Battaglia di Vittorio Veneto La battaglia di Vittorio Veneto o - TopicsExpress



          

Battaglia di Vittorio Veneto La battaglia di Vittorio Veneto o Terza battaglia del Piave[7] fu lultimo scontro armato tra Italia e Impero austro-ungarico nel corso della Prima guerra mondiale; si combatté tra il 24 ottobre e il 4 novembre 1918 nella zona tra il fiume Piave, il Massiccio del Grappa, il Trentino e il Friuli e seguì di pochi mesi la fallita offensiva austriaca del giugno 1918 che non era riuscita ad infrangere la resistenza italiana sul Piave e sul Grappa e si era conclusa con un grave indebolimento della forze e della capacità di combattimento dellEsercito imperiale e regio. Lattacco decisivo italiano, fortemente sollecitato dagli alleati che erano già passati alloffensiva generale sul fronte occidentale, ebbe inizio solo il 24 ottobre 1918 mentre lImpero austro-ungarico dava già segno di disfacimento a causa delle crescenti tensioni politico-sociali tra le numerose nazionalità presenti nello stato asburgico, e mentre erano in corso tentativi di negoziati per una sospensione delle ostilità. La battaglia di Vittorio Veneto fu caratterizzata da una fase iniziale duramente combattuta durante la quale lesercito austro-ungarico fu ancora in grado di opporre valida resistenza sia sul Piave che nel settore del Monte Grappa, a cui seguì un improvviso e irreversibile crollo della difesa, con la progressiva disgregazione dei reparti e defezioni tra le minoranze nazionali, che favorirono la rapida avanzata finale dellesercito italiano fino a Trento e Trieste. Il 4 novembre 1918 venne concluso larmistizio di Villa Giusti che sanzionò la fine dellImpero austro-ungarico e la vittoria dellItalia nella Grande Guerra. Il Fronte italiano Il 24 giugno 1918 la battaglia del Solstizio si concluse con un significativo successo dellesercito italiano, che era riuscito a respingere lultima grande offensiva generale dellesercito austro-ungarico (operazioni Lawine, Radetzky e Albrecht) sia nel settore del Piave che nel settore del Monte Grappa; nelle settimane successive, con una serie di contrattacchi locali, erano state riconquistate dagli italiani anche le piccole teste di ponte costituite sul fiume dagli austro-ungarici. La grande battaglia aveva segnato una svolta decisiva della guerra sul fronte italiano: lesercito austro-ungarico aveva subito pesanti perdite, 118.000 morti, feriti e dispersi, superiori a quelle italiane, 85.600 morti, feriti e dispersi, senza raggiungere risultati decisivi e al contrario subendo una grave indebolimento della sua forza materiale e della sua coesione morale[8]. Nonostante limportante vittoria difensiva il generale Armando Diaz, capo di Stato maggiore del Regio Esercito dal 9 novembre 1917 dopo la destituzione del generale Luigi Cadorna in conseguenza del disastro di Caporetto, rimaneva prudente e non molto ottimista sulla possibilità di sferrare in tempi brevi una grande controffensiva. Sollecitato il 12 e il 27 giugno dal generale Ferdinand Foch, comandante supremo alleato, a passare risolutamente allattacco, il generale Diaz aveva evidenziato nella lettere del 21 giugno e del 6 luglio come lesercito austro-ungarico, pur battuto, aveva ancora mostrato disciplina e capacità combattiva; egli inoltre lamentava carenze di materiali e di complementi che rendevano consigliabile evitare attacchi prematuri, e richiedeva il concorso delle truppe statunitensi, in fase di massiccio afflusso in Europa, anche sul fronte italiano[9]. Durante la permanenza del generale Diaz in Francia, Foch ribadì la sua opposizione a inviare in quel momento grandi contingenti statunitensi in Italia: il comandante in capo alleato si dimostrò ottimista e affermò di ritenere possibile entro la fine dellanno ricacciare i tedeschi oltre il [[Reno], promettendo invece per la primavera del 1919 linvio di 400.000 soldati americani sul fronte italiano. In realtà la situazione globale della guerra alla metà di settembre e i segni di cedimento degli Imperi Centrali sul fronte occidentale e sul fronte balcanico sembravano prospettare la possibilità di un crollo dei nemici già entro il 1918; di conseguenza si correva il rischio per lItalia che il conflitto finisse con la vittoriosa avanzata alleata sugli altri fronti, prima ancora che lesercito italiano fosse finalmente passato allattacco, e con gli austro-ungarici ancora in possesso del Friuli e di parte del Veneto[11]. Queste considerazioni spinsero quindi lo Stato maggiore italiano a elaborare i primi progetti offensivi. Il 25 settembre il colonnello Ugo Cavallero, capo ufficio operazioni del Comando Supremo, diramò uno Studio di una operazione offensiva attraverso il Piave che illustrava una serie di possibili piani: il documento prevedeva la possibilità di dover sferrare in breve tempo unoffensiva di fronte allimminente crollo del nemico, e in questo caso lattacco avrebbe dovuto essere rapidamente allestito, immediatamente efficace e cogliere di sorpresa gli austro-ungarici. Escludendo attacchi nellinadatto territorio dellaltopiano dei Sette Comuni, il colonnello Cavallero proponeva unoffensiva in pianura, nel settore del Piave, con direttrice strategica verso Vittorio Veneto; il fronte dattacco sarebbe stato esteso su circa venti chilometri e si prevedeva di impegnare ventiquattro divisioni e mezza oltre a tre divisioni britanniche[12]. Il 26 settembre il generale Enrico Caviglia, comandante dell8ª Armata, fu convocato al quartier generale e messo a conoscenza della memoria operativa redatta dal colonnello Cavallero; il generale rilevò che mentre il colonnello Cavallero e il generale Pietro Badoglio, sottocapo di Stato maggiore generale, apparivano chiaramente favorevoli a passare alloffensiva, il generale Diaz era molto meno deciso e manteneva dubbi e incertezze. Il generale Caviglia espresse critiche al progetto e consigliò di apportare alcune modifiche operative: egli proponeva di ampliare il fronte dattacco verso nord fino a Vidor e di organizzare, alcuni giorni prima dellinizio delloffensiva principale, anche un assalto diversivo nel settore del Monte Grappa. Le idee del generale Caviglia vennero discusse e approvate in un colloquio con il colonnello Cavallero e i generali Badoglio e Scipione Scipioni, quindi il piano venne presentato a Diaz che sembrò daccordo[13]. subito. Dopo un incontro tra i generali Giardino e Diaz il 21 ottobre, venne stabilito che loffensiva avrebbe avuto inizio il 24 ottobre con lattacco nel settore del Monte Grappa a cui sarebbe seguito entro dodici ore lassalto principale sul Piave[21]. Lordine doperazioni definitivo venne comunicato il 21 ottobre e confermava che loffensiva sarebbe iniziata con unazione della 4ª e 12ª Armata nel settore Brenta-Piave per impegnare le forze austriache schierate nel Trentino, mentre lattacco più importante sul medio Piave sarebbe stato sferrato entro le prime ore notturne del medesimo giorno dalla 8ª e dalla 10ª Armata e una parte della 12ª Armata; la 6ª Armata avrebbe collaborato con una manovra verso Cismon. I generali Caviglia e Giardino mossero alcune critiche al piano finale: il primo ritenne che fosse necessaria una maggiore distanza di tempo tra i due attacchi per poter attirare le riserve austriache nel settore del Brenta, mentre il secondo nelle sue memorie lamentò linsufficiente tempo concessogli per i preparativi e mise in dubbio lefficacia tattica dellassalto nel settore del Monte Grappa; di fatto il piano di operazioni avrebbe costretto la 4ª Armata a sferrare costosi attacchi frontali, simili alle inutili battaglie dellIsonzo, subendo pesanti perdite[22]. Le forze contrapposte Il Regio Esercito Il 24 ottobre 1918, giorno dellinizio delloffensiva finale dellesercito italiano nella Grande Guerra, il generale Diaz schierava dal Passo dello Stelvio al mare