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questa particolare categoria di Associazione Culturale Falcone e Borsellino sede legale e operativa Via Molino I, 1824 Sant’Elpidio a Mare (AP) 63019 Tel/Fax +39.0734.810526 - Email: antimafiaduemila@antimafiaduemila affiliati alla prelatura. Sono storie di soprusi, di grandi sacrifici e privazioni, di punizioni corporali, di lavoro durissimo e mortificazione personale, di totale donazione dei propri beni e del proprio stipendio oltre che dei propri talenti e della vita stessa. A prescindere dalle scelte che ognuno di noi ha diritto di fare, a patto che siano compiute liberamente, ciò che colpisce maggiormente però è la differenza di vita condotta tra i numerari di cui la prelatura “liberamente (di essi) usa” e i soprannumerari. Sono i laici che hanno moglie e figli ma che hanno scelto la via della castità e sono, nella maggior parte dei casi, professionisti affermati e facoltosi inseriti in aziende, studi professionali, politica, imprenditoria, finanza. In poche parole dove vengono prese le decisioni che determinano gli andamenti del potere in molte parti del mondo. E per quanto convinti di aspirare alla santità molti dei più noti soprannumerari sono stati coinvolti in scandali recenti e passati alcuni dei quali dai risvolti a dir poco drammatici. Andando indietro nel tempo, al 1976, l’Opus Dei da poco guidata da Alvaro de Portillo viene chiamata in causa nell’assassinio del finanziere francese Jean de Broglie la cui tragica scomparsa appare essere in relazione con le vicende del Banque des Intéres Francais, partecipata al 35% da due membri spagnoli dell’Opus Dei: Andrea Rueda Salaberry e Rafael Termes. Molto significativo che a mettere a tacere il tutto interviene direttamente il governo spagnolo. Nel settembre del 1992 i mercati valutari mondiali subiscono un forte shock speculativo che porta il governo italiano a svalutare la lira del 7%. Nessuna conseguenza (togliere invece) per lo IOR che invece alcuni mesi prima ha provveduto ad acquistare marchi tedeschi trascinando con sé molti ordini religiosi che così si sono ritrovati pronti nel momento della crisi. Giuliano De Bernardo, gran maestro dell’Oriente d’Italia, non esita ad accusare il cardinale Rosario José Castillo Lara, presidente dell’Apsa e di cui abbiamo già detto nel capitolo Fiorani, di speculazione e denunciando, a mezzo stampa, che l’Opus Dei ha invaso come un polipo la finanza internazionale e anche quella italiana”. Di qui non è difficile comprendere, e nemmeno condividere, il sarcastico nomignolo con cui è stata ribattezzata la prelatura di Escrivá: “Octopus Dei”, la piovra di Dio. Della sua natura occulta e dei suoi loschi intrecci cominciano a chiedere alcuni deputati italiani attraverso interrogazioni parlamentari in cui si vuole chiarire il reale scopo di quella che Rino Formica all’epoca capogruppo socialista alla Camera dei Deputati chiama “una società segreta”. Un po’ mafia e un po’ massoneria, chiosa Rendina, i servizi segreti aprono un’inchiesta, tuttavia senza esito. Un intero capitolo a parte meriterebbe l’approfondimento della figura di Marcello Dell’Utri, soprannumerario dell’Opus Dei, condannato in primo grado a nove anni e mezzo per concorso esterno in associazione mafiosa e coinvolto nelle indagini per la ricerca dei mandanti esterni delle stragi del 1992 e 1993 quando morirono Giovanni Falcone, sua moglie, Paolo Borsellino e gli agenti delle loro scorte. In tempi molto recenti i misteri dell’Opus Dei sono tornati alla ribalta con due eventi. Il primo risollevato da Sabrina Minardi, l’ex amante di Enrico De Pedis, detto Renatino, boss della banda della Magliana legato a Pippo Calò, esponente di spicco della Cosa Nostra dei corleonesi, che dopo venticinque anni confessa il coinvolgimento del suo ex compagno nel rapimento della povera Emanuela Orlandi, figlia di un dipendente del Vaticano e sparita nel nulla il 22 giugno 1983. (Sul caso ha lungamente investigato il giudice Ferdinando Imposimato le cui considerazioni sono raccolte nel libro: “Vaticano-un affare di stato”, Ed. Koiné 2003) Allo stato attuale le dichiarazioni di questa super