi e le case. Che invisibile è entrata negli organismi di un numero di esseri umani oggi imprecisabile. Che da sola, anche a distanza di molti anni allesposizione, può scatenare quellorribile sarcoma su cui la giustizia penale ragiona e la politica si è già divisa. Quindici casi possono sembrare pochi, in valore assoluto. Ma nessuno può dire per il domani. Nessuno può sapere quanti esseri umani, esposti alla nube, stiano incubando quel male assassino. Nessuno, tranne lassessorato alla sanità della Regione Lombardia. Per loro, quei casi non sono da drammatizzare. E, anzi, un nuovo Grande Camino può essere costruito accanto al vecchio. Ma questa è unaltra storia . La Repubblica 5 aprile 2001 Petrolchimico, ex vertici sotto accusa. Mantova, 12 indagati: Omicidio colposo e disastro ambientale Per le morti sospette avvisi, tra gli altri, a Cefis, Cragnotti, Schimberni e Necci. Perquisite le sedi Enichem e Montedison EMERGENZA AMBIENTE. CARLO BONINI. MANTOVA - Omicidio colposo plurimo e disastro ambientale. Per la giustizia penale i 210 morti per tumori maligni provocati dai veleni del Petrolchimico di Mantova (ex Montedison, oggi Enichem), da ieri non sono più vittime di circostanze e responsabilità ignote. Con queste due ipotesi di reato, i sostituti procuratori mantovani Giulio Tamburini e Marco Martani hanno iscritto dodici nomi al registro degli indagati dellinchiesta condotta sul più grande stabilimento di stirene del Paese. Parliamo di Eugenio Cefis, Sergio Cragnotti, Mario Schimberni, Giorgio Porta, Lorenzo Necci, Luigi Guatri ed Enrico Giansini, quali amministratori, in epoche diverse e successive, di Montedison, Montedipe, Montepolimeri ed Enimont. E ancora: di Amleto Cirocco, Gaetano Fabbri, Gianni Paglia, Francesco Ziglioli e Sergio Schena, quali direttori che si sono succeduti alla guida dellimpianto. A spingerli nellinchiesta, la convinzione della Procura che per molto, troppo tempo, in quello stabilimento vennero ignorate le norme sulla sicurezza del lavoro e sui potenziali danni allambiente. Che nessuno tenne nel dovuto conto le vite degli operai e le ricadute delle emissioni dellinceneritore dellimpianto sulla salute degli abitanti dei quartieri della cintura industriale di Mantova. Qualcosa di più, dunque, di un atto dovuto queste dodici iscrizioni nel registro degli indagati. Se è vero che ieri, fino a notte fonda, tre squadre composte da uomini di Guardia di Finanza, Carabinieri, Polizia, Guardia Forestale, assistite dai periti dellaccusa (Paolo Ricci, Paolo Rabitti ed Edoardo Bai), hanno perquisito il Petrolchimico e le sedi di Milano delle direzioni generali di Enichem e Montedison. La Procura ha sequestrato montagne di carte. Le direttive interne allo stabilimento sulla raccolta e smaltimento dei residui della lavorazione dello stirene, le cartelle sanitarie degli operai deceduti per tumore, gli archivi in grado di ricostruire quali e quante sostanze nocive vennero introdotte allinterno dellimpianto e quando. E ancora: le mappe dellimpianto in grado di dimostrare la presenza di discariche abusive che la Procura e i suoi consulenti ritengono siano esistite per un qualche tempo allinterno del perimetro dello stabilimento. Perquisizioni ieri anche a Brindisi dove, per le morti nellaltro grande polo chimico Enichem, nel novembre scorso furono 68 gli avvisi di garanzia. E un sopralluogo nei locali dellex Evc, per verificare che non vi siano state «manomissioni allo stato dei luoghi» tuttora sotto sequestro. La contemporaneità delle iniziative delle due Procure di Mantova e Brindisi è una conferma di come gli uffici giudiziari delle due città stiano lavorano a stretto contatto. E di come un probabile scambio di atti istruttori sia destinato a segnare un lavoro che si annuncia dai tempi non certo brevi. Se infatti è ormai un dato acquisito alle due inchieste lesistenza di un nesso di causaeffetto tra i tumori degli operai e della popolazione dei residenti e le emissioni velenose degli impianti, resta da stabilire, almeno per quel che concerne il petrolchimico di