un complesso di forze costituito da 57 divisioni di fanteria e 4 divisioni di cavalleria, assegnate al comando di otto armate di prima linea e una armata di riserva[1]. Sul fianco sinistro, tra il passo dello Stelvio e la riva occidentale del Lago di Garda, si trovava la 7ª Armata del generale Giulio Tassoni formata da due corpi darmata, seguivano la 1ª Armata del generale Guglielmo Pecori Giraldi, schierata dalla sponda occidentale del Lago di Garda alla Val dAstico con tre corpi darmata, e la 6ª Armata del generale Luca Montuori che occupava laltopiano dei Sette Comuni fino alla riva sinistra del Brenta con altri tre corpi darmata. Il settore del Massiccio del Grappa fino alla cima Palon, era affidato alla 4ª Armata del generale Gaetano Giardino che disponeva di tre corpi darmata, rafforzati da quattro gruppi dassalto, reparti scelti della nuova specialità denominata arditi, e un reggimento di cavalleria; dal Monte Tomba fino ai ponti di Vidor sul Piave si trovava la 12ª Armata guidata dal generale francese Jean César Graziani, formazione costituita da un corpo darmata italiano e dal 12º corpo darmata francese con una divisione e due reggimenti francesi[32]. Lungo il corso del Piave, dal ponte di Vidor a Ponte della Priula, si trovava l8ª Armata del generale Enrico Caviglia che, costituita da quattro corpi darmata e dal corpo dassalto del generale Francesco Saverio Grazioli, era la formazione più numerosa e potente dellesercito; sulla sua destra era schierata sul fiume, da Ponte della Priula fino a Ponte di Piave, la 10ª Armata del britannico Frederick Cavan, formata da un corpo darmata italiano e dalle due divisioni del 14º corpo darmata britannico del generale James Melville Babington. Lesercito schierato per lultima battaglia era formato in totale da circa 700 battaglioni di fanteria, tra cui otto battaglioni di ciclisti e 31 reparti dassalto, mentre la cavalleria era costituita da quattro divisioni, nove reggimenti, altri gruppi di squadroni e formazioni di autoblindo[1]. LEsercito Imperiale e Regio Lesercito austro-ungarico schierato sul fronte italiano era minato dalla sfiducia, dalle sofferenze materiali e dalla discordia nazionalistica, ma rimaneva ancora un complesso di forze numeroso, tenace e solidamente inquadrato; suddiviso nei due raggruppammenti del Tirolo e del Piave, allineava quattro armate e il cosiddetto Gruppo Belluno. Il Gruppo darmate del Tirolo era comandato dallarciduca Giuseppe dopo la destituzione del generale Conrad e schierava dal Passo dello Stelvio fino al fiume Astico la 10ª Armata del generale Alexander von Krobatin con quattro corpi darmata, varie forze di riserva e 1.230 cannoni, mentre l11ª Armata del generale Viktor von Scheuchenstuel disponeva, dallAstico al fiume Brenta, di tre corpi darmata, tre divisioni di riserva e 1.120 cannoni; il gruppo darmate teneva inoltre in seconda linea la 3ª Divisione da montagna Edelweiss e la 74ª Divisione fanteria[41]. Il cosiddetto Gruppo darmate Boroevic era guidato dal capace ed esperto generale Svetozar Boroevic e difendeva il settore del fronte austro-ungarico compreso tra la riva sinistra del Brenta e il mare, coprendo quindi tutta la linea del Piave. Il Gruppo Belluno del generale Ferdinand von Goglia era schierato dal Brenta a Fener con tre corpi darmata e 1.460 cannoni e disponeva anche di una riserva costituita da altre tre divisioni; la 6ª Armata del generale Alois von Schönburg-Hartenstein era schierata nel settore piu critico da est di Fener alla Grave di Papadopoli con due corpi darmata, tre divisioni di riserva e 835 cannoni. Infine dalle Grave di Papadopoli fino al mare il fronte era assegnato alla 5ª Armata (denominata anche Isonzoarmee) che era al comando del generale Wenzel von Wurm e schierava cinque corpi darmata, due divisioni di riserva e 1.500 cannoni; il generale Boroevic aveva poi ancora a disposizione la 44ª Divisione Schützen[42]. 24 ottobre Lordine di operazioni definitivo diramato a tutte le armate italiane il 22 ottobre aveva stabilito che per prima la 4ª Armata del generale Giardino avrebbe sferrato lattacco nel settore del Grappa iniziando il fuoco dartiglieria alle ore 03:00 del 24 ottobre, con due ore di anticipo rispetto al resto delle forze. Il compito della 4ª Armata appariva difficile: il giorno precedente il generale Giardino aveva sottolineato di nuovo con il Comando Supremo le carenze del suo sistema dartiglieria e la solidità delle schieramento nemico; il morale dei suoi soldati era buono ma gli austro-ungarici erano pronti e si attendevano lattacco[45]. Mentre alle prime ore del 24 ottobre la 6ª Armata iniziava un tiro di controbatteria ed effettuava alcuni attacchi diversivi, alle ore 05:00 lartiglieria della 4ª Armata iniziò, dopo il tiro preparatorio delle ore 03:00, il fuoco in massa contro le linee difensive, pur intralciata in parte dalle sfavorevoli condizioni climatiche caratterizzate da nebbia e pioggia. Alle ore 07:15 passarono allattacco i reparti del IX corpo darmata del generale Emilio De Bono, nonostante che alle ore 03:30 i cannoni austriaci avessero effettuato un pericoloso tiro di contropreparazione. La 17ª e la 18ª Divisione avevano il difficile compito di assaltare e conquistare il Monte Asolone e ottennero qualche successo iniziale: in particolare la brigata Bari occupò alcune posizioni ma, a causa dei tiri dinfilata dei cannoni, del fuoco delle mitragliatrici e di efficaci contrattacchi delle truppe austro-ungariche del XXVI corpo darmata ammassate in solide fortificazioni in caverna, gli italiani nel corso della giornata dovettero ripiegare abbandonando le posizioni raggiunte[46]. La 40ª, 9ª e 99ª divisioni austro-ungariche si difesero con successo e il comando del XXVI corpo darmata fece intervenire i reparti di riserva della 28ª Divisione[47]. In precedenza, alle ore 06:00, era iniziato lattacco del IV corpo darmata del generale Stefano Lombardi contro il Monte Pertica e il Monte Prassolan; la 15ª Divisione fece entrare in azione le brigate Pesaro e Cremona ma anche questi assalti non raggiunsero gli obiettivi. Due tentativi della brigata Pesaro di occupare il Monte Pertica furono respinti entro le ore 14:00 dai contrattacchi austro-ungarici del I corpo darmata dopo che alcuni reparti avevano raggiunto la cima, mentre la brigata Cremona avanzò inizialmente grazie allazione di reparti di arditi verso il Monte Prassolan, ma le avanguardie italiane furono isolate dal fuoco dellartiglieria nemica, contrattaccate e ricacciate indietro, con la brigata Cremona che subì quasi 1.000 perdite[48]. Il terzo attacco della 4ª Armata venne sferrato dal XXX corpo darmata del generale Carlo Montanari con reparti della 47ª, 80ª e 50ª Divisione contro i Monti Solaroli, il Monte Spinoncia e il Monte Valderòa. La brigata Bologna occupò alcune quote dopo duri scontri, mentre la brigata Lombardia attaccò gli impervi Monti Solaroli senza molto successo; maggiori risultati raggiunse la brigata Aosta che dopo essere avanzata nelloscurità fino ai piedi del Monte Valderòa, riuscì al secondo tentativo alle ore 12:30 a conquistare quella montagna, ma gli austro-ungarici ripiegarono con ordine sulle posizioni del Monte Fontanel; vennero respinti invece gli attacchi della brigata Udine contro il Monte Spinoncia. Infine, sulla destra della 4ª Armata, la 24ª e 74ª divisione del I corpo darmata del generale Donato Etna, appartenente alla 12ª Armata del generale francese Graziani, fecero avanzare verso Alano di Piave le brigate Re e Trapani che però ben presto furono contrattaccate e respinte dalla 50ª Divisione austriaca e dalla 20ª Divisione ungherese del XV corpo darmata[49]. Alle ore 15.00 il generale Giardino fece sospendere gli attacchi, consapevole ormai che lattacco generale era fallito e che quindi si prospettava una cruenta battaglia di logoramento; la