teste che chiamano in causa Marcinkus in persona nel rapimento della ragazza sono all’attento vaglio degli inquirenti che già hanno ravvisato molte contraddizioni, ma il nome di De Pedis ha risvegliato un altro scandalo. Il criminale, infatti, è stato sepolto, su concessione del prelato Javier Echevarriá, succeduto a del Portillo nella prelatura dell’Opus Dei, nella basilica di Sant’Apollinaire dove riposano fior di alti monsignori, e Associazione Culturale Falcone e Borsellino sede legale e operativa Via Molino I, 1824 Sant’Elpidio a Mare (AP) 63019 Tel/Fax +39.0734.810526 - Email: antimafiaduemila@antimafiaduemila la sua messa funebre è stata officiata da Monsignor Piero Vergari rettore della basilica. Che legame aveva questo lugubre personaggio con la Santa Sede? E cosa c’entrava, se c’entrava, con la scomparsa di Emanuela Orlandi? Misteri, misteri e ancora misteri, cui se ne aggiunge un altro recentissimo e delicatissimo poiché coinvolge direttamente un esponente di primo piano della finanza cattolica nazionale e soprannumerario dell’Opus Dei: Gianmario Roveraro. Etica del potere Gli studiosi di economia e finanza italiana, nonché i maggiori protagonisti, raccontano che la finanza cattolica, ribattezzata finanza bianca, nacque per contrastare l’ascesa e il potere della finanza laica massonica. In effetti in Italia il concetto stesso di sistema bancario giunge in netto ritardo rispetto al resto d’Europa. Come spiega il già citato “Finanza Bianca” di Giancarlo Galli, quando si decreta l’unità d’Italia nel 1861 con capitale Torino, Cavour è costretto a finanziarsi dagli Hambro e dai Rotschield per costruire la rete ferroviaria. Sarà poi Giolitti a fondare la prima Banca Commerciale Italiana nel 1894 avvalendosi comunque della professionalità di due banchieri israeliti mitteleuropei: Otto Joel e Federico Weil. La banca infatti nasce consorziando 6 banche tedesche, 3 svizzere, 3 austriache e 2 francesi. Il sistema bancario italiano è in questo periodo – scrive Galli – “un complesso intreccio di alleanze, di solidarietà, d’interessi, in cui sono pienamente coinvolti i potentati finanziari internazionali, con i loro addentellati ebraici nonché, per diffusa convinzione, massonici”. Ed è proprio per contrastare “lo strapotere finanziario laico-massonico” che nasce il Banco Ambrosiano e con lui il presunto dilemma dei cattolici tra Dio e dio denaro. In effetti le distinzioni nette non sono la caratteristica principale del mondo cattolico, persino questa pretesa presa di distanza dall’oscura massoneria. Benché il canone 2335 del Codice di Diritto Canonico decreti che nessun prelato possa essere affiliato alla massoneria, la storia racconta altri fatti. Al centro dell’attenzione torna ancora il cardinal Marcinkus. Secondo quanto denunciato dal giornalista Mino Pecorelli sulla sua temutissima rivista “OP, osservatorio politico” il 21 agosto 1967 l’atipico presidente dello Ior è entrato a far parte della massoneria con il numero di matricola 43/649 con il soprannome di Marpa. In una lista pubblicata il 3 novembre 1978 il suo nome appare affiancato a quello di Jean Marie Villot, segretario di stato della Santa Sede (matricola 041/3 soprannome Jeanvi), Agostino Casaroli, capo del Ministero degli esteri della Santa Sede (matricola 41/076 soprannome Casa), Sebastiano Baggio, presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano (matricola 85/2640 soprannome Seba), Salvatore Pappalardo, arcivescovo di Palermo (matricola 234/07 soprannome Salpa), don Virgilio Levi direttore dell’ “Osservatore Romano” (matricola 241/3 soprannome Vile), Roberto Tucci, direttore della radio Vaticana (matricola 42/58 soprannome Turo) e il braccio destro di Marcinkus Donato De Bonis (matricola 321/02 soprannome Dondebo). Quest’ultimo rimarrà dominus incontrastato della finanza vaticana anche dopo l’era Marcinkus e considerato il vero antagonista occulto di Angelo Caloia nel suo progetto di riformare la banca vaticana. Sottolinea infatti Galli: “Aveva l’ufficio più bello e ci passavano personalità più diverse. Era di casa monsignor Fiorenzo Angelini, ora cardinale, Francesco Cossiga lo chiamava Donatino, Giulio