Mantova, fino a quando le emissioni di veleni sono proseguite.LEni, in un lungo comunicato, dettato ieri alle agenzie di stampa, esprime una certezza. Che non sia affar suo o quantomeno della sua gestione (Enichem rilevò il petrolchimico di Mantova da Montedison nel 1991) quei fumi assassini usciti dal Grande Camino dello stabilimento e responsabili della morte di almeno 15 abitanti della cintura industriale della città per una rara forma di tumore (il sarcoma dei tessuti molli), così come i veleni dei reparti di lavorazione dello stabilimento responsabili della morte di 200 operai. «I periodi sotto inchiesta sono precedenti al 1990 - si legge nel comunicato - e in questi dieci anni di gestione sono stati spesi oltre 260 miliardi di lire per interventi nel campo della sicurezza e dellambiente». «Inaccettabile e offensivo» viene dunque definito laccostamento di Enichem alla gravissima situazione ambientale del mantovano. Quella su cui si è già espresso severamente il ministro dellAmbiente Willer Bordon e su cui sembra nutrire identiche preoccupazioni lo stesso sindaco di Mantova. Polemiche e tempi verosimilmente lunghi dellinchiesta penale non cancellano tuttavia il dato di fatto da cui nessuno è oggi in grado di prescindere. Duecentodieci persone hanno perso la vita senza sapere perché. E oggi, in almeno due dei quartieri della cintura industriale di Mantova - Frassino e Virgiliana - il rischio di contrarre quella rara e terribile forma di tumore maligno che va sotto il nome di sarcoma dei tessuti molli è di venticinque volte superiore a chi abita nel centro storico. Dal momento dellesposizione al veleno, la latenza della malattia è lunga. E a questo punto il tempo - solo il tempo - dirà se i numeri di questa strage sono destinati a salire. Se qualcuno dovrà risponderne di fronte alla giustizia degli uomini. La Repubblica 6 aprile 2001 Diossina & affini a Mantova. ENICHEM Veri misteri e falsi scoop. La parola a chi già cinque anni fa denunciò le morti per tumore MANUELA CARTOSIO – MILANO. Lingegner Paolo Rabitti non lha presa tanto bene. Da cinque anni si occupa degli almeno duecento operai dello stabilimento petrolchimico Enichem di Mantova morti per tumore. Sua moglie, Gloria Costani, è il medico di base che per prima si è accorta dellanomala incidenza tra i suoi assistiti, residenti nel raggio di un paio di chilometri dallinceneritore del petrolchimico, di decessi per sarcoma alla parte molli. Su questi morti la procura della repubblica di Mantova, dopo anni molto sonnolenti, ha aperto da più di un anno fa uninchiesta.Giovedì scorso ha invece spedito dodici avvisi di garanzia per omicidio colposo plurimo e disastro ambientale a una dozzina di ex dirigenti della Montedison e dellEnimont;i carabinieri hanno perquisito le sedi della Montedison e dellEnichem, sequestrandopaccate e paccate di documenti. Tutto questo - ha letto ieri su Repubblica lingegner Rabitti - sarebbe successo dopo le rivelazioni fatte il giorno prima dal quotidiano. Rivelazioni?, ironizza Rabitti, ma è tutto scritto e da un bel pezzo in libri, riviste scientifiche, esposti, giornali. Compreso il vostro, che lo scorso giugno aveva titolato in prima pagina Inceneriti dallEnichem. Per non parlare di Radio popolare che ci avrà intervistati almeno una dozzina di volte. Sono anche venuti fin qua, a casa nostra.Cè un fatto nuovo, però, quei dodici nomi (Cefis, Schimberni, Necci, Cragnotti, solo per citare quelli più noti) iscritti nel registro degli indagati. Sì, ma il provvedimento, i pubblici ministeri Giulio Tamburini e Marco Martani, non lhanno preso dopo essere andati alledicola. Dietro cè un lavoro di denuncia e di ricostruzione dei dati che, con altri, portiamo avanti da almeno cinque anni. Circondati dallostracismo e dalle minimizzazioni anche istituzionali. Io per svolgere la mia attività di libero professionista ho dovuto cambiare regione e a mia moglie hanno dato della visionaria, dellallarmista. Perché cè voluto così tanto tempo per passare dallindagine contro ignoti ai nomi e cognomi? Quando ci sono