sua armata aveva già perso oltre 3.000 uomini. Le truppe austro-ungariche del Gruppo Belluno avevano dimostrato ancora una volta tenacia e abilità in difesa, anche se due reggimenti ungheresi avevano rifiutato di entrare in linea sugli altipiani. Alle ore 18:30 il Comando Supremo comunicò al generale Giardino che, nonostante le difficoltà, loffensiva sul Grappa doveva continuare: infatti a causa delle condizioni del Piave, in piena per le forti piogge, lattraversamento e lattacco principale erano stati rinviati e quindi la 4ª Armata doveva continuare i suo costosi attacchi per impegnare il nemico[50]. Il piano originario del Comando Supremo aveva previsto che al calar della sera del 24 ottobre l8ª, la 10ª e la 12ª Armata avrebbero dovuto iniziare il passaggio in forze del Piave e la costruzione di numerosi ponti, ma fin dal 20 ottobre il fiume era in mezza piena e la pioggia continuava. Nel corso della giornata la piena crebbe ancora e la velocità della corrente rese impossibile il passaggio delle avanguardie e la costruzione dei ponti; le operazioni dovettero essere momentaneamente sospese in attesa di un miglioramento delle condizioni del fiume[51]. Una manovra effettuata su iniziativa del generale britannico Cavan, comandante della 10ª Armata, raggiunse invece un importante successo: il generale decise, dopo aver ottenuto il consenso dellalto comando italiano, di occupare subito lisola delle Grave di Papadopoli e lisola Maggiore situate in mezzo al corso del Piave. Tre compagnie di pontieri italiani riuscirono a trasportare due battaglioni britannici del 14º corpo darmata del generale Babington sullisola delle Grave di Papadopoli; i britannici occuparono una parte dellisola e furono gettati quattro ponti di collegamento con la riva destra. Si concluse con un fallimento invece lattacco della brigata Foggia allisola Maggiore: dopo aver raggiunto un isolotto vicino i soldati rimasero fermi tutto il giorno sotto il fuoco nemico e nella notte dovettero evacuare[52]. 25 ottobre Secondo gli ordini ricevuti il generale Giardino riprese gli attacchi sul massiccio del Grappa: nella giornata del 25 ottobre, caratterizzata da cielo sereno al mattino e nebbia nel pomeriggio, i tre corpi della 4ª Armata avrebbero dovuto concentrare i loro assalti per conquistare gli obiettivi più importanti costituiti dallAsolone, il Col della Berretta, il Pertica e i Solaroli. Il IX corpo attaccò alle ore 08:30 dopo trenta minuti di violento fuoco di preparazione; la 18ª Divisione sferrò un assalto su quattro colonne contro il monte Asolone e il Col della Berretta e la seconda colonna, guidata dal 9º reparto dassalto, riuscì a superare le difese nemiche, conquistò alcune quote e avanzò verso il Col della Berretta che fu infine raggiunto da reparti di arditi e gruppi del 139º Reggimento fanteria. Alle ore 09:00 tuttavia i soldati della 4ª Divisione austro-ungarica, appartenente al XXVI corpo del Gruppo Belluno, contrattaccarono, mentre gli italiani giunti sul colle erano isolati dal fuoco di sbarramento. Alle ore 11:00 infine gli arditi abbandonarono le posizioni sul Col della Berretta e anche i reparti della terza colonna, arrivati sullAsolone, si ritirarono dopo aver subito forti perdite[53]. Il VI corpo invece riuscì ad occupare il Monte Pertica: dopo aver iniziato lattacco alle ore 09:00, la brigata Pesaro, rafforzata dal 18º reparto dassalto, raggiunse la cima e, nonostante fosse stata violentemente contrattaccata da reparti della 48ª Divisione fanteria austro-ungarica, riuscì a mantenere il possesso del monte. Vennero completamente respinti gli attacchi della brigata Cremona; il VI corpo perse oltre 1.500 soldati in questa giornata di combattimenti[54]. Il XXX corpo attaccò al mattino con la 47ª Divisione che non ottenne alcun risultato e venne fermata dallintervento delle riserve della 13ª Divisione Schützen; nel primo pomeriggio, nella nebbia, i Monti Solaroli vennero nuovamente assaltati dalla brigata Lombardia, e dal raggruppamento del generale Roberto Bencivenga con la brigata Aosta e sei battaglioni di alpini. Lartiglieria austriaca effettuò un efficace e potente tiro di contropreparazione e la 17ª Divisione, schierata sui monti, respinse tutti gli assalti che continuarono fino alla sera; gli italiani subirono altre 1.300 perdite[55]. Nonostante le crescenti perdite, la mancanza di risultati e la sorprendente potenza dellartiglieria austro-ungarica, il generale Giardino alle ore 16:00 comunicò che anche il giorno 26 ottobre la 4ª Armata avrebbe continuato i suoi logoranti attacchi; egli intendeva intensificare il fuoco dartiglieria e contava di poter agganciare lavversario e attrarre le sue riserve nel settore del Grappa. Dalle informazioni raccolte dai prigionieri sembrava che gli austriaci fossero indeboliti e con il morale basso, e Giardino sperava ancora di poterne venire a capo[56]. Nel frattempo anche il 25 ottobre, sempre a causa della piena del Piave, le armate italiane destinate ad effettuare il passaggio del fiume e sferrare lattacco decisivo furono costrette a rimanere ferme e inattive in attesa dellabbassamento del livello delle acque; tensione e preoccupazione erano diffuse tra i soldati e negli alti comandi. Nella notte del 26 ottobre invece buone notizie arrivarono dallisola delle Grave di Papadopoli, dove i britannici della 10ª Armata sopraffecero il battaglione austriaco presente e occuparano saldamente tutto lisolotto; attraverso nuove passerelle costruite sul Piave vennero trasportati sullisola altri reparti britannici e italiani[57]. Anche il secondo giorno di battaglia si concluse con modesti risultati per gli italiani: erano state conquistate le posizioni del Monte Pertica e del Monte Valderòa e le truppe austro-ungariche erano state duramente impegnate, costringendo il generale von Goglia, comandante del Gruppo Belluno, a richiedere rinforzi per consolidare le difese, ma nel complesso lalto comando dellesercito imperiale e regio poteva valutare con soddisfazione landamento dei combattimenti. Le truppe avevano opposto tenace resistenza, il morale dei reparti appariva più solido e anche le altre armate non ancora attaccate ritenevano di potere resistere[58]. 26 ottobre Al mattino del 26 ottobre la 4ª Armata fece affluire altri reparti e riprese per il terzo giorno consecutivo i suoi attacchi contro i caposaldi nemici nel Massiccio del Grappa; si svolsero ancora una volta scontri molto violenti e accaniti senza che gli italiani raggiungessero obiettivi decisivi. I ripetuti assalti del IX corpo darmata furono tutti respinti nonostante i continui interventi dellartiglieria per cercare di distruggere i reticolati e le postazioni austro-ungariche; alle ore 13 terminò con un insuccesso un attacco della 17ª Divisione fanteria. Il nuovo attacco contro il Monte Asolone venne sferrato dalle brigate fresche Forlì e Siena della 21ª Divisione, ma anche le difese nel frattempo erano state rinforzate con lintervento della 28ª Divisione austro-ungarica e di reparti della 60ª Divisione e della divisione Edelweiss: i reparti dassalto italiani riuscirono a raggiungere la sommità del monte e a proseguire lungo la dorsale ma ancora una volta lartiglieria austro-ungarica bersagliò le avanguardie italiane isolandole dalle retrovie; quindi il contrattacco ebbe successo e gli attaccanti ripersero le posizioni conquistate. Alle ore 16 il generale De Bono fece un ultimo tentativo preceduto dal tiro di tutti i pezzi disponibili ma entro unora anche questo attacco venne respinto soprattutto dal fuoco dei cannoni austriaci[59]. Al termine dei combattimenti del 26 ottobre quindi il generale Giardino dovette ammettere che tre giorni di cruente battaglie non avevano consentito di raggiunge alcun risultato tattico decisivo; le truppe erano stanche e molto logorate dopo i ripetuti assalti