COME FARE LA GUERRA IN SIRIA SENZA VIOLARE IL DIRITTO - TopicsExpress



          

COME FARE LA GUERRA IN SIRIA SENZA VIOLARE IL DIRITTO INTERNAZIONALE Il 13 giugno scorso Ben Rhodes, portavoce dell’amministrazione statunitense di Barack Obama, ha parlato della possibilità di fornire armi a un gruppo selezionato di ribelli siriani. Ad oggi, quello è l’unico impegno militare ufficiale che gli Stati Uniti si sono presi in Siria, e le mosse degli americani rimangono molto confuse. Secondo il Washington Post non ci sarebbe nessuna prova di un utilizzo di armi chimiche da parte del regime siriano. La giustificazione per intervenire militarmente in Siria sarebbe così venuta meno, dato che non è dimostrabile che Assad abbia oltrepassato la famigerata “linea rossa”, cioè quella soglia oltrepassata la quale Obama ha detto che avrebbe approvato un intervento militare in Siria. Il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è bloccato dai veti di Russia e Cina e Obama ha più volte ripetuto di non voler intervenire senza autorizzazione delle Nazioni Unite. Fare la guerra in Siria senza violare il diritto internazionale Barack Obama, a differenza del suo predecessore George Bush, ha più volte manifestato una certa riluttanza ad usare la forza militare in Siria senza un mandato legale. Le opzioni legali, ossia la possibilità per Obama di ottenere il via libera dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sarebbero sostanzialmente quattro e molto difficili da ottenere. Gli Stati Uniti potrebbero proporre un’interpretazione particolare della Carta delle Nazioni Unite forzando il passaggio che proibisce “la minaccia o l’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato”, argomentando che un intervento armato si rende oggi necessario, dopo due anni di guerra civile, proprio per tutelare l’indipendenza e l’integrità della Siria. Un buon tentativo, ma è difficile, scrive la rivista statunitense Foreign Policy, che non appaia come un semplice pretesto. Il nemico del mio nemico è mio amico La seconda possibilità è una sostanziale rivisitazione del concetto di autodifesa, che è uno dei casi per cui la Carta delle Nazioni Unite prevede e giustifica l’uso della forza in un conflitto. Gli Stati Uniti potrebbero intervenire colpendo alcune milizie che operano in Siria e sospettate di essere collegate ad Al Qaeda, come al Nusra, secondo lo stesso meccanismo che ha guidato l’amministrazione di Obama ad autorizzare gli attacchi dei droni contro i combattenti nemici degli Stati Uniti in Pakistan [guarda l’infografica]. La base legale per l’intervento è la stessa molto discussa utilizzata nella guerra al terrorismo: i combattenti rappresentano una “presente e immediata minaccia agli Stati Uniti”, tanto più qualora dovesse essere confermata dall’intelligence americana la capacità per i gruppi di estremisti di mettere le mani sui depositi di armi chimiche appartenenti ora ad Assad e sparsi per il territorio siriano. Il paradosso sarebbe tutto politico: nonostante la copertura legale che tale giustificazione potrebbe fornire, gli Stati Uniti e gli altri paesi coinvolti si troverebbero a fare la guerra a gruppi di combattenti che lottano contro Assad. In guerra vale però il principio che il nemico del mio nemico è mio amico (almeno finché resta il nemico principale). Intervenire in Siria, già ma quale? La terza possibilità è un intervento armato su richiesta dello stato interessato. Si potrebbe qui argomentare che, sulla base del principio di autodeterminazione dei popoli riconosciuto dalla stessa Carta dell’Onu all’articolo 1, la “vera” Siria sarebbe quella dei gruppi di opposizione ad Assad che hanno richiesto a più riprese l’intervento. Secondo Rosa Brooks, che insegna diritto alla Georgetown University di Washington, questa non sarebbe però un’opzione molto praticabile. Se è vero che oltre 100 Stati, inclusi gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita, hanno riconosciuto la Coalizione Nazionale Siriana come organismo “legittimamente rappresentativo del popolo siriano” – in altre parole, l’unica opposizione civile riconosciuta dalla comunità internazionale -, è anche vero che all’Assemblea delle Nazioni Unite continua a sedere il delegato lealista della Siria di Assad. Sarebbe quindi difficile sostenere e giustificare un intervento armato sulla base del principio di autodeterminazione dei popoli quando è la stessa Onu che non legittima pienamente l’opposizione siriana. Responsabilità di proteggere La quarta possibilità, la più verosimile, si basa su una norma internazionale controversa: la “responsabilità di proteggere”, una norma priva di forza giuridica nata su iniziativa delle Nazioni Unite per favorire il rispetto di diritti umani ritenuti universali. Tra gli stessi giuristi l’applicabilità della norma è molto discussa, dato che l’intervento armato per garantire il rispetto di alcuni diritti umani fondamentali lede inevitabilmente il diritto di sovranità dello Stato in cui si agisce. Il precedente di cui si parla molto oggi è quello della guerra in Kosovo del 1999, quando con il