in ballo industrie importanti e posti di lavoro si va con i piedi di piombo. Con il dottor Ricci e il dottor Bai lei è uno dei consulenti dei pm. Cosa emerge dalla relazione che avete consegnato la settimana scorsa ai magistrati? Per ora si è trattato di una consulenza preliminare, una sintesi delle conoscenze tecnico scientifiche per mettere in grado i magistrati di capire la materia e la vicenda. Di più non posso dire. Nellinchiesta della magistratura confluiscono due filoni, quello dei linfomi e delle leucemie che hanno colpito gli operai del petrolchimico dal 57 ad oggi e quello dei sarcomi tra la popolazione residente. Cause diverse o identiche? Il filone sui tumori tra gli operai è relativamente semplice: il benzene è un cangerogeno accertato da mezzo secolo, lo stirene è classificato come possibile cancerogeno. Cambiano le sostanze rispetto allinchiesta di Casson su Porto Marghera, ma il metodo di lavoro del pubblico ministero veneziano è unesperienza di cui far tesoro. Per i sarcomi ai tessuti molli la cosa è molto più complicata. Siamo di fronte ad unanomalia a livello mondiale, chi abita nelle vicinanze dellinceneritore ha una probabilità di contrarre un sarcoma 25 volte più alta della media. A fare un collegamento tra questo tipo di sarcomi e la diossina, dello stesso tipo di quella di Seveso, è stato lIstituto superiore di sanità. Si può ipotizzare che le cause dei tumori professionali hanno agito per anni nel ciclo produttivo, mentre la diossina è legata a un evento puntuale? La comunità scientifica concorda nel ritenere che questo tipo di sarcomi non dipende da un inquinamento industriale di tipo tradizionale. Cosa può essere successo qua a Mantova non lo sappiamo. Uno smaltimento eccezionale nellinceneritore di materiale con alta presenza di diossina? Oppure negli anni Settanta sono state fatte lavorazioni che non conosciamo? La cosa più ovvia da fare è verificare se di diossina ce nè ancora. La diossina si dimezza in dieci anni. Se ce nera tanta, la troviamo ancora. Linceneritore è ancora in funzione? Sì, però da dieci anni lavora a ritmo ridotto e non brucia più rifiuti clorurati, quelli che potenzialmente sviluppano diossina. Enichem, padrona del petrolchimico di Mantova dal 91, si chiama fuori. Se responsabilità ci sono, dice, sono dei padroni precedenti e non certo nostre: Montedison, Montedipe, Montepolimeri, Enimont. Sarà vero? Penso sia abbastanza vero. Il futuro per quel pezzo di Mantova? Pessimo. Cè già lok per costruire un altro inceneritore dellEni dove bruciare 180 mila tonnellate di rifiuti speciali. Si progettano due centrali a turbogas. Visto quel che è già successo, non mi sembrerebbe il caso dinfierire. Il Manifesto 7 aprile 2001 «Mio marito, morto per il benzene» Parla la vedova di un operaio dell Enichem: «Sapeva che era un posto pericoloso» Dalai Vincenzo. Mantova, i pm studiano l imponente documentazione acquisita sul Petrolchimico «Mio marito, morto per il benzene» Parla la vedova di un operaio dell Enichem: «Sapeva che era un posto pericoloso» MANTOVA - La documentazione acquisita presso lo stabil imento Petrolchimico Enichem di Mantova, la direzione generale di San Donato Milanese e gli uffici Montedison a Milano è oceanica. Tanto da far sorgere il problema di dove custodirla. Quintali di carta con schemi degli impianti, relazioni sanitarie, fascicoli personali dei dipendenti, registri con le analisi sulle emissioni, brogliacci degli stoccaggi, cartelle mediche interne, tutto quanto potesse radiografare l attività industriale della fabbrica di Frassine dal 70 ad oggi è sotto se questro. La domanda a cui i magistrati tenteranno di rispondere è precisa: l inquinamento industriale - stirene e benzene in particolare – è strettamente collegato all aumentata mortalità per tumore dei lavoratori e delle popolazioni residenti nei quartieri vicini al Petrolchimico? I familiari degli operai morti non hanno dubbi e lo hanno scritto nei loro esposti già dal maggio 98, da quando è partita l indagine culminata nella maxi perquisizione di giovedì. «Mio