frontali costati pesanti perdite, non erano disponibili forze fresche, mentre le truppe austro-ungariche avevano dimostrato una sorprendente coesione e grande combattività. Il generale Giardino richiese al Comando Supremo di poter interrompere gli attacchi sul massiccio del Grappa e impiegare la giornata del 27 ottobre per far riposare le truppe e riorganizzare lo schieramento; il generale Diaz si recò nel pomeriggio al posto di comando della 4ª Armata e alle ore 18:00 autorizzò linterruzione delloffensiva ordinando di rafforzare le posizioni in attesa degli sviluppi delle operazioni sulla linea del Piave[62]. In questo settore del fronte la piena del fiume iniziò finalmente a diminuire nella serata, e quindi il generale Caviglia diede ordine di cominciare nella notte le operazioni di traghettamento e la costruzione dei ponti per effettuare il passaggio in forze del Piave; Diaz venne informato di questa decisione e si recò sul posto dando il suo pieno consenso e dando prova di ottimismo e fiducia. Nel frattempo le truppe italo-britanniche che avevano occupato nei giorni precedenti lisola delle Grave di Papadopoli il 26 ottobre erano riuscite a consolidare le loro posizioni e avevano respinto alcuni contrattacchi; fu quindi possibile dallisola iniziare a gettare, sotto la copertura della nebbia serale, i ponti verso la riva sinistra del Piave[63]. Alle ore 21:00 tra Pederobba e le Grave di Papadopoli iniziarono le operazioni per traghettare i reparti dassalto oltre il fiume che continuava a scorrere vorticosamente: inizialmente non ci fu reazione da parte dei difensori, dato che gli austro-ungarici avevano organizzato la linea di resistenza due chilometri più indietro, ma la piena del Piave continuò ad ostacolare le manovre degli attaccanti[64]. Lalto comando austro-ungarico continuò a valutare con un certo ottimismo la situazione: nel settore del Grappa la 4ª Armata italiana aveva subito oltre 15.000 perdite in tre giorni e il Gruppo Belluno, pur avendo mobilitato tutte le sue riserve, non aveva avuto bisogno di aiuti da altri settori per respingere gli attacchi. Il generale Wurm, comandante della 5ª Armata, riteneva inoltre che lattacco allisola delle Grave di Papadopoli fosse solo una manovra diversiva di scarsa importanza. Nel corso della giornata tuttavia il comando della 6ª Armata rilevò i primi segni di un attacco nel suo settore del Piave, e venne inoltre segnalata la presenza delle temute truppe britanniche sullisola[65]. Mentre le truppe austro-ungariche in prima linea si battevano con grande tenacia, continuava la lenta disgregazione di parti dellesercito: larciduca Giuseppe avvertì da Bolzano che si stavano estendendo gli ammutinamenti tra le unità ungheresi, e riteneva indispensabile concludere un armistizio e rimpatriare subito le divisioni magiare per evitare defezioni. Larciduca partì per Vienna per sostenere le sue idee e lasciò il comando del Gruppo darmate del Tirolo al generale Krobatin; nonostante le proteste dei generali Boroevic e Arz von Straussenburg, il consiglio dei ministri di Budapest decise il rimpatrio delle unità ungheresi[66]. 27 ottobre Il generale Giardino era seriamente preoccupato; le notizie dal settore del Piave erano scarse e i francesi dalla zona della 12ª Armata segnalavano di aver potuto gettare un solo ponte. Il comandante della 4ª Armata si recò sulla linea del fronte per esortare i suoi subordinati a resistere ad ogni costo sulle posizioni raggiunte senza contare su rinforzi. Alle ore 13:45 il Comando Supremo, apparentemente senza tenere in considerazione la difficile situazione, ordinò la ripresa degli attacchi sul Grappa per il 28 ottobre, ma il generale Giardino protestò e riuscì a convincere il generale Diaz a rinviare la nuova offensiva al 29 ottobre. Il generale Giardino era consapevole che sul Grappa lavanzata sarebbe stata lenta e sanguinosa; il nemico appariva ancora tenace e combattivo, disciplinato e con il morale alto, non si avevano notizie di ammutinamenti o defezioni tra i reparti di prima linea del Gruppo Belluno[70]. Attraversamento del Piave Le operazioni di attraversamento del Piave, iniziate nella notte e ostacolate dal tempo e dalla corrente impetuosa del fiume, furono molto difficili e non ottennero gli ambiziosi obiettivi previsti. La 12ª Armata del generale francese Graziani riuscì con molta difficoltà a gettare un ponte ad est di Pederobba che tuttavia venne subito individuato dagli austro-ungarici e bersagliato dallartiglieria. Alle ore 03:00 attraversarono il fiume un reggimento francese e due battaglioni alpini, ma alle ore 06:00 il ponte venne colpito dal fuoco dei cannoni e dalle ore 09:00, quasi demolito, divenne inutilizzabile. Di conseguenza i reparti italo-francesi passati sulla riva sinistra, che avrebbero dovuto avanzare verso Valdobbiadene, furono contrattaccati e rimasero bloccati nella loro piccola testa di ponte[71]. L8ª Armata del generale Enrico Caviglia incaricata di sferrare lattacco decisivo, aveva progettato una complessa operazione di passaggio del fiume che prevedeva di gettare otto ponti tra Vidor e Nervesa; inoltre era stata prevista anche la costruzione di undici passerelle tra Onigo e Ponte della Priula. Nella giornata del 27 ottobre gli avvenimenti ebbero un andamento drammatico con alcuni limitati successi e numerosi fallimenti che sembrarono mettere in pericolo lesito complessivo delloperazione. Non fu possibile, a causa della corrente e del fuoco nemico, gettare il primo ponte a Vidor e le tre passerelle dovettero essere interrotte dopo le gravi perdite subite dai reparti di pontieri[72]. Sotto la pioggia e il pesante fuoco dei cannoni austro-ungarici, riuscì invece la costruzione del ponte a Fontana del Buoro, sul Montello. Alla presenza del generale Caviglia, reparti di arditi a bordo di barconi raggiunsero la sponda sinistra di sorpresa; sul ponte subito costruito transitarono una divisione dassalto, le brigate Cuneo e Mantova, un reggimento della brigata Messina e un gruppo di artiglieria da montagna. Gli attraversamenti avvennero nelloscurità della notte dalle ore 01:30 e con un tempo in peggioramento; ben presto la situazione divenne difficile: i reparti nella testa di ponte furono sottoposti allintenso fuoco dellartiglieria austro-ungarica che cercava di distruggere il ponte, mentre i riflettori scandagliavano le posizioni italiane[73]. Si concluse invece con un fallimento la prevista costruzione del terzo ponte a est del secondo, mentre il quarto ponte, gettato vicino intorno a mezzanotte con grande difficoltà da una compagnia di pontieri, permise inizialmente il passaggio di elementi delle brigate Pisa e Piemonte, ma alle ore 09:30 venne distrutto dal fuoco dei cannoni austro-ungarici. Disastroso fu il tentativo di gettare il quinto ponte a Falzè: a causa della aspra resistenza dei difensori e del violento fuoco dellartiglieria nemica, le imbarcazioni dei reparti dassalto furono affondate e oltre 200 arditi annegarono. Infine fallirono anche gli attraversamenti sul settimo ponte a Nervesa, ostacolati dalla corrente impetuosa e dalla conformazione delle sponde; il ponte venne distrutto mentre era ancora in costruzione isolando 150 arditi che furono decimati e dovettero tornare sulla riva destra. Terminò con un insuccesso anche il tentativo di gettare lottavo ponte più a valle[74]. Attraverso i ponti secondo e quarto quindi erano riusciti a stabilirsi sulla riva sinistra principalmente i reparti del XX corpo darmata del generale Giuseppe Vaccari; erano allinterno della testa di ponte elementi delle brigate Pisa, Piemonte, Mantova, oltre alla 1ª Divisione dassalto e ad alcuni reggimenti delle brigate Cuneo e Messina. Il quartier generale del XX corpo assunse il comando delle operazioni sulla sinistra del Piave cercando di mantenere i collegamenti con il XXVII