Andreotti lo teneva in massima considerazione. Monsignor De Bonis aveva rapporti con tutta la Roma che Associazione Culturale Falcone e Borsellino sede legale e operativa Via Molino I, 1824 Sant’Elpidio a Mare (AP) 63019 Tel/Fax +39.0734.810526 - Email: antimafiaduemila@antimafiaduemila contava, politica e mondana. Aristocratici, finanzieri e artisti come Sophia Loren. Questo spiegherebbe perché fra i conti accesi presso la banca si trovassero anche quelli di personaggi laici che dovettero confrontarsi con la giustizia italiana. Doveva bastare un cenno del monsignore per aprire un conto presso l’istituto vaticano, più riservato di quelli svizzeri, una sorta di paradiso (finanziario e fiscale) in terra…”. L’accusa di appartenenza del gotha del Vaticano alla massoneria non provocò alcuna reazione da parte della Santa Sede che, sempre senza preoccuparsi di smentire alcunché e nemmeno di fornire spiegazioni, relegò l’intera faccenda nell’elenco delle dicerie malevole. Sta di fatto che Mino Pecorelli fu assassinato il 20 marzo dell’anno successivo e che gli eventi che coinvolgeranno lo Ior confermeranno, almeno in parte, le inquietanti e sempre puntuali informazioni del giornalista. L’ombra della massoneria infatti si estende sin all’interno delle più segrete stanze vaticane. Rendina sostiene che Umberto Ortolani stratega della loggia P2 di Licio Gelli a metà giugno del 1963 mise a disposizione del cardinale Giacomo Lercaro una delle sue ville di Grottaferrata dove si sarebbero riuniti una serie di vescovi che sostennero la candidatura, poi vincente, del cardinale di Milano Montini, Paolo VI. E’ poi ormai provato da anni e anni di indagini condotte accuratamente da ultimo dal sostituto procuratore Luca Tescaroli che Sindona e Calvi strinsero il proprio sodalizio criminale proprio tramite Gelli e che, attraverso i comuni collegamenti con la massoneria e l’alta finanza, nelle casse vaticane e ambrosiane circolavano i soldi della mafia. Nella Cisalpine Overseas Bank, fondata da Calvi, Sindona e Marcinkus alle Bahamas, e nel cui consiglio di amministrazione figura Licio Gelli vengono infatti stoccati i fondi neri e riciclato il denaro sporco. Un procedimento, questo del riciclaggio, che avviene in tre tempi secondo quanto scrive il giudice Ferdinando Imposimato che a lungo ha indagato su questi temi: “Per primi i capitali della mafia, di partiti politici e grandi industrie sono versati nelle banche di Sindona. In un secondo momento passano allo Ior, che trattiene gli interessi, e quindi vengono trasferiti, con l’aggiunta di soldi della Santa Sede, nelle banche estere di Sindona, la Franklin Bank di New York e le sue filiali alle Bahamas e a Panama”. Imposimato pagherà molto caro il suo coraggio con l’assassinio di suo fratello Francesco ad opera della banda della magliana, coinvolta in tutta la vicenda, l’11 ottobre 1983. Il denaro sporco viene utilizzato per precisi scopi: il finanziamento di governi dittatoriali a seconda delle esigenze politiche e la compravendita di beni immobili. Secondo più fonti e inchieste tra cui quella del giornalista Paolo Ojetti, pubblicata sulla rivista Europeo, l’immenso patrimonio della chiesa che occupa circa un quarto di Roma, come abbiamo avuto modo di constatare nelle pagine precedenti, deriva perlopiù dalle transazioni illegali di mercato degli anni Settanta. La Santa Sede quindi, sintetizza Rendina, attraverso lo Ior e il denaro sporco gestisce quella che risulta essere in fondo l’impresa più legale perché apparentemente compiuta alla luce del sole, ovvero la compravendita di immobili dentro Roma. Che come abbiamo visto non pagano tasse o vengono assegnati a nomi di comodo di enti religiosi alcuni dei quali nascono e muoiono nel giro di pochi anni mentre altri diventano lucrosi affari. Quando papa Wojtyla ad Agrigento nel 1993 condannò con parole molto severe i mafiosi scomunicandoli – racconta Marino Mannoia – i boss, che portavano i loro soldi in Vaticano - si risentirono e maturarono così l’idea di far esplodere le bombe vicino alle chiese romane. Al progetto stragista di quegli anni Cosa Nostra avrebbe agito in concertazione con altre