marito ha lavorato trent a nni in quello stabilimento - ricorda Giuseppina Grassi, 63 anni, moglie di Franco Peretti morto di linfoma cinque anni fa -, nel settembre 57 venne assegnato al reparto ST 3 dove si producevano plastica e polistirolo. Mi diceva che era un posto per icoloso, alla sera tornava a casa con i capelli intrisi di benzene. Ma in fabbrica gli dicevano che non era pericoloso, bastava una doccia». Franco Peretti solo nell 88 alle soglie della pensione cambia posto, trasferito alla centrale termica. Nel 93 scopre il tumore, è una lunga agonia di tre anni, progressivamente perde le forze e l uso delle gambe, muore in ospedale a Mantova. Ancor più certezze ha Dario Negri, 32 anni, figlio di Francesco deceduto nel giugno 99 per leucemia mieloide ac uta. «Dovuta a benzene con cui è entrato in contatto per attività professionale» hanno scritto sul referto di morte i medici dell ospedale Borgo Roma di Verona. «Mio padre ha lavorato trentatré anni al Petrolchimico - ricorda Dario Negri - cambiando 7-8 reparti dove lavoravano anche stirene e benzene». Corriere della Sera 7 aprile 2001 «Cvm, Casson inganna i giudici» Il difensore di Enichem all’attacco del pubblico ministero e di alcune sentenze della Cassazione Unarringa durata quasi cinque ore e che a tratti ha assunto i toni di una vera e propria lezione di diritto penale. Così il professor Federico Stella, difensore di Enichem - vincitore in pectore del processo di primo grado - ha dato il via alle arringhe dei legali dei dirigenti del Petrolchimico al processo dappello per le morti da cvm. Stella, che parlerà anche oggi e nelle prossime udienze, è tornato a trattare il nesso di causa tra esposizione a cvm e malattie correlate, tema che egli ha approfondito anche nel suo testo Giustizia e modernità (Giuffré editore). E Stella ha attaccato duro il Pm Felice Casson che avrebbe tentato di «ingannare i giudici dappello nascondendo la sconfitta dei propri consulenti tecnici». Un giudizio lapidario quello del difensore di Enichem per il quale, questioni come quelle dei danni alla salute da sostanze chimiche, non si dovrebbero trattare in ambito penale, ma piuttosto in ambito civile. Ma ad essere fuori dal recinto del diritto penale, non sarebbe solo il Pm, ma anche alcune sentenze della Cassazione penale sui danni da amianto citate da Casson, nonché altre sentenze emesse da giudici che avrebbero «travisato il concetto di probabilità logica». «Il concetto di probabilità logica non era conosciuto prima che uscisse un mio testo che tratta la questione - ha sottolineato il professore - Dato per scontato che non esiste una legge scientifica certa che spiega come il cvm possa provocare il cancro, anche qualora si faccia valere il principio della probabilità logica, occorre che questa raggiunga un livello del 99, 9 per cento. Questi sono i principi che sono stati fraintesi da molte sentenze e dal Pm Casson».Uno degli assiomi di Stella è che «le massime del comune buon senso non hanno alcun valore, se non sono confermate da una legge scientifica». «LEpa afferma che la percentuale di tumori imputabile allesposizione a sostanze chimiche sintetiche si aggira tra l1 ed il 3 per cento - ha ribadito il difensore di Enichem - E il Pm non ha dimostrato che una diagnosi anticipata avrebbe potuto allungare o salvare la vita agli operai. Anche dopo un eventuale intervento chirurgico, infatti, il paziente può vivere un anno ancora, ma la stessa cosa potrebbe accadere anche senza lintervento e talvolta addirittura la morte può avvenire proprio come conseguenza dellintervento. Inoltre non è stato dimostrato che il mancato allontanamento dei lavoratori dal cvm abbia peggiorato le loro condizioni di salute». Stella si è lungamente soffermato sulla giurisprudenza statunitense: «In America non cè un solo processo penale avviato per esposizione a sostanze tossiche - ha concluso il difensore di Enichem - Come mai, visto che i giudici ed i rappresentanti della pubblica accusa escono tutti da celebri università come Harvard e Yale? Perché queste