e lVIII corpo darmata rimasti sulla riva destra. Sfruttando la sorpresa e il cedimento dell11ª Divisione ungherese schierata nel settore, gli italiani poterono consolidare le loro posizioni e al primo mattino ampliare la testa di ponte muovendo tre reparti dassalto che raggiunsero e conquistarono la linea dei villaggi, Mosnigo, Moriago e Sernaglia. Gli arditi continuarono ad avanzare in direzione di Pieve di Soligo, Collalto e Falzè ma vennero contrattaccati da reparti austro-ungarici di riserva; alle ore 14:00 dovettero ripiegare e nella notte rientrarono a Sernaglia dopo aver catturato 3.200 prigionieri. Al termine della giornata la testa di ponte del XX corpo darmata era ormai sensibilmente rafforzata: circa 29 battaglioni si trovavano già sulla riva sinistra appoggiati dalla potente artiglieria situata sul Montello[75]. A partire dalle ore 12:30 del 27 ottobre ebbe inizio anche loperazione di attraversamento del Piave da parte della 10ª Armata del britannico Cavan; precedute dal fuoco dellartiglieria italiana e dallintervento anche dei cannoni delle batterie britanniche, il XIV corpo darmata del generale Babington e lXI corpo italiano del generale Paolini poterono passare, partendo dal villaggio di Salettuol sulla riva destra, prima sulle isole delle Grave di Papadopoli già conquistate in precedenza e quindi raggiunsero la riva sinistra. Nonostante la violenza della corrente e problemi tecnici, le truppe anglo-italiane riuscirono facilmente a prendere piede oltre il Piave, la resistenza nemica inizialmente fu debole. Subito dopo iniziò lattacco contro la linea principale: la 7ª Divisione britannica procedette in direzione di Borgo Malanotte contrastata da una divisione austro-ungarica, mentre più a sud la brigata Foggia e un reggimento bersaglieri marciarono con difficoltà, a causa del terreno paludoso e della resistenza nemica, fino a Roncadelle e Stabiuzzo. Le operazioni terminarono con successo: venne costituita una solida testa di ponte e vennero catturate alcune migliaia di prigionieri e circa quaranta cannoni[76]. Levoluzione favorevole alle Grave di Papadopoli convinse il generale Caviglia a modificare i suoi piani. Nonostante le notizie negative provenienti dalla maggior parte dei punti di attraversamento, il comandante dell8ª Armata appariva risoluto e deciso a perseverare: fin dalle ore 07:00 aveva rassicurato i suoi sottoposti e ordinato di adottare il piano di emergenza già preparato in precedenza. Il XVIII corpo darmata del generale Luigi Basso avrebbe attraversato il fiume alle Grave di Papadopoli utilizzando i ponti della 10ª Armata e quindi, marciando lungo la riva sinistra verso Nervesa e i ponti della Priula, avrebbe sbloccato la situazione favorendo il passaggio dellVIII corpo che era sempre fermo a sud del fiume. Il generale Caviglia aveva già inviato ordini ai comandi dellXVIII corpo e della 10ª Armata[77]. Il comando della 6ª Armata austriaca attaccata lungo il Piave non sembrò molto preoccupato per la costituzione delle due teste di ponte nemiche, e nel corso della giornata continuò a considerare favorevolmente la situazione; alcuni reparti prevalemente ungheresi avevano mostrato segni di cedimento ma nel complesso larmata rimaneva in efficienza ed erano attese tre divisioni di rinforzo per contrattaccare ed eliminare la testa di ponte di Sernaglia, mentre altre quattro divisioni, al 10ª e 24ª di fanteria e la 26ª e 43ª cacciatori, avrebbero dovuto attaccare le forze italo-britanniche della 10ª Armata. Il generale Boroevic, responsabile del gruppo darmate schierato sul Piave, era sempre più preoccupato per le defezioni tra le truppe ungheresi e slave e richiese luso della forza per reprimere gli ammutinamenti, ma sperava ancora in un esito non sfavorevole della battaglia difensiva[78]. 28 ottobre Nel settore del massiccio del Grappa gli austro-ungarici sferrarono alcuni attacchi: un tentativo verso il Col del Cuc venne respinto dal tiro dei cannoni italiani, mentre un assalto in forze effettuato da reparti della 50ª Divisione nel settore del Monte Valderòa per eliminare i superstiti della brigata Aosta e di due battaglioni alpini ancora presenti sui versanti della montagna, venne contenuto e fu possibile, da parte del comando italiano, sostituire i reparti più logorati inserendo altri reparti alpini. Il generale Giardino ricevette conferma alle ore 16:30 dal Comando Supremo che il 29 ottobre la 4ª Armata avrebbe dovuto riprendere gli attacchi; lavversario apparentemente non dava segno di cedimento, tuttavia il comandante dellarmata riteneva che loffensiva potesse riuscire grazie al rafforzamento dellartiglieria; lattacco inoltre rimaneva importante per impegnare il nemico e favorire lazione principale sul Piave[80]. Nella testa di ponte di Pederobba della 12ª Armata del francese Graziani, le truppe sulla riva sinistra erano rimaste isolate; prima dellalba i pontieri costruirono un ponte di barche e rimisero in funzione il ponte principale, e in questo modo passarono il fiume un reggimento francese e un battaglione alpino. Alle ore 09:15 tuttavia i cannoni austro-ungarici danneggiarono di nuovo i ponti e la testa di ponte fu di nuovo isolata. Nonostante queste difficoltà, i reparti sulla riva sinistra passarono allattacco: i francesi avanzarono a sinistra in direzione della conca di Alano di Piave, mentre sulla destra gli alpini, pur incontrando una tenace resistenza austriaca, fecero notevoli progressi e raggiunsero al termine della giornata Valdobbiadene[81]. Nella testa di ponte principale dell8ª Armata la situazione delle truppe del XXII corpo era ancora critica a causa soprattutto delle condizioni del fiume in piena, e della mancanza di attraversamenti stabili. Lartiglieria austro-ungarica bombardava tutte le posizioni italiane e soprattutto il corso del Piave rendendo estremamente difficoltoso il lavoro dei pontieri; le comunicazioni con la testa di ponte di Sernaglia si effettuavano per mezzo di nuotatori e aeroplani che lanciavano sacchi di munizioni e vettovaglie. I tentativi di ricostruire il primo ponte a Vidor e il secondo a Fontana del Buoro erano falliti nella notte mentre il quarto ponte a Casa Biadene era stato parzialmente riaperto e aveva permesso di trasferire sulla riva sinistra, passando a piedi su strette passerelle e in parte a guado, reparti della 60ª Divisione e un battaglione della brigata Messina. Alle ore 07:30 anche questo precario ponte venne colpito e distrutto dal fuoco dei cannoni austro-ungarici; i ponti di Nervesa e della Priula erano sempre fuori uso e quindi lVIII corpo darmata era sempre bloccato a sud del fiume[82]. Nonostante queste difficoltà, il generale Vaccari, comandante del XXII corpo, dimostrò decisione e fiducia: durante una riunione alle ore 10:30 con i suoi generali, esortò non solo a difendere tenacemente la testa di ponte ma a passare allattacco; erano infatti state segnalate dallaviazione colonne nemiche in movimento verso nord e la resistenza austriaca dava segni di indebolimento. Le truppe delle brigate Piemonte e Porto Maurizio riuscirono ad avanzare dalla testa di ponte e raggiunsero senza molta difficoltà Falzè e Chiesola[83]. Alle ore 14:00 il generale Caviglia, consapevole che la battaglia era giunta al momento più importante e che il nemico era vicino al crollo, diramò un ordine del giorno alle sue truppe in cui rimarcava che entro 24 ore la battaglia sarebbe stata decisa e che la storia dItalia forse per un secolo sarebbe dipesa dalla tenacia delle truppe nelle prossime giornate[84]. Era quindi necessario ricostruire nella notte tutti i ponti; le truppe dovevano passare allattacco con il massimo spirito offensivo per il raggiungimento degli obiettivi prefissi[85]. Mentre le truppe austro-ungariche in prima linea si battevano validamente e con successo da quattro giorni, stavano