entità compresa la massoneria da intendersi non tanto come deviata o meno, ma proprio come luogo di incontro tra soggetti che rappresentano determinati poteri ed interessi disposti a ricorrere a qualsiasi mezzo pur di raggiungere il proprio fine. Associazione Culturale Falcone e Borsellino sede legale e operativa Via Molino I, 1824 Sant’Elpidio a Mare (AP) 63019 Tel/Fax +39.0734.810526 - Email: antimafiaduemila@antimafiaduemila E allora è lecita la domanda: può essere concepibile una funzione etica del potere? Negli esclusivi club dei decisori sono sicuramente convinti di sì anche perché a muovere le pedine sono loro stessi. Lo sbandierano ai 4 venti le migliaia di militanti di Comunione e Liberazione che accolgono sempre in festante tripudio al gran raduno di Rimini il senatore a vita Giulio Andreotti, il “grande statista” che, come ha definitivamente confermato la Cassazione, trattò con la mafia anche al prezzo della vita di Pier Santi Mattarella. Non sono da meno i cosiddetti Memores Domini, braccio d’acciaio di Cl, di cui un illustre rappresentante, il presidente della regione Lombardia Roberto Formigoni, è finito al centro di uno scandalo per le presunte irregolarità dell’operazione delle Nazioni Unite Oil for Food, petrolio in cambio di cibo durante l’embargo Iracheno, diventata la solita ghiotta occasione per far fioccare mazzette. Ne era certo anche Escrivà de Balaguer che all’interno dell’Opus Dei ha raccolto il fior fiore dei protagonisti della storia politica-economica contemporanea d’Italia e d’Europa. Se in linea teorica qualsiasi cosa sia indirizzata per il reale bene comune possa rispondere ai dettami cristiani i “frutti” in base ai quali si dovrebbe giudicare dimostrano che si è molto lontani dall’ottenere un tale risultato anche quando ci si impegna con le migliori intenzioni. Silenzio e Follia Gianmario Roveraro era un uomo riservatissimo. Sovrannumerario dell’Opus Dei aveva fatto del riserbo e della discrezione il tratto distintivo della propria vita privata e professionale. Serio, rigoroso e intelligente viveva la sua ambizione in modo misurato e accorto. Campione di atletica, che dovette abbandonare per un infortunio, dedicò la sua vita ad esplorare i settori più avveniristici del mondo della finanza. Nella sua lunga carriera si misurò con concorrenti italiani e esteri concedendosi qualche azzardo e correndo i rischi del mestiere. A volte perse, a volte vinse, ma il suo operato non andò mai sopra le righe. Sebbene operasse in un ambiente spregiudicato era da tutti considerato affidabile e si era guadagnato il rispetto di amici e nemici. Per questo la sua tragica ed efferata morte appare ancora più misteriosa. La sera del 5 luglio 2006, due notti prima della finale dei mondiali di calcio tra Italia e Francia, Roveraro sta rientrando a casa dopo una riunione dell’opera. Fa ancora molto caldo nonostante siano le 21:30 di sera. Mentre cammina lentamente cercando di prendere un po’ d’aria due uomini lo colpiscono alla testa e lo caricano su un’auto, una Fiat Doblò e, legato, lo portano in un casello idraulico in una frazione di Albareto vicino Modena. I sequestratori non sono professionisti. Sono Filippo Botteri, Marco Baldi ed Emilio Toscani. La mente del sequestro è il primo e le versioni di quanto racconterà sono al centro del mistero. Botteri e Roveraro si conoscono bene. Fino a poco tempo prima avevano lavorato insieme ad un affare importante che però era andato male. Roveraro aveva perso 300 mila euro provenienti dai conti personali della famiglia e come per ogni difficoltà che aveva dovuto affrontare nella vita aveva reagito con compostezza. Per Botteri invece la questione era molto più grave e complicata. Giovane imprenditore parmense, figlio di un’importante donna d’affari, Laetitia Botteri, e di un padre che non ha mai conosciuto se non in tarda età vede in Roveraro un punto di riferimento e un’ottima occasione di successo e riscatto da una gioventù inconcludente e un po’ scapestrata. L’occasione viene dall’Austria dove il finanziere, uno dei due soli in Italia in grado di farlo, sperimenta Associazione Culturale Falcone e Borsellino sede legale e