questioni negli Stati Uniti sono trattate nellambito di processi civili e non penali. In Italia la speranza che si trovi il giusto cammino per trattare queste questi temi viene da una recente sentenza della nostra Cassazione civile».Nicoletta Benatelli Il Gazzettino 14/10/04 CHIMICA A MARGHERA PERCHÉ SERVE IL REFERENDUM appello del COMITATO PROMOTORE Ci rivolgiamo a tutti i cittadini, gli operai, gli studenti, le famiglie, i giovani, gli anziani. È in gioco il futuro di ognuno di noi, degli altri dopo di noi, dellintera comunità. Un futuro che, a Porto Marghera, è in mano ai signori della chimica e noi vogliamo riprendercelo, con il referendum. In questi ultimi mesi, il dibattito sul futuro di Porto Marghera ha subìto unaccelerazione, in forza di due progetti in discussione alla commissione Via (Valutazione Impatto Ambientale) regionale. Il primo riguarda il potenziarnento del impianto Cvm-Pvc, approvato dalla commissione con una serie di modifiche, rispetto al progetto iniziale, laltro in dirittura darrivo riguarda la sostituzione delle cene a mercurio nellimpianto cloro soda. A questo, va aggiunto il progetto dellHidrogen Park di utilizzare lidrogeno prodotto di scarto dei cicli chimici. Le multinazionali della chimica, lunione degli industriali, il sindacato, alcuni partiti, condividono e sostengono questi progetti in quanto, a loro dire, capaci di essere la strategia industriale giusta per garantire un futuro a Porto Marghera. È opportuno a questo punto cercare di chiarirci su cosa intendiamo per futuro, analizzando il tipo di ricaduta di questi progetti sui soggetti che ne verranno coinvolti. Il modello di sviluppo che le aziende propongono per i prossimi 20/30 anni non contiene novità. La formula è quella intrapresa da qualche anno, liberarsi degli impianti produttivi, a fronte. del disimpegno dello stato sulla chimica nazionale, puntare sulla filiera del cloro, assistita dagli impianti di petrolio e carbone. In questo scenario i profitti, che sempre meno nella chimica dipendono dal prezzo di vendita del prodotto, saranno legati allabbattimento dei costi e perciò allabbassamento del costo della forza lavoro, alla diminuzione delle spese per ammodernamento e manutenzione degli impianti. Se pur con dinamiche diverse le varie Evc, Sindyal, seguono e seguiranno le Orme delle più vecchie Montedison, Enichem, cioè sfrutteranno al massimo gli impianti, ridurranno il numero di addetti, aboliranno la ricerca e la manutenzione. La strada è già ben tracciata dalle attuali politiche aziendali. Il risultato finale sarà che qualche decina di persone più i loro portaborse avranno un futuro assicurato, anzi un dolce futuro, fatto di guadagni enormi da dividere in pochi.Per tutti gli altri? Per quelle decina di migliaia di persone che vivono a ridosso delle fabbriche, per i lavoratori, per lambiente, ci può essere un futuro con questo modello di sviluppo? Non è forse ora che, anche nel dibattito politico di queste settimane su Porto Marghera, si introduca come elemento prioritario le necessità, i diritti di tutti quei soggetti che, da decenni, subiscono tutti gli effetti negativi della presenza del polo chimico. Se il fosgene, il Cvm, il cloro rimangono a Marghera, i cittadini quale vantaggio ne avrebbero? Nessuno! Anzi, vedrebbero péggiorare sensibilmente la propria qualità del1a vita già ampiamente compressa. La cronaca lunghissima degli incidenti al Petrolchimico, oltre 40 negli ultimi anni, dimostrano linaffidabilità di impianti vecchi e obsoleti, la compattezza di scelte aziendali impostate per mettere allultimo posto la tutela delta salute, rispetto ai loro profitti. Con questa filosofia e pratica, la sicurezza è un optional che nessuno vuole adottare perché costa, come costa linnovazione tecnologica, parola tabù da queste parli. Trovano spiegazione in questo contesto le continue fughe, incidenti in impianti datati 1971/72 se non antecedenti. Strutture complesse ad alto impatto ambientale per le sostanze cancerogene prodotte, con un livello di manutenzione bassissimo, con un