continuamente aumentando i segni di disgregazione soprattutto nei reparti di retrovia che, meglio informati sugli avvenimenti internanzionali e sulle voci di armistizio, erano vicini al collasso. Anche se il generale Giardino scrisse nelle sue memorie che in quei giorni, di fronte alla accanita e valorosa difesa delle truppe austro-ungariche, non aveva avvertito i prodromi delle defezione e della sedizione, fin dalla notte del 27 ottobre si erano verificate ribellioni e rifiuti del combattimento di unità di seconda schiera assegnate al fronte del Grappa per contrattaccare: undici reggimenti su cinquantuno non obbedirono[86]. Al mattino del 28 ottobre la situazione divenne molto precaria sulla linea del Piave, il generale Boroevic considerò la possibilità di evacuare subito il Veneto, mentre quattro divisioni rifiutarono di entrare in azione. In queste condizioni fu impossibile contrattaccare e contenere le teste di ponte nemiche. Due divisioni austro-ungariche, esauste, ripiegarono dal settore di Sernaglia fino alla linea Bigolino-Colbertaldo-Farra di Soligo, dove avrebbero dovuto essere rinforzate dalla 34ª Divisione che tuttavia in parte si era già disgregata; alcuni reparti si ammutinarono[87]. Durante la giornata più volte il generale Boroevic comunicò al Comando supremo austro-ungarico laggravarsi della situazione: egli riteneva che se il nemico continua a guadagnare terreno la situazione poteva diventare oltremodo pericolosa. Il comandante delle difese sul Piave considerava la possibilità di abbandonare il Veneto e chiedeva indicazioni da parte dellalto comando, ritenendo importante preservare almeno un parte dellesercito per mantenere lordine in patria e difendere la monarchia asburgica. Nel frattempo gli ammutinamenti si stavano estendendo alle truppe nel Trentino e anche alla marina austro-ungarica; alle ore 15:45 limperatore Carlo ordinò al generale Weber von Webenau a Trento di concludere al più presto larmistizio, accettando qualsiasi condizione esclusa una eventuale richiesta di libero passaggio attraverso i territori dellImpero da parte delle truppe nemiche per attaccare la Germania da sud. Il generale Arz von Straussenburg avvertì il generale Boroevic della missione affidata al generale Weber, sollecitandolo a combattere fino alla prossima settimana per ottenere condizioni più favorevoli di armistizio[91]. 29 ottobre Il generale Giardino diede inizio, secondo le direttive impartite dal Comando Supremo di Abano, a un nuovo giorno di attacchi nel settore del Grappa. Alle ore 09:00, con un tempo in miglioramento, il IX corpo darmata sferrò lassalto al monte Asolone e al Col della Berretta con in testa i reparti di arditi del maggiore Giovanni Messe: furono raggiunti alcuni successi iniziali ma ancora una volta gli austro-ungarici concentrarono le loro forze e contrattaccarono. Entro le ore 11:00 gli italiani erano ritornati sulle posizioni di partenza; gli arditi subirono perdite e il maggiore Messe fu ferito. Lattaccò del VI corpo darmata non raggiunse alcun risultato, lartiglieria austro-ungarica intervenne con efficacia e i reparti italiani sul Monte Pertica dovettero anche respingere un assalto nemico. Alle ore 18:00 il Comando Supremo, di fronte alla tenace resistenza, dovette ordinare di nuovo di sospendere gli attacchi il 30 ottobre, in attesa degli sviluppi della situazione sul Piave[92]. In effetti sulla destra della 4ª Armata la 12ª Armata del francese Graziani stava facendo buoni progressi e minacciava di aggirare da est le difese del massiccio del Grappa. Le brigate Re e Trapani del I corpo darmata avanzarono verso la conca di Alano di Piave e il villaggio di Favari, mentre sulla sinistra del Piave la 23ª Divisione francese occupò Segusino e la 52ª Divisione alpina marciò con successo lungo i ripidi pendii del Monte Cesen; due divisioni austro-ungariche erano state sconfitte e ripiegavano in direzione di Follina[93]. La 6ª Armata austro-ungarica rischiava quindi di essere isolata e distrutta: mentre il XXIV corpo si batteva per coprire Conegliano, le truppe incaricate di frenare lavanzata del XXII corpo darmata italiano stavano arretrando a loro volta nel crescente disordine; il generale Wurm, comandante della 5ª Armata, avvertì del successo britannico a nord del Monticano. Alle ore 16.30 venne ordinata la ritirata generale della 6ª Armata dietro la Livenza, ma questa manovra tuttavia provocò la perdita del contatto sul fianco destro con il Gruppo Belluno del generale von Goglia che a sua volta nel pomeriggio ordinò i primi ripiegamenti per coprire le Prealpi Bellunesi. Alle ore 23:00 le brigate Sassari e Bisagno occuparono Conegliano, mentre il XXIV corpo austro-ungarico si ritirava verso Sacile. Anche il generale Wurm aveva deciso la ritirata, e la 5ª Armata durante la notte iniziò a evacuare la linea del basso Piave[97]. Le truppe italiane quindi rientrarono nelle prime città e villaggi del Veneto occupati per quasi un anno dal nemico e liberarono le popolazioni che avevano duramente sofferto il dominio austro-ungarico. Le devastazioni e i saccheggi operati specialmente dai soldati tedeschi e ungheresi erano state notevoli, e i soldati italiani furono accolti con grande sollievo e ricevettero entusiastiche acclamazioni dalla popolazione liberata[98]. Il generale Bororevic riteneva ormai la situazione disperata: si moltiplicavano le defezioni e gli ammutinamenti tra i reparti, era impossibile continuare la resistenza. Egli considerava soprattutto importante salvaguardare una parte dellesercito e organizzare la ritirata fino ai confini dellimpero, e alle ore 12:00 diede indicazioni in questo senso al quartier generale austro-ungarico; alle ore 19:30 il generale Arz von Straussenburg ordinò levacuazione in modo ordinato del Veneto, ma il comando del Gruppo darmate del Tirolo comunicò che a causa delle condizioni delle truppe questa manovra di ritirata era inattuabile e consigliò un armistizio immediato senza condizioni. Nella mattinata si era avuto il primo contatto tra le due parti in lotta: alle ore 09:20 il capitano Kamillo von Ruggera, incaricato dal generale Weber, aveva superato le linee italiane a Serravalle allAdige per presentare una missiva della commissione darmistizio austriaca trasferitasi a Rovereto[99]. Ricevuto al comando della 26ª Divisione fanteria italiana, lufficiale austriaco consegnò la lettera del generale Weber che chiedeva di aprire le trattative per stabilire le condizioni di armistizio; la lettera venne trasmessa al Comando Supremo italiano che contestò la validità giuridica dei documenti presentati e affermò che non si intendeva intavolare alcuna trattativa che avrebbe potuto interrompere le operazioni belliche; si era invece pronti a ricevere delegati con pieni poteri per comunicare loro le condizioni per la resa concordate dallalto comando italiano con gli alleati[100]. 