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confidiamo che sia vero...... Dai tunicati i biocarburanti del futuro Diffusi, facili da riprodurre, economici da allevare. E soprattutto gli unici animali a produrre cellulosa Biocarburanti 4 Ambiente 17 Scienza 17 Tecnologia 327 NASCONDI Nasce sotto i migliori auspici - e le più alte aspettative - un progetto di ricerca norvegese che vede come protagonisti organismi marini assai comuni, facili da allevare nonché ottimi filtratori e depuratori d’acqua: sarebbero utilizzabili come biocarburante e nutrimento per i pesci d’allevamento. Il progetto, che si avvale di un finanziamento governativo di 8,7 milioni di corone norvegesi (poco più di 1 milione di euro), è gestito da scienziati dell’Università di Bergen e di Uni Research (un centro di ricerca privato, specializzato nei campi dell’energia, della biologia molecolare marina e dell’ambiente), e vede protagonisti i tunicati. ASCIDIA LUNGA - Nonostante l’aspetto, i tunicati sono animali. Quello interessato al progetto si chiama Ciona intestinalis («ascidia lunga» in italiano); ha forma cilindrica, consistenza gelatinosa e aspetto biancastro e translucido. Lungo circa 20 centimetri, ha un ingresso, cioè un sifone inalante, e un’uscita, chiamata sifone esalante. Cresce nelle acque temperate di tutto il mondo senza grandi problemi, e passa la vita a ingerire batteri e altri microrganismi per poi espellere acqua purificata. Posizionati alla base della catena alimentare, i tunicati hanno due caratteristiche strategiche per il progetto norvegese: sono gli unici animali che producono cellulosa – cosa che li rende potenzialmente un’ottima materia prima per la produzione di bioetanolo – e sono ricchi di acidi grassi Omega-3. Dai tunicati i futuri biocarburanti Dai tunicati i futuri biocarburanti Dai tunicati i futuri biocarburanti Dai tunicati i futuri biocarburanti Dai tunicati i futuri biocarburanti Dai tunicati i futuri biocarburanti ALLEVAMENTI - L’anno 2014 sarà dedicato a far quadrare i conti. Il processo innescato infatti è straordinariamente virtuoso, almeno in teoria; ora si tratta di trasferirlo su scala industriale. Il meccanismo funziona così: i tunicati, che si riproducono durante l’intero arco dell’anno, vengono allevati come si fa con i molluschi, agganciandoli semplicemente a grosse funi che dal fondo marino arrivano a boe di superficie. Le fredde acque delle coste norvegesi, ricche di nutrienti, rappresentano per loro una sorta di paradiso naturale. Non essendo predati da altre specie (gli unici a prestare loro attenzione sono stati, sinora, coreani e giapponesi, che li hanno inseriti nella loro cucina), crescono con abbondanza: un metro quadro di superficie marina ospita agevolmente 2.500-10 mila individui, che in termini di peso possono arrivare a 200 chili. BIOETANOLO - Una volta cresciuti, i tunicati vengono raccolti. La cellulosa di cui è composto il loro mantello (cioè il rivestimento esterno) può essere scomposta per ricavarne gli zuccheri necessari alla produzione di bioetanolo. Quest’ultimo, attualmente, proviene per la maggior parte da coltivazioni che potrebbero essere utilizzate per alimentare l’uomo o dal legname delle foreste; se la biomassa risultasse ricavabile da organismi come i tunicati – diffusi, facili da riprodurre, molto economici da allevare – lo scenario attuale potrebbe essere completamente rivisto. TRATTAMENTO - Dal punto di vista tecnico, i problemi sembrano risolvibili. «La massa corporea dei tunicati», spiega il capoprogetto, Christofer Troedsson, «è costituita per il 95% di acqua, che va eliminata. Per vendere il prodotto, dobbiamo essere in grado di rimuoverne almeno il 90% con una pressatura meccanica. Sinora siamo riusciti, su campioni, a eliminarne il 97%. Ora bisogna vedere se il risultato è riproducibile quando si trattano intere tonnellate di organismi». Ma non è finita. MANGIME PER I PESCI - I tunicati potrebbero essere utilizzati anche come mangime nell’industria ittica. Contengono infatti Omega-3, ovvero acidi grassi che risultano necessari nell’alimentazione dei pesci da allevamento. Questi ultimi, peraltro, li ritengono gustosi. Considerata la crescente domanda globale di proteine del pesce, e il fatto che la Norvegia è oggigiorno il maggior produttore mondiale di mangime per salmoni, il fatto che l’ascidia lunga contenga il 60% di proteine e sia ricca di Omega-3 appare un dato notevole. Ora si tratta (e non è poco) di rendere l’intero processo efficiente. PROGETTO -PILOTA - L’esperimento pilota realizzato a Øygarden, un’isoletta vicino a Bergen, ha prodotto ottimi risultati. Si tratta sempre, però, di piccole produzioni: per inserire il prodotto sul mercato in maniera competitiva (visto il bassissimo prezzo per chilo) sarebbe necessario tentare una produzione su larga scala. Se i due fattori chiave – volumi di materiale prodotto ed eliminazione dell’acqua - si riveleranno economicamente vantaggiosi, l’ascidia lunga potrebbe essere la protagonista di un luminoso futuro. 26 agosto 2013 (modifica il 27 agosto 2013) © RIPRODUZIONE RISERVATA Elisabetta Curzel
Posted on: Wed, 28 Aug 2013 20:32:15 +0000

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