investimento ambientale da parte delle aziende che è calato dal 1999 al 2001 del 42\% (dati Arpav) e con una conseguente ricaduta immediata sui lavoratori, in termini di aumento della frequenza degli infortuni del 14\% nel suddetto periodo di tempo, con un indice di gravità aumentato, negli ultimi due anni, del 38\%. In questa situazione, il nuovo impianto del cloro soda che nuovo non sarà, visto che la Sindyal, per non bonificare il terreno dal mercurio, sostituirà solamente la parte delle celle, e il sempre verde, si fa per dire, impianto bilanciato di Cvm/Pvc, sarà compatibile con i nostri polmoni, con la laguna, con questo nostro territorio. Certo che no! Il fosgene rimarrà a perseguitarci, in eterno, visto che la produzione verrebbe potenziata mantenendo lattuale situazione di stoccaggio, no bunker, ci sono atterraggi aerei. Il dimetil carbonato, sostitutivo innocuo del fosgene, rimarrà una favola a uso e consumo della Dow Chemical. Il Cvm tristemente noto in quanto cancerogeno e responsabile di molti decessi tra i lavoratori continuerà ad essere emesso dai camini. Le bonifiche di 2mila ettari di un territorio tra i più inquinati dItalia rimarranno sogni nei cassetti o, per piccole porzioni, si avvieranno messe in sicurezza per speculazioni immobiliari. I sistemi di allertamento e informazione per i cittadini in caso di incidente chimico resteranno semplici progetti sulla carta come sta avvenendo in questi due anni.Insomma una riconferma totale di questo sistema produttivo basato sul peggioramento della qualità della vita dei lavoratori e della popolazione. In questa situazione, non è possibile lasciare la nostra vita e salute, in mano ai signori della chimica e ai loro progetti, che la condizioneranno per i prossimi ventanni.Questa comunità, in tutte le sue componenti, deve decidere del futuro di Porto Marghera, a fronte anche dei limiti e vuoti dellazione politica istituzionale che tentenna sul cosa fare della chimica. Che siano i cittadini di questo comune, attraverso la trasparenza della consultazione popolare, a dare un indirizzo di prospettiva su alcuni cicli di Porto Marghera. Che il rifiuto di convivere con sostanze tossico-nocive, a poche centinaia di metri, venga ratificato attraverso un referendum. Il Gazzettino 17/10/04 E Anna Maria Cusmai, vedova di Nicola Lovecchio, capoturno morto per tumore. Da lui partì linchiesta e il processo che oggi vorrebbero chiudere con un risarcimento Manfredonia, una donna sfida loblio sul petrolchimico di Giulio Di Luzio. Siamo arrivati al risarcimento: è giunto il momento che purtroppo avevamo messo in conto, ma che speravo non arrivasse». Anna Maria Cusmai è la vedova di Nicola Lovecchio, il capoturno del reparto insacco del petrolchimico di Manfredonia, deceduto per tumore nel 97 a 49 anni. A lui si deve linchiesta di autotutela operaia in fabbrica, condotta con Medicina Democratica, che ha poi rappresentato il trampolino di lancio di tutto il percorso giudiziario. Adesso, il processo in corso nella città pugliese contro i vertici del petrolchimico per disastro colposo, omicidio colposo plurimo, lesioni e omissioni di controllo, si trascina ormai senza sussulti e prende sempre più corpo la prospettiva che un gruzzolo di denari, a titolo di risarcimento per le vedove dellEnichem, possa azzerare la memoria, le responsabilità e i pesanti interrogativi di un pezzo di storia industriale. Ma, soprattutto, il rischio è che seppellisca definitivamente le poche voci fuori dal coro, che cercano ancora la verità e non i colpi di spugna. Le ultime vedove, vestite caparbiamente a lutto, hanno abbandonato progressivamente laula giudiziaria del processo, oramai lasciate solo dalla stessa amministrazione comunale a sostenere il peso economico e psicologico dellimpari scontro contro lex azienda di Stato. In più, le voci di questi giorni su un possibile risarcimento in loro favore, sembrano aver spezzato la debole presa che legava queste donne agli esiti incerti di un processo pieno di insidie. Da qua tutta lamarezza nelle parole di Anna