30 ottobre I generali Diaz e Badoglio erano ormai consapevoli che lesercito avversario stava crollando e intendevano sfruttare al massimo la situazione senza concedere tregua al nemico e cercando di trasformare la sua ritirata in rotta irreversibile. Vennero quindi diramati ordini alla 3ª Armata del Duca dAosta di passare subito il basso Piave: quattro divisioni di cavalleria furono attivate e spinte avanti con lordine di superare le colonne nemiche in fuga e bloccare i punti di attraversamento del Tagliamento da Pinzano al mare; la cavalleria doveva avanzare soprattutto a nord della ferrovia Conegliano-Codroipo[101]. Il generale Giardino venne avvertito al mattino del 30 ottobre di limitarsi momentaneamente ad azioni minori ma di prepararsi ad avanzare risolutamente con la 4ª Armata in caso di sviluppi risolutivi della situazione. Nel corso della giornata quindi nel settore del massiccio del Grappa le truppe italiane non sferrarono altri attacchi, mentre laviazione iniziò a individuare colonne nemiche in marcia nelle retrovie verso nord. In effetti il generale von Goglia, comandante del Gruppo Belluno nel pomeriggio comunicò al XXVI e al I corpo darmata la necessità di abbandonare le posizioni e ripiegare; in seconda linea le unità di rinforzo avevano quasi completamente defezionato[102]. Dopo una serie di discussioni, alle ore 24:00, appreso dei successi della 12ª Armata italo-francese sul fianco sinistro, il generale von Goglia ordinò finalmente la ritirata e 70.000 soldati austro-ungarici abbandonarono le posizioni tenacemente difese per giorni, iniziando una difficile ritirata e lasciando sul posto gran parte dellartiglieria[103]. Effettivamente la 12ª Armata del generale Graziani stava avanzando verso Feltre per aggirare il massiccio del Grappa: la brigata Taranto liberò Alano di Piave, mentre la brigata Trapani si avvicinò a Quero; a est del Piave, le truppe francesi avanzarono dopo aver occupato Segusino, mentre i reparti alpini salirono sulle Prealpi Bellunesi, occupando completamente Monte Cesen[104]. Liberazione di Vittorio Veneto In queste condizioni il generale Caviglia poté accelerare lavanzata delle sue truppe: la cavalleria venne portata avanti per linseguimento e l8ª Armata avanzò su tutto il fronte. Alle ore 15:00 reparti del XX reparto dassalto, preceduti fin dal mattino da unità di ciclisti e dalla cavalleria dei lancieri Firenze, entrarono a Vittorio Veneto accolti festosamente dalla popolazione; giunsero anche reparti di fanteria dellVIII e del XXII corpo darmata e furono catturati i soldati austriaci superstiti[106]. Dopo la liberazione di Vittorio Veneto, l8ª Armata proseguì lavanzata fino alla sera verso la stretta di Serravalle pressando da vicino le truppe austro-ungariche in rotta; altri reparti raggiunsero Follina, Tovena e Revine, le brigate Bisagno e Sassari marciarono verso il Cansiglio e le sorgenti della Livenza, le brigate Como e Ravenna avanzarono su Cordignano e Villa di Villa[107]. Lattraversamento del Piave da parte dellarmata del Duca dAosta iniziò alle ore 06:00, preceduto da due ore di fuoco dartiglieria, e si sviluppò piuttosto lentamente; le teste di ponte furono consolidate solo nel pomeriggio dopo lunghi combattimenti sul terreno paludoso, grazie anche alla minaccia da nord delle truppe italiane della 10ª Armata. I ponti furono costruiti a Salgaredo, dove attraversò dopo alcune difficoltà la brigata Ionio, a Romanziol, dove passò la brigata Ferrara, a San Donà di Piave, dove le brigate Cosenza e Sesia attraversarono su passerelle a valle del ponte ferroviario e liberarono la cittadina. La brigata Granatieri di Sardegna e il reggimento della Marina attraversarono il fiume a Chiesanuova e a Revedoli. Nel pomeriggio gli austro-ungarici iniziarono la ritirata resa difficile dal terreno fangoso ma favorita in parte dalla scarsa pressione degli italiani, che avanzarono con prudenza verso la Livenza[109]. Nel frattempo proseguiva con difficoltà il tentivo della commissione darmistizio austro-ungarica di entrare in trattative: dopo il tentativo del capitano von Ruggera, alle ore 17:00 il generale Weber in persona, accompagnato dal colonnello Karl Schneller e dal tenente colonnello Viktor von Seiller, attraversò le linee per presentare la documentazione richiesta dagli italiani e iniziare colloqui diretti. Alle ore 20:00 il Comando Supremo italiano dispose che i tre ufficiali austriaci fossero per il momento trattenuti ad Avio e che i documenti fossero inoltrati al quartier generale di Abano[111]. 31 ottobre I segni del crollo dellesercito austro-ungarico erano ormai sempre più evidenti: le notizie di trattative, di rivolte e di radicali cambiamenti politici nelle regioni dellImpero stavano raggiungendo le truppe accentuando la confusione, la delusione, la volontà di cessare i combattimenti. Mentre alcuni reparti continuarono a battersi con valore, la massa dellesercito in ritirata incominciò a frantumarsi in gruppi separati interessati solo a raggiungere le rispettive regioni nazionali; si verificarono saccheggi, rifiuti di obbedienza, conflitti di comando, contrasti tra soldati di etnia diversa, assalti a treni e mezzi di trasporto per accelerare la fuga[112]. Il generale Diaz e il capo di stato maggiore Badoglio diramarono la prima direttiva generale per linseguimento finale del nemico indicando obiettivi dettagliati alle varie armate, che avrebbero dovuto avanzare su tutto il fronte per guadagnare più terreno possibile nel poco tempo rimasto prima della conclusione della guerra. Nel documento n. 14619 il Comando Supremo, dopo aver sottolineato che il nemico accenna a ripiegare su tutto il fronte, indicava le direttrici previste per bloccare la ritirata e per occupare il saliente del Trentino con la 7ª, 1ª e 4ª Armata, mentre nella pianura veneta la 8ª, 10ª e 3ª Armata avrebbero sfruttato la vittoria in direzione del 1º novembre Dal 1º novembre le operazioni dell8ª Armata assunsero il carattere di un inseguimento dellesercito austro-ungarico in rotta verso i confini dellimpero; il generale Caviglia scrisse nelle sue memorie che a partire dal quel giorno le sue truppe dovettero affrontare solo scontri sporadici con le retroguardie nemiche, e che il suo compito si limitò allassegnazione delle direttrici di avanzata e alla delimitazione delle zone di marcia assegnate ai vari corpi della sua armata. Durante lavanzata le avanguardie mobili di ciclisti e autoblindo italiane ottennero alcuni brillanti successi: alle ore 12:00 a Ponte nelle Alpi sopresero un gran numero di truppe austro-ungariche disordinate e demoralizzate, catturando molti prigionieri e lasciando solo piccoli nuclei a fuggire verso Longarone, mentre a San Quirino fu attaccata e sbaragliata dalle unità celeri italiane una divisione ungherese. Le divisioni del XXVII corpo del generale Antonino Di Giorgio parteciparono allinseguimento e avanzarono oltre la Livenza verso Spilimbergo, mentre le brigate Campania, Mantova e Piemonte, appartenenti al XVIII corpo darmata, liberarono Mel, Trichiana, Farra e Limana; un reggimento della brigata Porto Maurizio raggiunse e occupò Belluno[118]. In serata il comando della 6ª Armata austro-ungarica dovette ordinare, di fronte allo sfacelo delle sue divisioni e allarrivo delle avanguardie italiane a Meduna di Livenza e Prata di Pordenone, la ritirata verso la Carinzia. Sul fiume Meduna laviazione italiana effettuò numerose missioni di attacco a bassa quota, infliggendo gravi perdite e pesanti danni alle colonne in fuga e accentuando la disorganizzazione e la demoralizzazione degli austro-ungarici. Le altre armate italiane avevano ormai raggiunto in forze la Livenza: i britannici e la brigata Caserta, appartenenti alla 10ª Armata, superarono il fiume e raggiunsero Maron e Villanova, mentre, nel settore della 3ª Armata del Duca dAosta, la brigata Cosenza attraversò a San Stino[119]. 