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di Francesca Lemmi Un inno alla solidarietà femminile Donne che continuano a far fatica ad entrare nel mondo del lavoro (soprattutto se osano farlo quando sono nell’età potenzialmente a rischio per un’eventuale maternità), che difficilmente arrivano ai vertici delle aziende, nei consigli di amministrazione, ad assumere incarichi dirigenziali, a ricoprire ruoli direttivi… donne che in Italia vengono immediatamente messe da parte se osano pensare di potersi candidare per governare il Paese, perché su certe poltrone devono sedere solo e comunque uomini e possibilmente sempre i soliti, per una politica rigorosamente conservatrice. Scenari che si sviluppano davanti agli occhi di tutti, oramai noti e che più o meno tacitamente continuiamo evidentemente a tollerare e quindi ad accettare. Agli uomini, affetti o meno da maschilismo, va bene così, in quanto le probabilità di carriera e di potere sono maggiori fintanto che si contendono i posti d’onore prevalentemente fra di loro. E alle donne? Alcune, quelle più attente, più critiche e in qualche modo anche con un certo senso di appartenenza di genere (femminile), gridano all’ingiustizia e si infuriano ma finiscono per essere e rimanere solo voci senza riuscire a dare spazio a cambiamenti concreti e tangibili. Perché? Personalmente ritengo che l’errore stia nel persistere ad assumere un atteggiamento di lamentela e di critica nei confronti dell’esterno, senza sviluppare parallelamente un adeguato e costruttivo esame di auto-riflessione e di auto-critica. Infatti le donne continuano ad incolpare la società maschilista delle differenze e delle ingiustizie di genere che a tutt’oggi sussistono, soprattutto in certi settori lavorativi, nell’economia e nella politica. Tutto ciò è tristemente vero: la società è ancora calibrata su parametri maschili e maschilisti. Nonostante le porte delle scuole e delle università siano state aperte oramai da molto tempo anche alle donne in egual misura che agli uomini e i risultati attestino che le ragazze sono anche quelle che in maggior numero arrivano in fondo al percorso universitario e con votazioni più alte, non c’è stato un altrettanto adeguamento da parte del mondo del lavoro, che sembra avere ritmi più lenti e opporre resistenza all’arruolamento femminile anche per posizioni e incarichi di potere. Tuttavia ritengo che tutto ciò non sia sufficiente per spiegare la condizione attuale della donna italiana nella società e nel mondo del lavoro, in particolare. Penso che delegare la totale e completa responsabilità all’esterno (“è colpa della società”), sia indiscutibilmente comodo ma altrettanto fine a se stesso. Lamentele e sfoghi che, a parte l’effetto catartico e liberatorio, non apportano alcuna modifica concreta; lo show goes on con scenari che si ripetono. E’ arrivato il momento che anche noi donne ci assumiamo il nostro carico di responsabilità e che prendiamo consapevolezza del nostro ruolo nel mantenere la situazione di discriminazione di genere che tuttora vige in certi settori, perché solamente individuando e ammettendo le nostre responsabilità, è possibile modificare atteggiamento e quindi auspicabilmente ottenere cambiamenti tangibili e sostanziali. Riconoscere che la situazione attuale dipende anche da noi significa ammettere di poter avere un ruolo importante e attivo nel modificare la realtà, significa acquisire la consapevolezza e la motivazione che si può fare qualcosa e che il presente e il futuro della popolazione femminile non è alla mercé della bontà di qualche uomo, capo politico o datore di lavoro, o di qualche accidentale “colpo di fortuna”. A mio avviso, sono tre i punti su cui noi donne siamo deboli e su cui, quindi, potremmo attivarci: la mancanza di solidarietà femminile (non facciamo sufficiente gioco di squadra), il rimanere nelle retrovie, il non essere sufficientemente consapevoli e fiduciose delle nostre capacità e del valore della differenza di genere. Mi voglio soffermare sul primo aspetto, lasciando gli altri a successivi approfondimenti. Sono varie le situazioni in cui osservo, sempre con un certo sbigottimento, non lo nego, come le donne siano poco solidali fra loro attivando talora dinamiche competitive e quindi distruttive l’un con l’altra. Se siete ad un incrocio in auto e dovete immettervi in una strada principale, state pur sicure che le macchine che non vi fanno passare sono solitamente guidate da donne. Se siete al volgere dell’ultimo periodo di gravidanza e avete un cocomero al posto della pancia e accidentalmente osate andare in fila alla cassa prioritaria del supermercato confidando in un gesto di attenzione e solidarietà generale e generalizzato nel farvi passare (sarebbe pure un diritto!), il rischio della disillusione è alto, anche se davanti a voi ci sono donne, a loro volta potenzialmente mamme e nonne. Per non parlare di situazioni di gruppo, quando questo è costituito da sole donne, il rischio competizione e conflittualità è solitamente più alto rispetto a quando il gruppo è misto. Dopo aver vissuto realtà di classi miste e poi al liceo, una classe di solo ragazze, ho assolutamente chiaro quali siano le differenze e quindi, come la presenza esclusivamente femminile sia soggetta a sviluppare dinamiche competitive e di invidia. Questi sono solo alcuni esempi semplici e ordinari, a cui ne potremmo aggiungere altri molto più importanti e gravi. Non sono poche le situazioni lavorative in cui donne alle dipendenze lamentano comportamenti di ostruzionismo o comunque di scarso supporto e incentivazione da parte di capi donne, spesso riferite come meno comprensive degli uomini laddove, al contrario, ci si aspetterebbe una certa solidarietà femminile. Non meno difficile può risultare il rapporto con colleghe, le prime spesso a puntare il dito contro la lavoratrice donna che ha osato andare in maternità e quindi mancare dal lavoro per alcuni mesi. Non per ultimo, che dire delle ultime primarie del Pd? Quando ha osato candidarsi una donna, la risposta della popolazione femminile non è stata di supporto, di incentivazione e di solidarietà, come forse ci saremmo aspettate anche per il solo fatto che la candidata in questione dava voce ad un universo femminile fino adesso rappresentato sempre e solo da uomini. In conclusione, ritengo che fintanto che le donne vivono la propria dimensione esistenziale in modo individuale senza creare coalizione, sviluppare solidarietà e cooperazione femminile, i cambiamenti saranno difficili a concretizzarsi e comunque in tempi non brevi. Infatti nella speranza che qualcuno mi faccia vedere un’altra faccia della medaglia più rosea e positiva, dal mio modesto punto di vista, riscontro ancora scarso senso di appartenenza di genere, e di conseguenza, difficoltà da parte delle donne nel fare squadra e nel farsi promotrici di idee e progetti che possono acquisire forza e spessore solo se rappresentativi di un gruppo e di una popolazione uniti da una stessa mission. Articoli correlati: Voce alle donne Il mondo del lavoro non contempla i figli – II Il paradosso: non utilizzare il potenziale femminile - See more at: dols.it/2012/12/14/facciamo-gioco-di-squadra/#sthash.nacGkrAh.dpuf
Posted on: Tue, 19 Nov 2013 08:17:27 +0000

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