Consiglio di Sicurezza paralizzato dai veti incrociati e una guerra civile in atto, gli Stati Uniti e la NATO decisero di intervenire militarmente. Sebbene sotto molti punti di vista quell’intervento rappresentasse una violazione della Carta delle Nazioni Unite, pochi, data l’efficacia dell’intervento, si sentirono di condannare l’operazione: le stesse Nazioni Unite, a posteriori, approvarono la decisione. Il problema è che la responsabilità di proteggere, per essere invocabile, richiede che sia in atto un “genocidio, crimine di guerra, scontro etnico e crimine contro l’umanità”, ad oggi in Siria ancora da dimostrare (alcuni episodi che si sono verificati nei mesi scorsi potrebbero entrare in queste definizioni). Superato l’ostacolo legale, che fare? Ottenuto il via libera legale delle Nazioni Unite per Obama resterebbe il problema di come intervenire in Siria: armare i ribelli, colpire i depositi di armi chimiche o imporre una no-fly zone? Tutte opzioni da valutare, ma di difficile realizzazione. Se anche il Congresso autorizzasse la fornitura di armi ai ribelli, sembra esclusa al momento la possibilità che vengano forniti i missili anti-aereo richiesti dal generale Salim Idriss, leader dell’Esercito Libero Siriano. Armi più piccole vengono già fornite segretamente ai ribelli dall’inizio del 2012. Senza le armi anti-aereo però, indispensabili per fermare l’aviazione di Assad, i ribelli si troverebbero, per usare le parole del capo della commissione esteri del senato americano Robert Menendez, “con una cerbottana contro un archibugio”: senza speranze insomma. D’altra parte, la dichiarazione della Casa Bianca che apriva alla possibilità di armare i ribelli era stata ottenuta con una sorta di ricatto da Idriss. Secondo il leader dell’Esercito Libero Siriano i ribelli “senza armi non prenderanno parte alla seconda conferenza di Ginevra”. La seconda conferenza di Ginevra – la prima si è tenuta nel giugno 2012 ed è stata un sostanziale fallimento – è fortemente voluta proprio da Obama per cercare di trovare una soluzione diplomatica alla guerra in corso tra tutte le parti in causa. Secondo quanto scrive Foreign Policy, nel caso che l’amministrazione statunitense decidesse di imporre un’area di interdizione aerea completa sulla Siria i siti militari controllati dal regime da bombardare sarebbero 23. Siti militari controllati dal regime di Bashar al Assad (mappa di: Alberto Imbrosciano) Operativamente, secondo Antony Cordesman del “Center for Strategic and International Studies”, la no-fly zone sarebbe un’opzione praticabile, ammesso che sia nella volontà di Obama. I rischi dipendono dalla possibilità che l’operazione faccia scivolare gli Stati Uniti in una guerra generale. Per distruggere le difese siriane, gli Stati Uniti dovrebbero coinvolgere paesi alleati come Giordania, Turchia, Arabia Saudita, Qatar, e Bahrein che fornirebbero le basi per lanciare gli attacchi. Gli americani utilizzerebbero per le operazioni i bombardieri B2 Stealth, i caccia F-15 Strike Eagle e F-16 Vipers (alcuni di questi si trovano ancora in Giordania dopo un’esercitazione). Gli Stati Uniti potrebbero contare anche sugli E/A-18G Growler (in inglese “colui che ruggisce”), aerei progettati per la guerra elettronica, in grado cioè di confondere i sistemi radar nemici emettendo frequenze di disturbo. Con queste capacità militari, secondo Christopher Armer dell’Institute for The Study of War, gli Stati Uniti sarebbero in grado di neutralizzare senza problemi le difese siriane. I sistemi anti-aerei SA17s e SA22s di fabbricazione russa non costituiscono una preoccupazione per le forze aeree americane. L’unica carta per Assad sarebbe ottenere i missili terra-aria S300 dalla Russia, missili che ad oggi non sono però ancora arrivati, nonostante gli annunci. Il vero problema sembra però un altro: secondo i calcoli di Foreign Policy una no-fly zone sulla Siria costerebbe dai 9 ai 31 milioni di dollari a settimana. La strategia di Alice nel paese delle meraviglie Secondo Alan Berger del Boston Globe, l’indecisione di Obama sarebbe in realtà il risultato di un calcolo cinico. Il protrarsi della crisi in Siria drenerebbe molte risorse economiche all’Iran, sponsor principale di Assad. Inoltre lo stallo alle Nazioni Unite causato da Russia e Siria nuocerebbe solo a questi ultimi in termini d’immagine. Un intervento americano in Siria infine potrebbe essere un boomerang per l’amministrazione statunitense: se le cose andassero male i critici di Obama sarebbero pronti a criticare duramente il presidente di imperialismo e impreparazione. Secondo Micha Zenko, analista del “Council on Foreing Relations”, le dichiarazioni confuse della Casa Bianca sarebbero invece lo specchio di una reale indecisione sulle mosse da compiere che fanno apparire Obama come Alice del film di Walt Disney. Armare i ribelli? No-fly zone? Intervento umanitario? Come risponde lo Stregatto ad Alice “se non sai dove andare, poco importa che strada prendi”. MRI di: Niccolò De Scalzi
Posted on: Thu, 27 Jun 2013 11:29:50 +0000

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