2 novembre Mentre la situazione dellesercito austro-ungarico diveniva sempre più drammatica e a Villa Giusti proseguivano con difficoltà i colloqui, il Comando Supremo italiano mise in movimento anche le truppe della 1ª Armata del generale Pecori Giraldi. Fin dalla notte il X corpo darmata aveva attaccato in Val dAstico incontrando poca resistenza; di conseguenza il generale Pecori Giraldi decise di accelerare le operazioni e le sue truppe avanzarono subito nellaltipiano di Tonezza e nellaltopiano di Luserna. Nel primo pomeriggio iniziò la marcia della 32ª Divisione in Val Lagarina; un reparto di arditi, al comando del maggiore Gastone Gambara e tre battaglioni alpini avanzarono nella valle e alle ore 21:00 occuparono Rovereto[121][122]. Lavanzata dellesercito italiano era ormai generale. Sulla riva destra dellAdige le brigate Piceno e Liguria marciarono in Vallarsa, sul Pasubio, in Val Posina, le truppe della 6ª Armata completarono loccupazione dellaltopiano dei Sette Comuni, la 4ª Armata progredì rapidamente sulle due sponde del Brenta e le brigate Forlì e Siena raggiunsero Grigno e Tezze, mentre altri reparti operavano in collaborazione con le truppe della 12ª Armata in Val Cismon e nella stretta di Ponte della Serra[123]. Le armate in pianura continuarono linseguimento incontrando ancora sporadica resistenza sulla strada di Longarone e di Spilimbergo, mentre la cavalleria della 8ª Armata raggiunse le rive del Tagliamento senza varcarlo. Anche la 10ª Armata arrivò al fiume con reparti della brigata Caserta e del 332º reggimento statunitense, mentre più a sud la 3ª Armata si spinse fino a Villotta e Portogruaro[124]. Nel corso della giornata limperatore Carlo fece gli ultimi tentativi per evitare la catastrofe definitiva della monarchia: dopo essere stato sollecitato dal generale Arz von Straussenburg a concludere subito larmistizio, prima indisse una riunione a Schönbrunn con i suoi consiglieri militari e politici più fedeli, quindi cercò di coinvolgere nelle responsabilità delle decisioni i nuovi rappresentanti politici democratici dellAustria. Alla ore 21:15 iniziò un Consiglio della Corona e finalmente limperatore, invitato ad accettare e allarmato dalle notizie di disgregazione totale dellesercito, approvò alle 23:30 un documento di accettazione delle clausole di armistizio da inviare al generale Weber[128]. A mezzanotte il generale Arz von Straussenburg comunicò telefonicamente al generale von Waldstätten a Baden che le condizioni del nemico erano state accettate e che tutte le operazioni devono essere sospese[129]. Ultimi combattimenti e armistizio di Villa Giusti Le ultime ore della battaglia e della guerra sul fronte italiano furono molto confuse: alle 01:20 del 3 novembre il colonnello Schneller ricevette la comunicazione dal Comando Supremo di Baden riguardo laccettazione dellarmistizio con lordine di recarsi a Villa Giusti; contemporaneamente il quartier generale austro-ungarico diramò di propria iniziativa alle armate alle ore 01:30 e di nuovo alle 03:30 lordine di cessare immediatamente i combattimenti e deporre le armi[130]. Le truppe sul campo accolsero con sollievo questi ordini e quindi ritennero finita la guerra; si crearono inevitabilmente equivoci e recriminazioni con il nemico che al contrario continuava le operazioni. Alle ore 15:00 si tenne a Villa Giusti la riunione finale: la delegazione austro-ungarica guidata dal generale Weber comunicò di accettare larmistizio e riferì anche che lesercito aveva ricevuto ordine nella notte di arrestare i combattimenti e deporre le armi, ma Badoglio rifiutò di accogliere queste disposizioni del nemico: come stabilito in precedenza, le operazioni sarebbero terminate solo alle ore 15:00 del 4 novembre, 24 ore dopo la conclusione dellarmistizio. Di fronte alle proteste dei delegati austro-ungarici, il generale italiano mostrò grande nervosismo e minacciò di rompere le trattative; infine alle 18:20 del 3 novembre venne firmato il documento di armistizio che confermava che i combattimenti sarebbero ufficialmente cessati alle ore 15:00 del 4 novembre[131]. Nel frattempo sul campo di battaglia le truppe austro-ungariche, completamente esauste, confuse dallordine della notte del 3 novembre di cessare i combattimenti e quindi convinte della fine della guerra, praticamente non opposero più resistenza; gruppi di soldati fuggirono nel panico e nella demoralizzazione, molti altri si arresero, il caos divenne generale, mentre alcuni comandanti, ritenendo finita la guerra, protestarono per le azioni aggressive italiane. Lalto comando italiano diede precise disposizioni alle armate: la guerra sarebbe continuata fino alle ore 15:00 del 4 novembre e quindi le truppe dovevano avanzare senza sosta per raggiungere nelle poche ore di guerra rimaste il massimo degli obiettivi e catturare il maggior numero di prigionieri, di armi e materiali del nemico[132]. Dietro queste avanguardie celeri marciavano le divisioni di fanteria delle armate italiane che continuarono le operazioni fino alla fine, occupando più terreno possibile e catturando altri prigionieri prima dellentrata in vigore dellarmistizio e della conclusione ufficiale della guerra alle ore 15:00 del 4 novembre. Bilancio e conseguenze Durante i dieci giorni della battaglia finale di Vittorio Veneto lesercito italiano subì la perdita di 37.461 uomini tra morti, feriti e dispersi, altre fonti riportano la cifra di 36.498 perdite[141]; la 4ª Armata del generale Giardino, impegnata per giorni in costosi e cruenti attacchi frontali sul Grappa con pochi risultati, ebbe le perdite nettamente più alte con oltre 25.000 uomini fuori combattimento, tra cui 5.000 morti. Le altre armate, impegnate soprattutto, dopo il passaggio del Piave, nellinseguimento del nemico in rotta, subirono perdite molto più limitate: 4.898 uomini la 10ª Armata del britannico Cavan, 4.416 l8ª Armata del generale Caviglia, 3.498 la 12ª Armata del generale Graziani[142]. Lesercito austro-ungarico, in conseguenza anche della disgregazione delle strutture politico-militari dellimpero, uscì distrutto dalla battaglia, perdendo circa 30.000 morti e feriti ma lasciando in mano italiana un numero elevatissimo di prigionieri saliti da 50.000 soldati la sera del 30 ottobre a 428.000 al termine delle operazioni, tra cui 24 generali[143]; furono catturate anche 4.000 mitragliatrici e 5.600 cannoni e bombarde[144]. Altre fonti riportano cifre delle perdite notevolmente più elevate (90.000 morti e feriti)[145] e riferiscono di oltre 6.800 pezzi dartiglieria catturati[146]. Il maggior numero di prigionieri fu preso nel settore di montagna: la 6ª Armata catturò 116.000 prigionieri, la 1ª Armata 100.000, la 7ª Armata 75.000; le armate austro-ungariche impegnate in pianura riuscirono invece in parte a sfuggire: l8ª Armata catturò 19.500 prigionieri, la 3ª Armata 18.000, la 10ª Armata 35.000[143]. Il Bollettino della Vittoria, diramato dal generale Diaz il 4 novembre, descrisse in termini trionfalistici lo svolgimento della battaglia ed esaltò con alcune esagerazioni e con accenti enfatici i risultati dei combattimenti, traendo un sintetico bilancio finale della guerra. Alcuni autori peraltro hanno sminuito il ruolo e la capacità del generale Diaz che avrebbe mostrato durante la battaglia limitate qualità di comando[147]. Piero Pieri assegnò il merito principale della preparazione e della conduzione della battaglia di Vittorio Veneto al generale Badoglio, sottocapo di Stato maggiore generale, considerato il principale direttore delle operazioni e il responsabile della condotta dellultima campagna[148]. Bibliografia AA. VV., Storia dItalia, Vol. 8, Novara, De Agostini, 1979. (ISBN non esistente). Enrico Caviglia, Le tre battaglie del Piave, Milano, Mondadori, 1934. (ISBN non esistente). Pier Paolo Cervone, Vittorio Veneto, lultima battaglia, Milano, Mursia, 1993. ISBN 978-88-425-2787-8. Martin Gilbert, La grande storia della Prima guerra mondiale, Milano, Mondadori (edizione per il Giornale), 1998. (ISBN non esistente). Luigi Gratton, Armando Diaz, Foggia, Bastogi, 2001. ISBN 88-8185-296-9. Basil H. Liddell Hart, La Prima guerra mondiale, Milano, BUR RIzzoli, 1999. ISBN 88-17-25826-1. Indro Montanelli; Mario Cervi, Due secoli di guerre, VII, Novara, Editoriale Nuova, 1981. (ISBN non esistente). Gianni Pieropan, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano. 1914-1918, Milano, Mursia, 2009. ISBN 88-425-2830-7. Piero Pieri; Giorgio Rochat, Pietro Badoglio, Milano, Mondadori, 2002. ISBN 88-04-50520-6. Giulio Primicerj, 1918 cronaca di una disfatta, Milano, Mursia, 1988. (ISBN non esistente). fonte wikipedia
Posted on: Wed, 23 Oct 2013 18:47:04 +0000

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