Maria. Loperaio che alzò il polverone, come si disse negli anni, sul finire del 90, della sua coraggiosa denuncia seppe muovere una profonda critica al modello di produzione della chimica italiana in tema di sicurezza: «Nicola resta ancor oggi - commenta sua moglie - un personaggio scomodo, soprattutto quando ci ricorda che il prioritario diritto alla salute non deve essere subordinato al profitto. Purtroppo qui, a Manfredonia, anche la speranza si è spenta e sono in tanti a voler calpestare per sempre il suo messaggio. Ma il tempo ci darà ragione e le parole di Nicola risuoneranno più forte in questa città». Una ricerca, quella di Lovecchio, portata avanti solitariamente con loncologo Maurizio Portaluri di Md, nellindifferenza dello stesso sindacato; uninchiesta sostenuta da una puntuale ricostruzione dei cicli produttivi, degli ambienti di lavoro e delle sostanze tossiche presenti nei reparti dellEnichem, tra cui il famigerato reparto insacco fertilizzanti, ove troveranno la morte decine di lavoratori, e lo stesso Lovecchio. Oggi il telefono di casa sua, in quella suggestiva salita mozzafiato di via dei Mandorli, che cerca di arrampicarsi dal porto fin quasi sulla montagna, non squilla più. Negli ultimi anni di vita e di inchiesta di Nicola quellabitazione ha rappresentato la voglia di riscatto delle centinaia di operai Enichem contaminati da arsenico in seguito allincidente del settembre 76. Nel suo estremo tentativo di ricostruire la verità storica del lavoro in fabbrica, i compagni vedevano la possibilità che anche la verità giudiziaria riconoscesse le storie e le vite troncate dalla nocività del lavoro nel petrolchimico. Oggi le circostanze sembrano imboccare un viatico diverso e tutti hanno fretta di dimenticare: «La cosa più grave - sibila Anna Maria, rimasta lunica vedova a seguire il processo - è che tutte le vedove intendono accettare lofferta di risarcimento, che gli avvocati dei dirigenti dellEnichem hanno già cominciato ad avanzare alle famiglie dei lavoratori morti. E così sarà tutto cancellato e rimosso. Ma non si può monetizzare la vita. Non è possibile dimenticare quel che è successo e la strage operaia che ha segnato questa città». E verosimile che la prospettiva di uno sconto di pena che si delinea per un esito giudiziario che non sembrerebbe rientrare nelle previsioni del collegio difensivo dei dirigenti Enichem, abbia indotto alla scelta del risarcimento. «Ma io non ci sto - dice con parole ferme la vedova Lovecchio - restituirò allEnichem qualsiasi proposta di risarcimento, perché la vita non ha prezzo e non basteranno i denari dellazienda a ridurci al silenzio. Continueremo la nostra battaglia per la verità, la giustizia e il lavoro fin quando avremo vita, io e i miei figli, come avrebbe e ha fatto Nicola. E lui a ricordarcelo e ad indicarci la strada che dobbiamo percorrere giorno per giorno. Come lui ha creduto nel lavoro, noi vogliamo credere in quello che ci ha lasciato, anche contro chi vuole cancellare i ricordi, i morti, i silenzi, le omissioni». Sullo sfondo troviamo una città in ginocchio, più presa dallurgenza di liberarsi dal fardello ingombrante della memoria di Lovecchio - e del processo in corso - che dalla necessità di riflettervi collettivamente. Basta lanciare uno sguardo nei siti ex Enichem, dove la pretesa di un nuovo volto industriale di Manfredonia, con decine di aziende insediatesi in questi anni, intenderebbe nascondere i gravi problemi occupazionali, di inquinamento ambientale e di bonifica presenti sul territorio. Una seconda colonizzazione, sostiene Medicina Democratica, mentre i giovani fanno le valigie verso il nord e il sindaco diessino Paolo Campo si è sottratto agli inviti ad intitolare una piazza della città alla memoria di Nicola Lovecchio e alle vittime del petrolchimico. Proprio quelle vittime operaie in carne ed ossa che lofferta di risarcimento vorrebbe cancellare per sempre con un colpo di spugna. Liberazione 8/12/05
Posted on: Thu, 05 Dec 2013 02:01:04 +0000

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