operativa Via Molino I, 1824 Sant’Elpidio a Mare (AP) 63019 Tel/Fax +39.0734.810526 - Email: antimafiaduemila@antimafiaduemila una nuova formula economica: l’Mtn, il Medium Term Notes. In pratica si tratta di un complesso e delicato sistema di piccoli investimenti che grazie alla “leva finanziaria” rendono notevoli guadagni in un tempo abbastanza limitato. Botteri è entusiasta dell’opportunità offertagli da Roveraro e si prodiga per rastrellare quanti più investitori possibili. Grazie alla fiducia di cui gode negli ambienti altolocati della sua zona investe e fa investire circa due milioni di euro. Dopo non molto tempo è chiaro che qualcosa non va. I ritorni sperati non ci sono, anzi si necessitano ulteriori capitali. Che sia Roveraro che Botteri versano, ma la situazione non fa che aggravarsi e il giovane imprenditore comincia a subire le pressioni dei suoi creditori che vogliono vedere i risultati delle proprie esposizioni. Nel racconto dello stesso Botteri il denaro che doveva essere investito in Austria veniva ritirato da due emissari di Roveraro che venivano a prendere le banconote, le infilavano nelle 24 ore e le trasportavano oltre confine. Ai due, conosciuti come Gianni e Claudio e nulla più, il giovane emiliano aveva consegnato 3 miliardi di lire e 800 milioni di sua proprietà senza avere in cambio alcuna pezza di riscontro, ovviamente. Si fidava, erano uomini di Roveraro. Per questo quando capisce di non poter più venire in possesso dei suoi investimenti e soprattutto di quelli di tutti coloro cui aveva proposto l’affare garantendo personalmente Botteri ritiene Roveraro responsabile del suo tracollo. Così pianifica il rapimento con l’aiuto dei due complici, semplici amici che aveva aiutato in passato e che volevano restituirgli il favore. Del resto si trattava di ottenere dal finanziere due milioni di euro in riscatto e basta. Ed è qui infatti che si ferma il racconto di Baldi e Toscani poiché il drammatico epilogo è tutto solo nelle parole di Botteri. Che confessa in un primo momento di aver portato Roveraro in aperta campagna per chiarire definitivamente i loro accordi e cercare di avere indietro il proprio denaro. Roveraro però ad un certo punto lo avrebbe minacciato di fargliela pagare e quindi Botteri, persa la testa, gli avrebbe sparato un colpo alla nuca. L’orrore non finisce qui. Il giovane infatti sarebbe poi tornato sul luogo del delitto aiutato dai suoi complici e con il macete avrebbe fatto a pezzi il cadavere del finanziere per poi sparpagliarne i pezzi in sacchi neri tra i campi. L’uso del condizionale in questa ricostruzione è d’obbligo poiché il reo confesso ha fornito più di una versione dei fatti. Dopo numerosi interrogatori rivela ai magistrati che il finanziere sarebbe stato d’accordo a farsi sequestrare. Di fronte all’incredulità dei magistrati e persino dei suoi avvocati che già si erano occupati del finto sequestro Sindona sostiene che Roveraro si trovava in una situazione difficile che non gli aveva mai spiegato nei dettagli, ma che aveva necessità di creare una situazione in cui costretto poteva fare delle rivelazioni compromettenti. “Siccome lui era un cattolico fervente e convinto fino al limite dell’integralismo lui praticamente aveva appoggiato qualcosa per motivi che non mi ha mai detto… era tormentato dal dilemma… da un’ossessione”… Il dramma invece si sarebbe scatenato quando Roveraro improvvisamente gli disse di non volerne fare più nulla e anzi gli avrebbe detto: “Non me ne frega più niente, voglio andare a casa, vi rovino tutti”. Botteri, preso da un raptus di rabbia, gli avrebbe così sparato. I magistrati non crederanno mai a questa versione che però il giovane assassino continuerà a difendere strenuamente. Per quanto non possa considerarsi attendibile vanno ricordate le parole della moglie di Roveraro Silvana Canepa che nonostante le telefonate rassicuratrici del marito capì subito che qualcosa non andava, dato che mai prima di quel momento Gianmario aveva tenuto un comportamento così inspiegabile e fuori dalle sue rigidissime abitudini.
Posted on: Wed, 04 Dec 2013 13:24:14 +0000

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